Dasein 8, Le età della vita, Filosofia e psicologia delle stagioni dell’esistenza, Aprile 2019

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Questo tipo di lavoro su di sé assume un senso particolare in età anziana e senile: è soprattutto in questo periodo della vita, come ha insegnato Nietzsche, che si è “pensatori” in quanto si “ha esperienza” e si fa leva su tutto ciò che ci ha formato e ci ha educato. In questa età della vita, ammonisce tuttavia lo stesso Nietzsche, l'anima di colui che viaggia verso «il meriggio della vita viene colta da uno strano desiderio di pace. (...) Molte cose vede allora l'uomo che non aveva mai viste, e sin dove giunge il suo sguardo tutto è come intessuto in una rete di luce, quasi sepolto in essa. Si sente felice, ma è una difficile, difficile felicità» (cit. in Demetrio, 1996, p. 217). In conclusione, dunque, la nostra identità non è qualcosa di dato una volta per tutte ed esige un continuo interrogarci sul senso del nostro essere-nel-mondo. Il “raccontarsi” è una capacità, un bisogno elementare iscritto nella natura umana, teso a dare ordine e significato alle proprie esperienze e al proprio divenire. Scrive Ricoeur: «Il racconto che narriamo di noi stessi è sempre in relazione con ciò che attendiamo ancora dalla vita. Non si incontra il passato nello stesso modo quando non ci si attende niente dal futuro; l’identità narrativa, pertanto, deve essere interamente ripresa a partire da questo rapporto tra attesa e racconto». Attraverso il racconto possiamo accedere al “tempo della vita”, al “tempo vissuto”, in rapporto al quale il passato, la memoria, il presente e il futuro non sono che figure di cui facciamo esperienza.

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