Ticino7

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№ 12 del 18 marzo 2016 · con Teleradio dal 20 al 26 marzo

DeDicaTo ai leTTori

Corriere del Ticino · laRegione · Tessiner Zeitung · chf 3.–

a detta di molti il web rappresenta una seria minaccia per la stampa su carta. Una posizione che qualcuno non condivide...


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Ticinosette allegato settimanale N° 12 del 18.3.2016

NATASCHA FIORETTI ................

4

ROBERTO ROVEDA ..........................................

7

Agorà Giornalismo e nuovi media. Dedicato ai lettori Media Televisione. Comicità spuntata

DI

Arti Richard Berengarten. La via del molteplice Vitae Iva De Santis

DI

DI

DI

MARISA GORZA ...............................

MARCO JEITZINER; FOTOGRAFIA DI FLAVIA LEUENBERGER .......................

10

FABIO MARTINI .....................

35

MARCO DALLA BRUNA .....

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Svaghi ....................................................................................................................

42

Impressum

Reportage Collezione Ramo. Di carta e altri segreti

Tiratura controllata

Tendenze Let’s Move for a Better World. Attivi è meglio

DI

DI

63’212 copie

Chiusura redazionale

8

Venerdì 11 marzo

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 29 88 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch www.issuu.com/infocdt/docs ticinosette è su Facebook

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

I mondi dell’informazione Illustrazione ©Bruno Machado

Libertà economicamente vincolata Stanno facendo molto discutere, almeno Se il loro valore e spessore culturale raraoltre Gottardo, i violenti scontri avvenuti mente viene messo in discussione, di tutt’aldue settimane or sono nei pressi del gran- tra natura sono le riflessioni sulla presenza de centro culturale e sociale Reitschule di al loro interno di abusi legati a droghe, alcol Berna. Chi ha avuto la peggio sono stati 11 e in generale alla sicurezza delle persone, il poliziotti cittadini rimasi feriti in quella che, più delle volte tollerati sia da chi li gestisce a detta delle autorità di sicurezza bernesi, sia dalle autorità politiche. Evidenze che, sembra essere stata una vera e propria im- viste le cospicue e “vitali” iniezioni di conboscata. Come molti centri socio-culturali tributi pubblici, sono difficili da giustificare. alternativi presenti in Svizzera, anche la Buona lettura, Giancarlo Fornasier Reitschule beneficia di importanti contributi pubblici; e dopo quanto è successo il municipio della capitale ha deciso di interrompere (stando alle ultime notizie) i finanziamenti destinati alla struttura, con spese di affitto e oneri vari che il comune sosteneva per circa 380mila franchi all’anno. Nella migliore tradizione delle esperienze di questo tipo diffusesi già dall’inizio degli anni ottanta in Svizzera (da Ginevra a Zurigo, Lucerna, Friborgo e, negli anni novanta, anche a Lugano), i centri autogestiti sono sovente diventati luoghi meno vincolati alle sottoculture musicali e politiche, ospitando sovente al loro interno servizi per tutti i cittadini, con strutture per l’infanzia, ristoranti, biblioteche, assistenza e alloggio ai bisognosi, centri per conferenze, sale cinematografiche, teatrali e (naturalmente) musicali. I brutti fatti di Berna – tutti da chiarire, anche rispetto alla possibile presenza di “agitatori” legati a movimenti Appuntamento dunque tra sette giorni... politici di destra... – potrebbee BUONA FORTUNA A TUTTI! ro oggi segnare un importante momento di riflessione sui centri di questo tipo che ancora sopravvivono (a fatica) nel nostro paese.

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Dedicato ai lettori Media. Come innovare il giornalismo in un epoca in cui la comunicazione sembra polverizzarsi in mille rivoli? E quale strada scegliere per catturare nel miglior modo l’attenzione dei lettori, sempre più connessi e con gli occhi rivolti al web? Domande cruciali a cui il quotidiano torinese “La Stampa” ha saputo rispondere con prontezza e iniziative al passo con i tempi di Natascha Fioretti; illustrazione ©Bruno Machado

L’

Agorà 4

innovazione nel mondo del giornalismo di oggi non si esprime soltanto nella dicotomia tra carta e web (e il superamento della stessa), nell’utilizzo delle nuove tecnologie o nelle strategie social. L’innovazione vera, quella che va al di là del mezzo con il quale si fa informazione al servizio dei lettori, risiede nella consapevolezza che, per saper raccontare il mondo di oggi, per saper stare nel flusso della modernità, è necessario abbracciare una nuova cultura, promuovere una diversa mentalità giornalistica. Per quanto semplice nella teoria, se guardiamo al panorama giornalistico internazionale e anche svizzero, non lo è nella pratica e, seppure ci siano diversi esempi di quotidiani virtuosi che lavorano puntando a un nuovo rapporto giornalista-lettore, in generale, per molti la strada da percorrere è ancora lunga. Può essere interessante allora gettare lo sguardo oltre il confine, non molto lontano da qui in verità, dove c’è un quotidiano italiano che, da qualche tempo, dimostra più intraprendenza e voglia di una cultura giornalistica moderna rispetto ad altri. Si tratta de La Stampa di Torino, la prima in Italia a sbarcare su Facebook con gli instant articles, la prima a nominare un public editor, Anna Masera, proprio come al New York Times, la prima in Europa a introdurre la licenza creative commons. Per saperne di più abbiamo fatto qualche domanda a Massimo Russo, in passato già direttore contenuti della divisione digitale del Gruppo Editoriale L’Espresso, autore con Vittorio Zambardino del libro Eretici digitali (Apogeo, 2009), direttore del settimanale Wired e oggi condirettore del quotidiano torinese, da poco entrato a far parte del nuovo gigante editoriale italiano nato dall’accordo fra il gruppo l’Espresso, FCA e Itedi. È ormai risaputo, per chi si occupa di media e non da ieri, che la più grande sfida che riguarda tutti gli operatori del settore è trovare un modello di business sostenibile. Molti vi stanno lavorando, alcuni con risultati interessanti, altri invece gettano la spugna. L’esempio più clamoroso di queste ultime settimane è la messa in vendita di The New Republic da parte di Chris Hughes, cofondatore di Facebook: “Vorrei avere la formula magica che nessuno ha nel mondo dei media ma non è così”. La Stampa per contro sembra averla trovata, ha i conti in attivo e tantissimi lettori conquistati grazie alla rete: “Diciamo che la stiamo perseguendo con

grande determinazione coniugando tradizione e innovazione”, ci dice Massimo Russo, “la tradizione è ricordarsi ciò che La Stampa è ed ha rappresentato. Nel 2017 compirà 150 anni e deve portare alta la bandiera del giornalismo di qualità che ha saputo produrre in questo secolo e mezzo di storia e, certo però, deve farlo in nuovi ambiti. Il mondo dei media sta cambiando, anzi, è già cambiato e con grande rapidità siamo chiamati a essere presenti con molta più determinazione rispetto al passato, non più solo all’interno del sito ma anche sui social network a cui le persone ormai si rivolgono. Quando 20 milioni di persone ogni giorno in Italia stanno su Facebook è evidente che quello è un ambito nel quale bisogna portare il nostro giornalismo così come su YouTube, Twitter e via discorrendo. Credo che il giornalismo all’interno delle grandi piattaforme nei prossimi mesi sarà un tema di importanza crescente”. Public editor Pensando all’innovazione dal punto di vista della cultura e della mentalità giornalistica, il quotidiano torinese ha introdotto diverse novità. L’ultima in ordine di tempo, è la figura del public editor proprio come al New York Times: “La Stampa era stato anche il primo giornale in Italia ad avere un social media editor cioè una persona designata a occuparsi di social media che, guarda caso, è la stessa persona ritornata al giornale dopo due anni di attività come ufficio stampa della Camera. Si tratta di Anna Masera, è lei che prende il ruolo di public editor e dunque diventa il punto di riferimento dei lettori, la garante dei loro diritti, il referente per le loro richieste, le loro correzioni e le loro aspettative. Come correttamente ha affermato il direttore Maurizio Molinari nel suo discorso di insediamento, dobbiamo essere consapevoli che il lettore è sempre più intelligente di noi. Avere un punto di riferimento, dove far confluire gli stimoli provenienti da questa intelligenza, è fondamentale per migliorare ciò che facciamo prima ancora di mantenere un rapporto con il lettore”. Un altro passo importante è rappresentato dal fatto che da qualche mese gli articoli de La Stampa sono in licenza creative commons: “I quotidiani, soprattutto quelli italiani, in calce ai loro pezzi tendono a dire che tutti i diritti sono riservati. Noi abbiamo preferito adottare la licenza creative commons secondo la quale solo alcuni diritti sono riservati. Mi spiego meglio: la condivisione dei nostri contenuti a fini di istruzione o sem-


plicemente privati, come avviene all’interno dei social, non crediamo vada censurata come solitamente andrebbe fatto con il copyright, al contrario va incoraggiata perché la condivisione è un gesto fondamentale dell’epoca in cui viviamo. Per contro, ci sono poi tutta una serie di cose sulle quali manteniamo dei diritti come l’utilizzo a fine di lucro o la non menzione degli autori oppure, ancora, l’utilizzo per opere derivative, quindi la possibilità di costruire altre cose a partire da quanto pubblicato sul giornale. In questi casi, chi è interessato a farlo si deve mettere in contatto, chiunque invece voglia semplicemente condividere i nostri pensieri, il nostro giornalismo, le nostre storie di cronaca senza fini di lucro, lo può fare liberamente. È un modo per riconoscere che il mondo è cambiato, e che la condivisione è uno dei gesti più semplici e potenti della nostra quotidianità. Non ho notizie di altri quotidiani in Europa che facciano lo stesso”. Guerra o pace? Nel mondo dei media e del giornalismo la contrapposizione editori vs giganti della rete non è nuova, e in molti temono che Google, Facebook o Amazon con le loro tecnologie, i loro milioni di utenti e i relativi dati, la pubblicità sul digitale, possano ulteriormente ledere il settore dei media e dell’editoria già in grande difficoltà. Anche in questo caso La Stampa va controcorrente e anziché fare la guerra ha scelto di allearsi, vedi per esempio la partnership con Google e altre sette testate europee dal nome Digital News Initiative (DNI), per lo sviluppo di nuove forme di

giornalismo online: “Non porrei tanto il tema in questi termini con la dialettica tra alleanza o guerra: se finiamo in quel tipo di dinamica, enfatizzando lo scontro frontale o all’opposto il totale allineamento, non credo avverrà nulla di buono. Sono soggetti molto rilevanti, esercitano un ruolo fondamentale nella vita di ogni giorno di tutti noi e vanno riconosciuti come tali. Quello che noi abbiamo fatto, a differenza forse di altri editori che hanno sempre un po’ l’idea di andare a dormire alla sera con la speranza di risvegliarsi il mattino in un mondo in cui internet non esiste, è stato riconoscere che fare informazione nel XXI secolo, nella contemporaneità, significa prendere le misure prima di tutto con la realtà. Credo sia un gesto di umiltà fondamentale per un quotidiano ed è stata la base da cui siamo partiti per capire, in un rapporto che a volte può essere dialettico, altre di consonanza di obiettivi, quali fossero gli ambiti nei quali si potessero fare delle cose insieme. Da qui sono poi nate una serie di iniziative come gli instant articles con Facebook, che consentono di vedere gli articoli del nostro giornale direttamente all’interno del social mantenendo comunque per La Stampa il traffico e o i proventi della pubblicità su quelle pagine, oppure altre iniziative che partiranno in futuro. In particolare, nel primo trimestre del 2016 in collaborazione con Google, saranno introdotte per i telefonini le accellerated mobile pages che consentiranno di accedere attraverso gli smartphone alle pagine del giornale in modo più semplice e rapido di quanto non avvenga adesso. Sono tutte iniziative che hanno come obiettivo ultimo il lettore: offrire un servizio migliore evita la frustrazione che si ha quando si vede la rotellina del telefono che gira, gira, e la

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Chi sceglie un nuovo riscaldamento a gas naturale, riceve un grazie dalla natura.


Agorà 6 pagina non si carica mai. Credo che abbiamo molto da imparare da chi è riuscito in pochi anni a costruire una posizione di grande forza in un mondo digitale adottando linguaggi e interfacce. Più che allearsi, o fare la guerra, si tratta quindi di capire e misurarsi con questo nuovo mondo”. Prima di arrivare al quotidiano torinese, Massimo Russo è stato direttore del mensile Wired; gli abbiamo chiesto che cosa di questa sua esperienza ha portato con sé “Wired è un luogo straordinario, una sorta di luna park dell’innovazione dove quotidianamente si viene a contatto con intelligenza, capacità e talento di persone straordinarie. Uno dei miei problemi a Wired, nel periodo in cui ho avuto l’opportunità di lavorarci, è che il talento non sia infettivo altrimenti, con tutte le persone che ho incontrato, sarei di sicuro più intelligente di quanto non sia. Più in generale direi che di Wired mi restano due cose: la capacità di saper guardare anche le situazioni più difficili, cosa che spesso gli altri giornali non fanno, mantenendo l’idea di uno spirito vitale, osservando le persone che comunque affrontano anche le difficoltà maggiori con la voglia di stare sul campo e di giocarsela perché il nostro tempo è ora e non quello che abbiamo dietro le spalle; l’altra è di avere il coraggio di mescolare i toni e i temi e quindi affrontare le cose serie con un po’ di leggerezza ma anche guardare alle cose che possono sembrare leggere con la serietà che di solito si riserva a temi di maggior peso”. Un foglio culturale Qualche settimana fa in rete c’è stata un’ampia eco intorno all’articolo di approfondimento pubblicato online da The

Atlantic “What ISIS really wants”, un pezzo che ha raccolto un ottimo successo di pubblico e di critica smentendo, ancora una volta, la tesi di fatto superata, e anche un po’ semplicistica, secondo cui sul web funzionano le notizie immediate e sulla carta l’approfondimento “ho sempre pensato che fosse semplificatoria la classificazione secondo la quale sul web deve andare tutto ciò che è veloce mentre sulla carta c’è spazio per meditare di più. Sul web sono proprio le nicchie di utenti che ti consentono di fare dei ragionamenti in profondità e lunghezza che non potresti altrimenti permetterti sulla carta. Quest’ultima però continua e credo continuerà ad avere un ruolo fondamentale”. Un esempio concreto è rappresentato da Origami, il nuovo inserto culturale di carta del giovedì, lanciato qualche mese fa “Origami fa una promessa molto semplice: ti spiegherò tutto ciò che devi sapere su un argomento con taglio molto originale e lo farò prendendoti non più di un’ora e mezzo del tuo tempo. Questo settimanale è composto da un foglio solo che si gira e si piega in maniera particolare e promette di raccontare al lettore cose che nessun altro gli ha raccontato. Sembra l’antitesi maggiore possibile all’idea in cui viviamo, Origami non ha neppure un sito internet ma sta andando molto bene, è al di sopra delle nostre stime di vendita per il primo anno e sta incontrando un grandissimo interesse da parte dei lettori. Pur essendo sulla carta, una piattaforma che immaginiamo molto antica e verso il declino, Origami è in realtà molto più contemporaneo di tanti altri siti che stanno sul digitale ma non incontrano i bisogni della contemporaneità”.


Comicità spuntata Gag da avanspettacolo, tormentoni infiniti, imitazioni e barzellette: a molta comicità moderna sembra mancare il gusto di osare e un pizzico di cattiveria. A meno di non provare a farsi un giro in rete di Roberto Roveda

Dove va la comicità? A quanto pare non troppo lontano. Segue i soliti percorsi, quelli della gag verbale e corporale – quando non stercoraria alla Littizzetto –, dell’imitazione e del travestimento. Soprattutto si adegua ai tempi e ai temi tipici della televisione per cui uno sketch deve scatenare solo risate di pancia senza troppi scossoni cerebrali… in attesa che arrivi la pubblicità. Insomma, la comicità contemporanea è un po’ figlia e tanto, tanto prigioniera del modello Zelig, che è poi la naturale evoluzione del altrettanto celebrato – e mai abbastanza deplorato – Drive in delle televisioni berlusconiane anni ottanta. Un comicità preconfezionata e dalla risata registrata, nella quale creatività e satira vengono sbaragliate dalla ripetitività ossessiva, fatta di slogan e tormentoni che il pubblico ripete a mo’ di pappagallo. Per questo nel comico va di moda l’usato come nell’ultimo Festival di San Remo dove le esibizioni – da Frassica a Enrico Brignano, passando per gli ormai pensionati Aldo, Giovanni e Giacomo – sono state all’insegna del cabaret retrò: battute sulle differenze tra uomini e donne, sulle distanze generazionali, i soliti tic, i soliti vizi italici. Qualche regionalismo e dialettismo per ricordare l’avanspettacolo e troppi applausi al talento mimetico di Virginia Raffaele che però gioca sul sicuro. Belen, quella vera, fa ridere già di suo quando parla, recita o presenta e Donatella Versace è un clone anche senza ricorrere all’imitazione. Poco coraggio, poca fantasia Manca un po’ di coraggio ai comici moderni, almeno a quelli che ritroviamo sul piccolo e anche grande schermo. Niente artigli contro il potere, l’economia selvaggia e la finanza dato che poi da li arrivano i

soldi per far girare lo show business. Niente cattiveria perché i comici moderni prediligono il buonismo e il politically correct. Eppure è proprio da quel pizzico di disinibizione in più, dalla caustica acidità che nasce la grande comicità. Pensiamoci: Checco Zalone sta una spanna sopra gli altri non solo perché ha tempi comici straordinari e fantasia dissacratoria. Emerge non quando fa l’imitazione del calciatore Antonio Cassano – che è sparare sulla Croce Rossa – ma quando colpisce totem altrimenti intoccabili e dà voce ai nostri pensieri più perversi imitando Roberto Saviano e il suo sacerdozio anticriminalità. Oppure ridicolizzando la saccenteria di Gramellini. Nei suoi film riesuma il “volemose bene” alla Benigni contemporaneo e allora ritorna sulla terra, tra Fabio De Luigi e Claudio Bisio, lontano anni luce da Sordi e Tognazzi che erano cattivi fino in fondo. “Osate di più” verrebbe da dire ai comici odierni perché la comicità non è un lenitivo buono per tutto e tutti. Si deve piacere e anche stare pesantemente sulle scatole. La lezione della nuova comicità ci viene dalla rete dove spopolano siti come spinoza. it, divertente, ma anche rivoltante e ributtante quando la satira non ha freni. Oppure i filmati del Terzo segreto di Satira dove non si ha paura di mettere alla berlina la propria e l’altrui stupidità, fosse anche quella dei tagliagole dell’ISIS. E poi ci sono le schiere dei comici della stand-up comedy, come Giorgio Montanini, Filippo Giardina e Saverio Raimondo. Il modello viene dagli USA: soli, microfono in mano, nessuna inibizione, partigianeria e nessun sconto ai bersagli del momento. Unico obiettivo: far ridere il pubblico in platea, che non è prezzolato.

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La via del molteplice Poeta conosciuto a livello internazionale Richard Berengarten è convinto che la connessione tra le varie culture rappresenti il punto focale della poesia di Marisa Gorza

Arti 8

Richard Berengarten (fotogramma tratto da youtube.com)

È inevitabile che l’intera opera poetica di Richard Beren-

garten rifletta la ricchezza e la singolarità delle sue origini e delle sue esperienze. Nato a Londra da una famiglia di musicisti di Varsavia, curioso e interessato viaggiatore, ha vissuto e lavorato in Grecia, Italia, Stati Uniti, Iugoslavia, Polonia, Lettonia, Russia... cosicché la sua poesia integra le varie influenze incanalandole in un’unica appassionata, personalissima voce. “La lingua inglese”, ci tiene a precisare, “per me è sempre stata fonte di incanto, tuttavia mi ritengo un poeta europeo che scrive in inglese, piuttosto che un poeta inglese”. Il suo eloquio ha la perfezione e l’accento di chi ha maturato i suoi studi proprio nel tempio della cultura anglosassone, cioè Cambridge, sua città di elezione. Ed è proprio qui che lo incontro, o meglio, lo rincontro (l’inizio della nostra amicizia risale a parecchi anni fa) nell’atmosfera festosa e soffusa di bruma, delle passate vacanze natalizie, rifugiati

nel calduccio di un tipico self-service coffee, nei pressi del Trinity College. Una conversazione piacevole e interessante e altrettanto interessante è constatare come la notorietà e il consenso internazionale (i suoi scritti sono stati tradotti in oltre novanta lingue) non abbiano per niente intaccato il suo naturale entusiasmo. In particolare si infervora parlando della capacità del “sommo verso” di stratificare e sintetizzare le idee, ricordando il pensiero di T.S. Eliot e l’uso di immagini evocanti le emozioni ma anche citando Ezra Pound e la sua vita omerica (come non vederne il parallelo con l’itinerante Richard?) sfociata in versi intrisi di influenze greche, latine, cinesi. Un accenno viene fatto anche alle teorie di Stephen Hawking, ai concetti di spazio, tempo, divinità, materia che, secondo Berengarten, sono insiti nella poesia universale.


Differenti contemporaneità Esiste certamente un fil rouge che collega il nostro poeta ai pensatori menzionati, anche nella capacità di porgere un vivido account delle loro differenti contemporaneità. All’interno della sua vasta produzione (una trentina di libri comprendenti silloge, poemi, raccolte, fiabe, oltre a testi didattici...), a colpirmi in modo particolare è The Manager, che potremmo definire anche un romanzo in versi: attraverso gli episodi ddell’esistenza di un uomo (un po’ volubile e velleitario, a dire il vero), Berengarten offre al lettore un resoconto sulle contraddizioni e sui miti odierni. Il testo è intriso di rabbia, ossessioni, smarrimenti, desideri e romanticherie… Il tutto intessuto nel verse-paragraph con una vasta gamma di sfumature e inflessioni molto contemporanee. Tuttavia se il linguaggio di questo testo ha accenti mordaci e ironici, in altri come Against Perfection, raccolta di poesie in gran parte dedicate ai suoi quattro figli – sì, Richard è anche un padre responsabile e attento! –, sa esprimere tenerezza bilanciata da una grande vitalità. Già il titolo è programmatico: against, ovvero contro, può significare l’attrazione insita in ciò che si vuole contrastare, richiamando l’indivisibile dualità dello yin e dello yang. Scelgo tra questi componimenti il sognante finale di una lirica per la figlia Arijana, dalla delicata metafora in cui la bacchetta magica è l’arcobaleno: “The girl / who enters the room and looks out of her mirror / stands on the tide and her wand is the rainbow”.

Cuore e impegno Svariate le tecniche usate da Berengarten, ognuna perfettamente adatta all’ispirazione del caso e senza mai inscriversi in qualsiasi trend o a un impersonale “.... ismo”. Poeta completo nel senso greco del termine, poeta che ama partecipare alla vita reale della gente reale con profondo impegno sociale. Significativo in tal senso è The Blue Butterfly, volume che fa il punto sul massacro nazista avvenuto nella Serbia centrale nell’ottobre del 1941 e l’apparizione, nel 1985, proprio in tal luogo, di una farfalla blu che si posa sulla mano sinistra del nostro poeta: “A blue butterfly simply fell out of the sky / and settled on the forefinger / of my international bloody human hand”. Il testo esplora diverse tematiche, incluse vendetta e perdono, tragedia e compassione, disperazione e speranza. Contestualizzato da documenti, fotografie e toccanti note originali. Impossibile illustrare tutta la sua eclettica produzione iniziata negli anni sessanta da universitario e portata avanti con cuore e impegno, ma mi sembra giusto concludere con l’ultimo testo presentato a Cambridge poco prima di Natale, cioè Notness: The Methaphysical Sonnets. Il titolo anagramma la parola “sonnets” e i versi/ versatili disquisiscono sull’arduo tema dell’ “essere e non essere”. Cento sonetti, appunto, richiamati alla Scuola Metafisica del XVII secolo che, nelle loro parole amalgamano sentimenti universali e l’emozionante mistero della nostra essenza, esistenza e caducità. La pubblicazione in italiano è in via di definizione.

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Per chi sa cos’è la bontà.

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Vitae 10

a ragazzina ho letto un libro, La città della gioia di Dominique Lapierre. Ancora non lo sapevo ma questo libro è stato l’inizio. Un giorno ho sentito parlare della possibilità di partire per dare una mano nelle case di Madre Teresa. Premetto che non seguo i dettami della Chiesa, ma alcuni personaggi prescindono, come Madre Teresa, che mi ha sempre affascinato. È molto semplice: parti, ti presenti per l’iscrizione e fai quello che puoi, per il tempo che vuoi. Nel 2009 sono partita con un’amica. L’idea era di lavora un mese a Calcutta: il tempo era maturo, la “città della gioia” mi aspettava! Avevo bisogno di uscire dal circondario e vedere, sentire, vivere una realtà completamente diversa dalla mia. I primi giorni sono stati frenetici. Mi hanno “rivoltata come un calzino”! Mi sono messa a confronto con me stessa e con la gente che non ha nulla, ma proprio nulla, se non malattie che da noi non ci sono più, ferite che solo sui libri puoi vedere, situazioni estreme! Scopri che c’è tanta gente che come te è partita dalla propria certezza, dalla sicurezza e dal benessere, per provare a capire ciò che non è comprensibile alle nostre latitudini. Ho lavorato nella prima casa che fondò Madre Teresa, la “casa dei morenti”. Da allora ho sentito il bisogno di tornare e lo faccio una volta l’anno nel periodo delle vacanze natalizie per due-tre settimane, quando il lavoro me lo permette. Per me è una ricarica, ne sento il bisogno. Non vado ad aiutare gli altri, aiuto me stessa, colmo il mio bisogno di vivere un’esperienza che mi rimette in contatto con la parte più intima di me. Dalla prima volta c’è sempre qualcuno, amici o amici di amici, che vuole fare questa esperienza e allora faccio da guida. Nel 2013 ho iniziato un progetto di sostegno per una piccola scuola, la “Aamader School” (in bengali: la nostra scuola), alla periferia di Calcutta, dove non c’è nulla se non spazzatura da riciclare. Ho iniziato da sola e ora, a distanza di tre anni, cinque persone (Angela, Claudia, Davide, Lorenzo e Oriana) che hanno vissuto questa esperienza hanno voluto aiutarmi a proseguire. Abbiamo

fondato l’associazione noprofit Hope-Opportunity (hope-opportunity.org), cioè speranza e opportunità, per questi bambini che non conoscono altro che la spazzatura. Infine ci torno perché credo nelle coincidenze e le vivo come un dono. Alla Scuola medico-tecnica di Locarno mi sono diplomata come assistente di studio medico e vi insegno materie professionali per le assistenti. Svolgo anche la funzione di ispettrice del tirocinio per il Sottoceneri. Lavoro a tempo parziale in ambulatorio di reumatologia a Lugano, un lavoro che amo. Inoltre sono soccorritore volontario, di cui ho il brevetto da 12 anni e svolgo servizio per la Croce Verde Lugano. Questo è un sogno che si è realizzato quando mia figlia Oriana, avuta a 21 anni, è diventata indipendente. La Croce Verde mi ha dato l’opportunità di una formazione che per me continua a ogni turno, in ogni situazione, dalla più tranquilla alla più grave, e che porta con sé conoscenza, sia nell’ambito medico che in quello sociale. È vero che c’è bisogno di aiuto anche qui da noi. Scopri che anche dentro le mura delle nostre belle case ci sono delle situazioni a volte spaventose! Rendersi conto di questo ti rende sensibile e qualsiasi gesto che compi è un gesto consapevole. Mi sono interrogata spesso su questo mio bisogno, è una forma di egoismo, lo capisco. Ma lo faccio per farmi bella agli occhi degli altri? O per sentirmi importante? Oppure per distinguermi? Mi sono fatta queste domande, anche perché la gente ti vede come una specie di “angelo” caduto in terra, e questo mi meraviglia, ogni volta mi sento a disagio. Eppure il volontariato è come qualsiasi altra passione che richiede sacrificio e dedizione. C’è in ognuno di noi. Chi scala le montagne o corre per 200 chilometri, chi coltiva l’orto, chi suona uno strumento, chi dipinge, scolpisce, pratica la vela, macina chilometri in bicicletta, corre in auto o in moto ecc. Lo si fa perché ti fa stare bene, tiene accesa la tua luce.

IVA DE SANTIS

Sei anni fa un libro l’ha portata da uno studio medico di Lugano alla casa dei poveri di Madre Teresa di Calcutta. Oggi gestisce una ONG che si occupa di istruzione

testimonianza raccolta da Marco Jeitziner fotografia ©Flavia Leuenberger


Collezione RAMo

Di carta e altri segreti

di Fabio Martini

A Brera, nel cuore pulsante di Milano, a pochi metri da via Fiori Oscuri, in quello che da sempre i milanesi considerano il quartiere degli artisti, è attiva da alcuni anni la Collezione Ramo, un’istituzione privata voluta da Giuseppe Rabolini, e nata con l’obiettivo di raccogliere e diffondere al pubblico i disegni dei maggiori artisti italiani del novecento.

Luigi Russolo, Senza titolo, 1909. Pastelli colorati su carta grigio-azzurra, 46.6 x 32.9 cm (courtesy Collezione Ramo, Milano)


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ppassionato di disegno sin da bambino, circa vent’anni fa Giuseppe Rabolini, imprenditore che ha svolto la sua professione nell’ambito della creazione e produzione di gioielli, inizia a raccogliere e ad acquistare i disegni dei maggiori artisti italiani del novecento. Una ricerca sostenuta da una grande passione e da due convinzioni di fondo: che il disegno d’arte rappresenta spesso il momento germinale in cui l’idea dell’artista si incarna in una prima forma, e la certezza che l’arte del novecento italiano, in tutte le sue molteplici articolazioni, non è seconda a quella di altri paesi, europei e americano, sia per ricchezza dei movimenti presenti sia per valore degli artisti. Tale percorso di indagine va via via maturando, portando Rabolini a concentrarsi sull’ampliamento e la riorganizzazione della sua collezione, certo che questo gli avrebbe permesso di restituire alla città di Milano, che molto gli ha offerto sotto il profilo delle soddisfazioni personali, un importante patrimonio d’arte da far conoscere al pubblico e presentare presso le istituzioni museali italiane e internazionali. Ma per dar vita a una realtà di questo tipo è indispensabile creare una struttura composta da specialisti di alto livello in grado di far fronte alle complesse problematiche che una collezione del genere pone. La scelta si indirizza su Irina Zucca Alessandrelli, apprezzata storica dell’arte e giornalista esperta in mercato dell’arte che ha operato a lungo negli Stati Uniti come assistente ricercatrice al MoMA P.S.1. di New York e al Philadelphia Museum of Arts. Incontriamo la curatrice presso la sede della Collezione Ramo (collezioneramo.it): “Il signor Rabolini mi ha contattata tre anni fa ma in realtà ci conosce-

vamo da anni, inoltre seguiva i miei articoli su Il Sole24ore nel periodo in cui scrivevo da New York trattando del mercato dell’arte nella pagina arteconomy. Il mio compito è stato quindi quello di riorganizzare e consolidare la collezione esistente, valutando gli autori presenti e quelli che mancavano, in modo da rappresentare al meglio il novecento italiano. È indispensabile precisare che con «disegno» non ci riferiamo solo alla grafite ma, secondo quello che è il significato del termine drawing/work on paper in inglese, a tutte quelle tecniche – matita, collage, acquarello, carboncino, penna ecc – che prevedono l’utilizzo della carta come materiale di supporto”. Mezzo di elezione Ma vi è un altro aspetto importante che la curatrice ha dovuto affrontare. Il disegno d’arte, infatti, a differenza di altri paesi dove la considerazione è maggiore, non gode in Italia di una dignità pari a quella della pittura o della scultura. Si trattava perciò di avviare un’azione di rivalorizzazione di questa forma d’arte, evitando di inscriverla in una prospettiva esclusivamente filologica o di mera fase di passaggio dall’idea all’opera finale: “Il disegno, almeno in Italia, è ancora considerato una forma di espressione secondaria, quasi di serie B, mentre all’estero le mostre dedicate al disegno sono spesso considerate delle chicche. Un aspetto che ovviamente trova una corrispondenza sul piano del mercato dove i disegni hanno generalmente valutazioni inferiori rispetto alla pittura o alla scultura che, anche in termini di pubblico, vengono seguite con maggiore attenzione. Anche di autori importantissimi, come per esempio Marino Marini o Lucio Fontana, non si vede mai la produzione dei disegni mentre spesso sono dei grandissimi

Domenico Gnoli, Boat IV, 1957 ca. Penna, inchiostro e velature di acquerello su cartoncino, 52 x 68.5 cm (courtesy Collezione Ramo, Milano)


Tancredi Parmeggiani, Senza titolo, 1955. Gessetto su carta, 75.2 x 104.7 cm (courtesy Collezione Ramo, Milano)

disegnatori. Per Fausto Melotti il disegno, che non sempre è preparatorio ma spesso rappresenta la destinazione finale del processo dell’artista, aveva un’importanza centrale se non superiore in quanto prima manifestazione dell’idea. I buchi, i tagli, i graffi, gli elementi più distintivi della produzione di Lucio Fontana li si ritrova innanzitutto su carta, talvolta alcuni anni prima rispetto alle opere su tela. Per Fontana il disegno rappresentava un mezzo di elezione”. La produzione artistica italiana nel corso del novecento è ricchissima e, anche in relazione all’ambito più ristretto del disegno, immaginiamo si siano poste questioni di selezione non indifferenti: “È esatto. Diciamo che abbiamo seguito un po’ quella che è stata l’evoluzione dell’arte italiana del secolo. In un certo senso, gli anni ottanta hanno rappresentato, a mio parere, la fine di una parabola proprio nella concezione generale dell’arte. Per tutto il novecento si sono accavallati e susseguiti movimenti, manifesti e gruppi, un lungo periodo che con l’individualismo scaturito dagli anni ottanta, e ancora oggi vigente, si è dissolto. La poesia visiva, per esempio, rientra nella Collezione Ramo, con Isgrò e la Bentivoglio, e abbiamo anche l’arte povera”. Passione e tecnica La struttura creata da Giuseppe Rabolini per dare vita alla sua collezione, occupa gli eleganti locali di un antico palazzo in zona Brera, una volta adibiti a spazio di rappresentanza per la sua azienda, e si configura e si organizza secondo un moderno modello museale, sia per quanto riguarda i compiti assegnati alle diverse persone coinvolte nel progetto, sia riguardo l’organizzazione delle attività, come ci spiega Irina Zucca Alessandrelli: “Valeria Ena si occupa in specifico di tutto quello che riguarda le pubblicazio-

ni – libri, cataloghi di mostre, riviste – in modo da raccogliere tutta la documentazione possibile anche al fine di un’autenticazione storica. Questo soprattutto riguarda gli autori i cui disegni hanno un valore di mercato elevato. In tale prospettiva, è essenziale recuperare di ogni autore che abbiamo in collezione tutto il materiale disponibile non solo per verificare se troviamo i nostri disegni nelle pubblicazioni dell’epoca ma per acquisire il maggior numero di informazioni sull’artista, la sua attività in relazione in particolare alla produzione di disegni. Due ruoli importanti sono svolti da Annaluce Canali che si occupa dell’amministrazione e dell’archiviazione e da Serena Sartori che segue tutta l’attività legata alla movimentazione delle opere, ai prestiti, al caveau in cui le opere sono conservate al buio, a 16 °C costanti, fuori dalla cornice in cartelle a PH neutro, insomma con tutte le caratteristiche della conservazione museale. Abbiamo poi un laboratorio per il conservatore e restauratore, un collaboratore fisso che si occupa sia di mettere in sicurezza le opere acquistate e fornire tutta una serie di indicazioni riguardo lo stato di conservazione delle opere a cui siamo interessati, sia, nella fase di organizzazione delle mostre, intervenendo nella preparazione al trasporto e all’esposizione al pubblico. Di fatto, come vedete, una struttura piccola ma simile a quella presente in moltissimi musei”. Un patrimonio da diffondere Dopo tre intensi anni di lavoro la Collezione Ramo ha raggiunto una piena fase di consolidamento: “Abbiamo concordato con il collezionista una lista di 110 nomi che potessero rappresentare al meglio il novecento italiano. Abbiamo dunque acquisito moltissime opere fino a raggiungere le circa 600 attuali. Può apparire un numero elevato, ma in realtà la scelta è stata abbastanza problematica con l’esclusione di artisti


Umberto Boccioni, Bozzetto per Crepuscolo, 1909. Matita grafite, carboncino e pastelli colorati su carta, 68.7 x 68.05 cm (courtesy Collezione Ramo, Milano)

meritevoli. Era d’altra parte indispensabile porsi un limite anche per motivi di natura temporale. Ovviamente, una collezione non è mai rigidamente «chiusa» ma è sempre suscettibile di ampliamenti. Detto ciò l’obiettivo prefissato è stato raggiunto e a questo punto abbiamo un eccezionale patrimonio da diffondere e far conoscere il più possibile”. Oggi la Collezione Ramo, in quanto raccolta privata, viene messa a disposizione di istituzioni museali sotto forma di prestiti – “abbiamo già prestato in Italia, ma anche al Museo d’Orsay l’anno scorso in occasione di una mostra di Wildt”, precisa la curatrice –, in modo da espandere la conoscenza del disegno d’arte nell’ambito del novecento italiano, che è stato poi lo scopo centrale del collezionista. Il prossimo appuntamento a cui la Collezione Ramo parteciperà con una presenza importante di opere è la Biennale del disegno di Rimini (23 aprile - 10 luglio), manifestazione unica in Europa giunta alla sua seconda edizione: “A questo punto iniziamo finalmente ad aprirci al pubblico e questa di Rimini è un’altra bella occasione”, ci spiega Zucca Alessandrelli. “La prima edizione è stata un po’ sottotono sia perché era una novità sia per il budget ridotto ma questa seconda edizione rientra nelle politiche dei Beni culturali ed è stata impostata molto più in grande con una trentina di mostre organizzate in altrettante sedi museali nell’area del riminese, fra cui il Museo

Archeologico, il Castello Sismondi, la Biblioteca Malatestiana e molti altri spazi. Qui verranno ospitati i disegni intesi in tutte le possibili declinazioni, dall’anatomia all’architettura, dalla biologia alle carte geografiche. Come Collezione Ramo partecipiamo con una selezione da me curata di una sessantina di opere, sul concetto di «marziano», riferito a quegli artisti del novecento talmente rivoluzionari e innovatori che la loro epoca ha fatto fatica a digerire e comprendere, e ancora superficialmente interpretati oggi. Sono sedici autori fra cui Adolfo Wildt, Medardo Rosso, Fortunato Depero, Maria Lai, artista sarda che ha spesso usato il filo sulla carta, Cagnaccio di San Pietro, con il disegno preparatorio di Primo denaro che è la sua tela più importante, Domenico Gnoli, ancora in parte considerato un illustratore perché ha avuto una carriera singolare: ha lavorato negli Stati Uniti per i magazine a New York producendo disegni davvero eccezionali, ma anche Tancredi Parmeggiani, che è stato associato all’informale. Personaggi decisamente eterogenei ma accomunabili proprio per la forza e la straordinaria novità delle ricerche”. ringraziamenti Un sentito grazie alla dr.ssa Irina Zucca Alessandrelli e a tutto lo staff della Collezione Ramo per la collaborazione e l’aiuto alla realizzazione del presente reportage.


Marino Marini, Senza titolo, 1941. Matita grafite su carta, 38 x 28.9 cm (courtesy Collezione Ramo, Milano)


Attivi è meglio Tendenze p. 40 – 41 | di Marco Dalla Bruna

M I mesi appena trascorsi hanno lasciato come ricordo in molti di noi un girovita più abbondante e qualche chiletto in più di cui tanti farebbero volentieri a meno. Manifestazioni come “Let’s Move for a Better World” – che si chiude sabato 19 marzo – hanno il pregio di rilanciare il tema della salute. E soprattutto di promuovere un sano movimento…

entre la fatidica “prova costume” si avvicina a grandi passi, in tanti sentono il bisogno di correre (letteralmente) facendo jogging all’aperto oppure frequentando le palestre del nostro cantone. Ma il problema peso va al di là della propria forma: secondo alcuni studi, infatti, i bambini di oggi potrebbero essere la prima generazione ad avere un’aspettativa di vita più breve di quella dei propri genitori. Visto che negli ultimi 30 anni l’obesità infantile è aumentata del 200%, secondo dati forniti lo scorso anno dall’Organizzazione mondiale della sanità, OMS. Il motivo è l’aumentata sedentarietà dei più giovani rispetto al passato e come concausa un’alimentazione e uno stile di vita che troppo, spesso favoriscono il nascere di alcune preoccupanti patologie come il diabete, ma anche problemi cardiovascolari.

Più ci si muove, più si fanno punti I ragazzi, ma non solo loro, devono quindi imparare l’importanza di avere abitudini alimentari sane e praticare attività fisica. Ecco perché ogni anno viene lanciata la campagna Let’s Move for a Better World – sino al 19 marzo; promossa dalla Technogym, azienda romagnola specializzata nella progettazione e produzione di attrezzature sportive – volta a favorire il movimento e a combattere obesità e sedentarietà tra la popolazione. In pratica consiste in una sfida tra strutture fitness a livello mondiale (ma la competizione può essere anche solo a livello nazionale) invogliando gli iscritti nelle diverse palestre a “donare” la propria fatica, concretizzata in “moves”, l’unità di misura dell’attività fisica elaborata allenandosi sulle macchine cardio e forza connesse al cloud mywellness. La campagna ha anche uno scopo benefico, in quanto ai primi tre classificati di questa particolare sfida verrà data la possibilità di donare un certo numero di attrezzature sportive all’associazione, palestra o scuola, che desidera. In Svizzera si sono iscritte una ventina di palestre, da Ginevra a Zurigo, passando da Berna, Friburgo e San gallo, e in Ticino partecipano il Free Time Club Lugano e la Malcafit di Caslano. A livello svizzero, lo scorso anno la vittoria è andata alla palestra Lillo’s Fitnessträff di Döttingen, mentre al secondo posto si è classificata proprio la palestra malcantonese. A livello mondiale invece, sempre nel 2015, hanno partecipato 17 paesi, in Europa, Nord America e Asia, con 356 centri e un totale di 79.370 partecipanti. In questa particolare classifica, vinta dalla Spagna e seguita da Olanda e Italia, la Svizzera si è classificata al nono posto, con un numero di palestre però spesso nettamente inferiore ai paesi in cima alla classifica (un quinto della Spagna, a titolo di esempio).


Palestre: un mondo tutto da scoprire È comunque positivo segnalare che negli ultimi anni il numero di iscritti nelle palestre è sempre in costante aumento, come conferma Raffaele Pellegrini proprietario della Malcafit: “È vero, negli ultimi anni il numero degli iscritti nelle palestre è aumentato. Una tendenza comune a livello globale, non solo del Luganese. Credo sia aumentata la consapevolezza dell’importanza di svolgere un’attività fisica regolare per mantenere un certo benessere e un certo stile di vita. Ma forse è anche cambiato il modo di andare in palestra. Una volta significava probabilmente quasi solo alzare pesi e fare un po’ di corsetta sul tapis-roulant. Oggi le cose sono cambiate tantissimo. Sono cambiate le attrezzature e il modo di allenarsi”. Sì perché oggi gli attrezzi da palestra più evoluti sono collegati a internet, sono in grado di “suggerire” come allenarsi, monitorando la preparazione, mettendo in grado lo stesso utilizzatore di valutare i propri miglioramenti e le proprie performance. Queste grandi sale dove regna la fatica, ma anche lo svago, oggi sono frequentate da iscritti un po’ di tutte le età, da chi ci tiene a curare il proprio fisico e decide di sudare per qualche oretta, a chi magari si iscrive per ragioni terapeutiche. Anche perché mantenersi in buona forma fisica è generalmente sinonimo di buona salute. Certo l’impegno e i carichi di lavoro possono essere molto diversi, ma ognuno può trovare il proprio ritmo e il proprio stile di allenamento. “Nelle palestre ci sono iscritti che vanno dal ragazzino adolescente, alla persona un po’ più anziana” spiega ancora Raffaele “ma la maggior parte delle persone hanno

un’età compresa tra i 20 e i 45 anni. Si iscrivono essenzialmente per cercare di tenersi in forma”. Il risultato ottenuto lo scorso anno dalla palestra malcantonese in occasione del Let’s Move for a Better World è stato sorprendente: “Sì, è stato un risultato incoraggiante”, confida Raffaele, “nel periodo della campagna c’è stato un aumento delle presenze, anche se l’importante è stato riuscire a sensibilizzare la gente a fare più sport per sentirsi meglio”. Incentivi a “muoversi”, anche economici Da diversi anni chi frequenta una palestra può beneficiare di un rimborso dalle casse malati di una parte della tassa di iscrizione. Queste ultime infatti riconoscono una quota dei costi sostenuti dagli assicurati che frequentano i centri fitness. L’ammontare del rimborso dipende dall’assicurazione e può variare da 200 a 600 franchi all’anno. È necessario, però, avere la relativa copertura assicurativa complementare e il centro fitness deve essere riconosciuto da Qualitop, la comunità di interessi di alcuni assicuratori malattia per la garanzia della qualità nei centri fitness. Insomma, per molti è meglio investire qualche franco in più per mantenersi in forma e vivere meglio che essere costretti a passare alla cassa per curare malattie dovute a una vita troppo sedentaria. Senza contare che l’attività fisica ha un’influenza positiva anche sul nostro umore, con la riduzione di sensi di ansia e stress, ma anche sul cervello, e di conseguenza sulle nostre capacità cognitive.


La domanda della settimana

Nevica per alcune ore e l’intera viabilità entra in crisi. Un cantone di montagna come il Ticino è preparato a eventi da considerarsi normali nella stagione invernale?

Inviate un SMS con scritto T7 SI oppure T7 NO al numero 4636 (CHF 0.40/SMS), e inoltrate la vostra risposta entro giovedì 24 marzo. I risultati appariranno sul numero 14 di Ticinosette.

Al quesito “Corruzione, truffe, doping, scommesse, evasioni fiscali ecc. Il mondo dello sport è la nuova frontiera della criminalità?” avete risposto:

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Astri ariete La primavera inizia con il passo giusto. Situazioni piacevolmente inaspettate. La vita è una avventura e voi, figli di Marte dovreste saperlo bene.

toro Grazie a Giove e a Venere, vi sarà un’impennata della vita sociale e affettiva. Favorite le relazioni romantiche. Giornate propizie tra il 21 e il 23.

gemelli Possibili scontri con la vostra famiglia di origine. Farete di tutto per portare avanti una vostra idea… Mercurio, dal 22 marzo in poi, è con voi.

cancro Approfittate della primavera per liberarvi di ogni zavorra e fare pulizia di tutto quello che può sembrarvi dannoso. Positive le giornate tra il 21 e il 22.

leone Opportunità professionali anche all’estero. Attenti alle multe e alla guida. Dal 23 incontri stimolanti e colloqui di lavoro favoriti da Mercurio.

vergine Una vena trasgressiva è ormai chiaramente presente nei vostri cieli. Accontentala ma senza poi eccedere. Maggior riposo tra il 21 e il 22.

bilancia I rapporti con il partner tendono a diventare più fluidi e creativi. Ottime le relazioni con tutti e tre i segni d’aria. Seducenti i nati nella prima decade.

scorpione Seguite il vostro istinto. Andando a fiuto senza tentennamenti. Affari tra il 20 e il 23 marzo. Una situazione che sembrava sfumata si ripropone.

sagittario Troverete le parole giuste in ogni situazione. Determinati nell’espressione delle vostre idee; il periodo che si sta delineando è ricco di scelte.

capricorno Vita mondana. Benefici dal mondo delle relazioni esterne. Opportunità professionali per creativi e architetti. Siate meno aggressivi con i familiari.

acquario Pensate differente. Date una svolta prometeica alla vostra vita tornando a rubar con successo il fuoco ai falsi dei. Bene con l’Ariete e la Bilancia.

pesci Momento giusto per occuparsi delle proprie finanze. Venere benevolo nei confronti dei nati nella seconda decade. Sorgere di avventure sentimentali.


Gioca e vinci con Ticinosette

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 14

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate il numero 0901 59 15 80 (CHF 0.90) entro giovedì 24 marzo e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 22 marzo a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Orizzontali 1. Un Adriano della canzone • 10. Campestre, agreste • 11. Una voce del pokerista • 12. Sarcastica • 14. Io, in altro caso • 15. Negazione • 16. Un affluente del Danubio • 18. Il verso della cornacchia • 20. Aspettata • 21. Trasparenti come il vetro • 23. Thailandia e Svezia • 24. Ebbe la moglie trasformata in statua di sale • 25. Segnale d’arresto • 27. Pretenziosi • 30. Sbarramento fluviale • 31. Un gas nobile • 33. Rabbia • 34. Un verbo da Mata Hari • 35. Serratura • 36. Consonanti in ateneo • 37. Il vil metallo • 39. Il dio egizio del sole • 40. Il musqué del pellicciaio • 41. Opera di Bellini • 43. Governava a Venezia • 44. Belva striata • 45. San Gallo sulle targhe • 46. Concorso Internazionale • 48. Consonanti in ligio • 49. Vasto continente • 51. Vale a dire • 52. Bailamme. Verticali 1. Governa a Montecarlo • 2. Il far del giorno • 3. Vantaggio • 4. Il cibo quotidiano • 5. Arti pennuti • 6. Permessi dalla legge • 7. Responsabilità Civile • 8. Sciatto, trasandato • 9. Capolavoro • 13. Stop! • 17. Barella • 19. Coccodrilli • 20. Sportelli • 22. Ginnastica indiana (Y=I) • 25. Venatura • 26. Occidente • 28. Baronetto inglese • 29. Morbido pellame • 32. Verdura, legume • 34. Barra di ferro • 38. I confini di Roveredo • 40. Fulva • 42. Alberi fruttiferi • 47. La fine di Aramis • 49. Avanti Cristo • 50. Casa centrale.

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Premio in palio: buono per le offerte del tempo libero di RailAway FFS RailAway FFS offre 1 buono del valore di CHF 100.– per le sue offerte del tempo libero. Un esempio è l’offerta “Falconeria Locarno” che include il viaggio con i mezzi pubblici e l’entrata a uno spettacolo con il 20% di sconto. ffs.ch/falconeria

Con RailAway FFS alla Falconeria Locarno. Scoprite l’affascinante mondo dei rapaci alla Falconeria di Locarno, dove potrete osservare e fotografare da vicino aquile, falchi, gufi e avvoltoi. Questi splendidi uccelli, con il loro volo libero, vi trasporteranno in un mondo del tutto fiabesco.

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