Ticino7

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№ 21 del 20 maggio 2016 · con Teleradio dal 22 al 28 maggio

EmErgEnza TErra

Dall,ambiente ai conflitti, dalle migrazioni alle epidemie, il pianeta chiede aiuto. ma come stiamo rispondendo?

Corriere del Ticino · laRegione · Tessiner Zeitung · chf 3.–


66 anni di Amplifon. La storia di un grande successo. Da 66 anni Amplifon regala ai suoi clienti una miglior qualità di vita. Oggi è l’azienda specializzata in soluzioni acustiche innovative numero uno in Svizzera. Per ringraziarli della loro fiducia, Amplifon offre ora ai suoi clienti fino al 66 % di sconto anniversario* sul secondo apparecchio acustico. Come tutto cominciò. Durante la seconda guerra mondiale, l’inglese Charles Holland ebbe un incidente aereo sopra i cieli italiani. Per fortuna rimase in vita anche se purtroppo riportò un trauma acustico. Il tecnico radiofonico non volle accettare passivamente questa sua condizione e iniziò a cercare soluzioni tecniche che potessero compensare il suo difetto uditivo. Il suo primo dispositivo acustico lo costruì ancora in ospedale. Nel 1950, insieme alla moglie Anna Maria, iniziò a prestare servizi di consulenza acustica in tutto il paese all’interno del primo autobus Amplifon. Nacquero poi i primi centri specializzati e l’azienda Amplifon cominciò a decollare. Una grande missione: più qualità di vita. Oggi, 66 anni dopo, Amplifon è l’azienda leader nel mondo nel settore degli apparecchi acustici con sedi in oltre 20 paesi. Un apparecchio acustico su 13 al mondo viene adattato da Amplifon. La missione che mosse Charles Holland è la stessa che l’azienda porta avanti ancora oggi con grande convinzione e passione: regalare alle persone una maggior qualità di vita e far sì che possano godersi appieno la vita anche con una capacità uditiva ridotta. Amplifon lavora costantemente per ottimizzare le sue prestazioni di consulenza, adeguarsi alle esigenze della popolazione e sfruttare al meglio i progressi tecnologici.

1950: il servizio di consulenza acustica ambulante di Amplifon.

66 anni – 66% di sconto anniversario.* Il motivo del successo di Amplifon, che ormai dura da 66 anni, è senza dubbio la soddisfazione dei suoi clienti, i quali apprezzano da decenni la competenza e l’assistenza personalizzata offerta dagli esperti. Festeggiate questo anniversario con Amplifon e con i suoi oltre 80 centri specializzati in Svizzera e approfittate di uno sconto fino al 66 %* sul secondo apparecchio acustico. Non perdetevi questa offerta! <wm>10CAsNsjY0MDQx0TW2tDCxNAIAWqaOTg8AAAA=</wm>

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Quattro passaggi per sentirci meglio: 1. Fissate un appuntamento in uno degli oltre 80 centri specializzati Amplifon. 2. Sottoponetevi a un esame professionale e gratuito della capacità uditiva. 3. Provate gratuitamente e senza impegno i modelli più recenti per 4 settimane. 4. All’acquisto di due apparecchi acustici approfittate di uno sconto anniversario* fino al 66 % sul secondo apparecchio acustico. Fissate ora un appuntamento su www.66anni-amplifon.ch, chiamando il numero gratuito 0800 800 881 o tramite il tagliando qui sotto.

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* Fino al 31.08.2016, all’acquisto di due apparecchi acustici ReSound o WIDEX approfittate di uno sconto fino al 66 % sul secondo apparecchio acustico. // Sconto del 66 % sul secondo apparecchio acustico a partire da un prezzo unitario di CHF 3’020.50 IVA inclusa, ad esempio ReSound LiNX2 LS977. // Sconto del 33 % sul secondo apparecchio acustico a partire da un prezzo unitario di CHF 2’195.50 IVA inclusa, ad esempio WIDEX UNIQUE 330. // I prezzi non includono ulteriori servizi di regolazione degli apparecchi acustici. Sconto non cumulabile con altre promozioni.

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Ticinosette allegato settimanale N° 21 del 20.05.2016

Impressum Tiratura controllata

63’212 copie

Chiusura redazionale

Venerdì 13 maggio

4 Letture Bernard Noël. Linfa e senso di daniele Bernardi ........................................... 7 Media Connettività. Etichette senzienti di Mariella dal Farra ................................... 8 Letture San Vittore a Muralto. Una storia antica di deMiS Quadri ............................. 9 Vitae Gianmaria Zanda di Marco Jeitziner; FotograFia di däwiS Pulga ........................ 10 Reportage Ginevra, Les Paquis di Marco Jeitziner; FotograFie di Patrick loPreno ....... 35 Gastronomia Food truck. Cibo sì, ma on the road di keri gonzato ...................... 38 Tendenze Moda. Ho fatto rete! di MariSa gorza ................................................... 40 Svaghi .................................................................................................................... 42 Agorà Emergenze globali. Pianeta a rischio?

di

Silvano de Pietro .............................

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 29 88 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs ticinosette è su Facebook

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In copertina

Emergeza Terra Illustrazione ©Bruno Machado

I guardiani e il dubbio È sempre interessante notare come i media – giornali, televisione, internet – siano in grado di deviare la nostra attenzione rispetto ai problemi che investono il mondo. Un caso emblematico concerne lo stato di Israele e il lungo conflitto con i palestinesi, una delle ferite storiche del Medio Oriente, che negli ultimi anni è stato messo un po’ in ombra dai fatti seguiti alle cosiddette primavere arabe e culminati con la guerra civile in Siria e il dilagare dello Stato Islamico. In tale quadro si inscrivono le dichiarate divergenze fra l’amministrazione Obama, giunta a fine mandato, e l’attuale governo israeliano guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu, esponente dell’ala nazionalista del Likud. Uomo apertamente di destra, formatosi negli Stati Uniti – ha studiato ad Harvard e al MIT –, Netanyahu ha operato per alcuni anni nell’ambito dell’antiterrorismo per poi dedicarsi alla vita politica. Nel corso del suo mandato come premier ha dato spazio e voce alle componenti più nazionaliste della società israeliana, che premono per l’espansione degli insediamenti con un atteggiamento intransigente verso ogni possibile soluzione del conflitto israelo-palestinese. Alcuni anni fa, in un editoriale su questo settimanale, si affermò come il governo Netanyahu, anche nelle sue componenti più moderate, fosse ormai ostaggio delle frange religiose e dei rabbini ultraortodossi. La risposta giunse con un risentita lettera di una signora che aveva relazioni con l’ambasciata israeliana in Svizzera nella quale non solo si disconosceva il contenuto dell’editoriale ma veniva posto il consueto assioma: se esprimi dissenso nei confronti della politica israeliana sei di fatto un antisionista. Qualche

anno dopo, nel 2012, il regista israeliano Dror Moreh realizzava un eccezionale documentario, The Gatekeepers - I guardiani di Israele (nomination all’Oscar come miglior documentario nel 2013) basato su un’idea originale: intervistare sei fra quelli che nel corso degli ultimi decenni sono stati i capi dello Shin Bet, l’agenzia israeliana che si occupa della sicurezza interna e del controspionaggio: Avraham Shalom (1981–86), Yaakov Peri (1988–94), Carmi Gillon (1995– 1996), Ami Ayalon (1996–2000), Avi Dichter (2000–2005) e Yuval Diskin (2005–2011). Attraverso immagini di repertorio, documenti originali e il racconto libero e toccante dei sei uomini (il culmine è rappresentato dal resoconto dell’assassinio del compianto Yitzhak Rabin), emergono riflessioni, dubbi, incertezze, sconcerto per l’impossibilità di giungere a una soluzione pacifica del conflitto, ma anche il totale disaccordo e la grande sfiducia nei confronti della politica di Netanyahu, considerata sbagliata e del tutto condizionata dai rabbini integralisti e dalle frange nazionaliste. E questa volta credo sarà un po’ più difficile smentirci… Buona lettura, Ben Zei Ascona Music Festival Dal 21 maggio al 4 giugno si terrà la settima edizione dell’Ascona Music Festival, manifestazione dedicata alla musica classica e al pianoforte che quest’anno avrà come tema centrale la musica di Fryderyk Chopin. Nei concerti del 21 e 28 maggio e del 4 giugno nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Ascona il pianista Daniel Levy presenterà numerosi brani tratti dal vasto repertorio pianistico del compositore polacco. Per informazioni: academyofeuphony.com/festival.


Emergenza Terra Pio Wennubst. Il pianeta soffre, e non solo a causa del terrorismo. Il riscaldamento globale produce mutamenti climatici che influiscono spesso in modo nefasto sull’agricoltura e quindi sulla produzione di alimenti, causando carestie e fame. Al contempo, la crescente scarsità di acqua potabile causa problemi igienici e la diffusione di malattie. Di queste emergenze abbiamo parlato con l’ambasciatore Pio Wennubst, della Direzione dello sviluppo e della cooperazione di Silvano De Pietro

L

Agorà 4

e sfide a cui la comunità mondiale oggi deve far fronte sembrano moltiplicarsi. La Svizzera fornisce un contributo ampiamente riconosciuto sul piano internazionale al superamento dei problemi di povertà e dei mutamenti globali. Lo fa – agendo per spirito di solidarietà ma anche nel proprio interesse – attraverso la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), agenzia del Dipartimento federale degli affari esteri, il cui primo obiettivo è la lotta alla povertà. Ma essa promuove anche l’autonomia economica e politica, contribuisce a migliorare le condizioni di produzione, aiuta a risolvere i problemi ambientali e cerca di agevolare l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria. Delle emergenze globali e di come la Svizzera opera su questo piano abbiamo parlato con l’ambasciatore Pio Wennubst, vicedirettore della DSC e capo del settore Cooperazione globale. Nato a Lugano nel 1961, Wennubst è agroeconomista specializzato in approcci sistemici. Per prima cosa gli chiediamo se si ritiene soddisfatto dell’accordo siglato alla recente Conferenza di Parigi sui mutamenti climatici: Appena dieci anni fa c’era ancora chi discuteva se il cambiamento climatico fosse una realtà o un’invenzione di qualche scienziato. Nell’arco di pochi anni si è arrivati a riconoscere che il cambiamento climatico non solo esiste, ma è indispensabile agire rapidamente. Per la prima volta abbiamo un accordo globale, nel senso che anche paesi che sono sempre stati restii a riconoscere la necessità di agire, ora si stanno muovendo. Questo è forse uno dei maggiori risultati di Parigi. Basti ricordarsi della conferenza di Copenaghen del 2009: tante speranze, pochi risultati. Quindi, sì, sono soddisfatto. Ci si poteva aspettare un risultato del genere da una conferenza dell’ONU? No. L’ambiente, attualmente, non è che sia dei più costruttivi. Però devo dire che questo accordo è stato anticipato da quello di “Agenda 2030”, raggiunto in settembre a New York. Il 2015, dal punto di vista degli accordi internazionali, è stato un anno piuttosto proficuo.

In quale misura l’accordo di Parigi può essere utile anche per affrontare le altre emergenze globali? L’importante, con questi accordi, è di non cadere nella demagogia: bisogna rimanere sempre realisti rispetto a quello che effettivamente si riesce a fare, tenendo presente che più ci si muove assieme, più complessa si fa la cosa. Nel meccanismo c’è un periodo di qualche anno (cinque, se non sbaglio) per assicurarsi che tutti i piani di messa in opera di un accordo vengano effettivamente preparati. Così si esercita anche una verifica esterna internazionale. Importante non è tanto che l’accordo sia legalmente vincolante, ma che si sia accettato di mettere in piedi un dispositivo di monitoraggio sull’evoluzione della messa in opera. Quanto alle ripercussioni sugli altri temi, l’accordo di Parigi è una pietra miliare, perché si tratta di capire e riconoscere che il cambiamento climatico non è un fenomeno che può essere trattato separatamente da tutto il resto, com’è stato fatto finora. C’è sempre più la consapevolezza che i vari fenomeni sono interdipendenti. E che si può anche fare qualcosa. Ma che cosa collega realmente le diverse emergenze? Perché questioni come clima, sicurezza alimentare, migrazioni e acqua devono essere affrontate – come avviene nel settore che lei dirige alla DSC – all’interno di un’unica cornice? Fino a poco tempo fa, chi si occupava di cooperazione e di aiuto allo sviluppo seguiva l’idea che i problemi si risolvono a livello nazionale. In parte è vero e in parte no. La crisi alimentare del 2008 ha mostrato che se, per esempio, un paese grande come la Cina non fosse più in grado di gestire bene i problemi dell’acqua d’irrigazione e quindi non potesse avere una sufficiente produzione agricola, si troverebbe da un giorno all’altro a dover importare grossi quantitativi di alimenti. E dove li andrebbe a cercare? Nei paesi che li possono fornire a breve termine. È stato così nel 2008, quando alcuni paesi improvvisamente sono diventati importatori netti e gli alimenti sono andati a prenderli in Africa, spostando il problema da una zona all’altra. Questo accade perché c’è una interrelazione diretta. Abbiamo un commercio globalizzato, quindi la crisi in un settore colpisce,


come sempre, la parte più debole della catena: molto spesso, soprattutto nel caso del cambiamento climatico, ma anche per la complessità dell’evoluzione dei consumi, gli effetti sulla produzione agricola hanno colpito più del dovuto i paesi in via di sviluppo. Come si inserisce la Svizzera in questo quadro? Come lavora concretamente il settore Cooperazione globale della DSC? La Cooperazione svizzera, pur essendo piccola, ha un vantaggio: per oltre 50 anni ha lavorato molto sul terreno. Quindi abbiamo sviluppato un’esperienza concreta. Ci siamo anche resi conto che con la globalizzazione alcuni problemi non possono essere risolti a livello nazionale. Abbiamo perciò riorganizzato una parte della cooperazione, mettendo in piedi programmi globali in cinque settori correlati: acqua, cambiamento climatico, sicurezza alimentare, migrazione e sviluppo, salute pubblica. Per ognuno di questi ambiti scegliamo dei progetti specifici che possono portare a soluzioni – a volte tecniche, a volte tecnico-politiche – che, se applicate su larga scala, aiutano a risolvere un problema anche abbastanza rapidamente. Da anni, per esempio, cerchiamo di sconfiggere la malaria, una delle malattie che provocano ancora oggi una quantità impressionante di vittime. Una parte della soluzione si trova in una migliore gestione dell’ambiente, quindi acque meno luride, maggiore pulizia, più prevenzione ecc. L’altra parte è la ricerca di un vaccino in grado di sconfiggere o almeno controllare la malaria. Questa è però una tipica ricerca in cui il settore privato da solo non si muove; pertanto la nostra

Cooperazione sta lavorando con Novartis e con altri partner nella messa a punto di un vaccino, che è già pronto per essere testato. Il caso dell’ebola ha insegnato parecchio: il vaccino è stato trovato con la collaborazione tra le agenzie di aiuto allo sviluppo e il settore privato. La Cooperazione svizzera è quindi attiva anche per affrontare un problema globale come la salute. Come funziona questo metodo del partenariato? È tipicamente svizzero o ci sono altri paesi che procedono in questo modo? Sempre più paesi si sono accorti che questo meccanismo è interessante per il futuro. È un approccio che fondamentalmente si basa su partenariati aperti, molto focalizzati, quindi tematici. Si parte da un tema, si valuta quale sia la soluzione possibile o se ve ne sia più di una, e si investe in queste differenti soluzioni, quindi nella ricerca e mediante partenariati aperti. Molto spesso con i politecnici federali di Zurigo e di Losanna; ma anche nel settore privato, che può essere quello farmaceutico, quello delle assicurazioni o riassicurazioni; e con le agenzie non governative, no-profit, che hanno accumulato una grande conoscenza del terreno e di come vi si lavora a livello comunitario. Con questi partenariati, che si modificano a seconda del tema e della necessità, si riesce a essere molto più precisi e più rapidi. La Svizzera è stato forse il primo paese che ha messo in piedi questo tipo di partenariati, e ha fatto scuola: ci sono parecchi paesi che adesso si muovono in questa direzione. Addirittura la Banca Mondiale ha effettuato una riforma molto simile a quella della Cooperazione svizzera, cioè concentrandosi su un (...)

Perché non tutti gli infortuni hanno un lieto fine.

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Dunque, aiutiamo gli altri ad aiutarsi? Questo è un concetto fondamentale. Cerchiamo sempre di portare un aiuto che sia duraturo, che insegni, che porti la conoscenza, affinché i vari paesi o le regioni assumano loro stessi l’iniziativa per il proprio sviluppo. C’è stata una fase in cui i cooperanti portavano essi stessi lo sviluppo. All’inizio, per esempio, portavamo in Nepal la conoscenza della produzione del formaggio svizzero, in Bolivia portavamo le mucche svizzere, le capre della Val Verzasca... Tutti questi interventi li abbiamo catalogati come mezzi fallimenti; ma quando sono andato dopo dieci anni a visitare la zona in Bolivia, mi sono accorto che tutta questa zona è molto ricca, con piccoli e medi agricoltori, dove l’industria del latte è fiorente a partire dall’esperienza svizzera poi adattata dai boliviani stessi. Pio Wennubst della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC)

approccio tematico e mettendo al centro di tutto lo sviluppo delle conoscenze e lo scambio accelerato del sapere.

Agorà 6

Conoscenza finalizzata a prevenire le catastrofi, o a porvi rimedio? È indispensabile muoversi su fronti diversi. Vale come per una persona quando si ammala: più tardi si interviene, più costa, e più basse sono le probabilità di ottenere un risultato. Ma è ovvio che bisogna intervenire comunque. Nel caso di una crisi acuta, di catastrofi, di urgenze, l’aiuto umanitario ha questa funzione, che negli ultimi tempi è stata sollecitata spessissimo. Però noi agiamo piuttosto per l’altra parte, quella preventiva, e sull’adattamento, cioè su come agire quando già si sono verificati gli effetti, per esempio, quelli del cambiamento climatico, e decidere di conseguenza come intervenire e cosa fare. Nel contributo della Svizzera alla soluzione delle emergenze globali, quale forma di aiuto (denaro, consulenze, infrastrutture, formazione o altro) è prevalente? Il contributo più importante della Svizzera è quello della conoscenza. Per esempio, il sapere basato non solo sulla padronanza delle tecniche e sugli studi scientifici e accademici, ma anche sull’esperienza e soprattutto sulle previsioni a lungo termine nella gestione delle zone di montagna. Sulla questione dei ghiacciai, per esempio, la Svizzera è fortissima. Lavoriamo con modelli proiettati nel futuro, e quindi stiamo già analizzando oggi che tipo di interventi o di infrastrutture dobbiamo realizzare sulle Alpi svizzere il giorno che i ghiacciai si saranno ritirati più o meno completamente, sia per assicurare che non avremo crisi di mancanza d’acqua, sia per gestire l’approvvigionamento idrico per i vari bisogni. Lo scambio di questo sapere è diventato fondamentale con la regione himalayana e con la regione andina. Con paesi come il Perù abbiamo una collaborazione basata su questo scambio del conoscenze, sulla formazione e sulla capacità di motivare i nostri colleghi universitari e accademici delle zone andine. Programmi simili li abbiamo con la Cina e con l’India per la regione dell’Himalaya, con interventi materiali (laghi artificiali, sbarramenti, ecc.) e con l’esperienza (come utilizzare al meglio le acque, quando aprire le chiuse, ecc).

E come interviene la Svizzera nel fenomeno delle migrazioni? Le migrazioni sono sempre esistite nell’evoluzione delle società. Basti guardare al nostro passato: a livello svizzero, appena 150 anni fa nelle regioni di montagna metà della popolazione era emigrata nel Nuovo Mondo. Quello che sta succedendo adesso ci fa paura, perché vediamo l’attuale migrazione culturalmente più lontana da noi. Gli interventi in questo campo sono parecchi. Tra l’altro, occorre sapere che in Svizzera il primo anno di sostegno a coloro che fanno domanda di rifugiato viene contabilizzato come aiuto allo sviluppo: è il 14-15% dell’intero budget della cooperazione che viene catalogato come aiuto allo sviluppo e investito in questo modo. Un altro strumento che funziona e ha dato buoni risultati è quello dei progetti di partenariato con i paesi di provenienza dei migranti. Si offre una capacità di formazione professionale per il reinserimento dei migranti nei loro paesi d’origine. Ha funzionato bene nell’area balcanica e in alcuni paesi africani. Lo scopo finale è quello di arrivare al punto che chi emigra lo faccia per scelta, con un bagaglio professionale di cui c’è richiesta, e non per bisogno. Ma i fondi a disposizione della DSC oggi sono sufficienti? Cercherò di essere diplomatico. Viviamo un periodo un po’ difficile, perché ci sono grandi discussioni sui tagli alla spesa, che anche noi abbiamo subito. Se dovessi dire che sono soddisfatto dei fondi che ho a disposizione, mentirei. Contavamo sulla crescita, anche in seguito alla terza Conferenza dell’ONU sul finanziamento alla cooperazione per lo sviluppo, tenutasi ad Addis Abeba lo scorso mese di luglio, le cui conclusioni sono state quelle di assicurare una massa finanziaria sufficiente. Ma evidentemente questa discussione andrà avanti anche nei prossimi anni. È un po’ come nel settore della salute, dove la domanda è infinita e sarà sempre infinita, mentre l’offerta sarà sempre limitata. Questo vale anche per il settore della cooperazione. Personalmente ritengo che, va bene, presto vedremo quanto sarà la massa finanziaria – ancora in discussione – che avremo a disposizione nei quattro anni dal 2017 al 2020, e su quella base adatteremo pragmaticamente i nostri programmi e le nostre attività; però – cosa che mi piacerebbe tanto – non ci venga poi chiesto di fare l’impossibile. È chiaro che quando si ha un successo, quando si vede che i programmi messi in atto funzionano bene, ci piacerebbe avere più risorse.


Letture Linfa e senso di Daniele Bernardi

L’editore Pagine d’arte propone, nella collezione “ciel vague”, una elegante plaquette che raccoglie le poesie di Bernard Noël, le immagini di Bertrand Dorny e le traduzioni di Fabio Pusterla. Il volume, intitolato Alberi, si contraddistingue per una certa grazia: nelle forme precise dei rami fotografati, nella consistenza dei versi, non è possibile non scorgere un che di essenziale, quasi di orientale. Bernard Noël, poeta, saggista e critico d’arte francese, è un autore importante, ma forse non notissimo al lettore di lingua italiana. Eppure, negli anni, editori come Mondadori, Guanda e Archinto si sono occupati della sua opera – tra i libri pubblicati in Italia ricordiamo Estratti del corpo, La caduta dei tempi e La bocca di Anna. C’è qualcosa nel percorso di questo poeta che richiama la produzione di Henri Michaux; scrittore per il quale il segno, un certo uso dell’immagine e degli scivolamenti della lingua sono stati aspetti determinanti. Bertrand Dorny, pittore e incisore parigino deceduto recentemente, è stato un creatore di immagini che si è avvalso, spesso,

di materiali disparati e poveri, collaborando con scrittori e poeti. Fabio Pusterla, come i nostri lettori sanno, è un notissimo poeta, saggista e traduttore. Quest’ultimo aspetto è parte determinante del suo percorso; infatti, tra le sue numerose versioni, sono note, soprattutto, quelle dell’opera di Philippe Jaccottet, grande poeta e critico svizzero di lingua francese. I versi di Alberi sono accompagnati quindi da alcune immagini, fotografie che ritraggono tronchi spogli, dai rami fragili e bitorzoluti, che si stagliano dentro un cielo in bianco. “L’albero scuote tutto il vocabolario / non scrive mai due volte la stessa parola / la sua lingua è di sempre e risale / linfa e senso vi mescolano terra e aria”, leggiamo nel componimento che apre la plaquette. Il poeta (e con lui l’artista visivo e il traduttore) vede nel dispiegarsi dei rami un sapere perduto che solo quella ricerca impervia che è l’arte può cercare, comunque invano, di acquisire. Quella di Alberi è una poesia che riflette su se stessa, sulle proprie potenzialità spirituali e sull’incertezza del futuro delle parole.

Alberi di Bernard Noël Pagine d’arte, 2015

L’assicurazione individuale contro gli infortuni della Basilese.

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Etichette senzienti L’evoluzione delle indicazioni presenti sui prodotti rispecchia l’evoluzione sociale ed economica delle nostre comunità. Un ambito in cui la connettività detta ormai legge, con vantaggi e interrogativi di Mariella Dal Farra

C’erano

Media 8

una volta le etichette, talloncini informativi Si stima che nel 2020 cinquanta bilioni di oggetti saranno che ci ragguagliavano sulla natura del prodotto appena connessi a internet, il che significa 6,6 oggetti, in media, acquistato: la sua provenienza, composizione, scadenza; le per ciascun abitante del pianeta (chiaramente la distribuistruzioni per l’uso e il lavaggio, il patronimico (brand), lo zione non sarà uniforme, tuttavia…). Non parliamo solo status (DOC, DOP, IGP), la sua etica di produzione (ecolabel, di telefoni, computer, tablet e consolle di gioco, ma anche organic, recyclable)… Una mini-carta d’identità per oggetti, di cibo, automobili, abitazioni, elettrodomestici e capi d’abbigliamento. Tutte queste “cose” saranno in grado di insomma. Poi arrivarono i codici a barre: quelli unidimensionali (le raccogliere informazioni e trasmetterle via cloud a una rete linee) e quelli bi-dimensionali (i punti), che si chiamano di dispositivi interconnessi, realizzando quella che a buon titolo potremmo definire una nuova QR1. Le informazioni vennero cripforma di adattamento. tate in una rappresentazione grafica enigmatica e misteriosa, che solo con Le nuove dipendenze l’ausilio di uno scanner assumeva forAlcuni esempi: un frigo “intelligente”, ma intellegibile. Ma i reader di codici connesso al cellulare, potrebbe cona barre e QR sono divenuti dotazione tattare i chip dei prodotti alimentari standard dei cellulari, ed ecco l’etipresenti in un supermercato nel mochetta trasformarsi in una chiave: per mento in cui entriamo, facilitando entrare in un locale, salire su un aereo, l’individuazione di ciò che manca a accedere alla propria cartella clinica... casa; la sveglia potrebbe suonare un In maniera sporadica nel caso del po’ prima se, lungo il tragitto che codice a barre, sistematicamente per percorriamo per recarci al lavoro, quanto riguarda il QR, il crittogramma quella mattina ci fosse molto traffico; contiene un hyperlink che collega il blister del farmaco che si assume l’oggetto, o il servizio, a una pagina Internet of Things: tutto è connesso (immagine tratta da nesta.org.uk) giornalmente potrebbe avvertirci, nel web. Il reader del telefono decritta il caso ci dimenticassimo di prenderlo. link e connette l’acquirente alla galassia informativa del prodotto, avvicinando e in parte sovrap- L’insieme di queste applicazioni ha un nome: è l’“internet ponendo mondo reale e digitale. Un’integrazione destinata delle cose” (ioT, internet of Things2), ovvero l’estensione a farsi sempre più serrata, mentre l’etichetta raggiunge lo della rete al mondo degli oggetti e dei luoghi fisici. Qualstadio evolutivo successivo e diventa “intelligente”. cosa che potrebbe comportare un significativo risparmio di tempo e risorse, pur suscitando interrogativi sul piano Etichette che ricordano e parlano del diritto – primi fra tutti, la questione della privacy e i La smart label (o smart tag) è un’etichetta dotata di micro- rischi di manipolazione presentati da un sistema siffatto chip che si avvale di una tecnologia RFID (Radio-frequency – e su quello antropologico. Ci si chiede cioè quale sia Identification) per trasmettere informazioni sul prodotto a il grado di dipendenza che un’infrastruttura digitale di cui è applicata in modalità autonoma. Generalmente dotati questo tipo potrebbe instaurare, con il timore che all’abidi sensori, i microchip possono monitorare variabili che litazione “intelligente” degli oggetti possa corrispondere incidono sulla qualità del prodotto. Per esempio, Cold- una progressiva disabilitazione delle nostre facoltà “natuPharma ha brevettato Blueline: un’etichetta in grado di rali”. Paure infondate? Quando è stata l’ultima volta che registrare gli innalzamenti della temperatura ambientale, avete raggiunto una località sconosciuta senza l’ausilio dal confezionamento dell’alimento alla sua distribuzione del navigatore? sugli scaffali del supermercato, auto-segnalando eventuali, possibili avarie. Stesso discorso vale per i farmaci, ma è chiaro che quando gli oggetti iniziano a “parlare”, tanto note 1 Dall’acronimo inglese di Quick Response code, ovvero codice di con gli umani quanto “fra di loro”, le implicazioni sono risposta rapida. talmente vaste da prefigurare un mutamento piuttosto 2 Il termine è stato coniato nel 1999 dall’imprenditore Kevin Ashton mentre lavorava alle “Auto-ID Labs”. radicale della “realtà” come la sperimentiamo oggi.


Letture Una storia antica di Demis Quadri

San Vittore, soldato di origine nordafricana giunto a Milano nel III secolo per servire l’esercito di Massimiliano, dopo la conversione al cristianesimo venne martirizzato con la decapitazione per aver disertato disobbedendo agli ordini imperiali. Il suo nome a Milano è legato al celebre carcere locale (sorto nei pressi della chiesa dove il martire è sepolto) che in dialetto meneghino ha reso San Vitùr addirittura sinonimo di penitenziario. A San Vittore – figura importante per la tradizione religiosa lombarda, oltre che patrono di esuli e prigionieri – è consacrata una narrazione agiografica dell’VIII secolo dove è raccontata una versione leggendaria della sua fine. Non appartiene invece alla leggenda un sorprendente fatto legato alla chiesa di Muralto: l’edificio non appartiene a una parrocchia o a una diocesi, e nemmeno al comune o al cantone, ma allo stesso martire che gli dà il nome. La chiesa è stata al centro di varie pubblicazioni, tra le quali quelle di Francesca Selcioni sul bizzarro bestiario che

ne popola la cripta, in quella che sembrerebbe una lotta tra forze demoniache e divine per le anime dei visitatori. Ma la recente pubblicazione libraria edita da Dadò prende avvio proprio dall’anomala appartenenza della chiesa. Occasione per la redazione del volume è stato l’incarico affidato dal Municipio di Muralto al giovane storico di svelare i retroscena di tale anomalia. Il risultato è un ben documentato volume che accompagna il lettore nella storia della chiesa muraltese dalle sue origini ai giorni nostri. In tale percorso non si ha soltanto l’occasione di scoprire eventi e curiosità legati alla storia locale, ma anche di essere introdotti nelle più ampie vicende della storia della cristianità europea, toccando, per esempio, il tema dell’evangelizzazione durante l’episcopato di Ambrogio (IV sec. d.C.). Il volume offre inoltre l’opportunità di seguire l’evoluzione sociale e istituzionale della nostra società, la cui storia si è sempre intrecciata con quella delle sue sedi religiose.

Spegne la fame. E la sete.

La chiesa del Santo. San Vittore a Muralto nella storia di Lorenzo Planzi Armando Dadò Editore, 2015

Nuovo

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Bontà genuina. Dal 1869.

Già provato? Ora i prodotti di qualità Bell si trovano anche con l’aggiunta di distillati. Scegliete tra le salsicce di maiale con kirsch, whiskey e gin per le vostre grigliate; vi auguriamo buon appetito. E alla salute!

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Vitae 10

l mio nome completo è Gianmaria Antonio Eugenio Zanda. Sono nato a Lugano, all’ospedale, perché si nasce spesso negli ospedali (ride, ndr.) e sono cresciuto a Brusino Arsizio a partire dalla seconda elementare. Avevamo il bosco dietro casa e ci si andava spesso, si giocava molto a hockey sull’asfalto, coi pattini o senza pattini, ma sempre con una morbida pallina da tennis, poiché uno dei portieri parava sempre a mani nude. Poi è arrivata l’adolescenza: skateboarding e musica. Due passioni importanti del periodo liceale a Mendrisio, contraddistinto anche dallo studio del latino, da una forte acne e da una miriade di scarabocchi sparsi sui fogli di quasi tutte le materie. Dopo l’obbligo non contrastato del militare, successivamente mutato in servizio civile, ho frequentato la NABA (Nuova accademia di belle arti, ndr.) a Milano, una scelta maturata dall’interesse per le arti visive, da una borsa di studio parziale e dalla pigrizia linguistica. Durante i weekend, a Milano non ci rimanevo quasi mai, tornavo in Ticino per stare con gli amici ed era il tempo che cominciavo a co-organizzare piccoli eventi: feste o concertini. Perciò Milano mi è rimasta un po’ estranea, ma ci ritorno ora con piacere a seguire situazioni interessanti di cui sono venuto a conoscenza più tardi, tramite i contatti con il mondo artistico e musicale. Dopo l’esperienza milanese non mi sono più mosso dal Ticino e ho cominciato a dare seguito al mio interesse per la musica dal vivo insieme ad altri appassionati. Il mio percorso nel settore è nato col “Localin” a Chiasso, uno stanzone privato in affitto sotto la stazione dove si facevano delle feste spesso accompagnate da bei concerti. Era un mix che dava vita a serate cariche di energia e che permetteva di uscire economicamente in pari a fine serata. Era il tempo in cui “Myspace” (comunità virtuale di musicisti, ndr.) andava forte e si stringevano contatti con diverse realtà, geograficamente vicine e lontane, e senza passare attraverso agenzie di booking si facevano suonare anche band estere. Il Ticino ha la fortuna di essere un punto di passaggio quasi obbligato per i tour europei che toccano l’Italia o per band

italiane dirette a Nord, e questo elemento è stato lo spunto, qualche anno più tardi, per le serate “Bilzobalzo” alla “Fiasca”, una sala del Centro sociale autogestito di Lugano “Il Molino”. Era promossa in principio da Jules e Fabietto, a cui si aggiunsero Dug e il sottoscritto, pensata per concerti più intimi, più vicini al pubblico e per attività infrasettimanali, ovvero con potenziale di pubblico ridotto. È stata un’esperienza ricca e positiva, c’erano proposte musicali interessanti per tutte le orecchie, un punto di incontro tra la ricerca, la passione e il divertimento, roba mai banale e che poteva suscitare scintille di serio interesse. Il concetto del “Bilzo-balzo” era di avere artisti ticinesi a supporto di band, alternativamente italiane o svizzere d’oltralpe. Una congiunzione tra nord e sud col Ticino come perno. Oggi oltre a suonare (con “Forse” e “The Bomb & the 85th Koala”) ed essere attivo come artista (anche nel collettivo GIGA) collaboro col Lugano Buskers Festival e il Gwenstival (il festival radiofonico e musicale di Radio Gwendalyn, ndr.) e mi occupo di diverse proposte musicali allo spazio indipendente d’arte e performance sonore “Sonnenstube” a Lugano, nato da una necessità ravvisata quando alcuni giovani artisti e curatori ticinesi, rientrati dalle varie scuole d’arte, s’organizzarono per proporre una mostra presso “l’Artelier” di Alex Dorici. La mostra fu curata da Sebastién Peter, e vide coinvolti Lucas Herzig, Andrea Marioni, Marta Margnetti, Damiano Merzari, Vera Trachsel, Marco Scorti e il sottoscritto. Dopo questo episodio alcuni di noi decisero di coprire la mancanza di uno “spazio off” per l’arte contemporanea a Lugano. Così quando saltò fuori la possibilità di un affitto aprimmo e nel giugno 2013 ci fu la prima attività: presentammo il primo stampato di “Yet Magazine”. Oggi siamo una realtà affermata che vuole insistere nel proprio percorso, così come farò io in questo Ticino continuando a fare con la giusta calma e la dovuta coerenza, rimanendo fedele a una dimensione umana.

GIANMArIA ZANDA

Artista visivo e musicista, ma soprattutto promotore di momenti stimolanti, è cresciuto con lo skateboard. Si definisce ricettivo, pigro e burlone, non viaggia ma è sempre in giro…

testimonianza raccolta da Marco Jeitziner fotografia ©Däwis Pulga


Ginevra / les Pâquis

Altrove, un quArtiere di Marco Jeitziner; fotografie ŠPatrick Lopreno


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iamo sulla rive droite del lago di Ginevra, a Les Pâquis, dove un tempo si nutrivano mucche, asini e cavalli, giacché nel dialetto ginevrino significa proprio “i pascoli”. Conosciuto per le sue tante taverne e la sua frizzante vita notturna, da qui si diramano i grandi boulevard di Chantepoulet o del Mont-Blanc, le maggiori vie di accesso verso il resto del paese. Conobbe un forte e precoce sviluppo alberghiero nel diciottesimo secolo, quando ancora la città era fortificata e chi faceva tardi restava chiuso fuori. Abbattuti i muraglioni nel 1850, il quartiere divenne ufficialmente parte della città. Nel novecento era la zona dei terreni ancora a buon mercato, perciò il comune decise di costruirvi le prime abitazioni popolari che, ancora oggi, ne contraddistinguono alcune aree. Commerci, industrie, servizi, scuole marcheranno il nuovo sobborgo. C’era tanto lavoro, tanti confederati vi affluivano, come in estate ai bains des Pâquis, i bagni pubblici, luogo di incontro e di cultura salvato dai cittadini nel 1988 dalla demolizione.

Un doppio carattere Stretto tra il lago e la ferrovia, è però impossibile non percepire l’ambivalenza del suo carattere commerciale e popolare. Lontano dai palazzi onusiani, nelle sue strade ad angoli stretti, dove colori, razze e costumi si mescolano, vi si incontra l’elegante donna anziana, il giovane designer, l’artista di turno o la casalinga in vestaglia, ma anche il disagio e la piccola criminalità di ogni quartiere chaud, come a ricordare che proprio qui un anarchico italiano uccise la celebre Sissi, l’imperatrice Elisabetta d’Austria. Ma la forza del Pâquis sono i suoi abitanti, solidali ma combattivi, quando negli anni settanta occuparono le case sfitte e vi organizzarono le cucine popolari, e quando nel 2002 gli studenti “squattano” per due anni il vecchio Hotel California, sostenuti dagli abitanti di Survivre aux Pâquis. Già, perché “a Les Pâquis si ha l’impressione di essere altrove. Semplicemente perché les Pâquis è altrove. Veramente”, narra Roland Hippenmeyer, memoria storica del quartiere1.

Nelle immagini, abitanti e momenti della vita quotidiana nel quartiere di Les Pâquis, a Ginevra

note 1 Da Les Pâquis, souvenirs et anecdotes (Ed. Cabedida, 1994)



Cibo sì ma on the road Gastronomia p. 38 – 39 | di Keri Gonzato

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uando viaggio il cibo è una delle mie chiavi d’entrata preferite nella cultura locale. Quella che incontri sul marciapiede, vera, brulicante, unta e deliziosamente grezza. È lì che si trovano i sapori più autentici. Impossibile scordare le cholitas boliviane che ti preparano il panino con palta (avocado) alle nove del mattino in un mercato di La Paz, gli spiedini di queijo affumicati raso terra al carnevale di Olinda in Brasile, le samosas piccanti servite da un baracchino all’angolo più rumoroso di Mumbai, la zuppa di funghi in una mattina di Bangkok o il pane con aringa affumicata acchiappato sui canali di Amsterdam quando ancora non ero vegetariana… E vuoi mettere la granita al limone di Sorrento e il trancio di pizza che fa filare liscia qualsiasi passeggiata italiana? Oddio, sì, lo ammetto, amo lo street food… follemente. Dal locale al globale Se in viaggio ti permette di entrare a capofitto nella realtà locale, a casa è un soffio di libertà… Il falafel preso al volo quando, sfiniti dalla giornata lavorativa, non si ha voglia di cucinare. Ti siedi su un muretto, con o senza vista, possibilmente in compagnia, stappi una birra, addenti la vita e sei, semplicemente, felice. Masticando, i sapori si miscelano e voli in Cina, India, Giappone. Questa primavera è nato un progetto che ci guida tra i sapori disponibili, on the road, sul territorio. Alessandro Veletta, in arte Mystic Barrito che magari conoscete attraverso Rete Tre (RSI), ed Enrico “Chicco” Smeraldi, con

Street Food Swiss, esplorano, recensiscono e condividono tramite Facebook panini esotici, curry, insalate di alghe e noodles asiatici… “Lo street food rappresenta velocità ma anche qualità, deve essere fatto con amore”, racconta Alessandro, “è una cultura che permette di gustare buon cibo all’aria aperta o sul divano di casa, senza frontiere… per noi lo street food rima con libertà”. Attraverso quest’esperienza itinerante, senza scopo di lucro, stanno scoprendo un’infinità di sapori, salse segrete, e soprattuto gusti nuovi. “È una realtà in espansione con sempre più angoli di ristorazione di nicchia come quelli dedicati alla cucina vegan e vegetariana”. L’offerta locale non è certo paragonabile a quella di città più grandi come Zurigo ma le cose si muovono. Intanto, in tutta la Svizzera, stanno esplodendo i festival dedicati a questo mondo: date un occhio a streetfood-festivals.ch. Sorpresa ticinese I ritrovi più trandy del momento sono i food truck. Durante un lungo soggiorno alle Hawaii qualche tempo fa rimasi fulminata dal concetto, dei semplici camioncini trasformati in veri e propri epicentri gastronomici capaci di sfornare cibo da favola. Anche il Ticino ha le sue chicche… Penso al food truck di Ewolo, con base a Tesserete, che fa parlare di sé con panini che sono opere d’arte commestibili, con un’occhio di riguardo per i prodotti locali. Lo scorso aprile poi è stato inaugurato uno food truck in declinazione gourmet. Il camioncino di TR3VOR, nonostante il colore mimetico, brilla di fascino hipster. Modificato per ospitare una cucina in miniatura e con un ampio

sportello laterale in legno per servire gli affamati clienti, nasce per portare bocconi di alta cucina sulla strada. Sul sito di “Veicoli Speciali” – compagnia specializzata in modifiche di veicoli speciali, con una sezione interamente dedicata alle cucine su quattro ruote – trovo i segreti del super mezzo, un camioncino Fiat Ducato, con tanto di frigo, cucina ed estrattore, impianto dell’acqua indipendente oltre e sistema di gas frytop 80… Dopo anni in ristoranti di prestigio, dall’Hilton di Londra al Geranium di Copenaghen, lo chef Trevor Appignani ha cambiato direzione. Mystic Barrito non si è fatto sfuggire l’assaggio ed ecco il verdetto: “un panino con la sovracoscia di pollo, pancetta e crema di champignon in vita mia, così buono non l’ho mai mangiato, per non parlare della ciabatta, croccante e deliziosa”. L’ideatore si sta godendo il successo e apprezza il calore diretto del pubblico. “È un piacere immenso lavorare per tutti i clienti, incontrandoli sulla strada”, dice, “ricevo affetto, stima e felicità in quantità industriale ed è ciò che mi dà sempre più voglia e forza per quest’avventura”. Prodotti freschi, ricette innovative di alto livello, a prezzi accessibili, questa la formula. Una settimana tipo prevede tappe in Valle Maggia, tra Tegna, Maggia, Avegno, a Locarno e a Cadenazzo. Per ora il Sottoceneri deve ancora attendere. “In fondo nella vita se non rischi un pochino è difficile arrivare lontano”, dice lo chef con entusiasmo, “io ho bisogno di innovazione, di vedere le persone negli occhi e sentirmi parte di loro!”. Aperto, libero, itinerante, lo street food ha appena iniziato a sorprenderci per la gola… Avanti il prossimo!


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Ho fatto rete! Tendenze p. 40 – 41 | di Marisa Gorza

“O folle Aragne, sì vedea io te già mezza ragna, trista in su li stracci de l’opera che mal per te si fé” (Dante, Purgatorio, canto XII, 43-45)


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osì il sommo poeta rammenta il mito di Aracne, la tessitrice talmente abile da suscitare l’invidia e l’ira della dea Minerva che la trasformò in un ragno condannato a tessere in eterno... Senza scomodare i versi immortali del fiorentino Dante, vi siete mai soffermati a osservare la bellezza e l’armonia di una ragnatela? Un lavorio lungo e meticoloso che procede allacciando filamenti tra loro in modo che ogni maglia formi motivi geometrici di un’estrema precisione. Così lucente e armoniosa, in particolare quando la rete è intessuta tra rami e arbusti ed è ornata da gocce di rugiada, molto simili a perle preziose. Con ogni probabilità sarà stata proprio l’osservazione degli intrecci orditi dalla natura a suggerire le prime forme di tessitura che la storia ricordi. A suggerire, per esempio, anche le reti in generale, comprese quelle da pesca. Parimenti si direbbe che gli stilisti e, a monte, l’industria del tessile, abbiano preso ispirazione proprio dalla tela del ragno per approntare le sexy tenute, un po’ voyeur... della bella stagione annunciata. Vedo e non vedo… Una lunga tunica candida, completamente a rete, è una delle proposte forti della griffe Alexander McQueen per vestire/svestire una femme fatale con il gioco del “vedo non vedo”. Marni invece mitiga l’inevitabile trasparenza dei trafori, tipo grata, dei sexy-romantici abiti da sera con sovrapposizioni velate, tono su tono. Mentre la rada maglia a graticcio di alcuni abiti di Dolce&Gabbana è intercalata da casti e divertenti motivi pop, tra i quali ombrelloni a strisce colorate, pesciolini, cactus e ballerine di samba. A rimanere impigliati nelle mise di rete e garze doppiate, suggerite da Massimo Giorgetti by Emilio Pucci, non sono solo conchiglie e pesciolini, ma anche ritratti di gagliardi marinai, emuli di Popeye the sailor? Glamour senza mezze misure da Balmain dove è la rete stessa a inventare nuovi inserti da intercalare a balze e volant di ondeggianti gonne carioca.

Tra grovigli e intrighi Certo che se il trend è quello di far sbirciare spicchi di levigata epidermide tra grovigli e intrighi di fili, la collezione primaverile di Pinko (nelle immagini) lo onora in pieno. La musa ispiratrice del giovane brand è una donna contemporanea, libera e frizzante che stempera l’impatto sexy degli outfit traforati con un mix di ironia e di romanticismo. Cominciamo con il giubbottino, genere chiodo da rocker, dove la trama a reticolato è felicemente accoppiata con il pizzo macramé, mentre quella, altrettanto rada, della gonnella a campana è doppiata con il tulle. Interventi di rete appaiono pure sul personalissimo trench in cotone croccante, lungo alla caviglia e privo di bottoni, sui pantaloni fluidi in strati di merletto bianco latte e perfino sui pants in pelle grintosa color nero pece, proprio perché il gusto per i contrasti è di grande attualità. Tuttavia il basico duo black&white è alternato a colori elettrici come il China blue, il rosso fiamma, il rosa shocking. Un lungo e sinuoso abito tricot a maglia rada-rada, accompagnato dal blazer avvitato, è la tenuta passepartout per il giorno, mentre per la sera la dinamica fanciulla predilige chemisier in chiffon diafano, appena ornati dal pizzo e indossati sopra la pudica coulotte opaca. Da portare con calzari da gladiatore, altro must di stagione. Più occhiali da sole, dalla stampa che simula la rete (naturalmente), sia durante il giorno sia a notte fonda.

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Daniela ha 43 anni. Il suo cuore ne ha 49. Mano sul cuore – il suo, quanti anni ha?

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La domanda della settimana

Ritenete che i servizi di pronto soccorso negli ospedali cantonali siano all’altezza degli elevati costi della salute?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 26 maggio. I risultati appariranno sul numero 23 di Ticinosette.

Al quesito “Nella scelta dei vostri vestiti e del vostro stile personale, siete influenzati dalle immagini dei VIP e dei personaggi pubblici o del mondo dello spettacolo?” avete risposto:

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Astri ariete Momento segnato da una certa inquietudine e dal desiderio di agire. Tenacia e volontà sono le parole chiave di questa settimana. Cautela il 24 e il 25.

toro Il vostro charme vi pone al centro dell’attenzione. Momento positivo per quanto concerne gli aspetti economici. Occasione da prendere al volo.

gemelli Si prospetta un giro di boa per la vostra vita: vi sentite vitali e pieni di energia. Dovete trovare il coraggio di affrontare i dubbi e le incertezze.

cancro Novità nelle relazioni grazie a incontri con persone insolite e divertenti. È un momento tutto sommato positivo ma imparate a tenere la lingua a freno.

leone Invidia e gelosia sono due brutte bestie da cui faticate a liberarvi. Controllatevi. In compenso, avrete buone prospettive di incontri di natura sentimentale.

vergine Periodo favorevole per avviare cambiamenti anche radicali alla vostra vita. Attenti a non disperdere le vostre energie inseguendo fantasie o chimere.

bilancia Momento di rilancio per la vostra immagine pubblica grazie anche alle opportunità che giungono dall’ambito culturale. Possibile disturbo di stagione.

scorpione Con Mercurio in opposizione fate attenzione alle comunicazioni, soprattutto con il partner. Momento febbrile per quanto concerne il lavoro.

sagittario Grosse potenzialità ma anche possibili rischi. Vi sentite forti e aggressivi e pieni di energia. Cercate però di incanalarla al meglio evitando inutili ansie.

capricorno Vivete una fase positiva e vi sentite fortissimi. Situazioni sentimentali inaspettate e sorprese. Procedete dando spazio alla vostra creatività e intuito.

acquario Insolitamente gelosi. In questa fase coniugate passato e presente e molti aspetti della vostra vita attraversano una fase di crescita. Nuove passioni.

pesci Non tiratevi indietro di fronte alle nuove sfide che la vita vi pone. A volte è difficile anche perché i nodi lunari amplificano emotività e ansie.


Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 21

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate il numero 0901 59 15 80 (CHF 0.90) entro giovedì 26 maggio e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 24 maggio a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Verticali 1. Scudo difensivo contro attacchi atomici • 2. Pacifiche, serafiche • 3. Anfibio degli Urodeli • 4. Essa • 5. Blocca il flipper • 6. Fiume engadinese • 7. Chiamata in giudizio • 8. I giorni che furon fatali a Cesare • 9. I confini di Arogno • 13. Attraversa Berna • 15. Alligatori americani • 18. Risparmio • 19. Preposizione semplice • 21. Malmessi, trascurati • 22. L’ombra nel deserto • 25. Il Ticino sulle targhe • 28. La Marcella della canzone • 30. Il noto Nazzari • 32. Società Nuoto • 34. Storielle, notizie curiose • 36. Antico Testamento • 39. Un disinfettante • 41. Numero in breve • 43. Sfortuna nera • 45. Bordo, margine • 48. Topo... ginevrino • 50. Olio inglese • 53. Mezzo vaso

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Orizzontali 1. Un reparto ospedaliero • 10. Uccelli... ingenui • 11. Un rifugio fra i rami • 12. Pietre sfavillanti • 14. Incursione poliziesca • 16. Sta per “vino” • 17. La pigione del collegio • 20. Per nulla veloce • 23. Costosi • 24. La Musa della poesia amorosa • 26. Le iniziali della Magnani • 27. Fiume russo • 29. Somara • 31. Connessioni • 33. Emirato arabo • 35. Osso del braccio • 36. Piacevoli, belli • 37. Consonanti in celia • 38. Chiare e limpide • 40. Il noto Buzzanca • 42. Cantori epici • 44. Poco fitto • 46. Carme lirico • 47. In mezzo al mare • 49. Può essere mancino • 51. Gola centrale • 52. Un tipo di pasta ripiena • 54. Thailandia e Lussemburgo • 55. La somma degli anni • 56. È vicino a Tempio Pausania.

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La soluzione del Concorso apparso il 6 maggio è: FALSARIO Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Mattia Debernardi 6648 Minusio Al vincitore facciamo i nostri complimenti!

Questa settimana in palio: un abbonamento mensile Prova Arcobaleno del valore di CHF 199.– Arcobaleno offre un abbonamento mensile Prova Arcobaleno da CHF 199.– (tutte le zone, 2a classe) a un fortunato lettore che comunicherà la soluzione corretta del cruciverba. Da maggio a settembre l’abbonamento mensile diventa Prova Arcobaleno e regala un Rail Bon per passare all’abbonamento annuale. www.arcobaleno.ch/prova

Svaghi 43


â„– 21 del 20 maggio 2016 ¡ con Teleradio dal 22 al 28 maggio


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