Ticino7

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№ 50

del 14 dicembre 2012

con Teleradio 16 – 22 dicembre

Svizzera vs Europa

DiS-accorDi

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Ticinosette n°50 del 14 dicembre 2012

Agorà Accordi bilaterali: quale futuro? Kronos Il bene e il male

di

Visioni Un piccolo tesoro

di

CaRlo baggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

di

eugenio KlueseR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Arti Cage e Boulez . La teoria degli opposti Media Reality show . Il peggio e il meglio Vitae Andrea Bertarini

di

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RobeRto Roveda . . . . . . . . . .

di di

oReste bossini . . . . . . .

niCola deMaRChi . .

gaia gRiMani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage Polizia di Ginevra

di

R. Roveda; foto di d. Ruef . . . . . .

Tendenze Moda . Gonna (da vera donna)

di

MaRisa goRza . . . . .

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Piccole note fotografiche Come anticipato dal curatore Marco Gurtner sulle pagine de “laRegione Ticino” il 7 dicembre scorso, vista la buona e costante affluenza di pubblico la mostra “12 x 7” è stata prolungata sino al 27 gennaio 2013 . Chi dunque non ha avuto la possibilità di ammirare le immagini dei dodici fotografi – selezionati tra quelli che negli ultimi due anni hanno collaborato con Ticinosette – ha ancora alcune settimane di tempo per visitare l’esposizione, inserita in un contesto storico-architettonico che vale certamente la pena scoprire: la stessa Casa Pellanda, rilevante edificio del XVI secolo, ma anche le vicine chiese dei Santi Pietro e Paolo (XI secolo) e di San Carlo, la Via Crucis che sale verso l’oratorio di Santa Petronilla (ricostruito nel 1632) e il Museo storico militare Mondascia . Ma Biasca è anche un perfetto punto di partenza per riscoprire le indubbie bellezze storiche e paesaggistiche delle Valli superiori che, al di là degli episodi di cronaca che sembrano averne fatto il terreno di caccia prediletto per topi d’appartamento e specialisti del furto e dello scasso, sanno ancora mostrare spaccati di un Ticino pre-urbanizzato dove convivono nuclei e piccoli centri abitati, aree agricole e zone verdi . Segnaliamo inoltre che Jacek Pulawski – tra i collaboratori che espongono a Biasca – è stato premiato con una “medaglia d’argento” al prestigioso “PX3 - Prix de la Photographie Paris 2012” (www.px3.fr/past.html), per le immagini del reportage “Oltre la meta”, dedicato al Rugby Club Lugano e apparso in Ticinosette nr . 7/2012 . Le suggestive fotografie in bianco e nero hanno conquistato il secondo posto nella categoria “Press - Sports”, sezione “Fotografi Professionisti” . Le stesse sono tra quelle visibili all’esposizione allestita negli spazi di Casa Pellanda . Buona lettura, Giancarlo Fornasier

Impressum Chiusura redazionale Venerdì 7 dicembre Editore Teleradio 7 SA 6933 Muzzano Redattore responsabile Fabio Martini Coredattore Giancarlo Fornasier Photo editor Reza Khatir Tiratura controllata 70’634 copie

Salvioni arti grafiche SA tel . 091 821 42 00 6500 Bellinzona fax 091 821 42 01 TBS, La Buona Stampa SA bellinzona@publicitas .ch 6963 Pregassona Publicitas Chiasso Pubblicità tel . 091 695 11 00 Direzione, Publicitas Publimag AG fax 091 695 11 04 redazione, Mürtschenstrasse 39 chiasso@publicitas .ch composizione Postfach Publicitas Locarno e stampa 8010 Zürich Centro Stampa Ticino SA tel . +41 44 250 31 31 tel . 091 759 67 00 via Industria fax +41 44 250 31 32 fax 091 759 67 06 6933 Muzzano service .zh@publimag .ch locarno@publicitas .ch tel . 091 960 33 83 www .publimag .ch fax 091 968 27 58 Annunci locali ticino7@cdt .ch Publicitas Lugano In copertina www .ticino7 .ch tel . 091 910 35 65 issuu .com/infocdt/docs fax 091 910 35 49 Bandiere senza confini Illustrazione di Stampa lugano@publicitas .ch Antonio Bertossi (carta patinata) Publicitas Bellinzona Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel . 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

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Accordi bilaterali: quale futuro?

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Agorà

In seguito al rifiuto della popolazione svizzera di ratificare per referendum nel 1992 l’accordo sullo Spazio economico europeo, Svizzera e Unione Europea hanno regolamentato i loro rapporti con una serie di accordi bilaterali. Una soluzione finora funzionale ma, ci chiediamo, sempre vantaggiosa per la Confederazione e compatibile con le sfide dei prossimi anni? di Roberto Roveda

G

li accordi bilaterali costituiscono uno dei maggiori impegni della politica e della diplomazia svizzere degli ultimi venti anni. I sostenitori degli accordi dovreb� bero oggi celebrarne i venti anni, poiché la via degli accordi trae origine dal referendum del 5 dicembre 1992, sullo Spazio economico europeo (SEE).1 Gli accordi bilaterali nascevano da una dop� pia esigenza: da un lato, fornire una risposta alla sconfitta politica che il governo e il parlamento avevano subito quel 5 dicembre 1992. Infatti, la maggioranza dei cittadini e dei cantoni rifiutò questa proposta, a seguito di una campagna molto intensa e di una par� tecipazione record al voto; dall’altro, la via bi� laterale è stata voluta dal governo elvetico per evitare che la scelta popolare equivalesse a un isolamento della Svizzera di fronte all’Unione Europea, in particolare sul piano economico e degli scambi commerciali.

La funzione degli accordi bilaterali Gli accordi bilaterali con l’UE , sottoscritti principalmente nel 1999 e nel 2004, toccano ambiti molto vari, che investono le relazioni fra gli stati ma anche numerosi aspetti della vita quotidiana dei cittadini: la libera circo� lazione delle persone, gli ostacoli tecnici al commercio, gli appalti pubblici, l’agricoltura, la ricerca e la formazione professionale, i tras� porti, la cooperazione nei settori della polizia,

della giustizia, dell’asilo e della migrazione, la fiscalità del risparmio, l’ambiente, la statistica, le assicurazioni, la lotta contro la frode, le pensioni, gli scambi doganali ecc. È perciò indubbio che i patti abbiano svolto una fun� zione fondamentale nel regolare i rapporti fra Unione Europea e Confederazione. Non mancano però le voci critiche verso questi accordi, soprattutto nel nostro can� tone, e i dubbi sulla loro reale efficacia. Per approfondire la questione abbiamo incontrato Oscar Mazzoleni, docente di Scienze politiche e direttore dell’Osservatorio della vita politica regionale dell’Università di Losanna (www. unil.ch/ovpr). Dottor Mazzoleni, gli accordi bilaterali stanno funzionando? Quali vantaggi e svantaggi ne vengono per la Confederazione svizzera? La maggioranza del governo e del parlamento svizzeri ritiene che la via degli accordi sia ancora quella migliore o perlomeno inevitabile, e che si debba proseguire a mantenerla o a rafforzarla, pena l’isolamento o un peggioramento della posizione elvetica nelle relazioni con l’Unione Europea. Nondimeno, le critiche provenienti da più parti politiche – da destra ma anche da sinistra – sono cresciute negli ultimi tempi. Sulla libera circolazione, la tesi che si sta imponendo è quella che chiede un rafforzamento delle misure d’accompagnamento, come la lotta contro i lavoratori indipendenti fittizi impiegati da ditte


estere e la possibilità di rendere obbligatori i contratti collettivi di lavoro. Da questo punto di vista, hanno giocato un ruolo importante i grandi centri d’Oltralpe, ma anche regioni più periferiche come il Ticino. In che modo la Confederazione limita la forza di influenza dell’Unione Europea? Per un verso, la Confederazione e l’insieme dei partiti hanno accettato il principio che gran parte della legislazione europea sia via via integrata nel quadro giuridico elvetico. Per altro, questa adozione non è automatica, come vorrebbe l’UE, ma richiede un avvallo del parlamento svizzero. Inoltre, su alcuni temi specifici il governo e il parlamento hanno maturato, come ho detto, una posizione più circospetta. Anche l’attivazione della clausola di salvaguardia per limitare l’afflusso di lavoratori dall’est europeo, sebbene da molti giudicata operativamente poco efficace, mostra l’intenzione di rispondere alle critiche interne, da sinistra a destra. Gli accordi bilaterali piacciono o no? Come si pone il popolo svizzero di fronte agli accordi? La Svizzera è il paese europeo che più di ogni altro ha fatto ricorso ai diritti referendari per verificare come relazionarsi all’UE. Dai numerosi referendum e iniziative popolari emerge una maggioranza di votanti e di cantoni che aderiscono alla via bilaterale ma che rifiutano l’adesione all’UE. Allo stesso tempo, come accaduto recentemente, rifiutano (al 75,3%) un rafforzamento dei diritti popolari in politica estera. Rimane il fatto che il tema delle relazioni con l’Europa continua a essere scottante e a dividere politica e cittadini. Perché possiamo parlare di eccezione ticinese quando si tratta di voto sull’Europa, e in particolare sugli accordi? Per quali ragioni i ticinesi sono ostili agli accordi? Il Ticino è diventato nel corso degli ultimi due decenni un laboratorio di euroscetticismo. Nel referendum del 2000 sulla prima tornata dei bilaterali, il tasso di sostegno più basso agli accordi è giunto proprio dal Ticino (43% contro una media nazionale del 67%). Questa tendenza è stata quasi sempre confermata nelle successive votazioni su tematiche europee. Sulla recente iniziativa per il rafforzamento dei diritti popolari in politica estera, dal Ticino è arrivato il sostegno più elevato (38% rispetto a una media complessiva del 25%). Nel cantone subalpino è prevalso il timore che l’integrazione europea mettesse a rischio i vantaggi dell’appartenenza alla Svizzera, associati, volenti o nolenti, al benessere acquisito prima degli anni Novanta, ma con un passato, non tanto lontano, di regione povera e periferica. Anche per le divisioni interne alle forze politiche cantonali, e per la notevole mobilitazione di partiti come la Lega dei Ticinesi, gli appuntamenti referendari hanno consolidato un senso comune euroscettico più esteso che in altre parti della Svizzera; un atteggiamento a cui non è estraneo il rapporto non sempre facile con la vicina Italia, il paese dell’UE con il quale il Ticino è più direttamente in contatto.

Il futuro dei rapporti con l’Unione Europea In che modo si distingue la via bilaterale da una vera e propria adesione all’UE? Con il moltiplicarsi degli accordi, la Svizzera non è forse già di fatto membro dell’UE? La via dei bilaterali è un tentativo di impostare una strategia di avvicinamento puntuale, à la carte, all’Unione; senza scartare, almeno per quella che è stata la prima fase di questa strategia, l’ipotesi di un’adesione istituzionale vera e propria. Negli ultimi anni, questa ipotesi ha perso peso e penso che per molto tempo l’adesione della Svizzera all’UE non sarà all’ordine del giorno, anche

per la crisi che la stessa UE sta vivendo. Tuttavia, dal punto di vista della vita sociale ed economica, l’integrazione è un processo ormai molto avanzato. Con il moltiplicarsi degli accordi, e con l’adozione di gran parte della legislazione europea (accettata in parlamento senza discussione), la vita quotidiana del cittadino e consumatore svizzero è già oggi per molti versi retta da condizioni condivise con l’UE. Affermare che la Svizzera è oggi parte nell’Unione Europea è errato, ma dire che gli svizzeri ne sono fuori è un’affermazione semplicistica. Quale futuro nei rapporti con l’UE? Saranno ancora sorretti dagli accordi bilaterali? Più l’integrazione si approfondisce, più aumentano i paesi dell’UE, più è complessa la governabilità del sistema, più l’Unione vive una crisi di legittimità interna, più diventa complicata la posizione della Svizzera. Siamo in una fase cruciale, in cui cresce la spinta per trovare una soluzione istituzionale innovativa, una sorta di accordo quadro che possa regolare l’insieme dei rapporti. In questo ambito, l’UE chiede che la Svizzera riprenda con automaticità l’evoluzione del diritto deciso a Bruxelles, e che in caso di disaccordo la Svizzera si rimetta agli organi dello Spazio economico europeo. La discussione è aperta anche perché Berna preferirebbe ricorrere a una corte nazionale di sorveglianza, e, in ultima istanza, al tribunale federale. Ciò significa, una volontà di mantenere un’autonomia che però, di fatto, non è per nulla scontata. Si troverà una soluzione condivisa, anche considerando le discussioni aperte su temi specifici? La risoluzione della questione istituzionale è premessa, secondo Bruxelles, affinché si possano sottoscrivere nuovi accordi settoriali, come quello sull’energia, che comprende la promozione e il riconoscimento reciproco dell’origine delle fonti rinnovabili. D’altra parte, non sono pochi i temi oggetto di discussione o trattativa. Si pensi agli effetti dell’iniziativa sui criminali stranieri approvata nel 2011 sull’accordo di libera circolazione, alla clausola di salvaguardia per limitare l’afflusso di lavoratori dall’est europeo, senza dimenticare i dossier fiscali. L’UE attende proposte concrete per la soppressione di regimi fiscali cantonali che favoriscono holding straniere e che invece molti difendono in Svizzera in nome della concorrenza fiscale interna. In gioco, indirettamente, ci sono anche gli accordi fiscali, di doppia imposizione, con singoli paesi dell’UE di primo piano, come la Germania, la Francia e l’Italia. Tuttavia, i nodi sono molti e complessi, e la Svizzera rischia di dover negoziare in una posizione più fragile di quella che aveva negli anni Novanta. Perciò non stupisce che negli ultimi tempi stia maturando anche un’ipotesi attendista, che vorrebbe procrastinare tempi migliori l’avvio di nuovi e impegnativi negoziati con l’UE. Insomma, nei rapporti con l’UE, la Svizzera si gioca molto del futuro della sua economia e delle sue istituzioni politiche... Sì, anche se la tentazione è di puntare su accordi con paesi extraeuropei, l’Unione Europea rimane un partner cruciale. Perciò, è indubbio che anche nei prossimi anni i rapporti con l’UE occuperanno un posto di primo piano nell’agenda del governo, del parlamento e dei partiti svizzeri. note 1 Zona di libero scambio stabilita con l’accordo del 2 maggio 1992 firmato a Porto dagli allora 12 stati membri della CEE e degli allora 7 paesi membri dell’EFTA (Austria, Finlandia, Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svezia e Svizzera). Lo scopo era la creazione, secondo un calendario progressivo, di un mercato unico costituito dal territorio dei paesi aderenti. Il Trattato entrava in vigore il 1. gennaio 1994, un anno dopo la data prevista (a causa del referendum che vedeva la Svizzera votare contro l’adesione al trattato).

Agorà

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Il bene e il male Come avviene con tutti gli opposti, la comprensione del bene non può prescindere da una chiara visione del male. Un legame che la lettura della Bibbia aiuta a chiarire di Carlo Baggi

Nel Libro del profeta Isaia si narra che l’Eterno Dio, per compiere i suoi disegni contro Babilonia, chiamò re Ciro di Persia1. Lo scopo ultimo di questo evento è teologico e politico. Da un lato, si vuole rendere evidente che il Dio d’Israele è l’Eterno e unico Dio e, dall’altro, preparare i fatti storici che porteranno alla liberazione del “popolo eletto”. La singolare scelta divina, a favore dell’idolatra Ciro, è giustificata da un’inquietante affermazione: “Io sono l’Eterno e non vi è altro, Colui che forma la luce e crea le tenebre, che fa pace e crea il male. Io, l’Eterno, faccio tutte queste cose”.2

Kronos

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il polo positivo e la tenebra-male rappresenta quello negativo. Le due “forze” interagiscono tra loro per portare a segno il disegno divino nell’ambito del significato ultimo affidato alla creazione.

Dividere per crescere Da una semplice lettura degli eventi del “giorno uno”4 e del “secondo giorno” della Genesi5 si potrà osservare che tutta l’opera della creazione parte da un prius insopprimibile: la separazione. Dapprima la luce è separata dalle tenebre, poi le acque superiori da quelle Il Signore ”del male” inferiori, il giorno dalla notte e così Questo testo appare, per la nostra via. Si attua un processo di differensensibilità, molto difficile da decifraziazione, necessario per la crescita, re. Come può Dio essere fonte delle che si ripete anche in ogni aspetto tenebre e del male? Preliminarmente della realtà fisica e biologica. L’esegesi si deve osservare che le traduzioni ebraica6 ritiene, su tale argomento, che in lingua corrente non permettono il giudizio finale espresso dall’Eterno di comprendere completamente la sull’insieme della sua opera (“Allora particolare profondità espressiva del Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed passo biblico in esame, che è invece ecco, era molto buono”)7 confermasse evidente nell’originale ebraico. la perfezione, dovuta alla presenza dei L’uso dei verbi formo, faccio e creo due aspetti in esame, senza l’azione dei colora l’affermazione divina di parquali l’opera creativa sarebbe entrata ticolare significato. Infatti, mentre i in uno stato di disordine. verbi “formare” e “fare” (yotzer, aseh) Tornando al passo del profeta Isaia, avvertono che ci si trova di fronte esso ci svela un segreto: il problema a un’azione che realizza qualcosa del male, vero rompicapo di tutte le di nuovo partendo da una sostanza teologie, si risolve solo comprendendo La creazione. Immagine antica tratta da una Bibbia del 1467 illustrata dal cosiddetto Maestro delle preesistente, il verbo “creare” (boreh) il vero significato del bene che, nel suo “Nuvole Piumate” (idierredavinci.blogspot.ch) indica che il risultato non proviene punto sorgivo, non si limita al semplida un’azione, ma da un processo di separazione e distacco3. ce, contingente giudizio etico. Ciro, pur rappresentando “un Le tenebre-male, dunque, essendo “create” sono prive di una male”, diviene “braccio” di Dio. Grazie a lui un piccolo gruppo loro specifica autonomia e la loro esistenza, o meglio la loro di israeliti ottiene, nel 538 a.C., di tornare a Gerusalemme con “assenza”, dipende unicamente da un ritrarsi della luce-bene. il compito di ricostruire il Tempio. Queste, invece, essendo “formate” traggono la loro esistenza Anche un accadimento negativo possiede pertanto in sé una da una premessa sostanza, da una “presenza”. In altre parole, tensione che, se ben gestita, è in grado di cooperare per il il buio, la malattia, la carestia esistono se non come assenza di raggiungimento di un risultato finale positivo. luce, di salute, di abbondanza, che sono le condizioni prefigu- note rate. Queste considerazioni devono, inoltre, essere coniugate 1 Isaia 45:1-6 con uno dei punti fermi del pensiero biblico che si focalizza 2 Isaia 45:7 3 sul concetto che tutto viene dall’Uno e che ogni realtà ha un 4 Sefer Ha Bahir, Il libro fulgido: in Mistica Ebraica, pag.154, Einaudi. Il testo ebraico della Genesi usa, solo per il primo giorno, il numero preciso scopo nell’ambito del progetto divino. L’accostamento cardinale “uno”; quindi “E fu sera e fu mattina: giorno uno”. Questo per luce-bene e tenebre-male, unendo aspetti fisici a concetti etici, evidenziare che quanto fu creato in esso erano elementi trascendentali fondamentali, usciti dalla manifestazione divina dell’Uno, presupposti sottolinea, appunto, che ogni elemento della creazione non necessari per dar luogo alla successiva Creazione materiale. solo è strettamente collegato, ma è interdipendente. 5 Genesi 1: 1,2 Questi opposti esprimono, nell’ambito della dimensione 6 Bereshit Rabbà IX, 9-17 dell’Uno, una sorta di campo in cui la luce-bene rappresenta 7 Genesi 1:31


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Un piccolo tesoro

Di poesia oggi se ne legge poca e spesso viene trascurata anche

» di Eugenio Klueser

contenuti nel nostro libretto e regalati all’ “Almanacco”, tra gli dai programmi scolastici. Probabilmente leggere in versi richie- altri, da Montale, Sereni, Luzi, Caproni, Zanzotto. Un piccolo de troppo sforzo in tempi come i nostri, figli dell’immediatez- tesoro che fa bene riscoprire sia per la qualità dei testi, sia perché testimonianza di un tempo non lontano in za, e latita nella maggior parte dei lettori cui Italia e canton Ticino sapevano alimenl’abitudine alla giusta attenzione. Perché tare un legame culturale oggi un po’ affievola poesia richiede concentrazione, tempo e lito, per questioni di piccoli regionalismi o la disponibilità a lasciarsi conquistare dalle forse, ancora di più, perché il Belpaese non parole, dai suoni, dalla metrica. Solo così offre più il panorama di intelletti e ingegni i poeti possano decantare dentro di noi, di cui godeva solo un trentennio fa. evocare, “dipingere” immagini. Al di là di queste considerazioni, però, il In un contesto così sfavorevole vanno quindi volume è pura poesia in cui vale la pena accolte con particolare attenzione pubbliimmergersi attraverso i versi solenni di Luzi, cazioni come I Poeti dell’Almanacco, curata le ricercatezze di Montale o le atmosfere di per l’editore Salvioni da Renato Martinoni, Vittorio Sereni, poeta capace come pochi di professore di Letteratura italiana all’Univercogliere la caducità delle cose e della vita sità di San Gallo. Un libro scarno, essenziale stessa. Lo dimostra questo breve componianche nella confezione editoriale, ma arricmento scritto per l’“Almanacco” del 1982 e chito dai disegni di Mario Botta e soprattutto che trascriviamo per invitarvi alla lettura di dalle poesie scritte da grandi poeti italiani I poeti dell’Almanacco tutto il libro: “Ogni volta che quasi / di sopdella seconda metà del Novecento per l’ a cura di Renato Martinoni “Almanacco”. Era questo il nome di una piatto ripasso da Luino / sulla piazza del lago / SalvioniEdizioni, 2012 pubblicazione annuale uscita tra il 1982 e il schizzato fuori da un negozio corre / un tale ad 1993 e dedicata alle cronache ticinesi dei dodici mesi preceden- abbracciarmi / farfugliando il nome di mia madre. / Faceva lo stesso ti. A queste si aggiungevano previsioni scherzose per l’anno a anni fa / un suo fratello più grande / e come allora adesso subitanea venire, pagine culturali, approfondimenti su temi sociologici. / sbocciata da una parete di argilla / a ritroso lungo la catena / dei Su tutto, fiore all’occhiello della rivista, i brevi componimenti morti ci trascina una mano”.

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La teoria degli opposti John Cage e Pierre Boulez sono stati i maggiori compositori della seconda metà del Novecento. Attraverso le loro opere hanno espresso due visioni opposte non solo della musica ma anche della funzione dell’artista nella società, come attesta il loro carteggio di Oreste Bossini

Arti

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Quando John Cage giunge in Europa dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nel 1949, è già un artista di rilievo, con una serie di lavori alle spalle che lo hanno consacrato tra le figure di primo piano della corrente cosiddetta ultramodern della musica americana. A Parigi Cage incontra Pierre Boulez, un giovane musicista allievo di Olivier Messiaen, che era già a sua volta il beniamino di uno dei salotti più celebri del dopoguerra, quello di Suzanne Tézenis. Nel Salon de la rue Octave-Feuillet – dove si potevano incontrare scrittori come Cioran, Ionesco, Drieu de la Rochelle oppure ascoltare personaggi come Raymond Aron e il poeta Saint-John Perse discutere di Europa e di De Gaulle – le porte erano aperte agli artisti moderni e intraprendenti come Boulez, che organizzava presso la sua mecenate concerti di musica d’avanguardia, prologo di quello che nel 1954 diventerà il famoso “Domaine musical”. Una delle più note tra le grandi tele di Nicolas de Staël, altro abituale frequentatore del salotto Tézenis, s’ispira appunto a uno dei concerti diretti da Boulez, divenuto figura di riferimento non solo per i musicisti, ma anche per artisti e scrittori della nouvelle vague francese. In rue Octave-Feuillet, Cage ebbe l’occasione di far conoscere al pubblico europeo gli ultimi lavori per pianoforte preparato, che avevano alle spalle ormai un decennio di ricerche e sperimentazioni. Il discorso pronunciato da Boulez in quella circostanza per presentare le Sonate e Interludi del nuovo amico americano, più anziano di una dozzina d’anni, è contenuto nel volume che raccoglie la breve ma intensa corrispondenza tra le due figure chiave della musica d’avanguardia del secondo Novecento (P. Boulez/ J. Cage, Corrispondenza e documenti, Archinto, 2006). Un incontro stimolante Le idee sbalorditive di Cage sulla musica e sul suono procurarono un effetto traumatizzante sugli artisti europei, abituati a sentirsi l’ombelico del mondo. Non solo il pubblico, ma anche gli addetti ai lavori rimanevano spiazzati di fronte al linguaggio al tempo stesso barbaro e avveniristico di Cage, malgrado fossero abituati alle provocatorie manifestazioni delle avanguardie storiche del primo Novecento. Boulez stesso riconosceva l’influenza decisiva di quel primo incontro in una lettera aperta scritta molti anni dopo, nel 1982, in occasione della nomina di Cage al rango di Chevalier dell’Ordre des arts et des lettres istituito dal Ministero della Cultura francese: “Per molti, tra cui io, tu hai, molto presto, rappresentato la sovversione – e specialmente la sovversione «americana»”. Le idee rivoluzionarie di Cage costringevano i musicisti europei a confrontarsi a viso aperto con le questioni essenziali del loro

fare artistico, in parte già emerse nell’animato dibattito dei primi anni del dopoguerra. A cosa serve la musica? Qual è il compito di un compositore oggi? Come trovare il linguaggio e gli strumenti adatti alle nuove necessità della musica? Questi erano i dubbi e gli interrogativi che i giovani autori, usciti dal trauma di un conflitto che aveva pressoché annientato il patrimonio spirituale della cultura europea, si ponevano. Posizioni opposte Il centenario della nascita di Cage, scomparso nel 1992, e la decisione della Biennale Musica di Venezia di conferire a Boulez quest’anno il Leone d’Oro alla carriera offrono l’occasione per riesumare ancora una volta la relazione tra due musicisti che si sono amati e scontrati a fondo, finendo per incarnare le due anime principali della musica del secondo Novecento. In effetti i loro rapporti d’amicizia, per così dire, si sono sviluppati in un arco di tempo piuttosto limitato, dal 1949 al 1954. Il dialogo tra i due compositori si chiude di fatto con una frase esplicita di Boulez, all’interno di una lettera a Cage formalmente amichevole scritta nel luglio 1954 da Buenos Aires: “Evidentemente su questo siamo sempre in disaccordo – io non ammetto – e credo che non ammetterò mai – il caso come componente di un’opera compiuta. Sto ampliando le possibilità di una musica rigorosa o libera (rigida o meno). Ma quanto al caso non ne posso sopportare neanche il pensiero!”. Dopo questa affermazione perentoria era evidente che le loro strade avevano imboccato direzioni completamente diverse e che i margini per ascoltare le reciproche ragioni si erano assottigliati fino a scomparire. Da lì in poi Cage e Boulez manterranno rapporti buoni nella forma, e perfino di simpatia personale, ma nulli nella sostanza. Un episodio accaduto molti anni dopo rivela quanto poco ormai si capissero i due musicisti, o fossero disposti a comprendere l’uno il punto di vista dell’altro. Boulez dirigeva la New York Philharmonic Orchestra in un lavoro di Cage, Apartment House 1776, scritto nel 1976 per le celebrazioni del bicentenario della Dichiarazione d’Indipendenza. Ecco il racconto di Cage, in un’intervista a Cole Gagne e Tracy Garas: “L’assistente preparò l’orchestra, e lo fece molto bene. ma quando Pierre sentì i glissandi – non sopporta i glissandi – insistette perché fossero tolti dal pezzo. Lo disse senza consultarmi. I glissandi sono essenziali nella parte dell’orchestra, perché la fanno suonare come la natura. (Seiji Ozawa lo aveva fatto così meravigliosamente). Ma Boulez insistette perché i glissandi fossero realizzati come arpeggi. Fu assolutamente terribile. Io non potevo annullare ciò che lui aveva stabilito all’ultimo momento: ci sarebbe stato un caos completo nell’orchestra”.


Il compositore americano John Cage (1912–1992). Immagine tratta da www.classicalmusic. southbankcentre.co.uk

La fine dalla soggettività Le incomprensioni tra i due artisti in realtà s’intuiscono fin dall’inizio del loro carteggio. Cage era convinto che in origine tutti e due lavorassero con le stesse tecniche compositive, a causa dell’uso di schemi, tabelle e quadrati magici per scrivere musica. Ma la somiglianza degli strumenti nascondeva concezioni musicali completamente diverse, che con l’andare degli anni si fecero sempre più discordanti. Boulez viceversa interpretava certe debolezze strutturali della musica di Cage come il residuo del linguaggio delle vecchie avanguardie o semplicemente il frutto di un atteggiamento ancora infantile verso la scrittura musicale. Un passo della conferenza di Boulez nel salotto Tézenis sulle Sonate e Interludi suona come una premonizione dei futuri dissensi: “La struttura di queste Sonate fa coincidere una struttura pre-classica e una struttura ritmica che appartengono a due mondi completamente diversi; per immaginare possibile questa coincidenza, bisogna fare ricorso a una dialettica extra-musicale, terreno di ambiguità pericolose”. Per Cage invece non c’era nulla di ambiguo nello spettinare le forme e le strutture musicali, al contrario, era esattamente la strada che intendeva percorrere per liberare il linguaggio musicale dalla schiavitù dell’espressione artistica individuale. Proprio negli stessi anni in cui Boulez inviava a Cage interminabili lettere per illustrare, con grande spiegamento di grafici e schemi ritmici, le tecniche messe a punto per la composizione di un nuovo lavoro, Cage affrontava in maniera sempre più radicale il problema del caso come principio creativo. Nel 1951 infatti Cage componeva Music of Changes, un lavoro per pianoforte considerato uno spartiacque all’interno della sua produzione. Il titolo allude da una parte a I Ching, il Libro dei Mutamenti, il primo testo classico della cultura cinese, formato da una griglia di 64 esagrammi e fonte nella tradizione popolare di responsi oracolari; dall’altro ai cambiamenti

avvenuti nel proprio linguaggio musicale, con la decisione di creare una serie di diagrammi compositivi attraverso la tecnica del lancio di tre monetine, come previsto nella consultazione di I Ching. L’anno successivo Cage andava ancora oltre nel processo di distruzione dell’espressione artistica soggettiva, con la composizione del celeberrimo lavoro “per qualunque strumento o qualsiasi combinazione di strumenti” intitolato 4’ 33”, guardandosi bene dal parlarne nelle lettere all’amico. Cage infatti era consapevole che Boulez, come la maggior parte dei colleghi europei, avrebbe interpretato il silenzio di 4’ 33” come un gesto di sapore dadaista alla Duchamp, come la massima negazione della scrittura musicale. Quello che intendeva invece mettere in luce l’autore era l’ampiezza dello spazio sonoro della musica, invitando il pubblico ad ascoltare qualunque tipo di suono entrasse a far parte della composizione in maniera indeterminata. Il famoso “silenzio” di Cage non significava l’assenza totale di suoni, ma al contrario l’enorme quantità di quelli prodotti senza intenzioni artistiche. Il ritorno al caso Il concetto di caso tuttavia ha influito su tutti i maggiori compositori del dopoguerra, compreso Boulez, che ha studiato in molti suoi lavori l’interazione tra processi sonori casuali e struttura musicale. Luciano Berio, “colpevole” di aver portato Cage a Milano alla fine degli anni Cinquanta, Bruno Maderna, Stockhausen, Mauricio Kagel: tutti sono stati costretti a misurarsi con la rivoluzione “dolce” imposta da Cage. Solo Luigi Nono si è contrapposto in maniera radicale alla prospettiva indicata dal musicista americano. Rimarrebbe da sviluppare infine un discorso sulla grande passione di Cage per i funghi, gli organismi forse più guidati dal caso nel modo di riprodursi e di diffondersi sulla terra. Ma questa è un’altra storia, che lasciamo a una successiva puntata.

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Il peggio e il meglio Hanno rivoluzionato i palinsesti televisivi, proponendo la messa in scena della quotidianità. Sono i reality show, palestra dell’improvvisazione, dello scherzo e della sorpresa. Ma anche di un certo cattivo gusto condito, non di rado, da una buona dose di cinismo e cattiveria

di Nicola DeMarchi

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Forse un giorno sarà ricordato come uno dei fenomeni tipici degli “anni zero” insieme alla mucca pazza o ai Tamagotchi. Per il momento però, a una dozzina d’anni dal lancio del primo “Big Brother” – e anche se in calo di ascolti – il genere reality non perde certo il suo scandaloso “splendore”. Lo dimostra “Drugs Live”, reality show dove si sperimenta l’effetto dell’ecstasy e che fa discutere l’Inghilterra dei tabloid. O ancora, “4 mariages pour une lune de miel”, che in Francia solleva proteste per la sua meschinità, i suoi ascolti e perché diffuso sull’emittente pubblica TF1. Se la provocazione e il cattivo gusto dei reality nel panorama mediatico non sono certo una grande scoperta, le questioni etiche che sollevano sono spesso dibattute (si può parlare di “realtà” in uno show televisivo? Un’intimità volutamente esposta può essere presentata come “realtà privata”?). E allora in questa che vuol essere una cavalcata fra i prodotti più bizzarri del genere, torna utile, per riprendere Sergio Leone, la tripartizione sancita dal classico Il buono, il brutto e il cattivo. Perché con il moltiplicarsi dei prodotti si sposta anche la frontiera tra etica ed estetica e al critico non resta che reinventare vecchie categorie nel tentativo di tracciare un’improbabile mappa dei mutevoli territori della TV. Origine e generi Se si escludono le candid camera (prototipo d’intrusione nel quotidiano), si deve attendere il 1973 sulle onde della PBS, per “vivere” per la prima volta a schermo interposto, le disavventure di una vera “famiglia americana”. Si parla allora di reality show che si propone di seguire “come una mosca sul muro” la gente comune nella loro vita reale. Malgrado gli anatemi lanciati da subito dalla critica, il primo reality sarà emulato, chi nel nome di studi socio-comportamentali, chi per l’intrattenimento più pacchiano e l’audience più sfacciato, da format inglesi e australiani. All’eterno desiderio di penetrare nell’inimità degli altri si aggiunge presto l’arrivismo. Cosi nel 1999 con il “Grande Fratello”, il genere rompe un altro argine tra “reale” e “fittizio”, mescolandosi al gioco. Al reality show si affianca la reality television in cui i partecipanti vivono artificialmente situazioni più o meno eccezionali. Da allora giochi a eliminazione basati sulla vita in comunità o la seduzione competono con i talent show più disparati. Reality show sui modi di migliorare la vita di casalinghe di Voghera tramite esperti di cucina,

esperienze tipo “vivi la mia vita” sgomitano con rinnovamenti di automobili, appartamenti, biciclette, look, faccia, identità, giù giù fino alle bufale. Il buono Al di là degli anatemi estetici e altre profezie sociali, il concetto alla base dei reality ha del buono. A considerarlo come spettacolo verosimile, senza per forza essere reale, non c’è nulla di più innocente, quando non futile, di un reality visto in TV. Se consumato poi con una sufficiente dose di autoironia diventa anche un passatempo non privo di insegnamenti. Dal punto di vista scenico sono infatti da salutare innovazioni come la caduta della “quarta parete” (quella che divide scena e pubblico), e una certa “democratizzazione” della TV; una sperimentazione di tecniche televisive legate a doppio filo con una scrittura scenica “in divenire”, aperta cioè all’improvvisazione. Infine, propone socialmente, se non proprio la totale comprensione dell’altro, perlomeno una maggiore attenzione. “Au coeur du racisme”, pionieristica produzione RTS del 1984, metteva per esempio a confronto quattro stranieri a quattro razzisti dichiarati durante un soggiorno in uno chalet del Giura. Ma il pionierismo non è più in voga, e chi avrà avuto modo di vedere certi risultati dovrà ammette che attualmente del genere va spesso in scena tutt’altro. Alla sperimentazione si preferisce la prefabbricazione di situazioni. All’osservazione il giudizio. Alla comprensione, il sano egoismo. Così per esempio, i talent show che, partendo da un presupposto “buono” (usare il mezzo televisivo per far conoscere talenti anonimi al grande pubblico) si consumano spesso in uno sterile “buonismo” di facciata. Finita la trasmissione, non sono infatti tanti quei vincenti che hanno un seguito nel “mondo reale”, mentre numerosi sono invece quei partecipanti-materasso che, “usati” per incrementare gli ascolti, finiscono in depressione. Esemplare per certi versi ciò che vive la partecipante di uno di quei programmi dai propositi apparentemente buoni, che si propone di fare incontrare gente e se possibile far scoccare l’amore. In “My big fat obnoxious fiancé” (2003, Fox), venivano infatti offerti 500mila dollari alla maestra d’elementari Randi Coy e alla sua famiglia se, tempo 12 giorni, riusciva a convincerla totalmente, senza svelarle il premio, a sposare tale Steve Williams (il non proprio politicamente corretto “grosso,


Monica Lewinsky è tra i protagonisti del reality “Mr. Personality”. Un esercito di pretendenti mascherati e una sola selettiva principessa…

grasso e odioso fidanzato” del titolo). Non senza difficoltà Randi ce la fa, ma al momento del fatidico sì gli verrà svelata la bufala: il matrimonio non è nient’altro che una messa in scena, Steve Williams solo un attore e il vero “pollo” era lei. Confusa, Randi scoppia in singhiozzi. Avrà di che consolarsi visto che, avendo fatto un ottimo lavoro, gli varrà una vincita doppia rispetto al previsto. Il brutto Se il buono, quando non ruota in cattivo, diventa spesso sterile “buonismo”, la categoria del brutto nel reality non sembra soffrire di penuria di esempi. Nel territorio del cattivo gusto ecco torreggiare “Mr. Personality” (2003, Fox). Programma in cui 20 pretendenti, agghindati di maschera di ferro, competono con la loro “personalità” per farsi scegliere come marito da una selettiva “principessa”. Fino a qua niente che vada al di là dell’ordinaria bruttezza, se non che la conduttrice non è altri che Monica Lewinsky. La domanda sorge allora spontanea: quali criteri di selezione avrà da insegnare agli altri in materia di mariti, la “scappatella” di un ex presidente degli USA? Ma nel territorio dei reality anche il brutto subisce contagi. Cosi tra gare di operazioni cosmetiche (“The swan”), reality show su giovani coatti che bisbocciano (“Jersey shore”), vecchi che folleggiano (“Sunset daze”), verginità messe all’asta, tedeschi che sbragano in Spagna (“We love Lloret”), e spagnoli che sopravvivono in 20 m2 (“The frame”), ecco show che giocano apertamente la carta del ribrezzo. E se l’olandese “Proefkonigen” (cavie) si propone di infrangere tabù come il cannibalismo, altri come “Fatal attractions” (Animal Planet) si concentrano sull’attrazione per animali talvolta fatali ai loro stessi padroni. Nel sottogenere ecco poi “My strange addiction” (TLC), che presenta casi di comportamenti compulsivi inusuali di certe persone e relative manie alimentari in una tale assenza di censure che diventa, a detta dei numerosi cultori, “deliziosamente sovversivo”.

Per concludere, ecco poi prodotti che per “ingenua” bruttezza si meritano l’insolito titolo di “brutto buono”. O “brutto buffo”, comico, come l’improbabilissimo “Strangelove” in cui la nostra teutonica ‘Gitte Nielsen cantonale, vive in scena il suo flirt con l’antitetico Flavor Flav, già “urlatore” con la sveglia al collo dei Public Enemy. Oppure l’inverosimile “Whisker’s wars” dove, nel seguire la bislacca competizione delle “migliori” barbe del mondo, si finisce per assistere, come in un’ironica metafora sulla diversità, all’orgoglio della minoranza dei pelosi. Il cattivo Nei reality non c’è però solo cattivo gusto, ma anche cattiveria, quella vera. La violenza, che sia fisica o psicologica rappresenta infatti da sempre un’attrazione irresistibile. Sulle strade come davanti a uno schermo. Manco a dirlo in testa alla triste classifica, ecco “Megan wants a millionaire”: format che, andato in onda per soli tre episodi sulla rete VH1 nel 2009, è stato in seguito sospeso a causa dell’omicidio (vero) di uno dei finalisti ai danni di sua moglie e del suo conseguente suicidio. Ma la follia dei partecipanti non è mai lontana dalla crudeltà degli autori. Ecco allora nella simbolica sottocategoria delle “crudeltà leggere”, “Shattered” che nel 2004 offriva 100mila sterline a quel partecipante che sarebbe stato più a lungo senza dormire. Discutibile poi, soprattutto dal punto di vista delle future generazioni, “I didn’t know I was pregnant”, se si pensa che in questo reality show delle neomamme spiegano come hanno messo al mondo dei bambini in situazioni precarie, e spesso senza neanche sapere di essere incinta! Infine, a dimostrazione del fatto che la cattiveria non è mai tale come quando pervertisce qualcosa di buono, ecco “4 mariages pour une lune de miel”, in cui la migliore cerimonia tra quelle di quattro coppie, varrà ai vincitori una lussuosa luna di miele. Come si vince? Criticando gli altri, ovviamente…

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» testimonianza raccolta da Gaia Grimani; fotografia di Flavia Leuenberger

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Andrea Bertarini

Vitae

moderatamente “sfegatato” dell’Inter, amante degli sport all’aria aperta, del nuoto e delle passeggiate, magari con un cane: attualmente un cucciolo di Labrador, che cerca di sostituire nel mio cuore la mia cagnina precedente, Ira. Un’altra mia grande passione, accresciuta negli anni, grazie anche all’amore culinario è la fotografia, che a mio avviso ha tanti punti in comune con la cucina: il dolce e il salato sono come il bianco e il nero, il sapido e l’insipido come una fotografia sovraesposta o sottoesposta, due estremi che si completano e trovano nell’unione una sorta di perfezione. Il segreto sta nell’inGiovane promessa dell’alta cucina in- dividuare il giusto equilibrio ternazionale, è un ragazzo semplice che in entrambe le passioni. Difama lo sport, la fotografia, la famiglia e ficilmente esco di casa senza la mia reflex; non c’è piatto o un buon piatto gustato con gli amici preparazione di cui non abbia realizzato uno still life, scatti però, nonostante ciò, tutte le spesso utilizzati anche dagli studi grafici con sere si rimboccava le maniche cui ho collaborato negli anni per i nostri mee puliva, quasi coccolandola, nù o pubblicazioni di settore. Amo inoltre, la sua stufa. Si è trattato di magari dopo un servizio in cucina concitato un’esperienza davvero toe impegnativo, chiudermi nel mio appartatalizzante, 15 ore al giorno mento, davanti allo schermo del computer immersi in un contesto di e lavorare di cesello, per un paio d’ore, su estrema creatività, ma anche un’elaborazione di un set di immagini appedi massima attenzione a ogni na scattate. Trovo questa dimensione rilaspreparazione, lavorazione e sante, quasi terapeutica. Ascoltando la mia dettaglio. Da Massimiliano musica preferita – in questo periodo i dischi ho appreso il rigore che diadi Battisti degli anni Settanta – mi estraneo loga con la creatività, mai dal mio mondo, cercando di trovare la luce intesi semplicemente come giusta in un panorama o la perfezione e il un verticale esercizio teorico, controllo, in un tocco di verità, sul volto di ma sempre volti a sviluppare un ritratto. Dal 2007 sono approdato al mio un concetto di cucina davveattuale locale, il ristorante “Conca Bella” di ro unico. Vacallo della famiglia Montereale, un punto Nel 2006, in seguito a questa di riferimento dell’alta cucina della Svizzera importante esperienza formaitaliana. In questi anni, collaborando con tiva, sono stato investito di il mio predecessore, il già affermato Gian una posizione di responsabiLuca Bos, ho proseguito e apportato il mio lità all’interno del ristorante contributo per continuare una importante “Emporio Arcadia” di Chiasso tradizione di eccellenza. Dal settembre 2011 in qualità di chef di cucina. ho l’onore e la responsabilità di rappresenSono questi gli anni in cui tare, in qualità di chef, il riferimento per il ho cominciato a maturare nostro staff di cucina. Il mantenimento degli un’identità più definita, analti standard di servizio, della stella Michelin che come uomo. Vivere spese dei 16 punti Gault & Millau sono obiettivi so lontano dagli affetti più non solo per consolidare il posizionamento cari, dalla famiglia, dai miei del locale, ma anche per sviluppare e innofratelli rappresenta una prova vare la nostra idea di cucina. importante. Mi accompagnaSpesso mi chiedono quale sia il mio ingreno, confortandomi, i colleghi, diente preferito e io rispondo che è quello gli amici e la mia passione che devo ancora scoprire e sul piatto prefeper lo sport: sono un discrerito non ho dubbi: quello cucinato in casa to giocatore di calcio, tifoso insieme agli amici.

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S

ono nato a Tradate, nel 1982 e ho passato l’infanzia nel comune di Esino Lario, piccolo paese a 1000 metri di altezza, stretto fra le Prealpi lombarde, la Grigna e le sponde del lago di Como. La mia famiglia gestiva allora un albergo: il mio parco giochi era un pollaio e il mio orizzonte un orto immenso. Fin da quando ero bambino, il mio sogno è sempre stato quello di fare “l’inventore”: si trattava di capire cosa volessi davvero inventare. In quegli anni, ho cominciato a scoprire e conoscere l’ambiente che poi ha segnato la mia vita professionale, le mie aspirazioni e le mie passioni: la cucina. Ricordo bene – e anche con una certa nostalgia – le sensazioni che si vivevano allora, soprattutto d’estate quando, durante le vacanze, aiutavo i miei nonni e i miei genitori a raccogliere, riconoscere, pulire e preparare le materie prime per i grandi piatti della tradizione contadina lombarda, apprendendo dai più saggi i segreti su come gestire al meglio ingredienti, tagli e preparazioni. Mio padre ha poi contribuito ad accrescere questa passione e ancora oggi custodisco i suoi segreti come un piccolo tesoro. Durante gli anni in cui ero iscritto all’Istituto Alberghiero di Monteolimpino, dove mi sono diplomato, ho anche cominciato a frequentare la persona più importante della mia vita, Arianna, mia amica di infanzia che col tempo è diventata complice e compagna e ha saputo completarmi e spingermi a dare sempre il meglio. Fino al 2005, sono stato impiegato come entremetier e saucier in ristoranti di buon e solido radicamento nella zona del comasco, fino al passaggio più importante del mio percorso: l’esperienza dai fratelli Alajmo, al ristorante “Alle Calandre” di Sarmeola di Rubano in provincia di Padova. Massimiliano Alajmo è uno chef affermato in tutto il mondo, enfant prodige, considerato il Mozart dei fornelli;


I guardIanI del lemano di Roberto Roveda; fotografie di Didier Ruef

Ginevra, una realtà complessa, con la sua lunga frontiera aperta al resto d’Europa, il cosmopolitismo e le tante organizzazioni internazionali. Una città in cui il movimento delle persone è una costante e dove tenere tutto sotto controllo non è sempre facile



G

inevra è una città in cui è facile incontrare persone provenienti dai luoghi più disparati del pianeta. Una città cosmopolita come poche altre, come testimonia la presenza sul suo territorio di 31 organizzazioni internazionali, 242 missioni permanenti, 250 organizzazioni non governative e circa 40mila diplomatici. Una condizione che ultimamente si è accentuata dopo che di fatto è caduta la frontiera tra Svizzera e Francia. Il canton Ginevra si è ritrovato così nella posizione non sempre facile di divenire una sorta di enclave elvetica all’interno dell’Unione Europea.

Le difficoltà di una città particolare Il movimento delle persone è cresciuto così come è cresciuta esponenzialmente la difficoltà nel controllare chi transita nel territorio ginevrino, un territorio che attrae per il suo elevato standard di vita, la sua ricchezza, le possibilità che offre anche dal punto di vista lavorativo. Abbiamo intervistato a riguardo Monica Bonfanti, dal 2006 a capo della polizia di Ginevra: “In effetti il lavoro non manca proprio. Le posso dire che alla nostra centrale arrivano ogni anno 534mila segnalazioni telefoniche, che si tramutano poi in circa 92mila interventi. Inoltre, svolgiamo in media 26mila controlli su strada. Sicuramente non è facile gestire il via vai alla frontiera. Noi abbiamo circa 104 chilometri di frontiera con la Francia e solo cinque chilometri di frontiera interna, con il canton Vaud. Quindi la maggior parte dei nostri problemi di criminalità proviene dall’esterno, non dalla Svizzera. Per esempio, abbiamo avuto problemi con i romeni che chiedono l’elemosina, anche se le cose oggi vanno un po’ meglio. Poi ci sono i frontalieri da gestire. Sono molti, immagino… Ginevra raccoglie un quarto dei frontalieri dell’intera Svizzera. Ogni giorno circa 70mila persone giungono dalla Francia nel nostro cantone per lavorare. A questi si aggiungono 30mila persone dal canton Vaud. In totale 100mila persone che quotidianamente vengono qui a lavorare e la sera tornano a casa. Non è semplice gestire tale movimento. Questo aiuta a comprendere perché da quando sono comandante ho puntato molto sull’aumento delle sinergie operative con la Gendarmerie francese e con la polizia degli altri cantoni, in particolare il canton Vaud. Non mancano inoltre i classici problemi che può (...)



avere una città ricca, che attrae per lavoro e ospita molti rifugiati economici, ma è naturalmente attrattiva anche per la criminalità. Per farle comprendere la complessità della situazione: solo per gestire la Ginevra internazionale abbiamo una specifica sezione della polizia, la Police de la Sécurité Internationale, che si occupa degli organismi internazionali presenti sul territorio ginevrino, del corpo diplomatico e dell’aeroporto. Le forze che avete a disposizione sono sufficienti? No, le forze della polizia di Ginevra non sono attualmente abbastanza. C’è la volontà – che si traduce anche nella pratica – di aumentare gli effettivi di polizia sul territorio. Della polizia in generale, non solamente poliziotti, ma tutto il personale che lavora all’interno della polizia.

Quanti effettivi avete attualmente? Adesso più o meno 1890, dei quali circa 900 gendarmi, 330 ispettori, che lavorano in borghese, 190 agenti della polizia internazionale, in sostanza poliziotti che lavorano per l’aeroporto e la diplomazia, e più o meno 470 collaboratori amministrativi. Non proprio tantissimi per una città di quasi duecentomila abitanti a cui si aggiungono frontalieri e diplomatici. I rapporti con la cittadinanza vi sono d’aiuto? Il legame tra polizia e cittadini è buono, come testimoniano, per esempio, le lettere che riceviamo. Lettere di congratulazioni, ma anche richieste di spiegazioni o di informazioni. Il fatto che la popolazione si rivolga in questo modo alla polizia mostra che la fiducia reciproca c’è.

(...)


Didier Ruef Fotografo documentarista e fotoreporter, ha pubblicato per importanti testate (“Time”, “The Observer Magazine”, “Daily Telegraph”, “Le Monde”, “Der Speigel”, “Neue Zürcher Zeitung”). Ha collaborato con Médecins sans Frontières, il Fondo Globale e la Fondazione Syngenta. Dal 1991 è stato coinvolto in un progetto sul tema degli sprechi e dei rifiuti dal quale è nato anche un libro (Recycle, Casagrande, 2011). Alcuni dei suoi lavori sono presenti in Dodicisette (EdizioniSalvioni, 2012), il catalogo della mostra “12 x 7” (Casa Cavalier Pellanda, Biasca). Per informazioni: www.dididierruef.com.

Come comandante quali obiettivi si è prefissata per rendere più efficiente la polizia? Ho puntato principalmente sulla riorganizzazione dei servizi di intelligence e sulla ristrutturazione completa della polizia ginevrina, con la creazione di un centro di coordinamento delle operazioni di polizia. Poi ho cercato di valorizzare la figura professionale del poliziotto. La questione sicurezza, però, è sempre calda, soprattutto quando si avvicinano le elezioni. In particolare, alcuni esponenti politici hanno affermato la necessità di un maggior rigore a Ginevra. Giusta preoccupazione o solo un modo per far parlare di sé? La situazione dal punto di vista della sicurezza è cambiata negli ultimi tempi. Nel novembre 2010 c’è stata a Ginevra una rapina a mano armata in un istituto bancario effettuata con degli esplosivi, un avvenimento mai successo sul nostro territorio. È aumentata la

microcriminalità, quindi certamente esiste un problema di criminalità oggi, non si può negare. Allo stesso tempo certe situazioni vengono esagerate, se ne parla troppo e alla fine la popolazione si sente meno sicura anche se non sussistono reali ragioni per esserlo. Insomma, il problema c’è, ma non va ingigantito. Secondo lei la polizia dispone delle risorse per gestire questo problema o la politica dovrebbe fare di più? A Ginevra le cose vengono prese in carico dalla polizia e anche dalla politica, non sono da sola nel momento in cui dico che il problema c’è e dobbiamo fare qualcosa. Anche il mondo politico è molto sensibilizzato. Si discute parecchio a riguardo, ma si compino anche azioni concrete. Un ringraziamento per la loro disponibilità e cortesia a Monica Bonfanti, capo della Polizia cantonale di Ginevra, e a Jean-Philippe Brandt, portavoce della Polizia cantonale di Ginevra.



Gonna

( da vera donna) Tendenze p. 44 – 45 | di Marisa Gorza

Lauren Bacall

C

loni di un’intensa Lauren Bacall o di una dolcissima Doris Day? Macché, si credono tante Marilyn Monroe, quella capricciosa e irrequieta di Niagara, oppure la felina Liz Taylor arrivata da La gatta sul tetto che scotta...Tutte in gonna “a tubo”, o pencil skirt che dir si voglia, con lunghezza impeccabilmente assestata intorno al ginocchio. Sobria e castigata alla prima occhiata, ma fasciante intorno al lato B e con un vertiginoso spacco posteriore che lascia intravedere le gambe, esaltate dal tacco a spillo. Il massimo della femminilità. Torna? Sì che torna! Complice la moda d’autunno. Ragazze scatenate e signore pacate stanno

già invadendo le strade metropolitane con la classica sottana che già aveva furoreggiato negli anni Quaranta e Cinquanta, inventata (si fa per dire) dai grandi sarti dell’epoca: Balenciaga, Balmain, Schiaparelli, Vionnet... Quando nel secondo dopoguerra, il ricordo delle vicende belliche si affievolisce, oltre al gioioso new look di Christian Dior, si fa avanti l’esorcizzante stile pseudo militare, ovvero completi con giacca dalle spalle marcate e severa gonna diritta. Ed ecco che dal tailleur viene spesso estrapolata la parte inferiore da abbinare al pull attillato alla Lana Turner, alla camicia candida alla Ava Gardner, indi ai soffici twin set alla Grace Kelly e perfino al


corsetto a balconcino di Sofia Loren... Una volta consacrate alla magia dello schermo cinematografico, queste tenute venivano poi copiate anche dalle meno abbienti, magari con l’aiuto della sartina e dei cartamodelli. Si portavano con tacchi alti e calze con la “riga” (vi ricordate le sequenze di Malena con Monica Bellucci?), tuttavia le fanciulle che non se le potevano permettere, si facevano disegnare sulla gamba un tratto di carboncino. Tanta era la voglia di apparire femmina!

• L’enfasi sulle curve lavora egregiamente anche da Rocco Barocco. Proporzioni minute e tagli impeccabili definiscono l’allure fatto di giacchine avvitatissime, appena poggiate su sottane diritte, mosse da spacchi e da print fotografici, pronte a lambire il ginocchio con garbata discrezione. Ai piedi civettuole décolleteés dal tacco a rocchetto. Iperfemminilità che ammicca al maschile, difatti spunta a sorpresa la cravatta di lui.

• Rieccolo il binomio inossidabile: gonna longuette nera e camicetta bianca. E mentre la prima è in un croccante satin, la seconda è tutta un ghirigori di volant, romantici merletti e ciuffi di chiffon nel gusto barocco siciliano del duo Dolce&Gabbana. Una “sobrietà” fatta di lavorazioni certosine, di dettagli accuratissimi come la caterva di gioielli smaltati e dorati copiati dai preziosi ex voto, oppure i calzerotti ricamati da istitutrice mistica e... sexy, complemento delle francesine stringate dal tacco svettante. Nei tempi di crisi ritorna il massimalismo?

• Classica e impeccabile nella forma sinuosa e nella lunghezza lady like, la proposta di Silvio Betterelli è piuttosto insolita nell’uso della materia prima. Si tratta di una stoffa di seta lavorata con fil coupé goffrati e tagliati al rovescio. Tanto per dare vita a soffici sfilacciamenti che ricordano i muschi e i licheni di un incantato bosco autunnale. Intensi toni boschivi anche per la camicia di raso, appena sfiorata dal lurex con un effetto rugiada.

• La fasciante gonna al ginocchio in nappa verde militare, proposta da Ermanno Scervino, sposa il bustier con basca gonfia e sbuffante a mo’ di crinolina. Un chiaro accenno all’orlo ondulato della giacca da equitazione. Ma è anche un modo ardito per enfatizzare la silhouette a clessidra e il vitino da vespa ben strizzato, zona hot della stagione. Intanto il mondo equestre ritorna con gli stivaloni calf-boots, cup di prammatica e guanti di pelle per reggere redini e frustino.

• Vista dal lato B è una perfetta pencil skirt in un duttile tessuto cammello che disegna diligentemente il profilo flessuoso. Nondimeno, sul davanti, Christopher Bailey per Burberry, le concede un pannello sbieco che, come uno scultoreo falpalà, la percorre di traverso dalla vita all’orlo. Sapore country e un po’ metropolitano, dovuto al felice accostamento con il sofisticato bomber imbottito, i profili e la cinturetta-fiocco in cuoio, gli stivaletti tipo mocassino e quell’inconfondibile, disinvolta aria British.

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dodicisette

I FOTOGRAFI DI TICINOSETTE. CATALOGO DELLA MOSTRA

Questo volume offre l’opportunità di ammirare una selezione di fotografie pubblicate in anni recenti su «Ticinosette» e realizzate da dodici fotografi che provengono da diversi settori della fotografia professionale ticinese e svizzera. Un centinaio di affascinanti immagini, un volume di indubbio interesse e una testimonianza della vitalità della fotografia elvetica contemporanea. Alcuni dei servizi fotografici presenti in questo elegante volume sono stati premiati nelle ultime edizioni dello «Swiss Press Award», importante concorso al quale partecipano tutte le maggiori testate nazionali. Tra i fotografi presenti nel catalogo ricordiamo Reto Albertalli, Didier Ruef, Giosanna Crivelli, Katja Snozzi, Matteo Aroldi, Jacek Pulawski e Reza Khatir. Le immagini sono visibili sino al 27 gennaio 2013 nella mostra «12 x 7» presso Casa Cavalier Pellanda, Biasca.

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21 x 29.5 cm 116 117 12 fotografi Fr. 30.– (spese di spedizione incluse)

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SalvioniEdizioni

DA RITORNARE A SalvioniEdizioni . Via Ghiringhelli 9 . 6500 Bellinzona Telefono 091 821 11 11 . Fax 091 821 11 12 . libri@salvioni.ch . www.salvioni.ch Questo volume è anche reperibile nelle migliori librerie ticinesi.


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Astri toro

gemelli

cancro

Grazie a un incontro, possibile espansione delle vostre vedute e della vostra coscienza. Buon momento per superare i preconcetti sull’amore e sulla bellezza. Incontri con persone straniere. Luna favorevole.

Periodo caratterizzato da uno “stellium” di pianeti in transito nei segni di fuoco. Evoluzione dei vostri sentimenti. Il sesso andrà al di la del fatto fisico per diventare il tramite di una trasformazione interiore.

Solstizio d’inverno e inizio era dell’Acquario, baciati dal transito di Giove e da Mercurio e Venere. Puntate dritti sulle vostre abilità. A Castore e a Polluce non è difficile vivere alternativamente due realtà.

Saturno e Nettuno in trigono, Urano, Sole e Plutone disarmonici, il tutto a disposizione dei nati nel segno. Con questi transiti la fortuna aiuta gli audaci, sempre che godano di una ottima centratura.

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Dal 17 dicembre si apre un periodo ricco di novità. Incontri sentimentali, affinità di coppia, complicità. Facile scambio delle emozioni. Dal 21 del mese, se amate rischio e avventura, si rientra nell’età dell’oro.

Carisma e crescita personale favorite dai transiti planetari. Vita sentimentale un po’ complicata, ma ricca di stimoli. Mantenete il riserbo. Attenti a non avere ripercussioni sulle vostre realtà professionali.

La vita sentimentale potrebbe andare meglio. Dipende solo da voi. Voglia di libertà e di indipendenza. Il giorno 21 segnato dal passaggio della Luna in opposizione. Scelte improvvise favorite da Urano.

L’ingresso nella sesta era maya è segnato dal transito di Saturno nel segno dello Scorpione. Cambiamenti epocali per i nati nella prima decade. Scarsa predisposizione ai compromessi. Metamorfosi spirituale.

sagittario

capricorno

acquario

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Un dito di fuoco puntato verso il cielo, nel centro della Via Lattea. Questo siete voi. Una nuova era di scoperte e di coscienza si apre per l’umanità. Colpo di fulmine in arrivo per i nati nella seconda e terza decade.

Marte in congiunzione al Sole: non è dunque l’iniziativa a mancarvi. Con l’arrivo del solstizio d’inverno potete essere gli artefici di una nuova rivoluzione. Ogni precedente schema tende a esser spazzato via.

Il 21.12.2012 secondo molti segna l’inizio dell’era dell’Acquario, la vostra era. Momento roseo per gli affari di cuore baciato dai vari transiti di Mercurio, Urano e Venere nei segni di fuoco a voi amici.

Comunicazioni disturbate. La Luna transita nel vostro segno in compagnia di Nettuno: intuiti, premonizioni per i nati nella prima decade. Vita sentimentale particolarmente colorata per i nati nella terza decade.

» a cura di Elisabetta

ariete


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Orizzontali 1. Immangiabile, stomachevole • 10. Visibilio, incanto • 11. Parola francese 12. La solita rima per amor • 13. Il padre di Isacco • 14. Lubrificate • 16. Romania e Belgio • 17. La bevanda degli dei • 19. Riservata Personale • 21. La fine della Turandot • 22. L’antagonista del Milan • 24. Coccodrillo • 27. Bella spiaggia della Florida • 28. Fiore lilla • 29. Il giorno trascorso • 30. Andate per il poeta • 31. Notte senza pari • 32. Popolo nomade del deserto del Sahara • 34. Dittongo in paese • 35. Partita a tennis • 36. Carmi lirici • 37. Lo teme l’autista • 39. Il pronome dell’egoista • 40. Lubrificano • 41. Era in voga la Pop • 43. Vale a dire • 45. Il Todero Brontolon • 47. Che ci appartiene • 49. Epoche • 50. Fu rapito in cielo su un carro di fuoco • 51. Verme solitario. Verticali 1. Eliminazione della radioattività • 2. Sono circondate dal mare • 3. Un verbo del boa • 4. Mezza gara • 5. Utilizzata, non più nuova • 6. Fredda regione russa • 7. Il bel Sharif • 8. I cappelli messicani • 9. Sta per “orecchio” • 15. Istanti • 18. Si valuta quella dei danni • 20. Presentimento • 23. Combatte nell’arena • 25. Lo sono certe novelle • 26. Pagina centrale • 30. Tela per sacchi • 32. Annoiar • 33. Guadagnano pubblicando • 35. Si contrappone alla discesa • 37. Fulvi • 38. Capo etiope • 42. Il niente del croupier • 44. La nota più lunga • 46. La Silvia vestale • 48. Pari in botto.

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 52

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 20 dicembre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 18 dic. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

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Premio in palio: Carta regalo FFS Le Ferrovie Federali Svizzere offrono 2 carte regalo per un valore totale di 100.– CHF a 1 fortunato vincitore. Ulteriori informazioni visitando il portale ffs.ch/cartaregalo

Biglietti per un evento sportivo, un concerto, un viaggio dell’Agenzia viaggi FFS, carte giornaliere, abbonamenti, orologi FFS di Mondaine o Smartbox: questo e molto altro può essere pagato con la carta regalo FFS. La carta valore è il regalo ideale per ogni occasione, è disponibile presso tutti gli sportelli FFS e l’importo da caricare può essere stabilito liberamente tra 10 e 3.000 franchi. E per adeguare il regalo all’occasione, è possibile scegliere tra cinque soggetti diversi. A proposito: dopo ogni acquisto con la carta regalo FFS, la validità sarà automaticamente prolungata di altri due anni.

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