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Cambio Al Vertice Di Lavazza
L’assemblea degli azionisti della Luigi Lavazza Spa ha nominato lo scorso 27 aprile il nuovo Consiglio d’amministrazione che resterà in carica per il prossimo triennio, fino all’approvazione del bilancio 2025.
Giuseppe Lavazza è stato nominato presidente, mentre Alberto Lavazza ha assunto la carica di presidente onorario.

L’assemblea ha confermato nella carica di vicepresidente Marco Lavazza, nominato nel 2011, e i consiglieri Francesca, Antonella e Manuela Lavazza, nonché Antonio Baravalle ed Enrico Cavatorta, rispettivamente amministratore delegato e chief financial & corporate officer del Gruppo Lavazza.
Completano il nuovo Consiglio di amministrazione, che è composto da un totale di 13 membri di cui 5 amministratori indipendenti, i riconfermati Robert KunzeConcewitz, chief executive officer di Campari, Nunzio Pulvirenti, membro dell’Advisory Board di Ferrero e Roberto Spada, managing partner di Spada & Partners. Accanto a loro entrano nel CDA come nuovi membri indipendenti Silvia Candiani, vice president Telecommunication Microsoft, e Daniel Winteler, consigliere delegato operazioni straordinarie e business development di The European House Ambrosetti.
Lasciano invece il Consiglio di amministrazione di Lavazza
Pietro Boroli, vicepresidente di De Agostini Spa, Gabriele Galateri di Genola e di Suniglia, presidente dell’Istituto Italiano di Tecnologia, Antonio Marcegaglia, presidente di Marcegaglia Steel Spa e Leonardo Ferragamo, presidente del Consiglio di amministrazione dell’azienda di famiglia.
“È mio desiderio proseguire con
Una Mostra Sulla Prima
Fabbrica Di Birra In Italia
coerenza il percorso strategico di crescita, consolidando la linea che è stata tracciata nei 15 anni in cui Alberto Lavazza è stato presidente”, dichiara Giuseppe Lavazza, presidente del Gruppo Lavazza.
“Continueremo a rafforzare la nostra presenza nei segmenti e nei mercati chiave per il Gruppo, guardando con attenzione a nuove opportunità, ribadendo gli investimenti in ricerca e sviluppo”.
“In oltre 60 anni trascorsi in azienda, di cui 15 come Presidente, ho avuto – sostiene il presidente onorario Alberto Lavazza – la grande opportunità di conoscere e apprendere dalla prima, ma soprattutto dalla seconda generazione contribuendo, insieme a mio cugino Emilio, a tracciare alcuni dei grandi cambiamenti che hanno visto Lavazza crescere ed evolvere nel tempo. Un percorso che mi ha consentito di trasmettere la visione e il patrimonio valoriale della nostra famiglia attraverso le generazioni, e una leadership responsabile e aperta alle nuove sfide, creando un ponte tra presente, passato e futuro dell’impresa”.
Alberto Lavazza è stato infatti l’elemento di raccordo tra le generazioni: quella del dopoguerra, quella del “boom” economico e quella del terzo millennio.
La prima fabbrica di birra in Italia venne fondata a Brescia nel 1829 da Franz Xaver Wührer. In occasione delle celebrazioni di Bergamo e Brescia Capitali della cultura 2023, dall’8 maggio all’Antica Birreria Wührer di Brescia sono a disposizione del pubblico tante preziose testimonianze d’epoca: cartelli pubblicitari di fine ‘800, quando la birra Wührer fu insignita di uno dei riconoscimenti più ambiti dell’epoca: “Prodotto della Real Casa”; oggetti antichi e tanta storia bresciana, per raccontare l’attività birraria anche degli avi austriaci del fondatore, una stirpe che si tramandava la tradizione di padre in figlio già dal 1540; un video sulla storia della Wührer curato da Ruggero Orlando per la tv nel 1980; un acquarello dell’illustratore bresciano Capra del 1908 raffigurante una serata mondana in una birreria con la scritta Wührer sullo sfondo; preziose etichette, lamierini, carte intestate, cartoline postali pubblicitarie e tante altre testimonianze, che rappresentano quanto la birra Wührer è legata, da 195 anni, a Brescia e ai bresciani. L’esposizione rimarrà in forma permanente. Sul filo di una passione mai sopita, Federico Wührer riprende oggi la tradizione birraria di famiglia con la produzione della Cesar 1949, una bionda a bassa fermentazione, la cui ricetta fu inventata dal nonno Pietro nella fabbrica della Bornata a Brescia nel 1949.

EXPORT DA RECORD PER L’AGROFOOD ITALIANO
Il 2022 segna un nuovo record per le esportazioni agroalimentari italiane che hanno sfiorato 61 miliardi di euro, in crescita del 14,8% rispetto al 2021. Un risultato influenzato dalla forte dinamica inflattiva e che ha inciso però soprattutto sul lato passivo della bilancia commerciale, riportando in deficit il saldo del nostro interscambio (-1,6 miliardi di euro).
Gli scambi con l’estero del settore agroalimentare italiano sono stati al centro di un webinar organizzato lo scorso aprile da Ismea nell’ambito della Rete Rurale Nazionale, dal titolo “Le sfide globali del made in Italy agroalimentare”, a cui hanno partecipato esperti di alcune delle produzioni di punta del settore agroalimentare nazionale, come gli spumanti, le conserve di pomodoro, l’uva da tavola così come esponenti del settore della mangimistica che ha dovuto affrontare grandi difficoltà di approvvigionamento.

Tornando alle dinamiche dell’ultimo anno, il principale mercato di destinazione dei prodotti agroalimentari italiani si conferma l’UE che, con 35 miliardi di euro, assorbe nel 2022 circa il 57% delle nostre esportazioni.
Germania, Stati Uniti e Francia rimangono i partner di maggior rilievo, con una quota complessiva del 37% e tassi di crescita a doppia cifra sul 2021.
Da segnalare anche il forte incremento delle esportazioni verso Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca e, fuori dai confini comunitari, Regno Unito, con una ripresa sia in volume sia in valore delle principali voci dell’export alimentare nazionale. In controtendenza le spedizioni verso il Giappone, dove pesa la riduzione delle forniture di tabacchi lavorati, e verso la Russia, a causa dell’irrigidimento delle relazioni commerciali.
Si evidenzia una performance positiva per tutti i principali comparti e categorie, con le uniche eccezioni, tra i primi 20 prodotti esportati, di mele e uva da tavola. I vini in bottiglia raggiungono 5,2 miliardi di euro di export (+6,6%), grazie all’aumento dei prezzi che compensa largamente la riduzione dei volumi (-2,3%); le esportazioni in valore delle paste alimentari aumentano del 38,4% rispetto al 2021 e quelle dei vini spumanti del 19,4%; crescono in misura consistente anche le esportazioni di caffè torrefatto e di prodotti da forno.
GRANO DURO: “UNA FILIERA PIÙ COMPATTA PER FAR CRESCERE LA SICILIA”
Al convegno organizzato da Compag a Catania sono intervenuti alcuni esponenti del settore e dell’università. Lo scopo era valorizzare la produzione di grano duro siciliana, individuandone i problemi e definendo una linea d’azione comune per superarli efficacemente.

Si è svolto alla fine di aprile a Catania il convegno organizzato da Compag sulla filiera del grano duro in Sicilia per dare spazio a un confronto con i principali operatori dei segmenti nazionali di questa importante filiera produttiva e con esponenti dell’Università. Compag, la federazione nazionale delle rivendite agrarie che rappresenta i commercianti dei mezzi di produzione nonché gli stoccatori di cereali e proteaginose (per un totale di circa 4.000 imprese), si occupa della difesa degli interessi della categoria presso le istituzioni a livello europeo, nazionale e locale. Nella gremita Aula Magna dell’Università di Catania, ha riunito – in collaborazione con il Consorzio Crisma, con il patrocinio del Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente e il contributo di Basf e Newpharm – i maggiori player del settore, allo scopo di valorizzare la produzione di grano duro siciliana, individuandone i problemi e definendo una linea d’azione comune per superarli efficacemente.
“È il primo di una serie di eventi che servono a compattare il terri- torio”, ha detto in apertura dei lavori il presidente di Compag Fabio Manara.
Sono stati poi sviscerati i vari aspetti caratterizzanti la filiera, con interventi tecnici affidati a Umberto Anastasi e Giorgio Testa del Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell’Università di Catania, Emanuele Blasi dell’Università della Tuscia, Gianluca Tabanelli di Basf e Stefano Cherubi di Newpharm.
La Sicilia è la seconda regione produttrice di grano duro Interessante la panoramica sulla filiera del grano duro offerta dall’esperto di filiere cerealicole Herbert Lavorano, che nel suo intervento ha sottolineato che “la Sicilia è il secondo produttore di grano duro in Italia, con un’eccedenza di circa 200.000 tonnellate disponibili per l’esportazione (insieme alle Marche, è la principale esportatrice netta di grano duro). Essendo una delle prime Regioni UE a raccogliere il grano, è anche la prima ad apparire sul mercato con il nuovo raccolto. Tuttavia, la produzione regionale subisce un forte svantaggio derivante dalle spese di trasporto, e il settore molitorio è caratterizzato da molti semolifici di piccole dimensioni”.
Tutti aspetti ulteriormente approfonditi nella seconda parte della mattinata, quando si è svolta la Tavola Rotonda, dove si è dato ampio spazio a un confronto costruttivo tra i principali esponenti del settore che hanno avuto la possibilità di intervenire apportando il loro prezioso contributo: Francesco Casillo, presidente di Molino Casillo, coerentemente con i dati espressi nella prima parte della mattinata, ha dichiarato che “la Sicilia è oramai un player importante nel mercato mondiale del grano duro e deve essere pronta a fare un passo in avanti nella qualità dei metodi di commercializzazione del grano. Questo potrà avvenire con una maggiore conoscenza degli agricoltori e degli stoccatori sui meccanismi che regolano il commercio del grano duro, che ormai avviene su scala mondiale e non più regionale o locale”. Tommaso Brandoni, presidente della Società Produttori Sementi, ha specificato che “la società posizionerà nel mercato siciliano nuove varietà di grano duro, frutto di una ricerca genetica moderna e innovativa, con varietà adattabili ai cambiamenti climatici, senza perdere di vista le risposte produttive e qualitative”. Patrizia Marcellini, direttrice della cooperativa Gaia, ha illustrato l’importanza del modello che può essere esportato: “la particolarità di questa cooperativa è che vengono gestiti – direttamente dalla stessa – non prodotti ma terreni. La cooperativa lavora da oltre 20 anni con i contratti di filiera, una scelta importante che ci ha consentito di operare con più tranquillità proteggendoci dalla volatilità dei mercati”. Secondo Compag, nonostante le numerose limitazioni, per la Regione si aprono anche varie opportunità: è vero che il margine per lo sviluppo delle filiere locali è piuttosto stretto, tuttavia – con gli opportuni interventi – si potrebbe riuscire a concentrare l’offerta per porsi sul mercato del Mediterraneo come competitor organizzato e affidabile, sfruttando appieno i vantaggi competitivi naturali (sanità della granella) e valorizzando i prodotti regionali (in particolare la semola rimacinata).



Luca D’Amico, amministratore delegato di Crif Ratings:

“Il food&beverage subisce la forte esposizione del comparto all’incremento dei prezzi delle materie prime e dell’energia”