Io Come Docente 02

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Anno 1 N. 02 / Maggio 2012 - Periodico mensile - Editore e Proprietario: eBookservice srl C.F./P.I. : 07193470965-REA: MI-1942227. Iscr. Tribunale di Milano n. 324 del 10.6.2011.

numero

Il fumetto 02

docente

Studio Letterario ALeF

Illustrazione di Drawing Hands by Escher


Sommario

docente

Io Come Docente Mensile d’approfondimento culturale a carattere monografico, sviluppato in collaborazione con lo Studio Letterario ALeF www.studioletterario.it Studio Letterario ALeF

Tema del numero:

Il fumetto Fumetti e integrazione, il mondo di Baru |

di Nicolas Violle

Fumetto d’Impresa® |

di Giacomo Prati

Cartoni Animati |

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di Gianni Di Giuseppe

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Editoriale Cari lettori, care lettrici, nell’ottica di ribaltare le idee correnti riguardo a temi d’attualità, il secondo numero di Io come Docente è dedicato al fumetto, ma non nel senso comune del termine, ovvero striscie interpretate da eroi immaginari e avventure impossibili nella realtà, bensì come il fumetto, o meglio come l’abbinamento di testo e immagini può rappresentare la realtà. Ognuno vede la realtà secondo le proprie categorie mentali, l’educazione ricevuta e l’ambiente in cui vive, ecco che allora, per seguire l’impostazione culturale della rivista, questo numero non si avvale soltanto del contributo importante di un docente francese, ma anche di un formatore d’impresa, di un esperto di cinema d’animazione e infine di un illustratore che attraverso la propria opera interpreta o un personaggio caro ai bambini oppure una città ideale. Da tutti questi contributi, soprattutto dal primo, dove il fumetto traduce in immagini il disagio sociale dell’immigrazione italiana in una cittadina operaia francese, e poi dal secondo, dove l’arte grafica del fumetto è messa al servizio del lavoro e della scuola, il fumetto acquista finalmente una sua dignità artistica più volte messa in discussione da chi era ancora legato ad una concezione tradizionale della narrativa, facendosi interprete di una divisione netta tra testo e immagine. In que-

sto senso è significativo il fatto che nell’università italiana il fumetto, ancorché presente come materia di studio, entri sempre dalla porta di servizio, quasi si intenda non accettare una nuova realtà artistica che scardina la mentalità accademica, ancora legata ad obsolete categorie artistiche. Per spiegare il nostro pensiero ci viene in aiuto il termine usato nei Paesi anglosassoni graphic novel, locuzione intraducibile in italiano, dove l’autore illustra visivamente le proprie riflessioni e l’illustratore affida ai fumetti, appunto, la capacità rappresentativa della realtà. Si aprono dunque mondi nuovi, dove non c’è più una differenza fra cultura alta e cultura bassa, con tutte le incognite del caso, ma esiste soltanto un prodotto finito, valido artisticamente che rivendica il proprio valore ed è in questa forma che lo offriamo ai nostri lettori . Buona Lettura! Alessandro Bruciamonti

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Nicolas Violle

Fumetti e integrazione, il mondo di Baru Nato nel 1947, figlio di un operaio metalmeccanico immigrato italiano e di una bretone (1), Hervé Baruléa, in arte Baru, crebbe vicino a Villerupt, una delle città operaie più italiane della Lorena siderurgica. L’ombra delle discariche e degli altiforni delimita i suoi ricordi d’infanzia. Autodidatta del fumetto (2), più volte premiato al festival d’Angoulème (3) trae ispirazione dalla sua origine. I suoi fumetti pongono interrogativi sul ruolo dell’infanzia e sul meccanismo d’integrazione nella società francese. Nel 2003 Baru porta a termine un racconto a capitoli dedicato all’infanzia: Gli anni Sputnik. Organizzato in quattro volumi (Il rigore, 1999; Sono io il capo, 2000; Bip bip! 2002; Combornuti tutti cornuti! 2003) (4), il testo narra la vita nei quartieri popolari delle zone industriali della Lorena del ferro e dell’immigrazione alla fine degli anni cinquanta. Con questo racconto Baru riprende l’argomento dell’immigrazione in senso lato, non solo limitato a quella italiana ma a quello che fu veramente, ovvero l’aggregarsi e l’integrazione di popolazioni di origini varie, partendo dalla Lorena del ferro e degli altiforni. Cresciuto in un ambiente italiano, Baru si sente presto come un emarginato circondato da altri esclusi, ne deriva un contesto di “quasi normalità”, a patto di non uscire da questo piccolo mondo (5). Questi immigrati, miseri, hanno però un progetto familiare. Prende allora forma la cronaca di una città operaia nella Lorena alla fine degli anni Cinquanta. E’ immaginaria ma abbraccia tutte le problematiche sociali che erano presenti a quel tempo, una specie di “canto di una defunta cultura” nasce dal “crollo di tre imperi: l’impero industriale, l’impero coloniale e l’impero sovietico, [...]”) (6). Gli anni Sputnik rappresenta ancora l’universo dell’infanzia e degli amici del quartiere Sainte-Claire (comune di Thil, nel dipartimento della Meurthe-et-Moselle, a due passi da Villerupt). Per (1) Cf. «Une immigrée de l’intérieur, un émigré de l’extérieur», dice Baru, cf. Yaël Eckert, «Baru, la BD sociale et rock’n’roll», http://www.LaCroix.fr_26/01/2011, consultato il 28 gennaio 2011 alle 16pm. (2) Riesce a scampare alla fabbrica avendo la possibilità di studiare. Da adulta fa il professore di ginnastica e lo scrittore di fumetti. Inoltre fino al giugno 2010 è stato professore alla scuola superiore delle Belle arti di Metz. (3) è addirittura l’autore più premiato che questo festival, uno tra i più importanti al mondo: premio del migliore primo fumetto per Quéquette Blues nel 1985; premio del migliore fumetto per Le chemin de l’Amérique nel 1991 (Verso l’America, Coconino Press, Bologna, 2002); premio del migliore fumetto per L’autoroute du soleil nel 1996 (id., Coconino Press, Bologna, 2001); Grande Premio del Festival d’Angoulême nel 2010 per l’insieme della sua opera. La ricerca


5 “Cresciuto in un ambiente italiano, Baru si sente presto come un emarginato circondato da altri esclusi” è stata compiuta sull’opera in francese, segnaliamo quando ne abbiamo la conoscenza le pubblicazioni in italiano, i riferimenti d’illustrazione e i disegni riprodotti con la gentile autorizzazione dell’autore sono tratti dei volumi editi in Francia. (4) Pubblicati in Francia da Casterman, in Italia una prima edizione è apparsa da Kappa Edizioni, Roma, sotto il titolo generico de Gli anni Sputnik in quattro vol. rispettivamente del 2002, 2002, 2003 e 2004. L’autore ci ha informato che una prossima ristampa è prevista da Coconino Press. (5) La problematica dell’uscire da questo mondo è appunto quella dei racconti Quéquette blues e La piscine de Micheville, cit. (6) Cf. Geoffroy d’Ursel in Entretien avec Baru 2/2, in http://www.asteline.be/magazine/index.php?2007/03/14/289-entretien-avec-baru-partie-1-3 consultato il 29 gennaio 2011 alle 10am.


Nicolas Violle

scoprire questo mondo, Baru prende il suo lettore per mano. Proiezione dell’autore in questo fumetto, Igor, il suo eroe, sin dalla prima pagina e più volte nel racconto, è posto fuori dalle caselle, guarda il lettore negli occhi e gli si rivolge direttamente. Un rapporto privilegiato si stabilisce così tra l’eroe e il lettore che consente al primo di fare scoprire il suo mondo al secondo. Immediatamente il letto-

scina il lettore sin dal primo strip. Il tratto è dinamico, teso, il ritmo sempre altalenante, eseguito con una grande padronanza. Senza posa il lettore cerca di conoscere la fine della storia prima di riaprire il libro e di approfondire la sua lettura. Il disegno, grazie ad ambienti, sfondo, personaggi, partecipa quanto il racconto stesso alle situazioni narrative. Baru riesce così a fare emergere una società

re è attirato da questa prospettiva. Il ragazzo è nell’immagine del disegno dell’autore: sempre in movimento, quasi sbilanciato come per evidenziare la precarietà della vita, e la propria fragilità. Queste storie hanno in comune il sottrarsi alle costanti del fumetto e ai formati prestabiliti. Si tratta per lo più di racconti lunghi che non hanno niente a che vedere con gli usuali racconti a episodi. Ogni storia è ispirata da un ritmo che tra-

Queste storie dell’infanzia permettono a Baru di descrivere le realtà sociali in modo molto acuto. Baru non si allontana mai della vita operaia ed è appunto questa prossimità che gli permette di mostrare il mondo operaio e la cultura nella sua diversità. La società dipinta da temi ispirati al quotidiano sfiora l’universale e il mondo che prende forma poco a poco non fa mistero della tenerezza che gli porta l’autore (7).


7 Si è colpiti dalla vita che traspira da questi racconti. Non si tratta mai di rassegnazione e la focalizzazione sui ragazzi permette di trascrivere un mondo dove tutto sembra possibile, in cui l’avvenire materiale, nonostante la mancanza spesso di tutto, non è angoscioso. I personaggi presenti nelle sue striscie, rivelano la cura che l’autore porta a rappresentarli in un ambiente preciso, di loro costitutivo. Le personalità emergono così spontanee, verosimili grazie all’attenzione portata nel raffigurare l’ambiente. La scrupolosa restituzione dei luoghi essenziali ai personaggi consente di capirli meglio. I proletari di Baru sono condizionati dal loro ambiente. Il loro milieu è il prodotto delle loro famiglie, del loro habitat e del loro ambiente geografico, sociale e culturale. Gli sfondi appaiono come un personaggio a pieno titolo di questi racconti (8). Così gli sfondi di queste storie sono innanzitutto costitutivi della vita dei personaggi,

testimoni di un’epoca e di una geografia sociale. La loro precisione è importante e indispensabile perché lo sfondo della loro vita condiziona il modo di pensare di questi personaggi. La promiscuità apparente della società degli operai immigrati è in realtà un’entità sociale operaia composta dal lavoro, da riferimenti culturali, che offrono un telaio propizio all’integrazione particolarmente operativa e favorevole per i loro figli. Queste storie permettono di misurare a quale punto l’integrazione di queste famiglie è innanzitutto un’armonia tra un universo sociale e professionale in interazione con dei territori e una cultura. Quest’adeguamento permette una ridefinizione della collettività che tiene conto dello straniero e quindi permette l’integrazione. Va notato che affrontare la questione dell’integrazione sotto l’angolo del mondo operaio consente a Baru di superare il quadro di rapporti semplicemente conflittuali tra indigeni e

(7) Betrand Ruiz parla di un mondo dipinto con «tenerezza e umanità», cf. « Baru aime les gens de peu», in http://www.sudouest.fr/2011/01/27/baru-aimeles-gens-de-peu-301477-4620.php, consultato il 30 janvier 2011 alle 3pm. (8) «Les lieux sont des personnages à part entière, ils engendrent les gens tels qu’ils sont» [I luoghi sono dei personnage di pieno diritto, genera la gente come è]. Cf. http://bibliobs.nouvelobs.com/bd/20100201.BIB4848/baru-un-presidentsocial.html, consultato il 23 febbraio 2011 alle 10am.

società e fumetto


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Nicolas Violle


9 stranieri. Il solo fatto di essere operai consente di assorbire i contrasti. Ci si accorge allora che questi racconti illustrano un modo di vita operaia omogeneo atto a definire una vera cultura. Essere integrati significa allora possedere i codici di questa cultura, praticare questo patrimonio di conoscenze. E’ questo il fatto decisivo. Se accade, francesi e stranieri, assieme, edificano un mondo. Bisogna infine che quest’integrazione non sia limitata a una classe sociale, ma sia effettiva in seno all’intera società, da qui la necessità di avere strutture sociali operative. Baru genera allora una nuova problematica che riguarda il determinismo della classe operaia ed essere integrato non significa più essere capace di

sua famiglia. Affrontate per la Lorena, queste domande sembrano pertinenti se applicate a una riflessione più ampia. Fatto raro nella finzione, la questione dell’immigrazione prende in questi racconti una dimensione collettiva e sociale attraverso un’attenta restituzione del mondo operaio per non dire della classe operaia. La pertinenza di questi racconti traspare attraverso la riflessione dell’integrazione che diventa qui lo spostamento sociale (9). Baru supera il quadro della propria storia familiare e pone il problema dell’integrazione degli stranieri oggi in un mondo ristrutturato dalla finanza in cui il lavoro non organizza più la vita. Questa distanza gli consente di illustra-

Queste storie dell’infanzia permettono a Baru di descrivere le realtà sociali in modo molto acuto. aggregarsi a questa classe bensì avere nella medesima misura degli autoctoni tutte le capacità di sottrarsi al mondo operaio. Per Baru ovviamente una condizione d’integrazione accade quando esiste una possibilità di mobilità ascendente nella società per se stesso o per la

re tutte le possibilità del sentirsi appartenere a una classe sociale e/o culturale. Il suo ricorso al mondo dell’infanzia sembra indicare che tutto va ristabilito dall’educazione, l’istruzione, e che senza condizioni famigliari, scolastiche e sociali è impossibile immaginare qualsiasi forma d’integrazione.

(9) «Dans [L’enragé], ce qui m’intéresse ce n’est pas le sport en lui-même. Pour moi, la boxe c’est

une voie royale pour des gens qui n’ont rien pour pouvoir sortir de leur condition : c’est une belle métaphore du déplacement social et c’est sur quoi je travaille depuis que je fais des BD. J’essaie de traiter la question du passage d’un état à un autre, du déplacement des individus dans la société […] » [in L’arrabbiato lo sport non m’interessa di per sé. Per me il pugilato è la via magna per chi non ha altro per sfuggire alla sua condizione: è una bella metafora dello spostamento sociale e appunto l’oggetto del mio lavoro da quando creo fumetti. Provo a trattare l’argomento del passaggio da uno stato a un altro, dello spostamento degli individui in seno alla società] Cf. Gilles Ratier in http://www.bdselection.com/php/index.php?rub=page_dos&id_dossier=169, consultato il 15 febbraio 2011 alle 10am.



Nicolas Violle

Nicolas Violle dopo essere stato Lecturer (1998-2000)

e Assegnista di ricerca (1992-1995) presso l’Università della Sorbonne Nouvelle - Paris III , da settembre 2000 insegna civiltà e letteratura italiana contemporanea presso l’Università Blaise Pascal, Clermont-Ferrand II, CELIS. In CELIS è collegato alla équipe Scritture e interazioni sociali. Ha organizzato nel 2007 e 2008 giornate di studio su Migration e Intergénération, che è culminato nella pubblicazione del lavoro collettivo Familles latines en migration. La sua ricerca si concentra sui molteplici aspetti della rappresentazione dell’Italia e gli italiani in Francia e i trasferimenti culturali che sono inerenti, spesso legati alla presenza italiana in Francia. Dopo aver lavorato sull’impatto che il fascismo e l’immigrazione italiana in Francia hanno avuto sulla rappresentazione degli italiani per alcuni anni ha studiato l’impatto dei fenomeni di violenza politica e sociale sulla stessa rappresentazione.

www.univ-bpclermont.fr

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IL FUMETTO D’IMPRESA® Metodologia esperienziale per la formazione e la comunicazione Il fumetto è un linguaggio costituito principalmente da immagine e narrazione. Appartiene alle più moderne arti visuali, è in larga parte utilizzato a fini narrativi ed è spesso definito “letteratura disegnata”. Il Fumetto d’Impresa® è una metodologia formativa e comunicativa che ha lo scopo di unire l’arte grafica del fumetto al mondo del lavoro e della scuola. Tale metodologia riesce, infatti, a collegare due contesti apparentemente lontani fra loro come il business, fondato sull’organizzazione e la produzione, la scuola, basata sugli obiettivi e la razionalità, con il fumetto, basato sulla finzione, l’espressività e la creatività. Il Fumetto d’Impresa® utilizza le tecniche dell’arte del fumetto come integrazione e supporto dell’attività di comunicazione e formazione aziendale e scolastica tradizionale, coinvolgendo attivamente i partecipanti in maniera esperienziale e divertente. L’unione fra fumetto, scuola e azienda è possibile grazie all’approccio metaforico, interpretando il contesto didattico/organizzativo con il linguaggio del fumetto.

Obiettivi

e finalità

Nei contesti precedentemente presentati il fumetto ha diversi scopi e obiettivi: ➜ concentrare l’attenzione su una specifica dinamica comportamentale attraverso la quale far riflettere i discenti; ➜ spingere al cambiamento attraverso un percorso di riflessione che metta in discussione modelli e schemi comportamentali; ➜ rendere più piacevoli le occasioni di formazione e sviluppo dei gruppi, attraverso una componente artistica e creativa, ma comunque costruttiva;

“letteratura disegnata”


Giacomo Prati

➜ promuovere e pubblicizzare, all’interno e all’esterno di un’organizzazione, prodotti o servizi. In particolare per attirare l’attenzione e raggiungere un ampio pubblico; ➜ attivare una comunicazione coinvolgente, veicolando informazioni, aggiornamenti, condivisioni di valori, vision e mission, celebrazioni di successi e ricorrenze; ➜ facilitare la crescita e lo sviluppo delle persone attraverso un processo di apprendimento esperienziale. Lo scopo principale della formazione fumettistica è di far sì che la crescita dei partecipanti, raggiunta attraverso riflessioni sulle azioni rappresentate nei fumetti, sia un arricchimento spendibile nel contesto privato e professionale.

Giacomo Prati

Ideatore e fondatore del Fumetto d’Impresa www.fumettoimpresa.it Formatore e consulente allo sviluppo individuale ed organizzativo. Blogger http://pratiformativi.altervista.org

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“...monitorare l’effettiva applicazione di quanto appreso nel contesto lavorativo...” Il

professionista del

Fumetto D’Impresa

Il Fumetto d’Impresa®, per affermarsi e diffondersi come valido strumento nell’ambito della formazione degli adulti, ha bisogno di operatori professionalmente preparati in grado di valorizzarne le grandi potenzialità. I vari progetti, altrimenti, rischiano di essere banalizzati e diventare solo dei momenti di animazione e d’intrattenimento se portati avanti da fumettisti che si improvvisano consulenti o da formatori che si improvvisano sceneggiatori. La figura del formatore è strettamente legata a quella del fumettista e dello sceneggiatore. Questi ruoli devono saper organizzare il lavoro concentrandosi sulle persone e i ruoli che rivestono, i loro punti di forza e quelli di crescita. Devono inoltre riuscire a comunicare un messaggio in maniera efficace e coinvolgente, suscitando interesse e stimolando la riflessione. Questo ruolo è denominato Formettista®. Il Formettista® deriva dal termine “formatore”, esperto in processi formativi e “fumettista”, esperto nell’arte del fumetto. è colui che opera nel settore con efficaci finalità formative, conoscendo in maniera approfondita il mondo organizzativo/scolastico ed il processo formativo. Il Formettista® deve saper facilitare il percorso formativo e allo stesso valorizzare l’esperienza artistica. Non è necessario che sia un disegnatore, ma deve conoscere la tecnica del fumetto e saper gestire la metodologia all’interno della formazione. Il suo compito non si conclude alla fine del fumetto, ma deve monitorare l’effettiva applicazione di quanto appreso nel contesto lavorativo. Competenza e professionalità dei Formettisti sono quindi requisiti fondamentali per garantire la correttezza, la qualità e l’efficacia del loro intervento e valorizzare lo strumento.

Partecipazione

Il Fumetto d’Impresa® prevede diverse tipologie e livelli di partecipazione e coinvolgimento dei soggetti. Si va da un livello a più bassa partecipazione, nel quale alla realizzazione del fumetto i soggetti coinvolti possono assistere come semplici spettatori senza possibilità di intervento, fino ad arrivare ad un livello ad alta partecipazione, nel quale l’impegno è totale e i soggetti prendono parte


Giacomo Prati

Illustrazione per il museo della Rocca di Castell’Arquato (architetto del XV sec.) – Piacenza – 2000

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Tavola per storyboard Bacardi – agenzia McCann Erickson - 2003

comunicazione Formazione


Giacomo Prati all’opera come sceneggiatori, soggettisti o dialoghisti. La storia è praticamente realizzata dai partecipanti.

Osservazioni

conclusive

Le tecniche illustrative per la formazione e la comunicazione agiscono così su tre livelli: quello dei contenuti, quello della creatività e quello grafico. E’ evidente come l’approccio metaforico debba essere guidato per fare in modo che la metafora artistica non prevalga su quella concettuale, ma l’accompagni. Più che un bel disegno o un bel cartoon occorre un linguaggio efficace ed un contenuto che stimoli l’apprendimento. Sono le parole chiave e le sequenze logiche scelte che, rappresentate, fanno la differenza. Ciò diventa ancor più fondamentale nel caso in cui gli stessi partecipanti vogliano cimentarsi nell’opera artistica. A questo proposito, a prescindere dalla scelta agita, è opportuno sottolineare come un’alta qualità a livello grafico possa dare un valore aggiunto per tutti coloro che dovranno vedere l’opera finita. L’appetibilità, infatti, è l’elemento imprescindibile che deve guidare l’intero processo d’ideazione, progettazione e realizzazione del fumetto, uno strumento a molti ancora sconosciuto, ma che col tempo acquisirà sempre più spazio nel mondo comunicativo e formativo.

Giacomo Prati Formatore e consulente in ambito educativo, sociale ed aziendale. Già consigliere regionale dell’Associazione Italiana Formatori, riveste ruoli di coordinamento a livello nazionale; è nel direttivo della Società Italiana di Programmazione Neuro Linguistica. è accreditato all’albo degli esperti ISFOL, a quello della Regione Emilia-Romagna e del Comune di Bologna. Si dedica all’applicazione delle metodologie formative esperienziali, con particolare attenzione a quelle legate alle arti grafiche e del fumetto. è ideatore, infatti, del Fumetto d’Impresa www.fumettoimpresa.it. è autore, inoltre, di numerosi articoli per riviste specializzate ed online. Il suo blog http://pratiformativi.altervista.org ha superato le 100.000 pagine visitate e comprende un network di oltre 600 persone.

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cartoni

Tavola di prova per la serie “Lady Lovely” – 1989


Gianni Di Giuseppe

animati

Perché piacciono i cartoni animati: aspetti psico-pedagogici Perché i cartoni animati sono un genere di spettacolo particolarmente seguito dai bambini ed apprezzato dai grandi? A questo proposito un giorno Walt Disney disse:“Dobbiamo fare in modo che i soggetti siano graditi sia ai bambini, sia agli adulti. Se l’argomento in se stesso supera la comprensione dei bambini, bisogna introdurre gag o trovate che li divertano in continuazione. E’ necessario che i nostri film piacciano anche agli adulti, dal momento che il pubblico è composto prevalentemente da adulti”.(1) Secondo Bartolini e Manini, due studiosi italiani, i cartoni animati “… vengono colti dall’infanzia con una immediatezza straordinaria proprio perché questa età è particolarmente vicina a quel mondo di reinvenzione magica e fantastica della realtà. Il bambino, a differenza dell’adulto, non è ancora del tutto piegato ad un rapporto con l’ambiente e con le cose a cui, un po’

alla volta, una certa educazione ai “valori d’uso” tenderà ad adattarlo. Fino a quel momento il “gioco” e l’ ”immaginazione” gli permetteranno di muoversi con una certa libertà fra la propria “realtà interna” fatta di emozioni, paure, fantasie, desideri e il “mondo che gli sta intorno”, favorendo dall’una all’altro scambi e assimilazioni illusorie… Figure surreali, insegnamenti forsennati, cadute e scontri esilaranti da cui i personaggi escono malconci ma pronti a ricominciare tutto daccapo, sono alcuni elementi che costituiscono l’ossatura di tanti cartoni animati dopo che il cinema “vero”, acquistando la parola, diventerà adulto e non potrà lasciarsi andare a quell’ingenuo piacere comico. Quei cartoons sono in fondo delle “comiche” portate alle estreme conseguenze grazie ad un tipo di espressione cinematografica in grado di esaltare al massimo il movimento, una certa “gommosità” dei personaggi (che cadono e si rialza-

(1) O. De Fornari, “Walt Disney”, La Nuova Italia, Firenze 1998, pp. 156-58.

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no, come se rimbalzassero su tutto), il gioco assurdo delle situazioni. …Al di là di ogni giudizio culturale che si può esprimere sui cartoon televisivi, non c’è dubbio che essi rappresentano la risposta più coerente, in una fase di grande espansione della cultura e dell’immagine elettronica, che il medium televisivo abbia prodotto e diffuso per rispondere al grande bisogno infantile di fiction”. (2) Il movimento è il più forte richiamo visivo all’attenzione, basti pensare all’efficacia della pubblicità mobile delle insegne intermittenti al neon, maxi schermi, o di come un movimento delle labbra attira l’attenzione dell’osservatore sulla bocca di chi sta parlando. Tutto questo è possibile, secondo gli studi compiuti soprattutto dalla psicologia della Gestalt, perché la percezione delle immagini e del loro movimento avviene in modo åglobale e immediato. Inoltre il movimento visivo facilita nei bambini il processo di apprendimento perché la loro attenzione viene concentrata sullo schermo agevolando la memorizzazione dell’informazione. Ma a determinare il successo dei cartoni animati non c’è solo il movimento delle immagini, ma anche il disegno e la forma. Il cinema d’animazione si basa oltre che sul movimento anche sul disegno. Da studi compiuti sugli aspetti psico-percettivi del cinema (3) si è giunti a queste conclusioni: lo spettacolo cinematografico offre la possibilità di vivere come reali e proprie le vicende rappresentate dal medium visivo, e consente un processo di identificazione dello spettatore con l’eroe delle vicende e delle gesta narrate nel film. “Per il linguaggio filmico Musatti ha descritto il carattere di realtà dell’esperienza cinematografica: in effetti una tale dinamica è attivi con modalità differenti anche a livello dell’esperienza di lettura del fumetto; anzi il fumetto, come il cartone animato, in quanto può maggiormente prescindere da una immagine realistica, ha la maggiore possibilità, a parità di altre condizioni, di evocare una realtà interiore, fantastica, preconscia e inconscia,più di quanto non possano fare il film fotografico o il fotoromanzo: lo stimolo formativo del disegno è molto più impreciso, ambiguo di quello costituito da una fotografia e pertanto maggiormente implica fenomeni di percezione o meglio di distor-

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(2) P. Bertolini, M. Manini, “I figli della tv”, La Nuova Italia, Firenze 1988, pp.156-58. (3) C. Musatti, “Forma e assimilazione”, in Archivio italiano di psicologia, 1931, vol. 9. Pp.61-159. (4) A. Imbasciati, C. Castelli, “Psicologia del fumetto”, Guaraldi, Firenze 1975, pp.93-94.


Gianni Di Giuseppe

Tavola della serie “Lazarus Ledd” edizioni Star Comics – 1996


sione appercettiva. E quanto più il soggetto distorce, appercettivamente e mnesicamente, il materiale che recepisce,tanto più l’effetto di questo non sarà legato al materiale stesso e il soggetto; in tal senso gli effetti della ricezione di questo tipo di comunicazione sono assai più complessi e difficili da prevedere”.(4) Che le immagini elementari risultino immediatamente più comprensibili è confermato anche dagli studi compiuti da Ryan e Schwartz (5) che misero a confronto quattro modi di rappresentazione: a) fotografie; b) disegni ombreggiati; c) disegni a contorno ricalcati dalle fotografie e quindi accurati nella preparazione; d) disegni tipo fumetti degli stessi oggetti. Perché il disegno tipo fumetto è afferrato più correttamente rispetto ad una fotografia che contiene maggiori informazioni visive rispetto al disegno? “Le ragioni sono dovute al fatto che nel disegno i contorni sono stati semplificati; ossia le curve sono state arrotondate ed hanno sostituito quelle complesse e irregolari della fotografia. La semplificazione del disegno fa sì che per percepire il disegno siano necessarie un minor numero di fissazioni; Inoltre, il soggetto così semplificato è riconoscibile anche in una zona laterale della visione periferica. Anche in questo caso si richiedono meno fissazioni probabilmente in base ad attese più sicure di ciò che verrà visto”.(6) Le forme semplici, ed in modo particolare quelle arrotondate, sono le forme che attraggono maggiormente l’attenzione (7). Il bambino per le sue prime configurazioni si ispira ai vari oggetti rotondi che si è visto intorno quali il volto (8) e il seno della madre. Se il bambino traccia un cerchio per rappresentare una testa, questo cerchio non gli viene offerto dall’oggetto in questione; è invece, un’autentica invenzione, un’importante conquista, alla quale il bambino arriva dopo una laboriosa serie di tentativi”. (9) Le forme rotonde non solo vengono colte più facilmente a livello percettivo, ma sono anche preferite da un punto di vista psicologico, proprio perché associate agli oggetti rassicuranti quali il viso e il seno della madre. “Un breve film dove un triangolo grande e un

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(9) R. Armheim, ”Arte e percezione della visiva”, Feltrinelli, Milano 1979, p. 147.

(4) A. Imbasciati, C. Castelli, “Psicologia del fumetto”, Guaraldi, Firenze 1975, pp.93-94. (5) Bertolini, M. Manini, “I figli della tv”, La Nuova Italia, Firenze 1988, pp.15T. Ryan, C. Schwartz, “Speed of Perception as Function of Mode of Representation, in “American Journal of Psychology”, n. 69, 1956, pp. 60-69. (6) J. Hochberg, “La percezione di cose e persone”, in AA. VV. Arte percezione e realtà, Einaudi, Torino, 1978, pp.88-89. (7) “Il cerchio che non evidenzia alcuna direzione, è il più semplice “pattern” visuale. Sappiamo che gli oggetti troppo lontani per realizzare la loro sagoma caratteristica si vedono rotondi e non di altre forme. La percezione della forma circolare attrae l’attenzione”. R. Arnheim, “Arte e percezione della visione, Feltrinelli, Milano, 1979, p.231. (8) Un altro esperimento interessante sulla percezione è stato eseguito da Franz; egli ha potuto notare “che i bambini osservano più a lungo il disegno che raffigura un volto umano che non quello che raffigura gli stessi elementi figurativi, ed ha concluso che il volto umano è una figura che ha per i bambini un significato indipendente da qualsiasi apprendimento. Sembra inoltre che i bambini preferiscano oggetti sferici, anziché la loro rappresentazione piana, rilevando così di possedere una certa percezione innata per la profondità spaziale”. R.L. Gregory, “Occhio e cervello”, Il Saggiatore, Milano 1979, p.231.


Gianni Di Giuseppe

Tavola della serie “Lazarus Ledd” edizioni Star Comics – 1997


triangolo piccolo e un cerchio eseguiscono una storiella fu presentato da Fritz Heider e Marianne Simmel per scopi sperimentali. Si trovò che gli osservatori spontaneamente attribuivano alle forme geometriche, sulla base dei loro movimenti, qualità “umane”. Per esempio il triangolo più grande venne descritto dal 97% degli osservatori come aggressivo, battagliero, belligerante, attaccabrighe, arrabbiato, di cattivo carattere, irritabile, permaloso, villano, che approfittava della sua grandezza, dominatore che vuol comandare. La incredibile espressività delle figure geometriche in movimento è stata dimostrata nei film “astratti” elaborati da Oskar Fischinger, Norman McLaren, Walt Disney ed altri”. (10) Walt Disney insistette molto con i suoi collaboratori per ottenere figure arrotondate ed umanizzate. “… voleva che il comico scaturisse dal personaggio, non dall’eccesso dell’azione”. (11) Prendiamo ad esempio i sette nani di Biancaneve: il loro “corpo è rotondo e il viso è paffuto: tanto peso concentrato in un volume ristretto è indice di solidità, sia fisica che morale. Cinque di questi assonnati barilotti hanno un naso rotondo e prominente, quasi privo di narici, un naso di panno lenci, tra il clownesco e il virile, che partecipa al generale equilibrio delle sfere”. (12) Ma le ragioni del successo dei cartoni animati non devono essere ricercate solo nel movimento e nella forma di questo particolare tipo di spettacolo; ma anche nelle motivazioni di carattere psicologico che questo tipo di filmati determina. In generale la rappresentazione che più si avvicina a quella dei disegni animati è quella delle fiabe, che sono state le prime storie fantastiche di cui il bambino viene a conoscenza e meglio si adattano alla sua fantasia e alle sue emozioni, ma, a differenza di quest’ultime, i cartoni animati consentono allo spettatore di dare un’immagine alle sue fantasie. Tra il cartone animato e la fiaba c’è un’analogia di struttura della storia. Si tratta di storie la cui narrazione avviene in modo semplicistico; dove Biancaneve o Heidi sono sempre belle, mentre l’orco e gli abitanti degli altri pianeti sono sempre cattivi. Dove i personaggi sono in opposizione: giganti-nani, prìncipi-poveri, terresti-extraterrestri, affamati-sazi, buoni-cattivi;

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(10) R. Arnheim, “Arte e percezione visiva”, cit. pp. 327-28. (11) B. Thomas, “Walt Disney, Mondadori, Milano 1979, p. 13. (12) De Fornari, “Walt Disney”, La Nuova Italia, Firenze 1978, p. 55.


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Tavola per la mostra “La città invisibile” a cura di ASM Piacenza - 2000


con continui capovolgimenti di fronte, di funzioni psicologiche e di personaggi che vi compaiono. Un’altra caratteristica comune sia alle fiabe sia ai cartoni animati è quella di mettere in scena un mondo fantastico popolato di esseri fatati, animali antropomorfi, “esseri diversi” provenienti da altri pianeti, capaci di contrapporre alla realtà contemporanea un’altra realtà dove tutto è permesso e dove le cose avvengono per incanto. “Il cinema è il più grande apostolo dell’animismo” (13) e il disegno animato “esalta l’animismo implicito nel cinema ad un punto tale che l’animismo si volge in antropomorfismo”.(14) Le fiabe come i cartoni animati, divertono e istruiscono il bambino, fornendo le risposte agli interrogativi che egli si pone, e lo fanno in termini che parlano direttamente al bambino consentendogli di “mettere un po’ d’ordine nel caos interiore delle sua mente per poter capirsi meglio: un preliminare necessario per il conseguimento di una certa congruenza fra le sue percezioni e il mondo esterno”.(15) Un ulteriore passo nell’evoluzione della raffigurazione simbolica dell’aggressività infantile verso i genitori, la ritroviamo in Paperino, il personaggio oggi più in voga: qui i bambini – Qui, Quo, Qua- ridicolizzano continuamente la figura paterna; Paperino è ridotto ad uno zio imbelle, che i nipotini devono continuamente soccorrere. Questo soccorso benevolo è la maschera più perfetta per nascondere il sadismo infantile e la negazione maniacale del valore dei genitori, che stanno al fondo del larvato disprezzo e della più esplicita squalifica della figura parentale”.(16) Un personaggio del cartone animato può, in successione rapidissima, perdere testa, mani e piedi. Può arrivare all’ultimo stadio del congelamento o diventare, perché schiacciato da un peso che gli è caduto sopra, più piatto di un foglio di carta. Può trasformarsi da essere vivente e cosciente in una strana macchinetta. Gli può accadere letteralmente di tutto e, nonostante ciò, lo spettatore si sente intimamente autorizzato a ridere o sorridere di queste crudeli vicende. E il suo riso non rivela necessariamente un’inclinazione insana alla crudeltà. La reversibilità del cartone animato è in grado di ribaltare completamente le leggi della fisica e della natura.

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(13) Bilinsky, “Il costume”, in Art cinématographique, VI,p.56. (14) E. Morin, “Il cinema e l’immaginario”, Silva, Genova 1962, p. 91. (15) B. Bettlheim, “Il mondo incantato”, Feltrinelli, Milano 1997, p. 55. (16) A. Imbasciati, C. Castelli, “Psicologia del fumetto, cit., pp.174-75.


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Storyboard Peugeot “Sculptor” – agenzia Euro-Rscg, Milano - 2002

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Ciò accade soprattutto grazie al disegno. è infatti proprio il disegno, libero e senza problemi di verosomiglianza, tipico del cartone animato, che permette di appiattire la forma, di allungarla o distorcerla in qualsiasi modo, per poi farla tornare al suo stato naturale. Tutto questo in modo assolutamente divertente”.(17) E’ possibile che un tempo troppo lungo trascorso quotidianamente davanti alla tv determini in molti bambini un eccesso di esuberanza che facilmente degenera in aggressività; (…) ”.(18) Motivazioni e tratti preponderanti della personalità possono portare ad esempio “un soggetto che ha fame a percepire più facilmente gli alimenti, un soggetto aggressivo vede con maggiore facilità scene di aggressione che scene pacifiche,un soggetto caratterizzato da desiderio di sicurezza percepisce più facilmente situazioni rispondenti a questo desiderio che non altre, un bambino identifica i cibi che gli piacciono più facilmente di quelli che non gli piacciono”.(19) Così individui che sottoposti a test di personalità (Test di Appercezione Tematica) erano giudicati possedere un alto livello di aggressività, erano più svelti nel percepire immagini di atti aggressivi di coloro con un basso livello di aggressività”.(20) Infine, la realizzazione di un cartone animato, con tecniche semplici, potrebbe essere un contributo alla creatività dei ragazzi e degli insegnanti. “La creatività è un passo in avanti rispetto alla fantasia” spiega Piero Bertolini docente di pedagogia all’Università di Bologna “ma il rapporto è stretto. Oggi la scuola insiste di più sull’istruzione, sulla preparazione intellettuale, mentre si pensa che il linguaggio puro della fantasia non sia sufficientemente utile e produttivo. Perciò si tende a dare una alfabetizzazione alla sfera irrazionale dei ragazzi, a contenere la loro fantasia entro canali prestabiliti, si tratti di un’esperienza corporea o di disegno o di scrittura. Il consiglio è opposto: per avere più fantasia e quindi maggiore creatività si deve lasciare libero sfogo a un bambino di sei anni che il suo disegno – la casetta con i muri storti e le proporzioni un po’ assurde – è sbagliato, perché lui la vede così”.

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(17) D. Lombardo, “Guida al cinema d’animazione”, Editori Riuniti, Roma 1983, pp.32-33. (18) P. Bertolini, M. Manini, “I figli P.Bertolini, M.Manini, “I figli della tv”, op. cit., pp.164-65. (19) R. Droz, “Percezione”, in Enciclopedia Einaudi, Torino 1980, vol. Xp. 599. (20) M.D. Vernon, “La psicologia della percezione”, Astrolabio, Roma 1968, p. 163.


Gianni Di Giuseppe

Gianni Di Giuseppe L’autore Gianni Di Giuseppe, dirigente Rai, è stato responsabile della produzione dei telegiornali, della Pianificazione e produzione di Raitre, vice direttore di Rai International; attualmente è Direttore della Sede regionale Rai per le Marche. All’attività aziendale ha affiancato il lavoro didattico presso alcuni atenei (Roma tre, Università Cattolica, Università di Parma, Università La Sapienza di Roma, Link University of Malta) e scuole di formazione (Business School del Sole 24 Ore, Regione Lazio, Istituto di Stato per la Cinematografia e la televisione di Roma) dove ha insegnato “Istituzione di organizzazione di eventi” all’interno del Master Interateneo in Scienze e Tecniche dello Spettacolo-Organizzazione e Teoria e storia della scenografia. Tra i suoi lavori ricordiamo:Carlo Cesarini da Senigallia scenografo televisivo , D’Agostino Editore, La televisione nelle Marche: le origini, Mediateca delle Marche, Manuale del produttore televisivo, Eurolink Editori; “La scenografia televisiva, viaggio attraverso i materiali e gli apparati tecnici che hanno caratterizzato 50 anni di produzione televisiva” in Storia della scenografia televisiva, Rai/ Eri; I nuovi media in AA. VV. “La galassia dei media” Edizione Kappa; La televisione: un linguaggio, un’industria, Loescher; La CNN, l’informazione planetaria, Capone Editore; Il cinema d’animazione, Loescher.

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Sergio Anelli

Sergio Anelli

(1965), illustratore, visualizer e fumettista. Già illustratore lavora dal 1987 nel campo della moda e ha collaborato con studi di pubblicità e architettura e come disegnatore, inchiostratore e colorista di comics ha collaborato per Star Comics, Epierre, Liberty, Ediperiodici, RCS, Sergio Bonelli Editore. Per Manicomics Teatro ha disegnato i costumi degli spettacoli “Bianco silenzio”, “Gocce” e “Il gigante egoista”. Per il Circolo “Cinemaniaci” di Piacenza ha organizzato rassegne di cinema e curato le mostre “Periplo fantastico”, La luce del tempo” e “Il cinema di carta”. E’ attivo anche nel campo della didattica per le scuole per le quali organizza laboratori sul linguaggio del fumetto e sul racconto per immagini.

“Le illustrazioni del secondo e terzo articolo sono di Sergio Anelli”

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