Ticino7

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№ 12

del 22 marzo 2013

con Teleradio 24 – 30 marzo

Angelo e Valentino Monotti

sguArdi sul progresso

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Ticinosette n° 12 del 22 marzo 2013

di

Arti Morton Feldman . Musica e materia

oReste bossini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Impressum

Kronos Collera creativa

Tiratura controllata

Società Neuroscienze . Il cervello “diviso”

70’634 copie

Chiusura redazionale Venerdì 15 marzo

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Vitae Erminio Capezzuto

di

di

RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

nicoletta baRazzoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

di

di

MaRiella dal FaRRa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

MaRco JeitzineR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage Lo spirito del progresso Fiabe I sette saggi e l’elefante

di

a cuRa di

GiancaRlo FoRnasieR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

chiaRa PiccaluGa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Redattore responsabile

Tendenze Timerepublik . Amici del tempo

Coredattore

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Fabio Martini

Giancarlo Fornasier

Photo editor

5 8 10 12 14 39 46 48 50 51

Agorà Sordità: un problema sottovalutato

di

ludovica doMenichelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel . 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel . 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt .ch www .ticino7 .ch www .issuu .com/infocdt/docs

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Valentino Monotti, “Costruzione del ponte ferroviario sulla Ribellasca a Camedo”, L/34.6, 1916 (part .) ©Archivio di Stato, Bellinzona

Un politico da contestualizzare La scomparsa di Giuliano Bignasca non ha lasciato indifferente il cantone: conosciuto da almeno un ventennio – viste le sue posizioni e le proposte “fuori dal coro”–, per alcuni è stato il picconatore degli ingessati partiti storici e delle grandi famiglie, per altri il colpevole dell’imbarbarimento del confronto politico . Non vi è testata che in questi giorni non abbia ricevuto prese di posizione da parte di cittadini, amministratori locali o esponenti della politica cantonale rispetto alla morte del presidente leghista . Ne pubblichiamo una giunta alla nostra Redazione che introduce almeno un elemento che a oggi pare essere stato poco considerato: il contesto storico-geografico nel quale la Lega dei Ticinesi è nata e si è sviluppata . Egregio direttore, vivo da oltre trent’anni in Ticino, non ho il passaporto rosso e non ho mai creduto che per appartenere a una nazione sia necessario per forza di cose pagare uno stato per avere dei diritti che dovrebbero essere di tutti. I miei genitori – friulani – si sono trasferiti in questo cantone per ragioni di lavoro: degli immigrati che non hanno avuto vita facile quando negli anni settanta in Ticino e nel resto della Svizzera italiani, spagnoli e portoghesi vivevano ai margini della società e lavoravano sodo per dimostrare che non erano né dei fannulloni, né degli incivili poco inclini alla doccia e alla pulizia personale. Ma tant’è, questa nazione li ha accolti e grazie al duro lavoro sono riusciti a far studiare i loro figli e a costruirsi un futuro. Io insomma dovrei essere una di quelle che per nulla al mondo avrebbe mai dovuto sentirsi vicina a movimenti politici convinti che l’immigrazione e il frontalierato siano i veri mali della nostra civiltà, da combattere, contrapponendo poveri e miserabili contro miserabili e altrettanto poveri. Invece, ho inizialmente simpatizzato per la Lega lombarda di Bossi e per quella veneta negli anni a seguire, sono

favorevole all’Europa delle Regioni e non delle nazioni, sono convinta che la particolarità delle culture minoritarie – come quelle italofone in Ticino e nei Grigioni – siano da difendere e sia necessario conferire loro poteri diversi, garantendo strumenti di autonomia amministrativa. Non per nulla i partiti regionalistici hanno proliferato in tutta Europa già a partire dai primi anni ottanta. Bossi ne è un esempio, così come buona parte dei movimenti “separatisti” europei (fiamminghi, baschi) che in fondo rivendicano una voce che i governi centrali non riconoscono loro (o solo in parte). […] In questi giorni i giornali non fanno che pubblicare sentite lettere e ringraziamenti per ciò che “il Nano” ha fatto per questo cantone: ho visto intere trasmissioni parlare solo di lui e del suo ruolo di “spartiacque” e rinnovatore della politica prima luganese poi cantonale, con tanto di immagini da “funerali di stato” trasmesse dalla tv a ripetizione. Eppure, in pochi mi pare si sono chiesti che cosa ha spinto Giuliano Bignasca a creare un movimento/partito, gli interessi (anche privati) di chi voleva difendere e a che cosa si sia ispirato. La Lega è nata vent’anni fa, quando esperienze simili nel resto del continente si erano già affermate. E non poteva essere altrimenti, visto l’odio per i poteri centrali – come i “ladroni” di Roma – e l’insicurezza dettata da un mondo che stava radicalmente cambiando (dopo il crollo del Muro di Berlino). Bignasca un grande politico? Non so: io credo sia stato l’espressione sudalpina di una certa visione della politica, fatta di voci grosse e pugni sul tavolo. Tante parole e proclami ma, di fatto, forse pochi risultati e molti insulti: sinceramente mi sarei aspettata di meglio in termini di concretezza e azione politica. Un modo di fare coerente forse con l’amministrazione di una città (come Lugano). Ma i sogni strampalati fanno parte di questa realtà e gli idealisti un po’ naïf anche. E credo che Bignasca fosse uno di questi. Cordiali saluti, D. F. (Viganello)


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Sordità: un problema sottovalutato

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Piccole, ma progressive perdite di udito non sono infrequenti anche in età giovanile. Si sente meno, si fa fatica a comprendere il significato delle parole, ma raramente si affronta la situazione. Con il rischio di vivere una sorta di autoisolamento e di rinunciare in parte al piacere delle relazioni di Roberto Roveda

S

pesso ci si presta poca attenzione circondati come siamo dal rumore, dal cosiddetto “inquinamento acustico”. Il silenzio non esiste praticamente più e il frastuono di fondo in cui siamo immersi ci rende nervosi, ci stressa anche se non ce ne accorgiamo. Disturba il sonno e gradualmente finisce per avere delle conseguenze anche sul nostro sistema uditivo. Oggi, infatti, anche solo vivere in città molto rumorose può rappresentare una fonte di rischio per l’udito. Soprattutto i giovani, ma non solo loro, che ascoltano la musica a tutto volume, in cuffia come in discoteca, abitudini che con il tempo possono produrre danni all’orecchio e portare ad abbassamenti dell’udito anche di importante entità. Allo stesso tempo ci occupiamo poco di curare il nostro apparato uditivo. Dall’otorino si va solo se si evidenzia un problema grave – per esempio un’otite dolorosa – e difficilmente ci si sottopone a visite di controllo come è d’uso con il dentista oppure l’oculista. L’esame audiometrico – la prova per misurare la capacità uditiva – è poi considerata faccenda da vegliardi. Invece non sono rare le patologie che colpiscono i giovani e che progressivamente portano a udire meno bene. È il caso della otosclerosi, una degenerazione delle strutture ossee del labirinto, la parte interna dell’orecchio, una patologia che interessa una persona su 250 e che si manifesta tra il 20 e i 30 anni. A causa del processo di otosclerosi si verifica un “blocco” (anchilosi) del movimento della staffa, un ossicino (...)


dell’orecchio, nella sua sede. Mancando il corretto movimento della staffa, il suono viene trasmesso meno bene e la persona perde progressivamente l’udito, senza che si manifesti alcun dolore o altro disturbo evidente.

Agorà

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Calo d’udito: un problema sottostimato Nei fatti, vi è una generale sottostima dei problemi dell’udito, che in realtà sono più ampi di quanto vengano riconosciuti. Una perdita di udito lieve spesso non viene neppure percepita dalla persona, perché l’organismo mette SIMPLY CLEVER in campo meccanismi di compensazione attraverso gli altri quattro sensi. Quando invece abbiamo un peggioramento della vista, per problemi di miopia o di presbiopia, ce ne accorgiamo subito e quindi corriamo ai ripari. Una seconda ragione di scarsa attenzione al tema della sordità progressiva è legata al fatto che perdere l’udito è una cosa di cui tutti fanno esperienza – quando si diventa anziani e si incomincia a sentire meno bene – quindi c ult uralmente non viene percepita come una vera e propria disabilità, ma piuttosto come una naturale conseguenza dell’avanzare dell’età. Allo stesso tempo la sordità è una disabilità sensoriale poco evidente. Le persone non udenti possono muoversi liberamente nel proprio ambiente, guidano l’automobile, viaggiano… Questo rende difficile identificarle a prima vista. Lo stesso non si può dire per le conseguenze della cecità, che è l’altra disabilità sensoriale. La sordità, però, crea problemi rilevanti nella comunicazione e, talvolta, nella costruzione delle relazioni e nello sviluppo cognitivo, elementi assai importanti nella formazione dell’individuo, anche se appunto poco visibili. A parlarcene è la dottoressa Raffaella Carchio, specializzata in psicologia della sordità e docente presso la facoltà di Psicologia dell’università Bicocca di Milano.

dopo diverso tempo alla rassegnazione e all’accettazione. Di fatto, una persona che perde completamente l’udito deve imparare ad accettare di avere una disabilità permanente, non reversibile; per qualcuno si tratta di una percezione di sé nuova e spaventosa. Vi è poi il caso in cui la perdita non è repentina, ma avviene lentamente; in questa evenienza si può avere il tempo per abituarsi al cambiamento e studiare quali strategie mettere in atto per sopperire alla perdita. In questi casi è anche meno difficile accettare la situazione dato che si ha il tempo per cercare una soluzione, come un’operazione chirurgica o l’utilizzo di protesi acustiche. In entrambi i casi, però, il soggetto mette in campo delle resistenze difficili da superare. Una resistenza è rappresentata dal fatto che molte persone, pur avendone bisogno, non utilizzano la protesi acustica… Per spiegare questo possiamo ricorrere al parallelo tra vista e udito. Portare gli occhiali – come succede a tanti, dai più piccoli ai più anziani – nella nostra società non è percepito come un motivo di disagio www.skoda.ch per chi è costretto a farlo, anche perché non rimanda a un handicap ma a un difetto. Anzi, da alcuni anni, ci sono persone che indossano occhiali anche senza avere un problema di vista, giusto per “arredare” un po’ il proprio viso. L’apparecchio acustico invece è uno strumento utilizzato esclusivamente da persone che hanno un deficit importante, chi è nato o diventato sordo oppure persone molto avanti con gli anni. Non è certo un oggetto di moda, ma anzi connota una categoria di persone con un problema conclamato. Le persone si sentono disabili a usare l’apparecchio, anche quando magari hanno un deficit moderato e per loro potrebbe essere molto vantaggioso usarlo.

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Dottoressa Carchio, che cosa accade a una persona che in età adulta riscontra un calo significativo d’udito? Nei casi in cui la perdita d’udito è improvvisa, e avviene magari in età adulta, dal punto di vista psicologico, si verifica un completo cambio di prospettiva di vita. Ci sono alcuni esempi di persone che si sono ritrovate dall’oggi al domani completamente sorde. In una situazione così estrema, si è presi dal panico. Non si riesce a capire che cosa stia succedendo e il senso di impotenza è assoluto. Il processo di accettazione è abbastanza lungo: lo stupore e lo shock iniziale lasciano il posto alla rabbia, alla depressione e solo

Si tratta quindi di una resistenza culturale che finisce con l’andare a discapito delle persone? Sicuramente. La nostra cultura ci ha insegnato che questo tipo di oggetto viene usato solo da persone che hanno una disabilità permanente, allo stesso modo della sedia a rotelle per chi non può più camminare. In alcuni casi gli occhiali riescono a correggere il difetto visivo di cui la persona soffre e così si può smettere di utilizzarli. Al contrario, una volta che si inizia a usare l’apparecchio acustico non si smette più, perché non è uno strumento correttivo, ma va piuttosto a supplire una mancanza. Fondamentalmente le persone che vanno incontro a un deficit uditivo, soprattutto in età adulta ma non anziana, provano un senso di isolamento a cui tante volte non si


prova a dare una soluzione, anche quando potenzialmente ci sarebbe, per esempio, un apparecchio acustico oppure un piccolo intervento chirurgico nel caso della otosclerosi citata precedentemente. Per questa malattia è possibile praticare una esplorazione in anestesia locale (timpanotomia) che consente di valutare l’effettiva degenerazione dei tessuti dell’orecchio e immediatamente intervenire con l’impianto di una piccola protesi che ristabilisce il corretto funzionamento della trasmissione uditiva. Un intervento in microchirurgia, poco rischioso e doloroso, che risolve i problemi in oltre SIMPLY CLEVER il 90% dei casi. Problemi di comunicazione e frustrazione Nella maggior parte dei casi, viceversa, la persona che sta perdendo l’udito decide di attuare delle strategie compensative, come il farsi ripetere le frasi più volte oppure l’evitare situazioni che possono essere difficoltose. Così come progressivamente cala la capacità di sentire, può crescere proporzionalmente il disagio a stare con gli altri e la tendenza a isolarsi, a chiudersi in se stessi, a rinunciare a priori ad alcune attività, come andare al cinema oppure ascoltare un concerto o una conferenza. Spesso la sordità progressiva provoca piccole incomprensioni in famiglia perché chi sta vicino a una persona che sta perdendo l’udito spesso non capisce il blocco che porta il proprio caro a non fare nulla per risolvere il problema. Allo stesso tempo la persona debole d’udito vive un senso di isolamento e di esclusione, con la conseguente difficoltà a partecipare ed essere coinvolto nella normale e quotidiana comunicazione familiare. Ma non si tratta solo di questo. Vi è infatti la difficoltà di comprendere l’altro, che si interseca con quella di sentirsi a propria volta poco compreso, perché gli equivoci sono all’ordine del giorno. E anche uno sguardo diverso, da parte di un familiare, può generare sospetti e disagio. La relazione con gli altri si fa più problematica, per questo tutta la famiglia è chiamata ad affrontare un percorso di consapevolezza comune, che deve portare infine alla comprensione reciproca.

deve adottare delle strategie – direi proprio nuove regole di comunicazione – per coinvolgere la persona nelle conversazioni, come per esempio dialogare guardandosi in viso o rispettare i turni di parola per evitare il sovrapporsi delle voci durante le conversazioni. È un po’ come entrare in una nuova dimensione culturale, con codici di comportamento nuovi: le abitudini sono spesso faticose da introdurre, ma necessarie per venire incontro alla persona in difficoltà. In più, rispetto ad altre patologie, la sordità (o comunque una perdita uditiva significativa) genera più rabbia negli altri perché è meno evidente. Nella nostra cultura il termine “duro d’orecchio” identifica qualcuno che in realtà non ha voglia di ascoltare e di rispondere e non chi non è in grado di farlo, suo malgrado. Allo stesso modo, mentre ci è più facile renderci conto dei casi in cui l’organo della vista è danneggiato, ciò non avviene per l’udito, proprio a causa dell’invisibilità della disabilità di cui abbiamo parlato precedentemente. Inoltre la perdita uditiva può non essere stabile e peggiorare a seconda delle condizioni ambientali in cui ci si trova: rumori di www.skoda.ch fondo, luoghi affollati, ma anche fattori climatici come il passaggio rapido dal caldo al freddo; per questo motivo spesso il non sentire può essere considerato dagli altri un atto di volontà oppure un espediente che può tornare utile a proprio vantaggio.

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Dottoressa Carchio, che tipo di approccio è richiesto alle persone che vivono a contatto con un congiunto che soffre di questi problemi? Qualunque malattia importante di un componente della famiglia riverbera sugli altri membri. Quindi l’elaborazione del lutto che vive una persona rispetto alla propria perdita uditiva è un processo che devono affrontare anche i familiari. L’intero nucleo

Nello stesso tempo, la persona che è debole d’udito deve cercare a ogni costo una soluzione pratica al suo problema? Ovviamente bisogna valutare caso per caso. In alcune situazioni l’apparecchio può essere una buona soluzione, e può dare grandi risultati. Sicuramente suscita rabbia nei familiari della persona che sta perdendo l’udito il fatto che questa, proprio a causa delle resistenze di cui abbiamo accennato, non faccia nulla di concreto per curarsi. Anche perché è un problema che coinvolge direttamente la vita di chi gli sta vicino. I familiari fanno fatica a capire che questo non avviene per malafede o scarso amor proprio, ma perché – come dicevamo prima – le resistenze sono molto forti: per esempio, molti hanno paura di farsi operare perché temono di perdere ancora di più l’udito. Come per la vista, esiste infatti una piccola percentuale di rischio che l’operazione peggiori la situazione. Le tante ansie possono ritardare il momento in cui si giunge a prendere la decisione di intervenire e questo può essere fonte di frustrazione per i parenti.

per saperne di più Associazione Ticinese Deboli d’Udito (ATiDU); atidu.ch

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Musica e materia Compositore geniale e pianista statunitense, Morton Feldman ha utilizzato lo spartito musicale come materia nella quale scavare. Alla ricerca dell’essenzialità e della purezza del suono di Oreste Bossini

In principio c’era la Cedar Tavern, un locale con bar e cucina tra la 11esima e la 12esima strada, dalle parti del Greenwich Village. Negli anni cinquanta il quartiere era piuttosto malfamato e i prezzi degli affitti decisamente bassi, quindi era un posto ideale per pittori squattrinati in cerca di un loft dove impiantare lo studio. La maggior parte degli artisti che abitavano al Village si trovavano la sera a bere o a mangiare alla Cedar Tavern, dove quasi ogni giorno si potevano trovare personaggi come Jackson Pollock, Willem ed Elaine de Koonig, Franz Kline, Mark Rothko, Robert Motherwell, Philip Guston. In pratica la Cedar Tavern divenne in breve tempo il quartier generale della nuova pittura americana e del cosiddetto Espressionismo astratto. Arti

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Tutti in un locale La bohème radunata attorno alla Cedar Tavern era completata dal chiasso dei poeti beat, un gruppo di ragazzi più giovani e incontenibili, dalla creatività esplosiva e sopra le righe. I più in vista erano Allen Ginsberg, Gregory Corso, Jack Kerouac e Frank O’Hara. Potevano mancare dei musicisti? No, naturalmente. Infatti la sera bazzicava i tavoli della Cedar Tavern anche John Cage, già al centro di tutte le relazioni artistiche della città, e dietro di lui una nidiata di musicisti più giovani che lo consideravano una specie di guida spirituale. Tra loro spiccavano dei compositori con delle idee completamente rivoluzionarie, specie per quel che riguardava la scrittura musicale e il materiale sonoro: Morton Feldman, Earle Brown, il pianista David Tudor e un giovanissimo rampollo di un’importante famiglia di intellettuali europei, Christian Wolff. La scena artistica di New York offriva uno spaccato eccezionale di quella stratificazione sociale e culturale che aveva formato nel giro di un paio di generazioni il melting pot del paese. Alcuni di loro erano ebrei fuggiti dai pogrom scoppiati in Russia e in Polonia nei primi anni del Novecento, come Mark Rothko, la maggior parte invece erano i figli di quegli ebrei immigrati, come Philip Guston, Allen Ginsberg, Morton Feldman. C’erano poi italo-americani come Gregory Corso, che di nome faceva Nunzio, e gente di origine irlandese come Jackson Pollock o francese come Jack Kerouac. Le arti a confronto La cosa veramente eccitante di questo momento particolare della vita culturale di New York era la reciproca influenza esercitata da tutti questi artisti sul lavoro degli altri. Musica, arte e poesia dialogavano in maniera feconda come di rado era accaduto nella storia, malgrado la sempre maggiore specificità dei vari linguaggi. L’esempio forse più eloquente di questo pas-

saggio continuo da un’esperienza artistica all’altra è la figura di Morton Feldman, di cui è stata da poco pubblicata la prima raccolta di scritti tradotti in italiano, Pensieri verticali (Adelphi, 2013). Il rapporto tra musica e arte in Feldman assume un carattere ben diverso da quello che è possibile rilevare in altri artisti del passato. Arnold Schönberg e George Gershwin, per esempio, sono stati anche pittori, così come Paul Klee fu a lungo incerto se intraprendere la carriera di musicista. Ma nel caso di Feldman, invece, l’arte non rappresentava un’alternativa all’espressione creativa musicale, bensì una metafora nella quale rispecchiare le proprie riflessioni di carattere per così dire filosofico. “La musica non è la pittura, lo so – si legge in un testo del 1965 intitolato L’angoscia dell’arte – ma potrebbe imparare molto da questo temperamento più percettivo, che osserva paziente il mistero insito nei suoi materiali, tutto il contrario dell’interesse privato del compositore per il suo mestiere. Poiché la musica non ha mai avuto un Rembrandt, siamo rimasti dei musicisti e basta”. Soggettività sonora Feldman, come scrive B.H. Friedman nella splendida introduzione al volume, “sembrava fuori misura, un’esagerazione dell’umano, come certe invenzioni letterarie, Gargantua o Falstaff”. Lo scrittore Daniel Stern, con un passato da violoncellista prima di dedicarsi alla letteratura, lo aveva preso a modello per raffigurare un personaggio del suo romanzo The Rose Rabbi (Syracuse University Press, 1997), il compositore Henry Crown, che ci viene presentato nell’atto di “pilotare tutta la sua pingue grazia, i piedi delicatamente divaricati, l’indice tozzo che spinge contro il naso gli occhiali da dodici diottrie”. Eppure quest’uomo dalla carnalità smodata e dall’inarrestabile eloquenza polemica ha scritto la musica forse più lirica e delicata prodotta nel Novecento. Il suo ideale era di riuscire a comporre una musica senza strumenti, anche se egli stesso ammetteva che l’idea fosse un po’ troppo letteraria per così dire. Feldman sognava di sottrarre al suono la sua necessità storica, per restituire alla dimensione aurale pura la sua verginità naturale. Per questo, il tipo di pittura che stavano sperimentando gli artisti della Cedar Tavern gli appariva essenziale anche per chiarire a se stesso gli scopi e i processi del suo lavoro musicale. L’immediatezza del rapporto tra lo sguardo dello spettatore e la materia fisica della pittura stesa sulla tela era una metafora perfetta anche per il tentativo di Feldman di ottenere una notazione musicale determinata dal suono piuttosto che dal segno grafico. L’ascoltatore, in sostanza, doveva cercare da solo un giusto rapporto con la fonte sonora, così come un visitatore di una mostra è indotto dal proprio occhio a trovare l’esatta collocazione rispetto all’opera.


lezioni di composizione da Stefan Wolpe, un musicista ebreo e comunista fuggito dalla Germania nel 1933 e imbevuto di tutte le teorie più moderne della musica europea. “Ma non facevamo altro che questionare di musica – raccontava Feldman – e a me sembrava che non stessi imparando niente. Un bel giorno smisi di pagarlo. Non ne parlammo mai. Continuai ad andare da lui, continuammo a questionare, e ancora lo facciamo, dopo diciotto anni”. La sua formazione artistica si svolse nelle interminabili discussioni quotidiane alla Cedar Tavern con gli amici pittori, poe­ ti e musicisti, a cominciare da John Cage, conosciuto a un concerto di Mitropoulos alla Carnagie Hall. Più anziano di quasi una generazione, Cage esercitò un’influenza determinante sul giovane musicista grazie al semplice fatto di accogliere, con la consueta generosità, quel che c’era di originale nel suo lavoro. “Davvero, a volte mi chiedo che ne sarebbe stato della mia musica se John non mi avesse dato quella prima autorizzazione a fidarmi del mio istinto”. Con la musica dei suoi coetanei europei in­ vece non riuscì mai a venire a patti. Boulez e Stockhausen rappresentavano per Feldman l’onnipotenza del metodo e l’opprimente primato della storia, che incarnavano l’an­ titesi più radicale alla sua idea del fenomeno artistico. La ribellione alla storia propugnata dai musicisti di Darmstadt, infatti, portava Morton Feldman (1926–1987). Immagine tratta da labouscarle.wordpress.com in sé il germe dell’autoritarismo, così come la Rivoluzione francese aveva incorporato Le affinità con Philip Guston anche il Terrore e la Rivoluzione d’Ottobre la dittatura del Feldman conosceva bene la maggior parte degli artisti del proletariato. Feldman invece voleva liberare il suono dall’in­ Village. Era talmente stimato nell’ambiente artistico che la pit­ timidazione del modo di attacco, e l’artista dall’angoscia di trice Mercedes Matter lo invitò a sovrintendere i dipartimenti venire accettato all’interno di un canone. Per questo motivo di pittura, disegno e scultura alla New York Studio School vedeva nella figura di Edgard Varèse il vero precursore di una per tre anni, dal 1969 al 1971. Di tutti gli artisti frequentati, musica nuova, originale, vulnerabile e umana. tuttavia, quello a cui Feldman era più legato fu Philip Guston. I quadri di Guston, specie le grandi tele astratte e vuote degli Il gigante e la tastiera anni Sessanta, respiravano di una vita liberata dai detriti della Nel campo della pittura invece solo Piet Mondrian, secondo storia e totalmente immersa nella vibrazione del sentimento. lui, aveva raggiunto un grado altrettanto alto di purezza espres­ Feldman in Philip Guston: l’ultimo pittore, un magnifico saggio siva e di totale immediatezza lirica. L’aspetto essenziale del apparso nel 1966, scriveva: “Ciascun dipinto di Guston è una mistero della pittura di Mondrian consisteva nel fatto di essere frase, che non nega la precedente né redime la successiva”. La loro il frutto di un lungo processo empirico, attraverso numerosi amicizia s’interruppe bruscamente, poco prima che Guston tentativi e ripensamenti ancora visibili direttamente sulla morisse, nel 1980. Lo stesso Feldman ha raccontato com’è tela. Così come un musicista deve materialmente affondare andata: “Philip era il mio amico più intimo e anche il mio amico le mani nella tastiera per creare la musica, Mondrian aveva la più intimo nell’arte. Poi io andai in Europa per un anno; anche lui necessità di tracciare a mano libera le linee e i volumi dei suoi stette via un anno, a Roma, alla American Academy. Torno, e lui fa dipinti, attraverso l’intuito delle proporzioni e dei rapporti tra una grossa mostra. Andai a vederla e mi trovai davanti un tipo di i pieni e i vuoti. Feldman procedeva analogamente. opere completamente nuovo. In precedenza ero sempre stato molto La musica esisteva solo se prendeva la forma del tempo incoraggiante... perfino troppo. Era una grossa mostra in una galle- all’interno di una concreta esperienza del suono, qualcosa ria molto importante, la Marlborough Gallery, c’era un mucchio di di analogo al “piano pittorico” delle tele di Rothko. Ecco gente. Stavo guardando un quadro, quando Philip mi viene vicino e come lo descrive B.H. Friedman, la prima volta che lo vide mi fa: «Cosa ne pensi?». «Beh,» dico io «fammelo guardare ancora al pianoforte, nel 1955: “Ricordo la presenza voluminosa del un attimo». E con questo, la nostra amicizia finì”. musicista, la grossa testa e l’ampia schiena torreggianti sopra uno sgabello che sembrava un piedistallo troppo fragile per una scultura Formazione “sul campo” così massiccia. Curvò leggermente le spalle, sbirciando da dietro Feldman non ha avuto maestri nel senso tradizionale del le spesse lenti degli occhiali di tartaruga. Poi, con una delicatezza termine. A diciotto anni, quando già lavorava nella fabbrica squisita, dapprima sorprendente, poi inscindibile da quell’omone di indumenti per bambini del padre, cominciò a prendere e dalla sua musica, cominciò a suonare”.

Arti

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Collera creativa La collera – termine che rimanda alla rabbia, all’aggressività e alla violenza – è realmente un tratto inevitabile della condizione umana, correlato alle nostre emozioni? Amore e odio sono davvero le facce della stessa medaglia? di Nicoletta Barazzoni

Kronos

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Subire un’ingiustizia, una cattiveria, sentirsi una vittima rappresenta un dono biologico al pari dell’istinto sessuale e inerme, bersaglio di esclusione e indifferenza, aver perso ciò dei bisogni primari come fame, sete e sonno. L’etologo Kona cui teniamo, non sentirsi amati sono alcuni sentimenti che rad Lorenz, partendo dall’osservazione dei pesci, delle oche possono potenziare la nostra reazione collerica. Chi non si è e altri animali, riferendosi al genere umano, ha stabilito che mai trovato di fronte alle modificazioni psicofisiologiche di l’aggressività è una pulsione combattiva, un istinto come un un volto paonazzo, alla mascella contratta e al pugno alzato di altro per la conservazione della vita individuale e della specie. un furibondo? Alzi la mano chi non si è mai lasciato prendere In poche parole, questo significa che se le proporzioni dell’agda un moto iroso e da un travaso di bile gressività non sono gravi possiamo quando si è sentito violato nella sua dunque riconoscerla e gestirla a nostro persona e ha avuto paura. Anche se il favore, beneficiando della sua vitalità poeta John Dryden ci mette in guardia intrinseca? Vuol forse dire che se siamo dall’ira di un uomo paziente, la lista arrabbiati possiamo riconoscere in noi dei motivi che ci inducono alla collera un sentimento sano (al pari dell’amopotrebbe continuare rammentando la re) che sia in grado di portarci nuova rabbia verso se stessi, quella dell’inlinfa vitale? Sarà vero che la collera se colonnato, dell’indignato, dell’impolasciata libera, verbalizzata e espressa fa tente, del fallito, dell’ingannato. Sia posto all’amore e ci libera dalle catene essa determinata da un’esplosione di invisibili? È vero: se ci sforziamo di particelle chimiche (e da stravolgiriconoscerla e accettarla possiamo conmenti fisiologici) piuttosto che da vertire la collera in un’evoluzione peruna pulsione incontrollata di passione sonale! Spesso la comprimiamo dentro distruttiva, di solito collera e rabbia, di noi perché abbiamo imparato (e in anche quando non sono dannose, non questi termini l’educazione ci plasma) sono socialmente accettate. che non possiamo permetterci reazioni Una certa corrente di pensiero, insieme socialmente inaccettabili soprattutto alla neuroscienza, sostiene che esse perché sappiamo che passeremmo inesiano legate a un processo biologico vitabilmente dalla parte del torto. chimico, quello adattativo della soTina Turner. Immagine tratta pravvivenza circoscritto da Darwin. Conversione costruttiva da lehigh.happeningmag.com Per alcuni antropologi invece queste Nel film Thelma e Luise la rabbia scaemozioni sono inscindibili dall’appartenenza culturale, dal turisce dalla condizione femminile che viene percorsa in un milieu educativo in cui si sviluppano e crescono. Studiosi “godimento liberatorio”. A bordo di una Thunderbird del della psiche sono convinti che il trauma psicologico e fisico 1966, le protagoniste spingono le loro vite ai bordi di un presia intimamente connesso alle reazioni di rabbia, emozione cipizio, manifestando apertamente la loro collera. Si ribellano primaria presente sin dalla nascita. a un’ingiustizia sociale, lasciando che la collera culmini nel loro suicidio. A quel punto le due rosse esplosive esprimono un Una prerogativa basilare comportamento autodistruttivo per essere state violentemente Non è dunque ancora definitivamente stabilito se la lista colpite dal potere maschile. delle manifestazioni della rabbia, dell’odio, del rancore, e Ci sono esempi in cui la collera è stata convertita in un prodel disprezzo, siano innate o apprese, e dunque ereditate. E getto costruttivo. La cantante Tina Turner, picchiata per anni nemmeno si può affermare con assoluta certezza se amore e dall’ex marito, ha acquisito sul palco la grinta di una donna odio dormano davvero sotto lo stesso tetto. E se nasciamo con combattiva ma solo per amore della musica. Le chiavi di lettura questi sentimenti che si amplificano o si controllano mentre per riconoscere il linguaggio della collera aggressiva, passiva veniamo inseriti in un contesto culturale. Nel libro Terapia della e affermativa possiamo senza dubbio inserirle in un decalogo rabbia (Sovera editrice, 2003), Edoardo Giusti e Flavia Germano comportamentale da acquisire, incollando alla finestra della affermano che questo sentimento è un’espressione basilare del nostra memoria l’aforisma di Simone de Beauvoir: “la collera è mondo emotivo. I due autori sostengono che l’aggressività un’atroce contraddizione nata dall’amore che uccide l’amore”.


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Società

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Il cervello “diviso”

Nel classico saggio “Le origini della vita”, i biologi evoluzionisti John Maynard-Smith ed Eörs Szathmary descrivono sette “principali transizioni” che avrebbero portato dalle prime molecole organiche al mondo così come lo conosciamo ora. La settima è l’acquisizione del linguaggio, una dotazione speciespecifica strettamente connessa all’architettura del cervello umano

Fra i diversi e sempre insoddisfacenti tentativi di comprendere il funzionamento del cervello umano e la sua relazione con la mente, ce n’è stato uno che immaginava la corteccia cerebrale suddivisa in tante piccole aree, ciascuna delle quali deputata allo svolgimento di una particolare funzione psichica, e il cui sviluppo era suscettibile di imprimere dei rilievi sulla teca cranica. Da cui l’espressione “avere il bernoccolo per” (la matematica, la poesia o altro). Stiamo parlando della frenologia, una dottrina medica fondata dal medico tedesco F.J. Gall all’inizio del XIX secolo: per noi, che viviamo nel XXI, essa è principalmente associata all’iconografia delle “mappe craniali” – alcune molto belle – dell’epoca, o alla loro riproduzione tridimensionale nel classico busto con la testa segmentata in zone deputate alla “perseveranza”, “vanità”, “propensione all’obbedienza”, “facoltà di calcolo” ecc.

di Mariella Dal Farra

La nascita delle neuroscienze Sebbene la frenologia abbia perso di credibilità al volgere del secolo (XIX), Gall è tuttora considerato il padre putativo delle moderne neuroscienze, e questo per avere fissato, anche se in maniera un po’ fantasiosa, il principio della localizzazione cerebrale, secondo il quale a determinate aree corrispondono determinate funzioni mentali (e non, come Gall credeva, caratteristiche di personalità e attitudini vocazionali). Tale principio venne convalidato di lì a poco da P.P. Broca (1824–1880), che per primo individuò la sede del linguaggio nell’ambito dell’emisfero sinistro del cervello, aprendo la porta a una prima, rudimentale mappatura dell’organizzazione encefalica. Tuttavia, nonostante i progressi compiuti di lì in avanti e l’enorme balzo effettuato negli ultimi trent’anni con l’ausilio delle tecniche di neuroimaging, siamo ancora ben lontani dall’avere conseguito una conoscenza soddisfacente dell’“oggetto” in questione. Due emisferi, diverse funzioni Tradizionalmente, uno degli aspetti più studiati in questo campo è quello della lateralizzazione emisferica, ovvero della specializzazione funzionale dei due emisferi cerebrali nel governare compiti psicologici di natura diversa. La parte destra e quella sinistra del cervello sembrano infatti caratterizzate da expertise differenti, laddove l’emisfero sinistro ospita molte delle aree deputate alla comprensione e alla produzione del linguaggio, mentre l’emisfero destro appare incaricato dell’elaborazione delle relazioni spaziali; per esempio, risulta superiore al sinistro nei compiti di “riconoscimento dei volti umani, di emozioni espresse attraverso il volto, di melodie, così come la capacità di orientarsi in un labirinto o su una mappa in assenza di indici verbali”1, il che gli ha guadagnato la nomea di “emisfero creativo”. Più in generale, “l’emisfero destro prevale nella costruzione della configurazione globale a partire dalle sue componenti, mentre l’emisfero sinistro è superiore nello scomporre analiticamente la configurazione globale negli elementi componenti”2. Questa distinzione nel modus operandi dei due emisferi potrebbe spiegare perché, anche se si tratta di un compito di pertinenza linguistica, l’emisfero destro risulterebbe superiore al sinistro nella comprensione di espressioni metaforiche non convenzionali (per esempio, una “scottante bugia”), dove due termini appartenenti a campi semantici


I computer e la coscienza di sé: l’occhio/obiettivo vigile di HAL 9000 (al centro) nel capolavoro 2001. Odissea nello spazio di S. Kubrick (1969)

distanti vengono interrelati in maniera inedita per produrre un nuovo significato.3 La destra e la sinistra Nel corso del tempo, i modelli impiegati per descrivere la dicotomia cerebrale sono passati dalla tipologia dello stimolo (verbale, spaziale, emotivo ecc.) al modo in cui lo stimolo viene processato (elaborazione “analitico-olistica”, “digitaleanalogica”, “seriale-in parallelo” ecc.). Nessuno di questi modelli è in grado, da solo, di spiegare fino in fondo la dialettica fra emisfero destro e sinistro; ciò che è certo, è che questa forma di lateralizzazione, peraltro variamente descritta, è comune alla quasi totalità dei soggetti destrimani, e cioè presso coloro che usano di preferenza, e in maniera più efficiente, la mano destra, così come il piede, l’occhio e l’orecchio destro. Nei soggetti mancini – si stima corrispondano al 5–12% della popolazione generale – tale asimmetria non sussiste e le funzioni cognitive risultano più equamente distribuite fra i due emisferi; lo stesso accade presso i soggetti ambidestri4. Per quanto riguarda le differenze intersessuali, nonostante in un primo tempo fosse stato ipotizzato che le donne siano a loro volta proporzionalmente meno lateralizzate degli uomini, le ultime ricerche paiono ridimensionare tale dato: il sesso sembra infatti spiegare in media solo lo 0,09% della varianza riscontrata fra soggetti, anche se sembrano sussistere differenze più significative in relazione a particolari processi5. Dividere per essere se stessi Il fascino esercitato su generazioni di ricercatori dalla specializzazione emisferica è in parte riconducibile al fatto che, anche se nella comunità scientifica esistono pareri discordanti, questa caratteristica sembra essere una prerogativa

specie-specifica: in natura, solo l’homo sapiens presenterebbe lateralità corporea e asimmetria emisferica. D’altra parte, è proprio “sulla facoltà di parola, intesa come caratteristica definente della specie, che una serie di linguisti […] hanno attirato l’attenzione in qualità di problema suscettibile di mettere in discussione il principio di continuità della teoria darwiniana”6. Il salto evolutivo fra uomo e scimpanzé potrebbe infatti essere stato causato da una mutazione genetica determinante la specializzazione cerebrale: premessa “anatomica” allo sviluppo di un sistema simbolico e, per estensione, alla nascita dell’autocoscienza. per saperne di più Per un approfondimento dei temi in oggetto, si segnalano i saggi: Il nostro cervello - Come funziona e come usarlo di Christine Temple (1998) e Prima lezione di neuroscienze di Alberto Oliverio (2011), entrambi editi da Laterza. Un inedito cultore della frenologia risulta essere, a sorpresa, Leonardo Di Caprio, o meglio il personaggio da lui interpretato, nell’ultimo film di Quentin Tarantino, Django Unchained: del tutto pretestuosamente, se ne consiglia qui la visione... note 1 E. Làdavas, C. Umiltà, “Specializzazione emisferica” in G. Denes, L. Pizzamiglio, Manuale di neuropsicologia, Zanichelli, 1990, pag. 183. 2 E. Làdavas, C. Umiltà, Op. cit., pag. 189. 3 G. Pobric, N. Mashal, M. Faust, M. Lavidor, “The Role of the Right Cerebral Hemisphere in Processing Novel Metaphoric Expressions: A Transcranial Magnetic Stimulation Study”, Journal of Cognitive Neuroscience 20:1, pp. 170–181 (2008). 4 E. Làdavas, C. Umiltà, Op. cit., pp. 193–194. 5 D.B. Boles, “A large-sample study of sex differences in functional carebral lateralization”, Journal of Clinical and Experimental Neuropsychology, 27, pp. 759–768, (2005). 6 T. Crow, “Directional asymmetry is the key of origin of modern Homo sapiens (the Broca-Annett axion): A reply to Rogers’ review of The Speciation of Modern Homo Sapiens”, Laterality, 9 (2), pp. 233–242 (2004), pag. 240.

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» testimonianza raccolta da Marco Jeitziner; fotografia di Flavia Leuenberger

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Erminio Capezzuto

Vitae

tino uniforme, usano spianare tutto, invece a Napoli il bordo supera il livello del pomodoro e della mozzarella. Si schiaccia la pallina al centro, poi la si allarga verso l’esterno e questa parte, il “cornicione”, quando la metti nel forno sale subito perché contiene aria, diventando morbida come il pane. Un’altra differenza che ho notato è che qui i clienti arrivano, mangiano e subito se ne devono andare. Invece da noi esiste l’amico-cliente, che si siede e passa un’oretta con te, mangiando con calma. Per un napoletano mangiare la pizza è come prendere il tè per un orientale: è un rito. Qui è un alimento qualsiasi, Cresciuto tra i forni a legna di Napoli, mentre per noi è irrinunciada quando vive in Ticino cerca di tra- bile, anche se non la mansmettere la filosofia della sua inesauribile giamo tutti i giorni. Tuttavia smentisco che la pizza faccia passione: la pizza ingrassare! È un pasto completo ma con dei prodotti leggeri via dall’Italia, di fare le mie che insieme creano un cibo unico ma non esperienze e di vivere da soabbondante. Una pizza fatta male, con tanto lo e non me la sono fatta lievito, può far male, quello sì, ma se è fatta scappare! Sono arrivato in un bene è un piatto unico. La pizza più bella da ristorante qui in Ticino grazie preparare per me? La Margherita, l’unica vera a un contatto giù al mio papizza: pomodoro, mozzarella, basilico, una ese. C’era un’opportunità di spruzzatina di parmigiano e un filo d’olio. lavoro come aiuto pizzaiolo Quella che mi piace meno è la Tonno e cipole non ho esitato un minuto. le, un’antipatia, perché mi sporco troppo le Dopo aver fatto una prova mani. Ho già fatto ricette assurde. Dei tededi lavoro sono stato assunto. schi mi hanno chiesto la pizza con la frutta, Ormai sono quasi tre anni e ma se a Napoli chiedi una con l’ananas o col mezzo che vivo in Ticino e mi melone, ti lasciamo fuori! (ride, ndr.) La pizza trovo benissimo. peggiore che mi ricordo è quella che fanno Quello che cambia tra la pizza in America: ha solo la forma rotonda, ma di giù e quella di qui, di sicome sapori proprio… e poi la riempiono di curo sono gli ingredienti per ingredienti che si gonfiano di qualsiasi cosa, l’impastamento: sale, lievito, no… in America non la sanno fare. In Italia, farina (quella nostrana che dal sud al nord, la pizza cambia e ogni pizzaprepariamo noi), acqua e olio iolo ha il suo metodo. A Roma per esempio extravergine, che influenza la fanno come qui, schiacciata, alcuni non molto il risultato. Perché se usano nemmeno le mani ma la pressa mecmetti un olio di semi... Poi canica! Ma questi non sono pizzaioli! Oppure c’è la fase di lievitazione: una la cuociono nel fornetto elettrico; ma allora volta impastata la massa deve facci il pane, non le pizze! stare insieme dalle quattro Tra cinquant’anni vedo la pizza come ora. Sealle cinque ore, deve lievitare condo me non c’entra nulla la tecnologia con almeno per un’oretta e poi questo lavoro, ma si deve portare avanti la faccio le palline da 240, 250 tradizione, fatta a mano, non col mattarello, grammi l’una. Una volta fatte e cotta nel forno a legna. Alcuni colleghi che le palline, c’è la seconda lieviconosco non è che sono esauriti, ma vorrebtazione che è fondamentale: bero cambiare lavoro. Questa professione ti così la pizza esce molto più impegna anche nei giorni di festa, il sabato alta e non croccante come la sera, la domenica: non si ha molto tempo mangiano di solito al nord. da dedicare a sé stessi. Tuttavia, per come la Qui sono abituati alla pizza penso adesso, continuerò perché mi sento tutta di una misura, un biscotfiero di essere un pizzaiolo.

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S

ono nato a Massa di Somma, un paese situato sulle pendici del Vesuvio in provincia di Napoli. A undici anni mi sono trasferito con la mia famiglia in Irpinia. A quindici anni e mezzo ho cominciato a fare il garzone. Un giorno sono uscito di casa e sono andato a chiedere se avevano bisogno di un aiuto pizzaiolo nel mio paesino, Mirabella Eclano in provincia di Avellino. Mi hanno accettato, non l’ho fatto per soldi, perché già da piccolino avevo l’intenzione di diventare pizzaiolo. È una cosa che mi veniva da dentro. Ogni volta che si andava in pizzeria giù a Napoli, dovevo restare vicino al bancone per vedere il pizzaiolo come si muoveva. Per me è un modo di esprimersi. C’è differenza tra il pizzaiolo e il cuoco, perché il pizzaiolo è più free, è più libero, io mi sento così, una persona solare e ho bisogno di stare a contatto con il pubblico. Invece il cuoco è chiuso nella cucina e non ha contatti. Per questo il forno a legna, secondo me, deve sempre essere a vista in un locale. Ho lavorato per tre anni sempre nello stesso posto e il mio maestro, Gigi Somma, anche lui della provincia di Napoli, è una brava persona, genuina! A lui mi sono ispirato e con lui ho incominciato a intraprendere questo cammino della pizza, diciamo “evoluta”. Ho davvero visto come si procede per la vera pizza napoletana. Non ho frequentato una vera e propria scuola per pizzaioli, ma la scuola alberghiera ad Ariano Irpino dove mi sono diplomato. Comunque la scuola è importante ma quello che ti perfeziona è la pratica, l’esperienza sul campo. Giù da noi la situazione lavorativa era critica e adesso è ancora peggio! Lavoravo dalle cinque del pomeriggio fino all’una del mattino per quindici euro al giorno. C’è chi rimane a casa coi genitori fino a quarant’anni, ma io ho preferito andarmene. C’era l’occasione di andare


• Lo spirito del progresso •

Angelo e Valentino Monotti

a cura di Giancarlo Fornasier; fotografie ©Archivio di Stato, Bellinzona


“La

struttura in ferro […] si inserisce geometricamente «dentro» il paesaggio. Il fotografo sceglie un punto di vista che esalta la geometria della struttura e introduce al contempo una forte ambiguità spaziale fra i diversi piani del paesaggio. Nel complesso l’immagine pare anticipare l’estetica del fotomontaggio costruttivista o quello della Bauhaus nel rapporto fra il paesaggio naturale e la costruzione metallica che disegna un altro spazio”. L’immagine a cui fanno riferimento le parole del direttore del Museo Cantonale d’Arte, Marco Franciolli (Catalogo, p. 13), chiude questo reportage, un doveroso omaggio al lavoro di Angelo e Valentino Monotti, fotografi locarnesi ai quali Lugano dedica una piccola ma affascinante esposizione. Con Antonio Rossi, Grato Brunel, Carol Sasky e pochi altri, Angelo Monotti (1835–1915) è stato un vero pioniere della fotografia; un’attività svolta a partire dal 1860 prima a Livorno, più tardi (1870 circa) in Ticino. Un amore per la tecnica fotografica proseguita nella prima metà del Novecento dal meno noto ma assai prolifico figlio Valentino (1871–1953); i due terzi del Fondo Monotti – ricco di oltre 2500 documenti catalogati e digitalizzati, di cui 1518 negativi e 664 stampe – sono infatti attribuiti a lui. La loro attività si divideva tra la classica ritrattistica (foto di persone, singole o in gruppo) e la fotografia di paesaggio (edifici, manufatti, monumenti). In questo secondo ambito corposa è la presenza di immagini documentaristiche che mostrano le fasi costruttive della strada delle Centovalli fatte dal padre Angelo, e della “Centovallina”, la linea ferrata che da Locarno raggiunge il confine di stato a Camedo per poi proseguire verso la Valle Vigezzo e scendere a Domodossola. Un’importante opera ingegneristica immortalata a partire dal 1916 da Valentino Monotti.

Testimoniare “il progresso” Solo una parte delle fotografie che pubblichiamo in queste pagine sono visibili nella mostra che, per scelta dei curatori (Archivio di Stato e Museo Cantonale d’Arte), si concentra sulla produzione ritrattistica di Angelo. Ma le immagini presenti nel fondo e dedicate alla costruzione delle due opere sono tante e di tale qualità – anche estetica e compositiva – da meritare un’attenzione particolare: per la possibilità di apprezzare gli aspetti tecnico-costruttivi dei manufatti e, in soprattutto, per il loro enorme valore storico. Esse infatti vanno viste e lette in un contesto socio-politico di sviluppo economico regionale ben preciso. Come ci conferma lo storico Gianmarco Talamona, coordinatore dei progetti di valorizzazione dei fondi fotografici dell’Archivio: “Le realizzazioni della strada e della ferrovia delle Centovalli, si inseriscono nel generale spirito di progresso che, a (...)

sopra Valentino Monotti, “Intragna. Veduta panoramica del villaggio, con il ponte della Centovallina (a destra, ndr.)”, L/10.77, 1939 (?) nella pagina precedente Valentino Monotti, “Diligenza Locarno-Russo nei pressi di Intragna. Veduta panoramica, con diligenza, postiglione, passeggero e contadino (in secondo piano il villaggio di Intragna)”, L/2.6, 1910–1926


mostra Angelo Monotti. Fotografo ticinese dell’Ottocento Museo Cantonale d’Arte, via Canova 10, 6900 Lugano. Sino al 14 aprile 2013. Ala Est, entrata gratuita. Orari: lunedì chiuso; martedì 14–17; mercoledì–domenica e lunedì di Pasqua 10–17. Tel. +41 91 910 47 80; museo-cantonale-arte.ch Il catalogo con tutte le immagini visibili nell’esposizione e i contributi critici di M. Franciolli e G. Talamona, è edito dalle Edizioni dello Stato del Cantone Ticino, 2013


sopra Valentino Monotti, “Ponte ferroviario della Centovallina sull’Isorno. Veduta del manufatto in costruzione, con gru (sullo sfondo il Ponte dei Cavalli)”, L/92.8, 18 aprile 1916 nella pagina di destra Angelo Monotti, “Ponte in costruzione. Veduta dell’arcata del manufatto, con operai in posa”, Intragna (?), L/29.6, 18 ottobre 1889 Valentino Monotti, “Ponte ferroviario della Centovallina a Verdasio. Veduta del manufatto in costruzione”, L/33.2, 1917 Angelo Monotti, “Strada di Centovalli. Ponti sull’Isorno e Gura vicino Intragna. Veduta dei manufatti”, L/37.2, 1896 circa



cavallo tra il XIX secolo e il XX secolo, ha portato nel nostro cantone alla realizzazione di importanti opere di utilità pubblica, come l’incanalamento di fiumi (Ticino, Maggia, Vedeggio) e, appunto, la costruzione di moderne vie di comunicazione. Tali opere furono possibili soltanto grazie alla parte che lo stato, nel corso di quel periodo, viepiù si assunse nel loro finanziamento: l’ottenimento di sussidi federali e cantonali rivestiva infatti una condizione sine qua non per l’effettiva realizzazione di progetti di tali dimensioni. A lungo vagheggiata dalla popolazione locale ma segnata nel suo sviluppo da difficoltà di finanziamento, la strada delle Centovalli cominciò a prendere forma nel 1889, grazie a un importante anticipo da parte dei comuni di Borgnone e Palagnedra, e fu conclusa soltanto nel 1906. Angelo Monotti, che rivestì la carica di sindaco di Cavigliano tra il 1885 e il 1888, fu certamente coinvolto nelle discussioni relative al progetto di strada ed è verosimile che in quel contesto sia entrato in contatto con l’ingegner Ferdinando Gianella, direttore del Dipartimento delle pubbliche costruzioni nel periodo 1885–1892 e promotore di numerose opere pubbliche. Gli scatti dedicati da Angelo Monotti ai ponti e ai cantieri delle Centovalli tra il 1890 e il 1895 nacquero proprio dal rapporto tra il sindaco-fotografo e l’ingegnere-Consigliere di Stato”.

Valentino Monotti: dalla strada alla ferrovia La continuità generazionale vuole che, oltre vent’anni più tardi, Valentino segua la lenta nascita della Locarno–Camedo. Un corpus fotografico imponente – che nulla ha da invidiare a quello del padre Angelo –, a oggi ancora poco noto ma meritevole certamente di maggiore considerazione. Anche in questo caso il contesto storico-politico aiuta a comprendere il lavoro svolto da Valentino Monotti. Ancora lo storico Gianmarco Talamona: “In un affascinante parallelo, tra il 1916 e il 1917, il figlio ripercorse la stessa strada del padre. Il progetto era riconducibile al «fermento ferroviario» che ha caratterizzato il Ticino dei primi due decenni del XX secolo, quando, sull’onda lunga dell’apertura della linea del Gottardo (1882), si assistette alla fioritura delle linee regionali. Nelle intenzioni dei loro promotori, esse dovevano rappresentare delle sorte di ramificazioni della linea ferroviaria che univa il nord e il sud dell’Europa, e in esse si riponevano molte aspettative per lo sviluppo economico e turistico delle valli. La realizzazione della Centovallina, tuttavia, fu un’operazione lunga e a tratti tortuosa, che si estese su oltre un decennio. Se un primo progetto vide la luce già nel 1898 – a cura del sindaco di Locarno Francesco Balli – soltanto nel 1909 fu costituita la Società per le

Valentino Monotti, “Costruzione del ponte ferroviario sulla Ribellasca a Camedo. Veduta del cantiere durante i lavori di costruzione dei pilastri e delle arcate, con la dogana italiana (in alto a sinistra, ndr.)“, L/34.05, 9 ottobre 1916

Valentino Monotti, “Costruzione del ponte ferroviario sulla Ribellasca a Camedo (...)”, L/31.3, 9 ottobre 1916


ferrovie regionali ticinesi, che si proponeva la costruzione del tratto ferroviario Ponte Brolla–Camedo (tra Locarno e Ponte Brolla era già attiva la Valmaggina). Assicurati i finanziamenti, verificati gli aspetti tecnici e presi i dovuti accordi per garantire la prosecuzione della linea sino a Domodossola, nel 1913 iniziarono i lavori veri e propri, diretti dall’ingegner Giacomo Sutter. La Centovallina, sulla sua strada, incontrò tuttavia numerosi ostacoli e i lavori, sospesi a più riprese, non si conclusero che nel 1923”. In un crescendo di investimenti e di rinnovamento delle infrastrutture (si pensi alle centrali idroelettriche), spinte economiche e desiderio di modernità, il Ticino passa dai cavalli alla diffusione delle ferrovie regionali e di manufatti che sfidano le leggi di gravità, simboli di modernità e arditezza costruttiva. Lo “spirito del progresso” getta ponti tra un passato rurale (la pietra) e il futuro (il metallo) fatto di piccole-medie industrie. Oggi, a pochi anni dalla conclusione del progetto del secolo (AlpTransit e le trasversali alpine), si fa pressante il potenziamento dei trasporti e delle ferrovie regionali – prima costruite, poi smantellate a favore della gomma e della strada –, e il rimpianto per i “vecchi” tram cittadini. Ci si accorge così di quanta miopia, anche politica, vi sia stata in quelle scelte.

Valentino Monotti, “Ponte ferroviario della Centovallina a Verdasio. Veduta del manufatto in costruzione, con personaggi”, L/34.2, 1917

ringraziamenti Un sentito grazie per la grande cortesia e la preziosa collaborazione all’Archivio di Stato di Bellinzona, nella persona di Gianmarco Talamona che ha permesso a Ticinosette l’accesso a tutte le immagini presenti nel Fondo Angelo e Valentino Monotti. Questa e altre importanti collezioni di materiali fotografici sono consultabili online all’indirizzo: www3.ti.ch/DECS/sw/struttura/decs/dcsu/ac/asti/cff/ Per un ulteriore approfondimento sui fondi e sull’importante lavoro svolto dell’Archivio di Stato di Bellinzona vi rimandiamo a “Storie di luminose proiezioni”, un reportage fotografico apparso in Ticinosette n. 44/2010 (issuu.com/infocdt/docs/n_1044_ti7)

Angelo Monotti, “Ponte in ferro sul fiume Maggia. Veduta del manufatto, con personaggio in primo piano e la chiesa di Solduno sullo sfondo”, F/80.10, 1895 circa


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I sette saggi e l’elefante

In una casina in mezzo ai campi viveva una

famiglia molto numerosa, ma anche tanto povera che sopravviveva coltivando unicamente frumento. Tra nonni, zii, figli, nipoti e pronipoti abitavano in più di venti sotto lo stesso tetto. Come ogni giorno si erano alzati di buon’ora, molto prima del sorgere del sole, per fare colazione, uno dei pasti più importanti, indispensabile per prepararsi a una giornata di duro e intenso lavoro nei campi. Era un momento gradito a tutti perché radunava i membri della famiglia intorno a un enorme tavolo. Inoltre, spesso era l’unico pasto della giornata e quindi bisognava cercare di immagazzinare un bel po’ di energia. Seduti insieme a tavola parlavamo di ogni cosa, di quello che era avvenuto il giorno prima, di come andava Fiabe il raccolto, di chi doveva andare al mercato per vendere il frumento ecc., ma soprattutto era l’occasione migliore per pianificare il lavoro della giornata. Ma quella non era una mattina come le altre perché proprio in mezzo al campo si era materializzata una montagna grigia: in realtà, si trattava di un elefante. Ora dovete sapere che in quel paese non esistevano elefanti e nessuno aveva la minima idea di come potessero essere fatti questi animali. La famiglia di contadini, intimorita dal grosso bestione e consapevole che non poteva per-

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di Chiara Piccaluga illustrazione di Rachele Masetti

mettersi di saltare un giorno di lavoro, decise di convocare i sette saggi delle valli circostanti per decidere sul da farsi. I sette uomini giunsero su dei carri fino al campo, ma temendo che si sarebbero spaventati alla vista di quell’enorme animale, vennero bendati e avvicinati lentamente all’elefante in modo che ognuno potesse toccare solo una parte del suo corpo.

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ritorno dal campo i sette saggi vennero accolti dalla famiglia impaziente di sapere che cosa mai fosse quello strano essere e come avrebbero fatto per rimuoverlo per poter di nuovo riprendere il consueto lavoro. “Beh”, disse il primo che gli aveva toccato un orecchio, “è un enorme ventaglio” . “Assolutamente no”, intervenne il secondo che gli aveva toccato una zanna, “è una spada acuminata”. “Ma proprio per niente!”, esclamò il terzo. “Assomiglia a una tromba, sì a una grossa tromba”. Il saggio gli aveva infatti toccato la proboscide. “Ma cosa state dicendo? Piuttosto è compatto come un tronco d’albero”, disse il quarto che gli aveva toccato una zampa. “Per me è un’enorme mongolfiera che è atterrata lì per sbaglio”, sentenziò il quinto che aveva toccato il ventre del pachiderma. “Non capisco di cosa state parlando…”, ribatté il sesto che aveva toccato il fianco. “Secondo me è un muro che respira”. “Non è vero!”, esclamò fermamente il settimo. “Per me è una gigantesca scopa”. Questi aveva toccato la coda.


I sette saggi cominciarono a litigare, ciascuno rifiutando di ascoltare la descrizione degli altri sei e la famiglia di contadini non sapendo più che cosa fare chiese udienza al re. “Sire”, disse il più anziano della famiglia “abbiamo convocato sette saggi per capire che cos’è quella montagna che abbiamo in mezzo al nostro campo e che non ci permette di portare avanti il lavoro, fondamentale per la nostra sopravvivenza, ma ognuno sostiene una cosa diversa; non sappiamo più a chi credere”. Il re allora ascoltò i pareri dei sette saggi e dopo un lungo silenzio disse: “Tutti e sette dicono la verità, ma ognuno di loro ha toccato solo una parte dell’animale, e quindi conosce solo una parte di verità. Finché ognuno crede di essere il solo ad avere ragione, nessuno conoscerà la verità intera. I diversi colori del caleidoscopio non si mescolano forse per formare un solo e splendido disegno?”.

Il re parlò allora dell’elefante mettendo assieme le sette descrizioni e la famiglia capì che altri non era che una bestia pacifica che si sarebbe spostata spontaneamente, per cui non vi era ragione di sospendere il lavoro della giornata. Ma non solo… capirono anche che prima di giungere a conclusioni affrettate è importante ascoltare tutti e farsi un’idea globale della situazione al fine di comprendere al meglio le cose del mondo. Quindi la saggezza nasce infatti dall’ascolto dei punti di vista degli altri, rispettando quella che potrebbe essere la verità di ciascuno per poi creare una verità comune. (Liberamente ispirata a un racconto sufi)

Fiabe

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Amici del temp◴ timerepublik.com

Tendenze p. 48 – 49 | di Ludovica Domenichelli

Che Cos’è Timerepublik? È una “banca del tempo”, ma non solo. Il baratto nell’era dei social network, ma non solo. È un luogo d’incontro, un modo per farsi conoscere, un’opportunità per arricchire il proprio curriculum. Si tratta di una nuova rete sociale il cui scopo è stimolare lo scambio di favori tra gli utenti della community. Insomma: sei in grado di aggiustare un lavandino? Di organizzare una festa di compleanno per bambini? Di tradurre dal russo al portoghese? Di attaccare quadri alle pareti? In cambio ti serve qualcuno che ti poti il bosso? Che ti stiri i vestiti? Oppure hai bisogno di un musicista per il matrimonio di tua sorella?

Una banca del tempo nell’era del web, ovvero Timerepublik.Com. È qUesto il nome di Un nUovo social lanciato lo scorso 21 dicembre da dUe ticinesi, Gabriele donati e Karim varini, con l’obiettivo di diventare Una repUbblica diGitale meritocratica


tAlenti offresi

Aprirsi A nuove possibilità

Come nelle più classiche banche del tempo, il cui concetto ha origini antichissime, su Timerepublik ciascuno mette a disposizione le proprie capacità, i propri talenti in cambio di tempo, che può poi usare per richiedere ciò di cui ha bisogno. L’ora diventa quindi unità di scambio e sostituisce il denaro e il tempo accumulato ed è spendibile senza restrizioni in seno alla community. Ma Timerepublik va oltre la classica banca del tempo. Innanzitutto perché essendo una comunità virtuale, non ha confini geografici. Si può fare capo all’idraulico più vicino, così come ottenere una consulenza turistica dal Giappone. L’utilizzo è semplice: basta cliccare sull’icona “ricerca talenti”, digitare ciò che si sta cercando (traduttore, violinista, ecc.) e istantaneamente si otterrà una lista di utenti – dal più vicino al più lontano – in possesso di quello specifico talento. Cliccando sul nome dell’utente si accede al suo profilo pubblico dove poter consultare dati, informazioni, fotografie e prendere contatto. I diffidenti si chiederanno: come posso evitare fregature? Ogni utente viene valutato in base a puntualità, qualità del servizio e rapidità attraverso un sistema in forma grafica (stelline) e numerica (da 1 a 10). Vi è pure la possibilità di esprimere un giudizio qualitativo sulla persona, non necessariamente legato alle sue qualità tecniche. Gli amministratori di Timerepublik si riservano inoltre il diritto di assegnare degli Awards. Tre valutazioni distinte dunque che dovrebbero ridurre al minimo le brutte sorprese

La community di mutuo aiuto vuole rendere giustizia al “favore”, ridare dignità al tempo e permettere a chi possiede determinate capacità di metterle a disposizione, di farsi conoscere e apprezzare, con risultati positivi anche nella vita reale. Non da ultimo per quelle categorie di persone che solitamente più di altre sono escluse, per vari motivi, dalla parte attiva o produttiva della società: i disoccupati, gli studenti e i pensionati. Categorie di persone che magari proprio mettendosi in luce all’interno della community di Timerepublik, e guadagnando riconoscimenti da parte di chi con loro ha avuto a che fare, potrebbero invece aspirare a trovare un’occupazione. Una delle fonti di ricavo del progetto, finora finanziato dai fondatori, è quella di offrire servizi a società di ricerca e selezione, che potrebbero essere interessate a scoprire a quali giardinieri, consulenti pubblicitari o tecnici informatici, solo per fare degli esempi, la community assegna maggiori riconoscimenti. E allora perché non provare? Perché se sei un idraulico e sei disoccupato, e su Timerepublik sei valutato come un professionista eccellente, chi ti dice che presto non troverai un impiego?


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Astri toro

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Infatuazioni e colpi di fulmine improvvisi. Situazioni inaspettate dove “guerra” e “amori” si confondono in danza. Vulnerabili durante l’opposizione lunare tra il 27 e il 28 marzo. 29 marzo sotto i migliori auspici.

I valori della vostra dodicesima casa solare tendono a esser fortemente sollecitati. Colpi di fulmine e relazioni clandestine di “contrattacco” a Saturno in opposizione. Cruciali le giornate tra il 27 e il 28 marzo.

Fortemente sollecitati i valori dell’undicesima casa solare. Il momento è ideale per far partire alla grande un vostro progetto. Collaborazioni e colpi di fulmine. Atmosfere ricche di “charme” tra il 27 e il 28 marzo.

La rivoluzione è inesorabilmente in atto. Approfittate di questa primavera per fare pulizia di tutto quello che vi appesantisce. Grandi cambiamenti per i nati nella prima decade. Tagliate ogni cordone ombelicale.

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Inizio primavera segnato da eventi straordinari. Cambiamenti di vita soprattutto per i nati in luglio. Passione per le nuove tecnologie. Colpo di fulmine imperioso e incontrollabile. Avanzamenti professionali.

Stanchezza tra il 25 e il 26. Con Mercurio in opposizione si rende inevitabile andare più a fondo nella gestione dei problemi interpersonali. Nella mente si stanno affacciando troppe idee in una volta sola.

Primavera ricca di cambiamenti per i nati a inizio segno. Se volete andare avanti dovete rischiare puntando alla meta. Seguite il vostro istinto e così il vostro cuore. Stanchezza e irascibilità tra il 27 e il 28 marzo.

Grazie a Mercurio e a Nettuno vi sentite particolarmente ispirati. il transito stimola l’immaginazione rendendovi sensibili agli aspetti del mondo intorno a voi. Bene tra il 25 e il 26 marzo.

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Improvvisa impennata della vita sociale. Incontri d’amore per i nati nella prima decade. Colpi di fulmine. Persone fuori del comune. Favorite le scelte più rivoluzionarie. Giornate propizie tra il 27 e il 28 marzo.

Primavera ricca di sfide. Se volete andare avanti dovete rischiare in prima persona. Siete in stato di guerra. Il periodo si presenta difficile. Non sono ammesse politiche attendiste. Bene tra il 25 e il 26 marzo.

Rischiate! Pensate differente. Date una svolta prometeica alla vostra vita tornando a rubare con successo il fuoco ai falsi dei. Colpi di fulmine e relazioni imperiose. Bene con l’Ariete e con i Gemelli.

Mercurio e Nettuno in congiunzione. Tra il 25 e il 26 Luna in opposizione. State attenti a non prendere lucciole per lanterne. Movimentata la vita finanziaria a causa dello stellium di pianeti del segno dell’Ariete.

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Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 28 marzo e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 26 mar. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Orizzontali 1. Lavorano sui tetti • 10. Dentina • 11. Nel centro di Valencia • 12. Fo, premio Nobel • 13. L’Edith della canzone francese • 14. Un cetaceo • 15. Un figlio di Noè • 16. Nulla • 18. Il pupo dell’Iris • 20. Il Sodio del chimico • 21. Cortesi, gentili • 23. Padroneggiato, sottomesso • 24. Fa un fuoco che dura poco • 26. Cuore… materno • 27. Leva… centrale • 28. Pari in borgo • 29. Le ricerca il poeta • 30. In coppia con Gian • 32. Rabbia • 34. Anelli nuziali • 36. Mangiare a Zurigo • 39. Articolo romanesco • 40. L’opposto di pari • 42. La bevanda che si filtra • 43. Il re di Camelot • 44. Le iniziali di Pappalardo • 46. Importunava le Baccanti • 48. Il nome di Sorrenti • 51. La coppa vinta dal Brasile • 52. Grossa ciliegia. Verticali 1. Noto film del 2004 di Frank Oz con Nicole Kidman • 2. Guasto navale • 3. Pile • 4. Figura geometrica • 5. Vocali in broglio • 6. Negazione • 7. Squalificati • 8. La Silvia vestale • 9. Sottostante, minore • 13. Mezza paga • 15. Burla • 17. Il fiume di Londra • 19. Ubbidire, adempiere • 22. Cuor di cane • 23. Consonanti in Diego • 25. Pilota militare • 29. Taumaturgo russo • 31. Cuba e Germania • 33. Rimanere • 35. Nome di donna • 37. Società Anonima • 38. Li coccolano i nonni • 41. Iridio e Zolfo • 45. La memoria del PC • 47. Profonda, intima • 49. Una nota e un articolo • 50. Le iniziali di Arigliano.

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