L'IRCOCERVO - N. 4 marzo 2020

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ouverture San Marco. Sono quelle le aree più massicciamente invase dai turisti. Loro credono di essere arrivati a visitare la perla della laguna, la Serenissima, ma non è così. Venezia li inganna. Si dissolve sotto i loro occhi senza che se ne accorgano, e si ricompone in un simulacro di sé, erigendo un diaframma fra la sua vera natura e gli invasori. Poiché non può respingerli, allora li ingloba nel suo sistema digerente e poi li espelle senza farsi toccare – modeste deiezioni turistiche -, lasciando loro solo la pia illusione di averla attraversata. Di che natura è questo fenomeno, e come ci riesce? Non so dirlo, e non l’ho mai visto in opera altrove, ma di certo somiglia a un incantesimo. Nessun’altra spiegazione è possibile. Il culmine del gioco pirotecnico si verifica in piazza San Marco, un luogo che non si poteva sottrarre al passaggio dei barbari, neppure per merito della sua folgorante bellezza. E allora si è reso necessario asportare la piazza come una cisti per salvare il resto della città. Il turista la vede, certo, e crede di attraversarla, senza sapere che ciò che Venezia gli mostra è solo un parco a tema invaso da bancarelle di paccottiglia prodotta in Canton, e affollato da manichini scomposti e ammucchiati a caso. Ci sono file ovunque. Per entrare a palazzo Ducale, al Correr, oppure per salire sul campanile. Ma quella non è la città. È un inganno. La città è altrove. Mano a mano che ci si allontana da piazza San Marco, che è solo un immenso ologramma di luce e mosaici bizantini, i sestieri più sacrificati sono Santa Croce, San Polo e San Marco, perché giacciono nel cuore del sistema. Sono attraversati da orde sincopate che s’arrampicano sui ponti come un esercito smobilitato in cerca di razzie, ma già lì può capitare di imbattersi in una breccia occasionale nella matrice. Per riuscirci bisogna conoscere bene l’intrico di calli, passare uno qualsiasi dei minuscoli campi che stanno al confine della scenografia di cartone, lì dove la vita prende a scorrere davvero, e ricomincia il paesaggio di sangue e di pietra. La pressione si conserva pesante sulla Riva degli Schiavoni, perché troppo vicina a San Marco. Ma poi basta cominciare a spostarsi in linea d’aria di poche decine di metri – a nord verso Cannaregio, a sud nella direzione di Dorsoduro, o addirittura, se hai piedi buoni e passo veloce, in fondo ai giardini di S.Elena, a Castello – per passare attraverso il velo. D’improvviso, la stessa città dove transitavano convogli di turisti a piedi, e che lungo i percorsi battuti partecipa della

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