Ticino7

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17 numero

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L’appuntamento del venerdì

17 IV

Corriere del Ticino

laRegioneTicino

Giornale del Popolo

Tessiner Zeitung

CHF. 2.90

con Teleradio dal 19 al 25 aprile

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R EPORTAGE - BERNA

L’ORCO, SANSONE

E IL SUONATORE DI CORNAMUSA

AGORÀ - AGGREGAZIONE GIOVANILE LUOGHI - MONTAGNA PECCATI - INVIDIA


Non avrei mai pensato che mio marito mi lasciasse per una donna più matura.

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numero 17 17 aprile 2009

Agorà Giovani. Gabbie antivandali o finestre sul mondo? Arti Musica. L’affaire Trazom

DI

Tiratura controllata 90’606 copie

Chiusura redazionale Venerdì 10 aprile

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

DI

DI

FRANCESCA RIGOTTI

Vitae Ruth Montereale

DI

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KERI GONZATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Luoghi Montagna che divide, montagna che unisce Peccati L’invidia

GIORGIA RECLARI

ORESTE BOSSINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Società Erasmus. Forme di vita “gitana”

Impressum

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DI

RAFFAELLA CAROBBIO

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GAIA GRIMANI

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Reportage Berna. L’Orco, Sansone e il suonatore di cornamusa

DI

MARZIO PESCIA . . .

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Direttore editoriale

Tendenze Ginevra. Salone per Signore, calve

Redattore responsabile

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Peter Keller

Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

DI

KURT SGHEI

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Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via San Gottardo 50 6900 Massagno tel. 091 922 38 00 fax 091 922 38 12

Direzione, redazione, composizione e stampa Società Editrice CdT SA via Industria CH - 6933 Muzzano tel. 091 960 31 31 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Panorama notturno di Berna Fotografia di Marzio Pescia

Tempo di promesse

Cari lettori, la tragedia avvenuta in Abruzzo è ovviamente al centro dell’attenzione dei media italiani ed europei. I problemi da risolvere a riguardo sono enormi: da quello delle persone sfollate dalle loro case ai problemi sanitari, dalla gestione dei fondi e degli aiuti alla ricostruzione della presenza fisica dello Stato i cui edifici sul territorio sono andati distrutti, dalla tutela del patrimonio storico-architettonico alla riedificazione di un’intera città e del suo comprensorio, incluso l’ospedale dell’Aquila, struttura nata vecchia e inadeguata anche a causa della catena di appalti e subappalti che ne hanno inficiato la sicurezza costruttiva. Per non entrare poi nel merito delle polemiche, più o meno sfruttate politicamente, relative alla scarsa tempestività nell’organizzazione dei soccorsi. Ma a colpirmi sono state le promesse del presidente del Consiglio italiano che, senza mai smettere il consueto habitus del demagogo, ha promesso una new town nell’arco di 24 mesi. E certo l’esperienza in questo campo non gli manca… Milano 2, Milano 3, le pietre angolari della sua fortuna. Solo che, come sottolinea oggi Gianluca Di Feo nel suo articolo pubblicato su “L’Espresso”, “le frasi del premier suonano un po’ come un déjà vu”. Sì, perché una promessa identica fu dallo stesso Berlusconi fatta tre giorni dopo la tragedia di San Giuliano, quando un terre-

moto provocò la morte di 27 bambini e della loro insegnante schiacciati dalla soletta della scuola della cittadina molisana (“Mi sono intrattenuto con degli amici architetti per mettere a punto un’ipotesi di progetto per la costruzione di una nuova San Giuliano… vorrei in questa occasione dare risposte con tempi assolutamente contenuti e certi”). Gli faceva eco l’allora ministro dell’interno Giuseppe Pisanu che in sede parlamentare affermava: “il presidente del Consiglio ha assicurato che entro 24 mesi il comune verrà riconsegnato alla completa e normale fruibilità degli abitanti”. Provate ora ad andarci a San Giuliano… Solo per ricostruire la nuova scuola di anni ce ne sono voluti 6 (è stata inaugurata dallo stesso Berlusconi nel settembre del 2008). Per le prime case di mesi ce ne sono voluti 60 ma molti degli edifici promessi sono ancora in costruzione. E la cifra in questione non era poi così elevata: 250 milioni di euro per la sola San Giuliano. La faccenda abruzzese ha però proporzioni ben diverse, come ha ipotizzato il ministro Altero Matteoli: “Per l’edilizia e per le abitazioni private i soldi da stanziare si aggirano intorno a un miliardo e 300 milioni di euro, escludendo quello che servirà all’industria… Le case che si dovranno abbattere si possono ricostruire in due anni snellendo tutte le procedure”. I soliti 24 mesi… Cordialmente Fabio Martini


Gabbie antivandali o finestre sul mondo?

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Agorà

I centri giovanili sono spazi aggregativi fondamentali per imparare la convivenza sociale. Eppure ne nascono sempre meno. “Pigrizia comunale” denuncia il sociologo Marco Galli. Ma anche diffusione di una mentalità inquietante

L’

adolescenza, ovvero quando non si è più e nemmeno si è ancora, è un’età a cavallo fra due mondi e spesso in conflitto con entrambi. Non più bambini, si inizia a mettere in discussione figure e istituzioni intoccabili – i genitori, la famiglia –, la scuola, perché “voglio vedere da solo cosa c’è la fuori”. Eppure là fuori c’è il mondo degli adulti, che spesso guarda agli adolescenti come a tipici rappresentanti di nuove generazioni, ovviamente peggiori delle precedenti “perché ai miei tempi non era così”. Incomprensione, rifiuto bilaterale. Eppure questi ex bambini, spesso fragili e disorientati, hanno un immenso bisogno di aiuto, per comprendere le regole di un mondo nuovo, nel quale entreranno presto e in cui non hanno ancora nessuna voce in capitolo. I centri giovanili sono una delle realtà che mirano a rispondere a questa esigenza. In Ticino ce ne sono quindici, sparsi su tutto il territorio in comuni di varia grandezza, riconosciuti e sussidiati dal Cantone, che si offrono come “zona franca” in cui gli adolescenti possono confrontarsi ed esprimersi. E imparare valori fondamentali per il futuro: la convivenza, la responsabilità, l’autodeterminazione.

Controllo vs libera espressione Certo trascorrere i pomeriggi in un locale con i propri coetanei e un animatore non trasforma ogni giovane in un piccolo avvocato o politico impegnato in accesi dibattiti sulla realtà e sulla propria condizione. Dai vari sondaggi effettuati fra gli adolescenti, è emerso come per i diretti interessati il centro dovrebbe essere un luogo di ritrovo con gli amici, dove chiacchierare, ascoltare musica e fare feste senza troppe regole. Un aspetto che fa rizzare i capelli in testa a più di un municipale e a parecchi cittadini,

pronti a puntare il dito a ogni atto di vandalismo vero o presunto e che non esitano a demonizzare gli assembramenti di minorenni come covi di piccoli disturbatori della quiete pubblica. D’altra parte la presenza di un animatore viene vista come un rassicurante deterrente e il centro diventa il solido contenitore dove “almeno non provocano danni e li tengono sotto controllo”. In realtà i giovani necessitano sia di divertimento, sia di uno spazio aggregativo dove confrontarsi e socializzare al di fuori del nucleo familiare e delle istituzioni scolastiche. Il centro assume pertanto la fondamentale funzione di “rafforzare il sentimento di appartenenza alla comunità e sviluppare la solidarietà, contribuendo a prevenire l’isolamento sociale”.* Non solo feste ma anche numerose attività culturali e creative animano i centri ticinesi, come atelier artistici, tornei sportivi, corsi di teatro, incontri informativi e di prevenzione. I frequentatori sono sempre più giovani (dai 12/13 anni), di diversa provenienza etnica e culturale, in prevalenza apprendisti. A differenza di chi frequenta una scuola, che offre numerose possibilità di aggregazione sociale, i ragazzi che lavorano hanno infatti meno possibilità di incontro con i coetanei. Sempre più spesso inoltre i giovani hanno alle spalle famiglie ricomposte o monoparentali. In questo contesto anche l’animatore risulta fondamentale come figura di riferimento che risponde a un’accresciuta esigenza di stabilità e identificazione.

La pagella alla politica: 6 al Cantone, 4 scarso a molti comuni In Europa sono in funzione più o meno ventimila centri, in Svizzera circa quattrocento, caratterizzati da diverse forme di gestione. In Ticino sono 15


L’Ufficio di sostegno riceve in media due o tre richieste di riconoscimento all’anno per la creazione di nuovi centri giovanili. “Di solito sono accolte tutte, perché soddisfano requisiti fondamentali come l’utilizzo di spazi a norma di legge e la presenza di un animatore specificamente formato” spiega Galli. Il Cantone può coprire fino al 50% delle spese e l’Ufficio di sostegno fornisce assistenza per l’iter burocratico. “Non si può proprio dire che in Ticino manchi l’informazione, basta saperne approfittare e avere un po’ di curiosità” conclude il sociologo. Ma, nonostante ciò, negli ultimi tempi le domande sono in calo. E non solo a causa della pigrizia.

Una tendenza preoccupante Una volta c’erano gli oratori, i campi da calcio, i giochi all’aperto. Oggi spesso c’è il videogioco, la chat, la poltrona di casa, la solitudine, l’individualismo. Con esiti anche estremi, di folle ferocia, quando il bisogno di riconoscimento e inserimento nel gruppo viene frustrato. Si può arrivare a sparare ai propri compagni di classe. La creazione di spazi di confronto ed espressione

diventa sempre più un’urgenza. Ma la tendenza della politica, influenzata dal sensazionalismo mediatico, va nella direzione opposta. Largo quindi ai metodi repressivi, a coprifuoco e telecamere. I dati statistici, come pure le conclusioni a cui è giunto il Gruppo di lavoro “Giovani violenza educazione” istituito all’indomani della tragica morte di Damiano Tamagni, denotano non un aumento quantitativo dei reati ma un generalizzato aumento della loro brutalità. “È il sintomo di una società, nel suo complesso, sempre più arrogante e violenta” deduce Marco Baudino nel suo libro. Il dibattito sulla maggiore efficacia della promozione delle politiche giovanili piuttosto che dei metodi repressivi è sempre acceso. Prevenire è meglio che curare secondo i sostenitori delle prime. Perché organizzare una grigliata o incidere un disco non è divertimento gratuito ma un primo passo verso l’impegno e la partecipazione futuri.

» di Giorgia Reclari

quelli riconosciuti e sussidiati dal Dipartimento della sanità e socialità, secondo le prescrizioni della Legge Giovani approvata nel 1996. Con la creazione nel 2005 della “Carta delle politiche giovanili” – uno strumento inedito rivolto alle istanze politiche con lo scopo di promuovere iniziative a livello locale – il Ticino si può fregiare del titolo di Cantone modello, con tanto di lode internazionale (ha ricevuto l’ “Award 2007” a Strasburgo dalla Assembly of European Regions). Allievi pigri e svogliati sono invece molti comuni. “La maggioranza dei comuni da troppi anni ormai latita tra commissioni giovani «fantasma», ricerche dormienti in cassettiere polverose o indifferenza bella e buona. Mancano inoltre delegati comunali e progetti di animazione di prossimità, sportelli giovani, skate-park e la messa a disposizione di spazi temporanei d’aggregazione.” Scrive il sociologo Marco Galli, responsabile dell’Ufficio di sostegno a enti e attività per le famiglie e i giovani, in un articolo apparso di recente su “Argomenti”, la rivista elettronica del Cantone.

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Marco Baudino, Alieni immaginari. Otto anni dopo, edito da Infogiovani, 2008

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L’affaire Trazom Arti

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A. Bauer e Otto Erich Deutsch. A quest’ultimo, raffinato storico dell’arte di origine ebraica, costretto come tanti intellettuali viennesi a fuggire a Londra nel 1938, si devono anche altre massacranti fatiche editoriali, come i lavori per Schubert e Händel, che rendono i suoi meriti per la storia della musica incalcolabili. Nessuno dei due, purtroppo, ebbe il piacere di vedere la fine del lavoro avviato. Deutsch morì nel 1967, Bauer l’anno successivo, prima che il commentario e gli indici dei Briefe vedessero finalmente la luce. Nella prefazione del 1962, Bauer e Deutsch avevano scritto di considerare il loro lavoro un punto di partenza per le ricerche future. Il loro auspicio si è rivelato fin troppo esatto, probabilmente al di là di quanto avessero immaginato. In cinquant’anni gli studi su Mozart hanno infatti completamente ribaltato l’immagine tradizionale del genio eterno fanciullo, apollineo e volgare insieme. Moltissime notizie su fatti, persone e circostanze sono state chiarite, molte altre sono state trovate. Sarebbe profondamente ingiusto, tuttavia, sottrarre un solo grammo di merito ai fondatori dell’impresa. Secondo una lettura un po’ feticista della figura di Mozart, i curatori fecero iniziare l’epistolario addirittura con il concepimento del musicista. La prima lettera del padre Leopold, infatti, indirizzata al suo editore Johann Jakob Lotter, reca la data del 10 aprile 1755, esattamente nove mesi prima della nascita di Wolfgang. Una lettera del

Pietro Antonio Lorenzoni, Mozart bambino, 1763, olio su tela (Mozarteum, Salisburgo)

In

vista delle celebrazioni per il secondo centenario della nascita, nel 1956, l’Internationale Stiftung Mozarteum promosse due iniziative editoriali destinate a trasformare la fortuna di Mozart nel nostro tempo: la nuova edizione critica degli opera omnia e la pubblicazione di tutte le lettere e i documenti scritti sopravvissuti. Quest’ultima costituiva una novità assoluta, dal momento che per la prima volta si

tentava di riordinare e di rendere accessibile al pubblico la traboccante massa di lettere, appunti, diari di viaggio e documenti di vario genere che riguardavano Mozart. Diverse collezioni si erano formate nel corso del tempo, a partire da quella di Georg Nikolaus Nissen, il primo biografo di Mozart nonché marito della sua vedova, Constanze. Il monumentale progetto era stato affidato alle cure di due infaticabili studiosi, Wilhelm

A Wilhelm Bauer e Otto Erich Deutsch si deve il monumentale lavoro di scavo e ordinamento dei documenti concernenti la figura di Wolfgang Amadeus Mozart di cui hanno contribuito a delineare lo spirito e la singolare personalità 31 dicembre 1857 del figlio Carl Thomas, morto a Milano l’anno successivo, rappresenta invece l’estrema propaggine della presenza di Mozart sulla terra, chiudendo così un epistolario che si estende lungo il corso di un secolo intero. La parte più bella e affascinante dell’epistolario riguarda il delicato e controverso rapporto tra Mozart e il padre. Leopold era un personaggio davvero fuori dal comu-


contrario). La parabola umana di Mozart non è stata lunga, ma neppure brevissima, misurata sulle condizioni di un epoca in cui la morte era una compagna quasi quotidiana nella vita delle persone. Mozart sopravvisse a cinque fratelli morti prima di lui e vide morire quattro dei suoi figli. Egli riconosceva nella morte il segno del divino, qualcosa che noi non siamo più in grado di distinguere. Nelle lettere strazianti inviate a casa da Parigi, con la madre Maria Anna già defunta nel letto accanto, scriveva fingendo di sperare in un miglioramento, per non recare un dolore troppo grande al padre e alla sorella. Lo scoramento e l’amarezza per la perdita di quella brava donna traboccava invece nella lettera inviata a un amico di famiglia, al quale raccomandava di preparare il terreno all’annuncio della triste notizia. Mozart si affidava alla speranza di una dolcezza, che rendesse meno difficile scavalcare il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti. In queste lettere toccanti, veri e propri sonetti a Orfeo, affondano le radici autentiche del futuro Requiem.

Libri

Anna Rastelli La costanza della ragione. Il tempo e la storia del Requiem di Mozart Ed. Diabasis, 2008 La storia del Requiem rappresenta uno dei capitoli più controversi e misteriosi della storia della musica. Anna Rastelli sfrutta la vicenda romanzesca della composizione di questo capolavoro per raccontare le vicende della vita di Mozart.

Dischi

W.A. Mozart Serenata K 361 Gran Partita Orpheus Chamber Orchestra Deutsche Grammophon, 2006 Composta intorno al 1784, questa Serenata per 12 strumenti a fiato e un contrabbasso rappresenta uno dei momenti più alti dell’opera di Mozart per l’eccezionale intensità melodica e l’orchestrazione raffinata e originale.

W.A. Mozart Mozart Edition Brilliant Classics, 2005 La Brilliant Classic propone a un prezzo molto accessibile l’opera integrale del genio di Salisburgo. Se da un punto di vista artistico l’iniziativa presenta alcune disomogeneità dovute a conduzioni ed esecuzioni di diversa qualità e provenienza, da un punto di vista documentario offre la possibilità di “viaggiare” nell’immenso corpus dell’arte mozartiana.

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Arti

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» di Oreste Bossini

ne, che meriterebbe una considerazione più attenta. La complessa personalità di quest’uomo scaltro e di grande intelligenza, capace di sollevarsi dall’anonimato grazie alla forza di volontà e a una mente acuta e curiosa di tutto, si rivela nella determinazione con la quale ha progettato la carriera dei figli. Leopold viene spesso dipinto come un padre senza scrupoli, teso a sfruttare il talento di Wolfgang e di Nannerl, ma incapace di comprendere per davvero il destino artistico del figlio. Leggendo le lettere, ciascuno è libero di formarsi un’opinione su Leopold, ma si tenga a mente la lucidità non priva d’ironia con la quale quest’uomo di bassa condizione seppe osservare il mondo del suo tempo. Leopold, abituato a muoversi al massimo tra Salisburgo e la città natale Augusta, visitò come un ambasciatore le maggiori città europee, comprese le grandi trasformazioni in atto nella musica e nella cultura, riuscendo a destreggiarsi abilmente nei labirintici codici sociali di un mondo feudale ormai alle soglie di un ineluttabile declino. La lingua delle lettere è molto complessa. Il tedesco del Settecento, scritto in forma colloquiale e non letteraria, è impastato con un lessico ricco di riferimenti al francese, al latino, all’italiano e a lingue anche più esotiche. Accanto a questa stratificazione, frutto dei viaggi ed esibita ai lettori di Salisburgo come una forma di cosmopolitismo, si trovano spesso perifrasi scherzose, giochi di parole e allusioni ironiche, che rivelano sia nel padre, sia nel figlio un’inclinazione per lo stile umoristico (amava, per esempio, scrivere il proprio cognome al


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per l’Europa. Pian piano intessono una rete di contatti internazionali che li seguirà e determinerà movimenti futuri. Imparano altre lingue e fanno amicizia con persone di ogni Paese. Soprattutto per chi sceglie la via degli studi superiori, l’erranza entra lentamente a far parte della propria vita. Per il bachelor o il master si spostano dalla città natale. Arriva poi il fatidico Erasmus, tappa incontornabile di ogni curriculum universitario che si rispetti. Intanto la rete di amicizie “globali” cresce. Grazie ai voli low-cost, i ragazzi si spostano spesso e volentieri per un weekend a Londra e uno a Berlino. Seguono gli stage all’estero, che aprono possibilità lavorative internazionali e tutto quello che ne deriva. Insomma, uno arriva ai 25 anni – come è capitato alla sottoscritta – che non sa più nemmeno

Jack London Preparare un fuoco Mattioli 1885, 2007 Uno tra i più evocativi racconti di Jack London (1876-1916; padre di tutti i moderni “viaggiatori letterari”) viene riproposto nelle due versioni edite dallo stesso autore, accompagnate da un saggio di George R. Adams.

Faraldi “ti apre la mente, ti permette di ragionare in maniera più completa, ti forma”. Nel libro (vedi Apparati) tratta del trauma post-Erasmus che, ampliando il discorso, può definire tutte quelle situazioni nelle quali il giovane gitano decide di fermarsi e si trova ad affrontare la fatidica questione del “e adesso che cosa fai?”. C’è poi chi sceglie scientemente il viaggio come stile di vita. Questi viaggiatori sono spesso persone che, rifuggendo il conformismo cercano nel viaggio una dimensione slegata dagli schemi comuni. Andrea ha fatto questa scelta e racconta sulla rivista multimediale “La voce d’Italia” (www.voceditalia. it): “Sono un traveller perché sento che il mio spazio non è quello di una vita normale. Voglio una vita diversa. E la possibilità di una vita lontana dal «produci consuma crepa» cui probabilmente “… dobbiamo andare e non fermarci mai finché ero predestinato”. non arriviamo”. “Per andare dove, amico?”. Come ogni cosa, oggi “Non lo so, ma dobbiamo andare…”*. Uno l’esperienza del viaggio può essere vissusguardo alle nuove generazioni di studenti ta in modo positivo destinate, a quanto pare, a una costante o negativo. È possible utilizzare lo stile di vita condizione di erranza “gitano” come fuga dai problemi, così come esperienza formativa che cosa voglia dire la parola e cammino verso se stessi. Nella certezza “casa”. che il viaggio è come la vita: tutto sta nel Davide Faraldi, che scopro percorso. avere fatto un Erasmus a Southampton come me, è l’autore di Generazione Erasmus (Adesso *da On the road (1957; Sulla strada, Mondadori) di Jack Kerouac cosa fai?). L’Erasmus, secondo

» di Keri Gonzato

Società

sempre. Dalle prime tribù nomadi al Grand Tour, dalla Bibbia ai road movie, il tema del viaggiare impregna la storia della civiltà. Gli anni Sessanta, con i suoi Kerouac e i pellegrini alla ricerca di un luogo più libero, hanno legato al concetto del viaggio l’idea di una fuga magica verso una vita alternativa. Il fascino della realtà esotica ricercata nel girovagare ha persistito, in svariate declinazioni, sino a oggi. Ma chi sono i nuovi giovani gitani? Appartengono a una generazione che corre veloce. Abituati ad avere la risposta a un click di distanza, hanno tante domande e trovano risposte facili e rapide. E quando la matassa diventa contorta che cosa fanno? Partono. Tra internet, tv e cellulari sono invasi di “mondo” in ogni istante dell’esistenza, con la conseguenza che il viaggio rappresenta un impulso naturale. Per i giovani occidentali agiati, l’educazione a un modus di vita itinerante avviene in modo dolce e graduale. Grazie all’educazione liberal sono motivati a muoversi e spostarsi rapidamente. Spesso, sin da piccoli, si abituano a “fare la valigia”: colonie estive, corsi di sci, viaggi con la famiglia. Poi i soggiorni all’estero, i primi viaggi con gli amici, l’inter-rail in giro

Davide Faraldi Generazione Erasmus (Adesso cosa fai?) Aliberti, 2008 Stefano, il protagonista del romanzo, ha ventisei anni, ha termianto gli studi, non ha un lavoro, non ha una compagna, non ha un luogo che possa chiamare casa...

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Il mito del viaggio esiste da

Forme di vita “gitana”

Il logo dell’Erasmus Student Network (ESN), la più grande associazione interdisciplinare studentesca fondata nel 1990 per sviluppare e supportare lo scambio studentesco (www.esn.org)

Libri


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Aarau: Kurt W. Ineichen Altdorf: Peter Arnold Basilea: Elio Merola • Dietmar Rambacher Bellinzona: Dewis Piccinali Berna: Peter Kofmehl • Maurer & Pizzimenti AG Bienne: Martin Wittwer Brugg: Herbert Wiederkehr Burgdorf: Stephan Aeberhardt Chiasso: Renzo Zanotta Coira: Werner Bär • Thomas M. Bergamin Delémont: Philippe Membrez Dietikon: Beat Weilenmann Frauenfeld: Erich Marte Friburgo: Daniel Eltschinger • Romain Wohlhauser Füllinsdorf BL: Markus Burgunder Ginevra: Jean-Pierre Cathrein • Carmine Cucciniello • Laurent Ischi • Maurice Reynaud/Raymond Sartor • Yvon Voland Horgen: André Huber Kloten: Eduard Tellenbach Köniz: Massimo Galluccio Kreuzlingen: Silvio Müller Lachen: Gerhard Vogt Langenthal: Martin Zellweger Locarno: Giulio Farei-Campagna Losanna: Alain Rochat Lucerna: Dr. Guido Nauer • Edgar Villiger Lugano: Renzo Quadri Martigny: Christophe Gross Meilen: Gianluca Ablondi Montreux: Eric Marchal Neuchâtel: Pascal Schlaeppi Nyon: Pascal Eyer Olten: Ulrich Gatschet Payerne: Marcel Marguet Rapperswil: Max Wildi San Gallo: Dominik Hundsbichler • Thomas Jacob Sciaffusa: Urs Züst Sion: Anselme Mabillard Soletta: Walter Stalder Stans: Hans von Holzen Sursee: Josef Weber Svitto: Fredy Inderbitzin Thun: Jürg Heiniger • Fred Schneider Uster: Heinz Ernst Vaduz: Gerd Thöny Visp: Beat Moll Wettingen: Richard Frei Wil SG: Kurt Blank Winterthur: Peter Maurer Wohlen: Peter Deubelbeiss Worb: Beat Gimmel Zugo: Arthur Brühlmann • Fritz Schumpf AG Zurigo Città: Hans-Rudolf Eugster Zurigo Enge: Ivano Greco Zurigo Nord: Markus Hablützel Zurigo Ovest: Roland Ueltschi

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Chiara Brenna Ticino e Mesolcina Salvioni, 2003 Una guida dettagliata, affidabile e attenta non solo nel tracciare gli itinerari (fra cui anche quello che porta da Biborgo al Passo di Giümela) ma anche ricca di informazioni sul territorio e sulle tracce lasciate dalle genti che lo hanno popolato.

Blenio ed è percorsa dal fiume Lesgiuna. Una leggenda narra che il diavolo aprì un orrido (lo si può notare a lato della strada cantonale del Lucomagno) appoggiandosi alle pareti rocciose; lo sforzo fu tale che vi lasciò le tracce, ancora visibili, dei piedi e delle natiche. Una miriade di tornanti porta fino a Biborgo e da lì inizia un sentiero che conduce prima all’alpe Lesgiuna poi, salendo una ripida scalinata scavata nella roccia, al primo corte e al passo. Fino ai primi decenni del secolo scorso, attraverso il Passo di Giümela avvenivano numerosi scambi e commerci tra quei due mondi; molti calanchini preferivano infatti recarsi a Biasca al mercato piuttosto che a Bellinzona. Il Passo di Giümela era importante anche per altri motivi: uno dei mestieri più diffusi fra le genti della Val Pontirone era quello dei borradori. Infatti i pontironesi si distinguevano ed erano conosciuti per la loro grande abilità nei lavori forestali e venivano perciò ingaggiati in Calanca: questo è Le montagne erano spesso considerate bar- un esempio, non certo riere insormontabili, ostili. Tuttavia, per chi l’unico, di migrazione da una montagna a lo abita, quel mondo è da sempre luogo di un’altra. Inoltre, scamscambi e di relazioni. Di questi e d’altre sto- bi e commerci fra le rie narrano la Val Pontirone e il passo che due valli finirono per costituire la base sulla la collega alla Val Calanca quale si svilupparono strette relazioni tra le popolazioni tant’è Passo di Giümela, una sella che non di rado si celebravano matrimoni che collega due strette vallatra giovani pontironesi e calanchini; perciò te tanto affascinanti quanto il Passo di Giümela era anche noto come poco frequentate: la Val Ca“Passo degli sposi” e ancora oggi in Valle lanca, nel Grigioni italiano, e Calanca s’incontrano cognomi pontironesi la Val Pontirone che si apre e viceversa. sulla sinistra della Valle di luoghi. Le Alpi costituirono, per Roma, da un lato una naturale zona di confinamento delle genti montanare (considerate incivili) e, dall’altro, la frontiera che separava l’Europa continentale dall’Europa mediterranea, le genti latinizzate da quelle barbare. In epoche assai più recenti, la montagna ha conosciuto fenomeni di spopolamento e migrazioni che hanno rinforzato l’immagine di chiusura e arretratezza che spesso è stata utilizzata per descriverle. Tuttavia, uno sguardo attento e libero da cliché non può non accorgersi di quanti scambi e relazioni siano avvenute tra le montagne, anche fra quelle di casa nostra. È il caso, per esempio, del

» di Raffaella Carobbio

Luoghi

collettivo ha da sempre attribuito alla montagna un importante ruolo simbolico: essa costituiva il luogo d’incontro tra il cielo e la terra, l’axis mundi, ed è stata spesso investita di sacralità. Le cime, avvolte da fitto mistero, suscitavano spavento in coloro che volgevano lo sguardo verso l’alto: si pensi, infatti, che fino al XVIII secolo era diffusa la convinzione che le Alpi fossero popolate da draghi, da mostri e da presenze demoniache (fonti dell’epoca testimoniano, per esempio, che il nome del monte Pilatus, nella Svizzera centrale, deriverebbe dal fatto che nel suo lago si credeva dimorasse il fantasma di Ponzio Pilato: guai disturbarne il riposo!). Montagne inespugnabili rispettate perché temute, considerate a lungo dalle popolazioni di pianura come ostacoli insormontabili. Se andiamo a un passato remoto, quello della dominazione romana, osserviamo come questa civiltà considerasse le Alpi un ambiente inadatto alla propria politica territoriale che tendeva a svilupparsi in modo estensivo nelle pianure e che difficilmente si adottava alla verticalità di quei

Raffaello Ceschi Nel labirinto delle valli Casagrande, 1999 Lo studio narra di una regione alpina, la Svizzera italiana, e delle sue genti dall’inizio del Cinquecento sino alla fine dell’Ottocento. Oltre ad esaminarne le vicende storiche l’autore dà voce a personaggi e mestieri antichi.

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L’ immaginario

Montagna che divide, montagna che unisce

La Val Calanca vista da occidente (fotografia tratta da www.images.google.ch)

Libri


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L’invidia Sentimento complesso, alimentato dal desiderio che l’altro non riesca a godere di ciò che ha, l’invidia talvolta da vizio si trasforma inaspettatamente in virtù

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le ciglia cucite da fil di ferro (“... a tutti un fil di ferro i cigli fòra”): negli occhi fu la causa del loro peccato e con la privazione della vista devono ora espiare il peccato di invidia. Quanti invidiosi tra i colleghi di lavoro, tra i genitori di figli brillanti e meno, quanta invidia soprattutto nel mondo dello sport e dello spettacolo, dove il vedere e l’essere visti sono così importanti! Quanti “ciechi cui la roba manca”, come si presentano a Dante gli invidiosi, del “livido color della petraia”. E finché stanno lì buoni buoni, appollaiati sulla ripa e ripiegati nella loro amarezza e tristizia, va ancora bene. Il problema è quando partono all’attacco per spogliare l’altro dei suoi privilegi, presunti immeritati, e quando lo sguardo bieco e iroso si trasforma in violenza contro gli altri. E non tanto per introdurre una specie di eguaglianza – l’invidia è in un certo senso una virtù democratica, nota Fernando Savater in I sette peccati capitali, perché tende a evitare che qualcuno abbia più degli altri – ma proprio per trasformare il dolore della altrui fortuna in piacere per l’altrui disgrazia, e gioirne malignamente. Ma attenzione, anche in altri casi il vizio si può trasformare in virtù: se nessuno avesse mai misurato con amarezza e invidia la distanza che lo separa dagli altri, tra ciò che siamo e ciò che vorremmo e dovremmo essere, il mondo si sarebbe privato della creatività intellettuale stimolata dalla forza ispiratrice del’invidia. A volte un’invidia non accanita può avere effetti benigni sul piano politico, rivelandosi un vizio che in certe circostanze sarebbe bene coltivare; quando, per esempio, costituisce una difesa contro atti di appropriazione smisurata e bulimica di denaro, prestigio, successo, anche negli stati democratici tornati a una politica personale in cui vige l’onnipresente relazione di ossequio dei seguaci al leader. L’invidia torna allora a essere interessante perché viene a esercitare una certa funzione di controllo per chi è troppo potente o evade le tasse o intralcia il funzionamento del sistema.

» di Francesca Rigotti; illustrazione di Micha Dalcol

Peccati

“Le disgrazie dei nostri amici ci procurano sempre un pizzico di allegria”, diceva Diderot. E pensava probabilmente a qualcosa di simile alla Schadenfreude, anche se non aveva la parola per esprimere l’idea. Quello di Schadenfreude è un concetto che chi parla italiano, o francese come Diderot, finge di non conoscere perché la sua lingua non ha un termine specifico per formularlo; esso indica però un comportamento ben noto, ovvero il compiacersi delle disgrazie altrui, dei nemici in primo luogo, ma anche degli amici. Soprattutto quando ci si sente a propria volta ben protetti e al calduccio. Tale sentimento di sottile piacere per la disgrazia altrui è stato magistralmente esaminato dal filosofo tedesco Hans Blumenberg nel suo libro Naufragio con spettatore, sull’onda della considerazione, altrettanto magistrale, del poeta latino Lucrezio: “Bello, quando sul mare si scontrano i venti/ e la cupa vastità delle acque si turba,/ guardare da terra il naufragio lontano:/ non ti rallegra lo spettacolo dell’altrui rovina,/ ma la distanza da una simile sorte”. La gioia maligna per la disgrazia altrui è l’altra faccia della tristezza per l’altrui felicità e insieme esse formano l’invidia. Invidia non è soltanto desiderare la roba d’altri o darsi da fare per averla: questa sarebbe anzi “sana” competizione, sempre che il competitivismo sia una virtù. Invidia è la passione triste legata al desiderio che l’altro non riesca a godere di ciò che ha (e che tu non hai) e insieme il sollievo che si prova se la disgrazia colpisce chi le cose che tu non hai invece le ha (denaro, prestigio, successo): il tutto nella dimensione politica e pubblica del vizio, quella che ci interessa in quanto recante offesa agli altri. Invidia è il dolore che nasce dall’assistere all’altrui felicità e/o il piacere che nasce dall’assistere all’altrui disgrazia. È un vizio della mente o più precisamente della vista: l’invidioso (dal latino in, sopra, e videre, guardare, vedere) guarda in sù con occhio bieco e iroso verso l’altrui felicità, roso dall’amaro rancore di non possederla. Nel canto XIII del Purgatorio Dante condanna gli invidiosi a stare appoggiati immobili su una ripa, a mo’ di avvoltoi, con


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avrebbe mai potuto scrivere la Nona Sinfonia e Paganini probabilmente sarebbe stato solo un anonimo manovale genovese. Sono gli strumentai, i liutai, gli artigiani che con le loro creazioni hanno influenzato la storia della musica. Il saggio di Renato Meucci – professore di Storia della musica al Conservatorio di Novara e di Storia degli strumenti musicali all’Università Statale di Milano – ripercorre l’evoluzione della figura dei costruttori di strumenti dal medioevo a oggi, un argomento finora trascurato dalla letteratura specialistica. Con un approccio di tipo storicosociale, l’inserimento di numerosi esempi e aneddoti e un linguaggio scorrevole, il

testo – accompagnato da fotografie, immagini e riproduzioni – risulta molto interessante sia per lo specialista che per il lettore curioso che non si intende di musica. Dal liuto alla batteria – icona del jazz, nata a New Orlens ai primi del Novecento – fino ai sintetizzatori, il saggio di Meucci ci conduce in un affascinante viaggio nelle botteghe di tutta Europa attraverso i secoli. Inizia nel Medioevo, con il dantesco liutaio Belaqua e prosegue con le numerose testimonianze rinascimentali, tra cui spiccano Leonardo da Vinci, progettista di insolite macchine musicali e le geniali invenzioni di altri artigiani (come il riccio del violino, imitazione del capitello ionico). Prosegue con la

migrazione di liutai tedeschi in Italia, fenomeno straordinario del XVII secolo, e poi lo splendore della liuteria cremonese di Stradivari e Guarneri del Gesù, i costruttori di clavicembali di Anversa, le corporazioni tedesche e italiane, fino alla rivoluzione industriale, che ha modificato profondamente i metodi di produzione. Conclude affrontando il Novecento, il secolo della produzione in serie e dell’invenzione e scoperta degli strumenti elettrici ed elettronici. Il saggio fa parte della collana Mestieri d’arte ideata dalla Fondazione Cologno di Milano con il sostegno di BSI. La Fondazione Cologno promuove iniziative culturali volte alla salvaguardia e alla promozione dei mestieri

Renato Meucci Strumentaio. Il costruttore di strumenti musicali nella tradizione occidentale Marsilio, 2009

» di Giorgia Reclari

Senza di loro Beethoven non

Abbiamo letto per voi

d’arte (nella stessa collana il cuoco, l’incisore di monete, l’orologiaio, il fotografo, il tipografo, il cioccolataio e il vignaiolo).

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» testimonianza raccolta da Gaia Grimani; fotografia di Igor Ponti

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investire le nostre forze per far rinascere questo locale e in poco tempo aprimmo, il 14 aprile del 1984, come deciso con determinazione da mio marito! Non era una data casuale, ma molto importante e significativa per lui: infatti il 14 aprile del 1964 era entrato in Svizzera, a soli 18 anni, proveniente dalla Basilicata. Rocco faceva in modo che tutto accadesse in quella data e io me ne accorsi solo successivamente... Un altro suo grande sogno a questo punto era di poter realizzare una cantina degna di ospitare le etichette che nel tempo era riuscito a collezionare. Ci vollero dodici Dall’infanzia in una fattoria a moglie di anni per ricevere i permessi un grande ristoratore. Una disgrazia le necessari per la costruzione, ma nel 2001 iniziammo i impone di prendere in mano azienda e lavori. Anche in questa occafamiglia, una nuova sfida affrontata con sione egli fissò la data del 12 dicembre, quindi prima del coraggio e successo Natale, per l’apertura della Fu amore a prima vista. Io ero sua nuova enoteca. E così fu! Purtroppo, la molto timida e non riuscivo sera del primo anniversario, il 12 dicembre a esternare il mio interesse 2002, la nostra vita ebbe un’importante e verso di lui, ma Rocco era triste svolta: quella terribile notte persi crumolto galante, mi riempiva delmente Rocco, proprio nel momento in di gentilezze e alla fine mi cui aveva raggiunto tutti i suoi sogni. conquistò: esattamente un Da un giorno all’altro mi ritrovai a dover anno dopo ci sposammo e da affrontare da sola decisioni importanti che lì cominciò la nostra intensa avevamo sempre preso insieme e a prosevita insieme! guire un’attività di cui lui era sempre stato Nel ’79 ci siamo trasferiti in l’anima e rispetto alla quale io mi ero sempre Ticino, perché mio marito trovata in una posizione di retroguardia. aveva nostalgia dell’Italia e Inoltre c’erano tre figli, allora molto giovoleva avvicinarsi un po’ alla vani, che avevano sempre visto nel padre sua terra, con il sogno di una figura esemplare e una guida per la loro aprire un giorno un’attività vita futura. Sono sicura che mio marito mi tutta nostra. Io, previdente, ha dato la forza per affrontare tutto questo. prima di questo passo, avevo Nei momenti di crisi mi rifugiavo nella sua frequentato la Scuola esercencantina e mi sfogavo, brontolando con lui ti a Berna. e uscendone con una nuova carica! Andare In Ticino, dopo un’esperienza lì era ed è tuttora come ritrovare la sua pernon molto positiva, cogliemsona, poiché era il luogo dove lui si sentiva mo l’opportunità di trasferirci più a suo agio, era la sua passione. nel Mendrisiotto, a gestire Ora, a distanza di anni, il peggio è passato, il San Michele di Sagno. Lì mio figlio ha scelto di seguire la nostra proci trattenemmo felicemente fessione e questo mi dà nuovi stimoli per quattro anni, finché un gioraffrontare i problemi. Inoltre ho la fortuna no qualcuno ci informò che di avere un bravo sommelier, che ha goduera in vendita il Conca Bella to degli insegnamenti di mio marito e un di Vacallo, chiuso da oltre un ottimo chef, che mi aiuta tanto anche nel anno e mezzo. Avevamo capicontatto con i clienti. Progetti per il futuro? to subito che questa sarebbe Tante iniziative, come quella svoltasi il 6 stata l’occasione per realizzare aprile, giorno del compleanno di Rocco, il nostro sogno: iniziammo a per il festeggiamento dei 25 anni del Conca fare progetti, calcoli su calBella... Sapete, questa è un’attività in cui non coli, finché decidemmo di ci si può proprio mai fermare.

Ruth Montereale

Vitae

ono nata in un paesino vicino a Kerzers, tra Berna e Neuchâtel, e sono cresciuta in una famiglia numerosa, con cinque sorelle e un fratello. I miei genitori erano contadini e vivevamo in una fattoria. Nel paese c’erano molti ragazzi come noi e facevamo una vita libera e spensierata, ma con impegni ben precisi: aiutavamo nella coltivazione e la raccolta, in più andavamo a scuola, e anche quest’ultima richiedeva un grande impegno! Nella fattoria avevamo tanti animali e a noi piaceva prenderci cura di loro: mucche, maiali, galline e conigli; anche alcuni cavalli, grande passione di mio padre. Da bambina il mio divertimento maggiore era quello di trafficare con le prese elettriche tanto che a un certo momento ho pensato addirittura di diventare elettricista, ma mio padre non era d’accordo, diceva che non era un mestiere da donna... piuttosto, avrebbe preferito per me la carriera in banca. Mio zio, però, che già ci lavorava da anni, mi propose in alternativa di provare nell’ambito della ristorazione, aiutando mia zia nel suo ristorante. Quando raggiunsi l’età richiesta, iniziai a frequentare una scuola di commercio con una preparazione specifica per le segretarie d’albergo. Terminati gli studi andai a lavorare a Crans Montana. Poi un’amica e compagna di scuola che aveva sposato un inglese, mi invitò a trascorrere un periodo a Londra, dove lavorai per dieci mesi in un albergo gestito da svizzeri e frequentato prevalentemente da uomini d’affari. Mi piaceva molto, ma la nostalgia di casa mi spinse a tornare. Un giorno, a Lucerna, risposi a un annuncio nel quale cercavano un’impiegata alla reception di un grande albergo, l’Hôtel Palace e qui il destino fece il suo corso. Infatti, da lì a poco conobbi il mio futuro marito, Rocco: io avevo solo 20 anni e lui 28, ma era già il maître d’hôtel!

»

S


L’O, S      testo e fotografie di Marzio Pescia

I     ’   ,     B       . L        ,               …



sotto Dal XVI secolo, il Suonatore di cornamusa assiste immobile alla frenesia della cittĂ pagina precedente In un angolo della piazza della Cattedrale, MosĂŠ sulla sua fontana indica la via ai fedeli



A

lmeno da un punto di vista, il Duca Bertoldo V di Zähringen non poteva avere intuizione migliore. Quando nel 1191 scelse una piccola penisola circondata dal fiume Aare per fondare Berna, pose basi strategicamente ottimali per il futuro della città che divenne il centro dei territori da lui controllati per poi, tra alti e bassi, giungere fino a noi nell’ambito ruolo di capitale della Confederazione. Tra le ragioni che spiegano la bontà della scelta “logistica” di Bertoldo figura… l’acqua. La penisola è infatti adeguatamente protetta dal fiume da tre lati su quattro e dispone di numerose sorgenti sotterranee che hanno sempre rifornito gli abitanti della città di abbondanti quantità d’acqua, risorsa preziosa sin dal Medioevo, quando sporcizia, promiscuità e fragilità delle città erano fonte di epidemie e incendi.

cittadina: gli abitanti vi s’incontravano per lavarsi, socializzare, compiere attività artigianali o attendere il loro turno per riempire i rispettivi otri per fini domestici (ogni persona aveva diritto a 3 litri d’acqua al giorno; oggi il consumo medio in Europa è di 200 litri al giorno/persona). Ed è forse proprio constatando l’importanza di queste infrastrutture per gli abitanti di Berna che, attorno al 1540, in pieno Rinascimento, lo scultore friborghese Hans Gieng diede l’impulso principale perché alcune di loro non fossero più soltanto utili luoghi di ristoro e di fornitura d’acqua ma divenissero pure belle e “didattiche”. Gieng (in gran parte) e altri scultori realizzarono allora undici variopinte fontane associando, a ognuna di esse, una storia particolare illustrata, a sua volta, da un personaggio posto su una colonna collocata al centro della struttura.

DA LUOGO DI RISTORO A ELEMENTO DI DECORO URBANO Fin dalla sua fondazione, Berna è dunque sempre stata dotata di numerose fontane pubbliche. Ancora oggi, nella città vecchia, che partendo dalla stazione centrale si allunga fino alla fossa degli orsi, se ne contano quasi un centinaio. Fino al 1870 quando le abitazioni furono equipaggiate con l’acqua corrente, erano tra i fulcri della vita

UN PERCORSO EDIFICANTE E così, tra torri, chiese e gli ampi vialoni del centro, si va dalla fontana del Suonatore di cornamusa, che fa danzare i bambini scolpiti sulla colonna sottostante ma che, giudicando dagli abiti logori che indossa, non se la passa troppo bene, a quella dedicata a Mosé che, impugnando la tavola dei dieci Comandamenti, indica chiaramente il secondo (“Non avrai altro Dio all’infuori di me”),

sopra Anche le colonne delle fontane sono ornate, in questo caso da alcuni orsi... patriottici a sinistra La dea Giustizia. Nel corso della storia, la fontana della giustizia è stata più volte oggetto di vandalismi: l’ultima volta nel 1986, quando fu seriamente danneggiata da alcuni separatisti giurassiani



sopra Un dettaglio del famoso orologio dell’omonima torre: il suo enorme meccanismo, grande come un’auto di media cilindrata, risale almeno al 1530 a sinistra Personaggio carnascialesco o raffigurazione del dio Cronos? L’orco che domina la piazza Kornhaus mantiene i suoi misteri

messaggio tutt’altro che subliminale per gli abitanti di Berna all’epoca della Riforma. O ancora la fontana di Sansone che lotta e vince un leone oppure quelle d’ispirazione militare consacrate al Tiratore, all’Alfiere e al Corriere. La più bella dal punto di vista estetico è senza dubbio quella della Giustizia. La dea viene ritratta bendata mentre, impugnando una spada e una bilancia, sottomette quattro personaggi d’indubbia rilevanza: il papa, l’imperatore, il sultano e il governatore di Berna. La più inquietante e, a quanto sembra la più fotografata, è invece quella dell’Orco, una figura dalle origini incerte (personaggio carnascialesco o raffigurazione del dio Cronos che, stando alla mitologia greca, aveva la discutibile abitudine di divorare i suoi stessi figli?) ma che, al contrario, dà l’impressione di sapere esattamente cosa sta facendo: inghiottire un bimbo nudo prima di assicurare la stessa fine agli altri lattanti che spuntano dalla sacca scolpita alla sua sinistra. Raccapricciante ma, evidentemente, fotogenica. IL DUCA E L’ORSO Accanto ad altri personaggi della storia locale, come ad esempio Anna Seiler, fondatrice dell’Inselspital, un posto d’onore è garantito anche al Duca Bertoldo V di Zähringen. Il possente personaggio che domina la fontana Zähringen,

proprio di fronte alla famosa Torre dell’orologio nel cuore della città vecchia, è, in teoria, proprio lui, il fondatore della città. Tuttavia i tratti della statua sono decisamente animaleschi: in effetti, si tratta di un vero e proprio orso, ritto sulle zampe posteriori e dotato di scudo, maschera dorata e di uno stendardo rosso raffigurante un leone. A quanto pare, Bertoldo è stato rappresentato così perché, già nel XVI secolo, nessuno disponeva più d’informazioni affidabili sul suo vero aspetto. E allora si è scommesso sulla sua presunta passione per gli orsi: Berna, infatti, pare debba il suo nome a un orso (in tedesco, bär) che il duca aveva ucciso nella zona. Da qui a farne il simbolo della città la strada è stata breve. Ancora oggi, le undici fontane rinascimentali di Berna figurano tra le principali attrazioni turistiche della città sull’Aare. Camminando lungo i sei chilometri di portici che, ornati da negozi e locali più o meno bizzarri danno vita alla più lunga passeggiata coperta d’Europa, è impossibile non notarle. Gran parte di esse si trovano infatti proprio in mezzo all’asse principale ovest-est della città che dalla Spitalgasse, attraverso la Marktgasse e la Kramgasse, scende giù giù fino alla Gerechtigkeitsgasse: un singolare fil rouge cultural-architettonico nella visita al cuore medievale della capitale federale ■


Salone per Signore, calve di Kurt Sghei

Considerazioni snob-estetico-antropologiche velocemente stese dopo un’illuminante visita al Salone dell’Auto di Ginevra Cartelli, scantinati e bambini sommersi

Tendenze

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Passata la dogana apprendiamo che Ginevra è città mondiale della pace, mentre a propagandare la fiera dell’auto, nulla. Solo una sbilenca freccia metallica, al quinto semaforo, segnala “P Manifestation”; un rude posteggio paludoso. La sensazione, ancor prima di giungere, è quella di un Salone un filo sotto tono. Insomma: si risparmierebbe anche sui cartelloni… con ‘sta crisi. D’altra parte, la tempesta s’è abbattuta sul mercato dell’auto più che su altri campi, costringendo il marketing a qualche coriandolo di meno e a correre ai ripari, giù in cantina, dove fino all’altro ieri stava il team ricerca Motori Ecologici e Nuova Mobilità. Rispolverare il “nuovo”, è il concetto. Comunque sia, appena entrati nello sfavillante spazio fieristico, il Bambino Sommerso che è in noi riaffiora dimentico di tutto: ambiente, borsellino vuoto, mal di schiena… ci si diverte, ci si stanca, in fregola, a sgambettare, di padiglione in padiglione, guardare e toccare (tranne le Ferrari, e ci mancherebbe: per i capolavori vale la dura legge museale).

Classico e neoclassico, non siamo più epocali? L’autore del testo crede che i Cavalli portino il Cilindro, che per abbeverarsi usino la Biella: questo è il mio livello di conoscenza tecnica. Di guidare non se ne parla. Non ho mai imparato. Al Salone dell’Auto dunque, per coerenza, montavo nelle auto esposte sempre e solo dalla parte del passeggero, davanti o dietro. Solo una volta mi sono seduto al volante, su una Mini Cooper S Coupé. Stavo là, a fare brum-brum con la bocca, cenno alla calca di levarsi, quando, al posto passeggero, monta una signora sulla cinquantina (potrebbe essere mia madre), mi strizza l’occhio e mi fa: “Dove mi porti, bello…?”. “Nei magici anni Sessanta, baby!” rispondo io, ingranando una marcia a caso. Mi accorgo subito della gaffe. La signora per fortuna ride, divertita. Non pensa al gap spazio tempo che questa nostra simulazione ferocemente sottende. Mi rattristo, freno di colpo. Mi spiego: non si accorge la

signora che l’automobile d’epoca la si può anche rifare, cercandone l’attualizzazione, la cover, il remix… mentre l’età, la Storia… passino le feste a tema, i remember alcolici ma, generalmente, il risultato di un rifacimento umano, a pelle, è quello che il volto plastico di Patty Pravo trasfigura, angosciando i bambini e la Morte stessa. Ma, forse, la questione è un’altra: esiste oggi – ormai siamo alla fine degli anni ‘00 – un’automobile tanto originale da essere un mito contemporaneo (che non sia la nuova Alfa, che per intanto è Mito solo di marketing)? “A mio figlio piacerebbe molto, la Mini…” mi comunica la signora, abbassando le levette vintage dell’aria condizionata, con una commossa felicità negli occhi. “A me no, non mi piace – le dico – io voglio un’auto anni ’00!”. Datemi un età in cui vivere! Insomma! Non c’è più una contemporaneità!?

L’auto è mobile? La superstrada del conformismo verso il baratro del debito Un tempo l’automobile parlava ognuna la sua lingua: le giapponesi il giapponese, le francesi le français. Molto prima che qualcuno coniasse il termine Emotional Design, le auto emozionavano, tutte con la loro specificità, la loro forma, attitudine, carattere. La Mercedes sapeva di dottore, di avvocato, qualche volta di Zingaro; il maggiolino di hippy; la due cavalli di intellettuale di sinistra, di insegnante di cucito; la Jaguar di femmina sedotta e abbandonata; la Ford Fiesta (blu) di Babysitter; la Fiat Uno (bianca) di muratore o rapinatore. Oggi le auto parlano più o meno tutte la stessa lingua, quella di una globalità di immusoniti, un mondo zeppo di chissà chi, maleducati wannabe, di “se ti vengo addosso ti fai più male tu”, “levati la strada è mia”, “ce l’ho più lungo io”; musi prominenti, fari arrabbiati, carrozzerie strafatte di steroidi (la regina di categoria? Il SUV X6 di BMW, un oggetto di design che fa di un Wermacht Panzer una giardinetta). Ora, questa dieta da campioni, quanto costa al mercato? Esempio: chi riesce a comprarsi la pur utilitaria Fiat 500 (rifacimento


della scassetta proletaria d’accezione)? Quante persone negli ultimi anni sono riuscite ad acquistare un’auto nuova, tutta intera? La crisi odierna non è innanzitutto crisi di Credito? Del Leasing? Signori: qualcuno ci spieghi chi paga questo muscoloso parco auto della Vittoria. E ci dica un’altra cosa, essenziale, visto che siamo il target: il marketing, ci è o ci fa? Tata (produttore indiano), sta per fare una caterva di soldi con la sua Nano da 1700 euro? No, non mensili…

La novità esiste, solo è un po’ timida… Pensate un po’ la sorpresa. Giravo di padiglione in padiglione alla ricerca di un’hostess di cui innamorarmi e un’automobile a cui chieder la brochure (da portare a casa e farci i sogni di possesso). Ma il cuore, vagabondo, dove lo lasciamo? Da Alfa Romeo? No. Da Lancia? No. Allora una francesina, una tedesca? No! Da Mazda, occhi da orientale, Giappone. Non ci credete? Ebbene sì. Si chiama Kiyora, è femmina, è bella, è nuova, è diversa, è conturbante: è l’auto anni ’00! “Quanto mi costa? – chiedo alla signorina –. Beh, per ora è solo un prototipo... Se la vuole comprare sono due milioni di euro. Non garantiamo però possa funzionare perfettamente, ci stiamo ancora lavorando… è a bassissimo impatto ambientale, il design si ispira alla natura, alla vegetazione. Gli interni, come vede, ricordano una tumida grotta della foresta pluviale...”. Sbavo. La notizia è che a breve ci toccherà copiare i giapponesi. Il fattaccio, è che io sono già pronto, per quest’auto. È il mercato a essere in ritardo. Davvero. Insomma, ci girerei (sapessi guidare) e sono sicuro che cuccherei di brutto e non solo tipe del WWF: sto parlando di donne, uomini, bambini. I cani

mi rincorrerebbero, i gatti si farebbero stendere, gli uccelli ci farebbero il nido. Perché quest’auto non è in commercio? Com’è che il capitalismo ha perso il fiuto per gli affari?

Il “verde” per alcuni è ancora questione di carrozzeria Lo stand di Pirelli era circondato da una povera striscia srotolata di prato verde da stadio. Giuro. L’auto verde di Chrysler era verde anche di carrozzeria. Non significa nulla, ma fa un po’ ridere. Ogni casa automobilistica ha proposto da brava i suoi ibridi. È divertente notare che gli ibridi di motore vanno di pari passo agli ibridi del design, della forma. Il peggio, ancora una volta targato BMW, è il Concept 5 GT della casa tedesca, una somma di SUV/berlina/gran turismo/familiare/ elegantona (öh!), color amaranto vs gelato alla nocciola, motore ibrido. Un prototipo che la buoncostume teme. Parte della fiera, direi un ventesimo della superficie totale, era dedicata, naturalmente, al Verde, alle nuove tecnologie (“nuove” per modo di dire). Le Pavillon Vert. C’era la californiana Tesla, auto elettrica in produzione, con una ripresa pari a 0 a 100 km/h in 3,9 secondi, roba da fare venire il ciuffo ai calvi. Silenziosa come la morte, la versione pimpata prevede delle casse audio sotto la carrozzeria che simulano il rombo tipico di una roadster. Non scherzo. C’erano gli iraniani, al Pavillon Vert. Gli iraniani dell’Iran, non d’Inghilterra, a proporre motori alternativi a quelli a scoppio… gran beoni di petrolio. C’erano i trabicoli da giardino – se avete giardini da Golf – e c’era la solita auto solare, il modello madre è del 1984, credo…

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Il Sole transita nel segno dell’Ariete dal 21 marzo al 20 aprile Elemento: Fuoco - cardinale Pianeta governante: Marte Relazioni con il corpo: testa, cervello Metallo: ferro Parole chiave: dinamicità, individualismo, concretezza

» a cura di Elisabetta

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ariete

bilancia

Intorno al 22 aprile la Luna incontrerà Marte e Venere di transito. Questa configurazione è probabile indice di una gravidanza in vista o di una tempesta di passione nella vostra vita affettiva. Cambiamenti e/o positive ristrutturazioni dell’ambiente familiare.

A partire dal 23 aprile, Venere e Marte si troveranno entrambi in opposizione. Grazie a questo aspetto la vostra vita matrimoniale potrà essere travolta da nuove emozioni. Crisi di gelosia per i nati nella prima decade. Malumori tra il 22 e il 24 portati da una Luna storta. Riposatevi!

toro

scorpione

Intorno al 24 la Luna, entrando nel vostro segno, creerà un bellissimo trigono con il magnetico Plutone. Grazie a questo transito scoprirete con il vostro partner doti nascoste della vostra sensualità. Relazioni d’affari per i nati in maggio. Attenti agli imbrogli e ai truffatori.

I nati nella terza decade intorno al 20 aprile dovranno stare particolarmente attenti a tenere a freno la lingua: un forte aspetto tra Mercurio e Luna potrebbe indurvi a spendere qualche parola di troppo nell’ambito di un rapporto professionale. Possibile nascita di uno scandalo.

gemelli

sagittario

Grazie a Marte e Venere congiunti nella vostra undicesima casa solare potrete trovare nel vostro partner un indispensabile aiuto per la realizzazione di un divertente progetto professionale. Momento creativo particolarmente felice per i nati nella terza decade.

A partire dal 23 aprile vita affettiva alla grande per i nati nella prima decade. Grazie al forte trigono con Venere e Marte la vostra vita sentimentale torna a colorarsi di rosa: erotismo in forte ascesa. Cambiamenti professionali per i nati rella terza decade che vorranno osare.

cancro

capricorno

Trambusti e capricci affettivi per i nati nella prima decade portati dal transito di Marte e Venere in Ariete. Cercate di spendere il vostro desiderio di libertà concedendovi nuove emozioni. Mercurio di transito favorisce le relazioni d’affari dei nati nella terza decade.

Intorno al 25 aprile i vostri cieli saranno interessati da forti aspetti. Mentre da una parte scoprirete di avere risorse insospettate, dall’altra, Marte e Venere in quadratura vi spingeranno a lasciarvi andare oltre il vostro consueto autocontrollo. Possibili discordie con il partner.

leone

acquario

Grandi novità in amore per i nati nella primissima decade. Grazie al folgorante ingresso di Venere e Marte nel segno dell’Ariete la vostra vita affettiva, a partire dal 24 aprile, si accenderà di incontenibile passione. Colpi di fulmine durante un viaggio.

Vita affettiva alla grande per i nati in gennaio. Grazie agli ottimi valori di transito nella vostra terza casa solare potrete condividere insieme al vostro partner nuovi interessi. Possibili incontri sentimentali durante una gita o un’occasione culturale.

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Con l’uscita di Marte e Venere dal segno dei Pesci la vostra vita sentimentale può finalmente affrontare un percorso sereno. Intorno al 25 aprile i nati in agosto potranno scoprire un’improvvisa energia. Grazie al forte trigono tra Luna e Plutone qualunque difficoltà potrà essere facilmente risolta.

Intorno alla penultima settimana di aprile la vostra terza casa solare sarà segnata dal transito di Mercurio. Grazie a questo passaggio la vostra vita lavorativa tenderà a divenire particolarmente movimentata, con spostamenti e nuovi contatti d’affari. Novità per i nati nella terza decade.

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Astri

Dall’antico Egitto all’influenza ellenistica Nell’antico Egitto, l’analisi e l’interpretazione dei movimenti astrali aveva grande importanza anche se il tema della nascita e della divinazione legate alla posizione delle stelle erano di fatto sconosciuti. Il calendario prevedeva giorni fausti e infausti connessi all’azione, più o meno favorevole delle differenti divinità, mentre l’anno era suddiviso in dodici mesi di trenta giorni ciascuno a cui si aggiungevano cinque giorni intercalari. Lo Zodiaco, così come lo intendiamo oggi, compare dunque in Egitto solo a partire dal III secolo a.C. come commistione di elementi provenienti dalle tradizioni babilonese, egizia ed ellenistica. I testi di questa particolare tradizione sono solitamente attribuiti a Petosiride e Nechepso. Il secondo era un re della XXVI dinastia, che governò Sais dal 663 al 525 a. C., e a cui il sacerdote Petosiride si dice abbia dedicato un ampio compendio astrologico. La tomba di un sacerdote Petosiride venne ritrovata a Tuna el-Gebel, presso l’antica città di Ermopolis, nel 1920. Secondo gli storici appare però impossibile supporre la nascita di una dottrina astrologica egiziana prima dell’avvento dell’ellenismo. Inoltre, i frammenti che si posseggono dell’opera attribuita a Petosiride non consentono di porre la sua redazione prima del II secolo a.C. A tal riguardo Spiegelberg avanza un’ipotesi oggi generalmente accettata: un sacerdote di nome Petosiride, vivente nel II secolo a.C., avrebbe effettivamente combinato elementi egiziani e babilonesi con le acquisizioni dell’astrologia ellenistica, usurpando quindi il duplice prestigio della scienza regale (Nechepso) e di quella sacerdotale (Petosiride).

“… ma il poeta divin, citareggiando, del bellicoso Marte…”

Ariete


Per un pranzo pronti e pasta.

Idee Betty Bossi. Per idee sempre fresche.


Âť illustrazione di Adriano Crivelli


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A quale libro appartiene il seguente finale? La soluzione nel n. 19. Al vincitore andrà in premio Outsider di Friedrich Glauser, Edizioni Casagrande, 2008. Fatevi aiutare dal particolare del volto dell’autore e inviate la soluzione entro giovedì 23 aprile a ticino7@ cdt.ch oppure su cartolina postale a Ticinosette, Via Industria, 6933 Muzzano.

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“Tra qualche minuto le avrebbe gridato: «Lo bagni un po’, signora Tuttle. Nel lavandino c’è acqua». Ma adesso no. In quel momento non aveva messaggi per nessuno. Nulla. Neppure una parola”.

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La soluzione a Epigoni è: La bella estate (1949) di Cesare Pavese (Einaudi Tascabili, 2005). Il vincitore è: M.R.F. Ligornetto.

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1. Su di esso si distende il paziente in sala chirurgica • 2. Bizzarri, anomali • 3. Ripiegamento • 4. Nome di donna • 5. Pronome personale • 6. Piccole sale da pranzo • 7. Parte della catena • 8. I confini di Ravecchia • 12. Tirchio • 13. Rettilineo • 16. Il poeta latino che fu schiavo tracio • 20. Risultato • 24. Il numero perfetto • 27. Il nome della Clerici • 29. Incapaci • 31. Strampalata • 34. Proibizione • 36. Dubitativa • 37. Tamara nel cuore - 38. Lo cura l’ortopedico • 39. Pari in caverna • 41. Matrimonio • 45. La dea greca dell’aurora • 46. Dittongo in piaga • 47. Il nome di King Cole • 51. Le iniziali di Pappalardo.

Verticali

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1. Perseguitare, tartassare • 9. Gigari • 10. Carezza affettata • 11. Ne ha molte la frutta • 14. Parte del cannone • 15. Divinità nordiche dei boschi • 17. È simile alla cetra • 18. Una delle Kessler • 19. Dignità, moralità • 21. Elogio • 22. I confini di Osogna • 23. Mesciono vino • 25. Il dio egizio del sole • 26. Mezza platea • 28. Tiro al centro • 29. Il pupo dell’Iris • 30. Il maestro della relatività • 32. Vettore centrale • 33. Anno Domini • 35. La solita rima per cor • 37. Chiodo, fissazione • 40. La capitale del Madagascar • 42. Sta per “vino” • 43. Preposizione semplice • 44. Rapporto dettagliato • 48. Viola nel cuore • 49. I limiti della zona • 50. Pari in lastra • 52. Avere l’ardire • 53. Segnale d’arresto.

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Le soluzioni verranno pubblicate sul numero 19.

Io guido con la testa a posto!

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Guida anche tu con la testa a posto: 1. Bordo superiore alla stessa altezza della sommità del capo 2. L’occipite tocchi il poggiatesta

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