Ticino7

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№ 45

dell, 11 novembre 2011

con Teleradio 13–19 novembre

Violenza contro la polizia

Facili Bersagli C  T › RT › T Z ›  .–


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Ticinosette n° 45 11 novembre 2011

Agorà Violenza. Polizia sotto attacco Arti Letteratura. Percorsi dell’anima Visioni Una favola “nera”

Impressum

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Letture Barocco (in)compreso

Chiusura redazionale

Vitae Edgardo Rossi

Venerdì 4 novembre

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Direttore editoriale Peter Keller

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

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MaRiella dal FaRRa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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GiaNcaRlo FoRNasieR. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

MaRco JeitziNeR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage Costruire dal centro Fiaba Le tre colombe

Nicoletta baRazzoNi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

alessaNdRo tabacchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tiratura controllata 70’634 copie

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RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Società Seta. Il mistero di Jim Kronos Ricordi di sogno

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GiaNcaRlo FoRNasieR; Foto di Matteo aRoldi . . . . . . . . .

Fabio MaRtiNi

Tendenze La civiltà del vino

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PatRizia MezzaNzaNica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

Stampa

(carta patinata) Salvioni arti grafiche SA Bellinzona TBS, La Buona Stampa SA Pregassona

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In copertina

Mirare al bersaglio Illustrazione di Fabiana Sala

Vittime e carnefici Le recenti manifestazioni degli indignados di tutto il mondo non hanno messo a dura prova solo le autorità politiche . . . quelle finanziarie ed economiche, come sappiamo, hanno sensibilità poco terrene . Le immagini della manifestazione romana, degenerata in violenza urbana per colpa di poche decine di disperati e teste calde, oltre ai recenti cortei californiani di Oakland (purtroppo anche questi segnati da distruzione e violenza inputabili a pochi elementi) hanno tutte un denominatore comune: le forze dell’ordine . Il tema della violenza verso la polizia e le squadre antisommossa non è certo nuovo: le immagini delle manifestazioni studentesche degli anni Sessanta, e ancora prima le rivendicazioni dei neri americani e le più recenti manifestazioni pubbliche legate alla primavera araba hanno sempre mostrato una contrapposizione tra popolazione e organi di sicurezza . Se a prima vista il tema potrebbe apparire scontato – il forte contro il debole, lo stato contro il cittadino, il potere contro il popolo –, una riflessione meno superficiale svela invece lati meno definiti e sovrapposizioni dai risvolti assi più complessi . In fondo il “poliziotto”, lo “sbirro”, non è un cittadino come tutti noi? Non ha forse una famiglia e dei figli da mantenere, un’ipoteca sulla casa, un’auto in leasing? Questi uomini in divisa non sono, in ultima analisi, dei normalissimi lavoratori? Crediamo ogniuno di voi conosca, direttamente o indirettamente, un agente di polizia: se solo pochi anni fa la scelta di indossare la divisa era più legata a una predisposizione personale e a una tradizione di famiglia da mantenere, sempre più spesso oggi compiere questa scelta rientra nella ben più ordinaria ricerca “di una professione sicura e ben retribuita” .

Al tema e ai suoi molti risvolti è dedicato l’articolo di apertura di questo numero di Ticinosette . Naturalmente l’invito è a leggere l’articolo lasciando da parte tutti quei preconcetti che attorno alla figura del poliziotto tutti, ne siamo convinti, abbiamo . E le ragioni sono più che comprensibili: come non detestare quel tizio che ci ha multato (giustamente) per una sosta vietata; come non denigrare la donna o l’uomo in divisa che, nell’ingrato compito di smaltire il traffico nell’ora di punta, pare solo peggiorare la situazione; per non parlare delle già citate immagini che propongono agenti armati di tutto punto (scudi compresi) pronti a caricare, strattonare, malmenare – e a volte picchiare – folle di giovani che rivendicano diritti, pace sociale e uno stralcio di futuro . . . Ma, come dicevamo in precedenza, quegli uomini sono dei lavoratori (in alcuni paesi nemmeno ben retribuiti) e professionisti dalla meticolosa preparazione e in continuo aggiornamento: questi uomini e donne fanno cioè quello che viene loro detto dai superiori in grado, a loro volta uomini di stato che applicano delle leggi . Sono tutti, dunque, al servizio del paese e dei cittadini, almeno nelle democrazie . . . E qui sorge il problema: è necessario giungere a pestaggi di massa (a volte morti compresi, come i noti fatti di Genova tragicamente ricordano) per ottenere l’ordine pubblico? Oppure prima di giungere alle manifestazioni, alle contrapposizioni, agli scontri di piazza esistono strumenti e luoghi nei quali confrontarsi e discutere? Evidentemente sì, ma la strada del dialogo troppo spesso ha sempre una e una sola carreggiata, troppo stretta per poter far avanzare entrambi i contendenti . E alla fine non resta che chiamare “la polizia” . Buona lettura, la Redazione


Violenza. Polizia sotto attacco

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Agorà

Gli atti violenti da parte delle forze dell’ordine verso i cittadini fanno sempre notizia. Al contrario, si parla poco della violenza subita dagli agenti di polizia: dalle seppur gravi e generiche ingiurie, alle minacce e alle vere e proprie aggressioni fisiche durante l’esercizio del normale servizio. Un fenomeno consistente e in costante aumento negli ultimi anni, tanto che ogni giorno si contano in media sei episodi di violenza contro poliziotti che compiono il loro dovere di Roberto Roveda

L’

esecuzione di un ordine giudiziario di sfratto è una normale operazione di polizia: per eseguirlo, nella mattina dello scorso 24 maggio due poliziotti si sono presentati all’abitazione di un giovane disoccupato, a Schafhausen presso Burgdorf, località dell’Emmental bernese. Senza neppure aprire la porta l’uomo ha esploso alcuni colpi di arma da fuoco che hanno ucciso uno degli agenti e ferito a un braccio l’altro. Un caso certamente tragico che ha costretto i media a porre l’attenzione su un tema in verità poco trattato e poco sentito nella pubblica opinione: quello dei rischi corsi dagli agenti di polizia durante il normale svolgimento delle loro funzioni. Nel sentire comune, infatti, quello del poliziotto è considerato un mestiere che presenta una certa dose di pericolo – lo ha sempre avuto e lo avrà con ogni probabilità sempre – e spesso tutti noi facciamo fatica a intravedere dietro la divisa dell’uomo al servizio dello stato colui che svolge una mansione di pubblica utilità. E che come tutti noi del pericolo farebbe volentieri a meno.

I dati confermano Negli ultimi anni gli episodi di violenza contro funzionari pubblici, in particolare agenti di polizia, sono considerevolmente aumentati, come da tempo denuncia la Federazione Svizzera dei Funzionari di Polizia (Fsfp; www.fsfp.org). Se si analizzano i dati forniti dalle statistiche redatte annualmente dall’Ufficio federale di polizia (Fedpol1) e confermati dai numeri forniti dai corpi di polizia svizzeri, ci si accorge che nell’anno 2000 si erano registrate 774 infrazioni all’art. 285 del Codice penale svizzero (Cps2), mentre nell’anno 2010 ne sono state totalizzate 2.258, con un incremento dunque di oltre il 190%! Se si scende poi nel dettaglio dei dati, ci si rende conto che la situazione peggiora anno dopo anno e la tendenza pare inarrestabile: nel 2006 i casi sono stati


Agorà

5 Illustrazione di Giovanni Occhiuzzi

1.409, nel 2008 sono diventati 2.024, nel 2010, come detto, 2.258 con una crescita in un solo quadriennio di più del 60%. I dati della Conferenza dei Comandanti delle Polizie Cantonali Svizzere (Ccpcs) e quelli della Società dei Capi di Polizia delle Città Svizzere (Scpcs), confermano, poi, che sui 2.258 casi verificatisi nel 2010 oltre il 90% delle vittime erano agenti di polizia. Numeri allarmanti, che si allineano a indicazioni simili provenienti da molti paesi europei. Solo per fare un esempio, nella vicina Italia, nei primi sei mesi del 2011 vi sono stati 1.050 aggressioni contro agenti (poliziotti e carabinieri) semplicemente contando i casi avvenuti durante controlli stradali. Non a caso in alcuni paesi si è corsi ai ripari inasprendo le pene contro chi aggredisce funzionari statali o poliziotti. In Francia la “violenza contro la polizia” è da qualche tempo considerata un delitto con circostanze aggravanti e i recidivi possono essere condannati a una pena doppia di quella prevista normalmente. Certo in molti casi si tratta di episodi “minori”, ingiurie, magari minacce urlate in un momento di rabbia, però quello che

denuncia – e preoccupa – il sindacato di polizia è come non si sia di fronte a episodi isolati, ma a un trend ormai consolidato e che trova terreno ideale per esplodere, per esempio, nelle manifestazioni sportive. Fra i tifosi normali, infatti, si mescolano sempre più spesso individui pronti a far uso della violenza, anche nelle leghe di calcio e hockey su ghiaccio inferiori. Una situazione che richiede un grande impegno di risorse umane ed economiche: mediamente, circa 900 agenti di polizia devono prestare servizio settimanalmente per questi avvenimenti, con una spesa complessiva di oltre 32 milioni di franchi l’anno. Nelle manifestazioni sportive spesso la situazione è resa più complicata dall’abuso di alcol da parte dei “tifosi”, tanto che da più parti sono state avanzate proposte per vietare la vendita di alcolici in prossimità degli stadi. Piccoli fattori di deterrenza, certo, ma già qualcosa secondo i sindacati di polizia. La riforma del Codice penale Un altro fattore contro cui puntano il dito i rappresentanti dei funzionari di polizia riuniti nell’Fsfp è la scarsa atten-


Agorà

6 Illustrazione di Nicola Pampuri

zione che viene dedicata al fenomeno e i mezzi giuridici inadeguati con cui viene fronteggiato. La Federazione Svizzera dei Funzionari di Polizia in molti suoi comunicati ha puntato il dito sulla recente entrata in vigore nel 2007, dopo 25 anni di lavori preparatori, della nuova parte generale del Codice penale. La riforma prevede, di principio, la sostituzione delle pene detentive di breve durata con la pena pecuniaria. In parole povere, chi commette un reato punibile con pene detentive fino a sei mesi se la cava con un’ammenda. Si toglie così, secondo i rappresentati dell’Fsfp, quello che era un forte deterrente a commettere piccoli reati, la possibilità cioè di finire in galera o comunque di vedersi la fedina penale sporcata da una condanna, anche se magari sospesa con la condizionale. In realtà su questa prassi introdotta nel 2007 vi sono sempre state molte discussioni, anche se la sua applicazione partiva da alcune constatazioni relative alla casistica giudiziaria. Negli ultimi decenni quasi il 30% di tutte le pene è stata, infatti, di natura pecuniaria, mentre più del 90% delle pene detentive comminate sono state pene detentive fino

a 6 mesi e all’incirca l’80% delle stesse sono state sospese condizionalmente. Il punto di vista dei poliziotti Max Hofmann, segretario generale dell’Fsfp però sul tema è molto chiaro: “Il problema della violenza contro la polizia è enorme e sottovalutato. Per questo abbiamo scritto una petizione che abbiamo inoltrato sia al Consiglio federale sia alle Camere federali. Abbiamo proposto tre cose, per affrontare la questione: una pena minima per le violazioni all’articolo 285 del Cps. Oggi non è chiaro dato che si parla di multa o arresto. Abbiamo chiesto la reintroduzione delle pene di detenzione brevi, eliminate dalla recente modifica del Codice penale. Terzo punto prevedere che per i recidivi ci sia il raddoppio della pena, come succede in Francia. Una misura che sta dando i suoi frutti”. Attualmente sono in discussione ben due revisioni del Codice penale, revisioni che prevedono di reintrodurre le pene detentive di corta durata, oltre a inasprire le pene per le violazioni di alcuni articoli, tra cui il capoverso 2 dell’art. 2853. Per esempio si pensa di aumentare la pena – da 30 a 90 giorni –


per gli episodi di violenza e minaccia contro i funzionari fatti in assembramento con ferimento o danneggiamento. Per l’Fsfp si tratta di un passo in avanti, anche se secondo Max Hofmann urge più che altro fare attenzione a quello che gli episodi di violenza contro agenti di polizia segnalano: “Non sono solo in aumento le aggressioni contro i poliziotti, aumentano un po’ tutti i reati contro persona, violenze, stupri ecc. Parallelamente diminuiscono i furti, le rapine, i reati contro il patrimonio. È il segnale che si ha meno rispetto per la persona umana, che porti la divisa oppure no, e nello stesso tempo che c’è meno rispetto per quello che le persone con la divisa rappresentano, l’autorità statale, lo stato. Sembra essere venuto meno un senso di partecipazione alla cosa pubblica che fino a qualche anno fa esisteva ancora e lo testimonia anche il fatto che sono aumentati i casi di aggressione contro i veterinari cantonali, considerati da sempre un’istituzione nella Confederazione”. Un campanello d’allarme quindi, che pare segnalare la preoccupante disgregazione di una relazione “positiva” tra stato e cittadinanza. Così come dovrebbe preoccupare il tasso di aggressività che pare essersi diffuso un po’ a tutti i livelli della società. Dati come quelli delle aggressioni contro gli agenti

di polizia ci dicono che oggi reagisce in maniera violenta non il delinquente abituale, ma l’uomo comune. E questo indica che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe, per frustrazione, stress eccessivo, bisogno di non essere messi mai in discussione, neppure quando viene contestata una multa… sacrosanta. note 1 I dati sono disponibili in tedesco e francese ai seguenti link: www.fedpol.admin.ch/fedpol/de/home/dokumentation/zahlen_und_fakten. html; www.fedpol.admin.ch/fedpol/fr/home/dokumentation/zahlen_und_ fakten.html. 2 Si tratta dell’articolo che punisce gli atti di violenza o minaccia contro le autorità e i funzionari. Al primo comma recita: “Chiunque con violenza o minaccia impedisce a un’autorità, a un membro di un’autorità o a un funzionario di compiere un atto che entra nelle loro attribuzioni, oppure li costringe a un tale atto o mentre lo adempiono commette contro di loro vie di fatto, è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria“. 3 Il capoverso 2 dell’art. 285 Cps recita “Se il reato [di violenza o minaccia contro le autorità e i funzionari, ndr.] è commesso da un assembramento di persone, chiunque vi partecipa è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria. I compartecipi che hanno commesso atti di violenza contro le persone o le cose, sono puniti con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria non inferiore a 30 aliquote giornaliere”.

Agorà

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La copertina di questo numero e le illustrazioni presenti in questo articolo sono state selezionate fra oltre trenta proposte realizzate appositamente per Ticinosette dagli allievi del III° anno del corso di Comunicazione visiva della Supsi, sotto la guida del docente Antoine Déprez e dell’assistente Antonio Bertossi. La Redazione ringrazia vivamente per la collaborazione, l’entusiasmo e la qualità dei lavori proposti.

Illustrazione di Antonio Rotunno


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Percorsi dell’anima Lo scrittore ticinese Flavio Stroppini con il suo romanzo breve “I Sentieri” ci regala un inno alla montagna, ma anche alle radici, alla famiglia, alla natura e alla vita. Con un approccio multimediale di Nicoletta Barazzoni

Arti

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Il libro si apre con il ritrovamento del corpo di Manfredo che locale con una visione allargata sul mondo, narrando anche la “aveva il viso rivolto a terra, come se vi ci si volesse immergere, o an- sua esperienza. Se è vero che la narrativa aiuta a non perdersi, negare”. Flavio Stroppini prende le mosse dalla montagna con i per converso è altrettanto vero che aiuta a ritrovarsi: “In fin suoi aneddoti sepolti. Simbolo maestoso di una comunità, essa dei conti quel che si ricerca è la semplicità del reale. Che di per sé è è la protagonista principale di questo romanzo, che si discosta già oltremodo complessa. Assenza, presenza, vita, morte. L’eterno dal tentativo di descrivere o svelare il patrimonio locale. La gioco dei contrasti riesce a definirci. E in queste maree continue c’è comunità culturale della montagna ha affidato a Flavio Strop- la natura e il suo «rimanere». In questo caso la montagna”. Egli pini questo progetto originale, ripercorre i sentieri per rintracche amalgama tre registri e tre ciare l’aspetto contemplativo ed linguaggi: la scrittura, l’oralità esistenziale che sfugge al nostro e il teatro. L’audioracconto – volere o che deliberatamente registrato a Campora e allegato evitiamo di approfondire: “Com’è come cd al libro con musiche di possibile che la vita cambi a tal Zeno Gabaglio e la partecipaziopunto, da spingerti così lontano ne di diversi attori che recitano da te stesso e dimenticarti d’essere le diverse parti – contribuisce a quello che eri?”. La montagna si valorizzare il racconto. Perché svela al lettore con deferenza, attraverso la trasmissione orale frammista a un elevato senso del romanzo l’esigenza mnemodel rispetto. I sentieri sono “senica viene potenziata, con il gni di un’umanità arrugginita”. coinvolgimento di più sensi. Si E la montagna “una complessità dice che, paradossalmente, la difarmonica… un affastellarsi di senfusione del computer nella civiltà sazioni di vento, animali, foglie e contemporanea stia provocanacqua che si annullano a vicenda do il ritorno a forme di oralità creando l’apparenza del silenzio. I cosiddette secondarie. Infatti il sentieri sono tracciati dall’abitudine Immagine tratta da www.camptocamp.org potere e l’azione della parola/ di animali e uomini. Sono percorsi suono hanno una valenza uditiva, così come i suoni musicali creati dall’impratichirsi del mondo. Sono il risultato di esperienze. qui contenuti hanno un rapporto speciale con il tempo. Rivelarli è come scoprire le storie della montagna”. Il testo rievoca le immagini, di chi come noi, ha avuto, con la montagna, un La memoria e il suo opposto rapporto idiosincratico. C’è in esso la paura di dimenticare ma Entrambe le forme espressive, parola e suono, condividono un anche quella di essere dimenticati. La memoria ci permette di legame intrinseco perché – come osserva lo studioso Walter esistere ma essa è contrapposta (o sovrapposta) alla dimentiOng – sia le parole lette sia il suono non li si possono né avere canza, senza la quale non sarebbe possibile ricordare. né trattenere. Se in questo processo vi è il pericolo di dimenti- I Sentieri rappresentano il senso di smarrimento e di ritrovacare quanto appena udito, con il testo scritto è invece possibile mento, il coraggio di ritornare mostrando la faccia, con il ripercorrere e raccogliere le parole ricordandole, perché la scrit- rimpianto di quello che ci siamo lasciati alle spalle, o nell’ectura ristruttura il pensiero. Sul palcoscenico la rappresentazione citazione di quello che ci sta aspettando. Si intravede la ricerca favorisce l’interiorizzazione visiva e uditiva di alcuni passaggi di un punto di partenza e d’arrivo, mentre in lontananza ma del romanzo, grazie alla lettura scenica del testo. Il progetto è il ben delineato, si staglia il desiderio di ritornare. “A volte capita risultato dunque di una convergenza di linguaggi che interagi- di chiedersi dove siano le proprie radici. A volte siamo convinti che scono tra loro. L’opera coinvolge i comuni di Besazio, Meride siano dove siamo nati, oppure dove abbiamo passato la maggior e Mendrisio (con i quartieri di Arzo e Tremona) ma potrebbero parte della nostra vita… le nostre radici sono dove sono seppelliti i essere luoghi altri, riconoscibili per ciò che li accomuna con nostri cari… Noi siamo la terra che ci precede e quella che ci accoun altrove. Non vi è nulla di promozionale nella costruzione glierà. L’inizio e la fine sono accaduti sulla montagna”. di questo romanzo. Stroppini non si perde troppo in compia- Il volume di Flavio Stroppini è reperibile presso la cancelleria cimenti estetici od intellettuali, ma si sofferma sull’identità comunale del comune di Besazio (tel.: 091 646 62 42).


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Una favola “nera”

Negli anni Trenta del Novecento, un predicatore vestito di

» di Roberto Roveda

compone una vera e propria favola “nera” in cui i protagonisti nero e con tatuate sulle nocche delle mani le parole hate si muovono sullo sfondo di un’America di provincia chiusa e (odio) e love amore si aggira per l’America rurale impoverita gretta, impregnata di paure inconsce e di dilemmi religiosi, di dalla Grande Depressione. Il suo nome è puritanesimo e sessuofobia. Harry Powell (Robert Mitchum) e con lucida Un quadro asfittico che sembra creato su follia seduce donne sole, per poi ucciderle e misura dal regista per Harry Powell, falso derubarle. All’inizio del film è alla ricerca del profeta capace di incantare con le sue parole, bottino di una rapina e non esita per questo allo stesso tempo mielose e minacciose, intere a plagiare la moglie del responsabile del furto, comunità. In quello che è probabilmente il la fragile Willa Harper (Shelley Winters). È lei ruolo migliore della sua carriera, Mitchum la prossima vittima ma a sapere dove sono i giganteggia, conferendo tutta la sinistra amsoldi sono i figli della donna, che riescono a biguità necessaria per rendere un personaggio sfuggire alla follia dell’“orco” rifugiandosi nelperennemente in bilico tra normalità e follia. la casa di una strana vecchietta (Lilian Gish) Un’interpretazione che vale la pena di apprezche li accoglie come trovatelli. Il predicatorezare in lingua originale per poter godere della assassino, però, non è disposto a darsi per voce del grande attore statunitense, a tratti vinto ed è sulle loro tracce, pronto a tutto pur melliflua, a volte così angosciante come se La morte corre sul fiume regia di Charles Laughton di impossessarsi del denaro… giungesse direttamente dall’oltretomba. Stati Uniti, 1955 Prima e unica regia del grande attore Charles Un film epocale – nel senso letterale del teLaughton, La morte corre sul fiume rappresenta il culmine della mine in quanto capace di mettere a nudo i sentimenti di un parabola del cinema noir, genere di cui riassume, in un’ideale epoca, gli anni Cinquanta in America –, che però non venne kermesse, tutti gli elementi fondanti: atmosfere cupe e oniriche, apprezzato dal pubblico tanto da decretare la fine della carriera uso del chiaroscuro e inquadrature distorte ispirate al cinema di Laughton come regista. Probabilmente la pellicola guardaespressionista tedesco degli anni Venti, trame dure e personaggi va troppo a fondo nell’inconscio spaventato e ossessionato violenti, al limite del sadismo. Utilizzando questi elementi dell’America maccartista e questo non fu perdonato né al in misura magistrale e con attenzione maniacale Laughton regista, né al film.

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Il mistero di Jim “Poi Collins aveva aperto la porta, nella sua vestaglia di seta tailandese, una sigaretta scura infilata nel bocchino e il solito mellifluo sorriso lavabile sulle labbra” (brano tratto da L’onorevole scolaro di John Le Carré, 1977)

di Mariella Dal Farra

“La stoffa, in effetti, sembra agire tramite le proprie intrinseche

qualità (consistenza, fulgore, odore, rumore), la maggior parte delle quali risulta secondaria rispetto alle qualità tattili. Queste qualità tattili sono indubbiamente molteplici, sottili, complicate, innumerevoli per un’epidermide raffinata; certamente vengono esaltate dalle qualità estetiche, che sono di ordine più ampio […]”1. Così scriveva Gaëtan G. de Clérambault, medico psichiatra e maestro di Jacques Lacan (1901–1981) agli inizi del secolo scorso, nel relazionare sui casi di “tre donne che hanno provato un’attrazione morbosa, essenzialmente sessuale, per alcune stoffe, in primo luogo per la seta, e che in relazione a questa passione hanno evidenziato impulsi cleptomaniaci”2. Le conclusioni un po’ radicali di Clérambault – “Per riassumere, crediamo di scorgere nel piacere erotico per la seta una perversione specifica del temperamento femminile e, pertanto, molto più frequente tra le donne che tra gli uomini” – sono però contraddette da almeno una, notevole eccezione: Jim Thompson, l’uomo che trasformò la propria personale passione per questo tessuto in una fiorente produzione industriale, fondando un marchio che ancora oggi contraddistingue sete particolarmente pregiate.

Società

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Una fotografia degli anni Sessanta che ritrae Jim Thompson in compagnia di una sua assistente

Dall’intelligence alla seta Jim Thompson3 – da non confondersi con l’omonimo scrittore, con il quale curiosamente condivide anche l’anno di nascita (il 1906) – è stato un imprenditore americano che, arruolatosi volontario all’inizio della guerra, venne assegnato all’Oss (Office of Strategic Services), ente precursore della Cia. Svolse missioni in Nord Africa, Italia, Francia e Asia; mentre era in viaggio verso Bangkok, il conflitto cessò, e nel 1946 Thompson ricevette l’ordine di rientrare. La sua breve permanenza in Tailandia lo persuase però a tornare per dedicarsi all’industria della seta: un settore che nel paese stava languendo a causa della concorrenza di Europa e Giappone. Quando, nel 1948, Thompson aprì il primo stabilimento, la tessitura della seta in Tailandia era poco più che un’attività sussidiaria svolta dalle famiglie per uso personale. Lui introdusse telai più moderni e sostituì le tradizionali colorazioni a pigmenti vegetali – dalle tonalità poco intense e suscettibili di scolorirsi nel tempo – con tinture svizzere dai colori brillanti e ad alta capacità di fissaggio. Soprattutto, attraverso l’amico Frank Crowninshield, già editore di “Vanity Fair”, riuscì a ottenere un appuntamento con Edna Woolman Chase, l’iconica direttrice editoriale di “Vogue” – che ricoprì questo ruolo dal 1914 al 1952 – e maître à penser della


moda americana dell’epoca. Il responso fu favorevole: Chase descrisse le sete di Thompson come “una nuova, magnifica scoperta”, e il marchio cominciò a diffondersi. Dieci anni dopo, la thai silk di Thompson annoverava fra i propri clienti: i produttori di Ben Hur, che la usarono per i costumi degli interpreti principali del film; il Savoy Hotel di Londra, le cui suites esibivano finiture in seta; la famosa ereditiera Barbara Hutton, che usò il lussuoso tessuto per arredare la sua residenza messicana; l’Hilton di Hong Kong, la Reynolds Metal Company in America, ecc. A coronamento di tanto successo, nel 1959 Thompson si trasferì nella nuova casa che aveva fatto costruire a Bangkok, e che rappresenta tuttora uno dei luoghi più intriganti della città. Affascinato dallo stile architettonico tailandese, Thompson, un ex architetto lui stesso, decise di acquistare alcune antiche case tradizionali in varie parti del paese, per poi smontarle e riassemblarle in loco. Queste vecchie abitazioni sono infatti costituite da pannelli di tek prefabbricati che vengono composti come un Lego, senza l’uso di chiodi. I moduli furono quindi trasportati attraverso i klong, i caratteristici canali di Bangkok, fino alla proprietà di Thompson, dove vennero assemblati in sei strutture principali circondate da un lussureggiante giardino simile a una giungla in miniatura. Attualmente, l’abitazione è stata trasformata in una casamuseo ed è possibile visitarla con l’ausilio di una guida che ne racconta la storia, soffermandosi sulle alte soglie di legno che separano una stanza dall’altra – per impedire ai bambini piccoli di caracollare fuori dagli spazi protetti, ma anche per ostacolare gli spiriti che di notte tentano di introdursi – o indugiando sulla collezione di antiche statue del Buddha, di cui fa notare i fori di proiettile che scavano la testa dell’una o le mutilazioni inflitte a un’altra. E precisando come nessun tailandese collocherebbe nella propria abitazione un’effige del Buddha danneggiata, per quanto bella e preziosa, perché si crede porti sfortuna.

Un’affascinante e delicata scomparsa La singolare vicenda di Thompson sembrerebbe avvallare tale superstizione: l’abile imprenditore scomparve infatti senza lasciare traccia nel 1967, durante una vacanza in Malesia. Uscito un pomeriggio per un’escursione nella giungla (che conosceva e amava) non fece più ritorno, e le estensive ricerche mobilitate per ritrovarlo non diedero esito alcuno. Thompson, letteralmente, si volatilizzò e nessuno, almeno ufficialmente, seppe più niente di lui. Nel corso del tempo, sono state formulate diverse ipotesi che vanno dallo sfortunato incontro con una tigre alla fuga dissociativa, ma molti sostengono che una sparizione così perfetta debba avere a che fare con il periodo in cui Thompson fu membro dell’Oss. E se probabilmente non si saprà mai per certo quale fu il suo destino, di sicuro la casa in cui visse e la seta che il suo marchio a tutt’oggi produce mutuano da questa inspiegata scomparsa una dose di fascino supplementare. note 1 Gaëtan Gatian de Clérambault, Passion érotique des étoffes chez la femme, Archives d’anthropologie criminelle (1908). In italiano, Il tocco crudele - La passione erotica delle donne per la seta, a cura di Tiziana Villani, Mimemis, 1994. 2 Ibidem, pag. 21. 3 Informazioni tratte dal sito tematico www.jimthompsonhouse.com, sezione “Jim Thompson Life & Legend”. invito alla lettura SOLVED! The “Mysterious” Disappearance of Jim Thompson, the Legendary Thai Silk King di Edward Roy De Souza Word Association Publishers, 2010 Per ora solo in lingua inglese, questo volume promette di rivelare che cosa sia davvero accaduto al “re della seta”. A tutti coloro che si trovano a passare per Bangkok, si raccomanda invece una visita alla bellissima “Casa sui klong” (www.jimthompsonhouse.com) ed eventualmente una puntata nell’annesso negozio di sete... senza però cadere negli eccessi descritti da Clérambault!

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Ricordi di sogno Ho sognato un bambino di sei anni, davanti al televisore. Sta per partire lo Shuttle. Ecco il conto alla rovescia, il fumo, e finalmente quel prodigioso lampo di luce, capace di lanciare l’astronave nello spazio testo di Alessandro Tabacchi illustrazione di Mimmo Mendicino

Kronos

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Poi il pensiero si confonde e nel ricordo si sovrappone l’immagine di un gran treno a vapore che prende la rincorsa verso le stelle balzando da un trampolino gigantesco verso l’ignoto. E il treno corre fra asteroidi e pianeti, trasportandomi verso regioni astrali, intrise di malinconia. E poi luce, luce che brilla negli occhi di una ragazza bellissima e silenziosa, dai lunghi capelli biondi e dagli occhi grandi e tristi, chinati su di me bambino come quelli di una madre premurosa. Indossa un abito nero e i suoi lunghi capelli lambiscono le stelle che riesco a vedere dal finestrino del treno. Chi sei? Forse lo spirito della giovinezza? Forse un sogno lontano? Chi sei, amica silente dall’abito nero? È un attimo. E mi perdo nel nero del cielo. Perché mai sono ridisceso a terra? Colline al tramonto, rosso che sfuma nel giallo, un placido fiume. La ragazza bellissima dai lunghi capelli biondi è ancora vicino a me... no, mi sbaglio: i tratti del volto sono diversi. Vi è ora una grande durezza in lei e una sconfinata tristezza, le sue labbra sottili sono rinserrate in un rimorso gentile e in una rabbia silenziosa, eppure quel suo sguardo severo mi accarezza ancora con accenti di infinito amore. L’abito nero è divenuto una divisa militare e la sua spada tintinna nel fodero. La guardo. Piange in silenzio, poi si volta ad osservarmi, e piangendo abbozza un sorriso. Colline al tramonto, rosso che sfuma nel giallo, e un refolo di vento. Sono nuovamente solo, seduto nel tinello di casa. Il televisore è un cielo; ed eccolo lassù lo Shuttle, un chicco di luce che si fa strada fra le nuvole. Sembra voglia sottrarsi veloce alla mia vista. Lo inseguo, e ruzzolo per terra. Verso l’infinito È di nuovo buio intorno a me, poi all’improvviso un lampo di luce. E tanto chiasso. Cosa mi fascia il volto, mentre un essere abominevole lotta con me? Combatto e prendo pugni, le ossa s’incrinano per la violenza, ma dove sono capitato? Sono nel bel mezzo dell’Inferno, eppure trovo la forza dentro

di me e atterro quel nemico oscuro. Ma cosa mi fascia il viso? La gente urla ma non la vedo. Allora mi strappo la maschera e vedo che ha le fattezze di una tigre. La getto lontano e mi ritrovo nuovamente seduto davanti alla televisione. Lo Shuttle sta volando ormai lontano, è un puntino seguito da una coda luminosa, una cometa all’incontrario. Allora sono forse ancora in volo in mezzo alle stelle? La mia amica silente dall’abito scuro e lungo è ancora con me, non la vedo ma ne percepisco la presenza. All’improvviso ricordo che mia mamma è in cucina e sta preparando la cena. Mi alzo e vado da lei: per un attimo mi sembra che abbia i tratti della mia silenziosa compagna di viaggio, poi tutto ritorna al suo posto. Fra poco è ora di cena. In giardino Rinti e Janda giocano spensierati e violenti come solo i cani sanno fare: li sento abbaiare e do un’occhiata. Apro la porta e mi trovo davanti a un castello immenso. Sparano, è guerra. Avanti avanti! I cannoni rombano nell’aria, fiammate rosse che sfumano nel giallo. Piovono i colpi, sono ferito, e il mio colonnello è stato colpito mortalmente. Ora sono solo con lui: i suoi occhi velati di tristezza si stanno chiudendo per sempre. Non morire, non morire! Lo abbraccio. Ma come può il mio colonnello avere i capelli così lunghi e morbidi e le mani affusolate come quelle di una pianista. Ma sei tu, amica mia! Che ci fai qui nella battaglia! Non morire! Non morire! Ma perché non vedo nulla? Tutto finisce. Poi solo il silenzio. Rinti e Janda riprendono ad abbaiare. Chi c’è al cancello? È arrivato dal lavoro il papà? No, è troppo presto. Mi alzo dall’erba stropicciando gli occhi e vado a vedere. C’è qualcuno in piedi davanti ai cani. È un ragazzo vigoroso e dai modi gentili, e mi tende la mano. Mi sorride. Forse ha caldo... In mano ho un fazzoletto e glielo passo. Ma subito mi accorgo che non gli ho passato un fazzoletto, ma la maschera da tigre. Lui mi sorride ancora, poi la indossa, mi saluta e sfuma nel colore del tramonto, rosso, con accenni di giallo. Guardo bene: lo Shuttle non è più visibile, perduto oltre l’atmosfera. Nell’infinito.


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Barocco (in)compreso

» di Giancarlo Fornasier

Scrive Etienne Barilier nelle prime pagine di questo breve che ricordando cronologicamente i cantieri nei quali il Borsaggio: “[Ancora nell’Ottocento] tutto il barocco era messo alla romini lavora sin da bambino. Un aspetto questo per nulla gogna. A John Ruskin, ad esempio, pareva «impossibile sprofonda- noioso, ma che al contrario evidenzia come le conoscenze re più in basso per cattivo gusto» di quanto avesse interpersonali e la cura delle “pubbliche relaziofatto il Bernini, fratello nemico di Borromini”. E ni” fossero fondamentali per prestare servizio continua: “Oggi la sua causa [del barocco] è presso i grandi committenti. stravinta (...) Del resto, l’idea che si possa condanCome nella migliore tradizione narrativa, l’aunare in blocco uno stile artistico ci pare piuttosto... tore sin dall’inizio pone il lettore di fronte a barocca, per non dire assurda. Non siamo forse “una rivalità” tutta interna alla scuola barocca, disposti ad accogliere tutti gli stili del mondo? quella fra lo stesso Borromini e Giovan Lorenzo Tanto che oggi l’arte, a forza d’essere dappertutto, Bernini (1598–1680), altra figura artistica di rischia di non essere da nessuna parte”. spicco nella Roma papale. Originario dei Laghi Un ennesimo libro sull’opera dello stuccatore ma formatosi a Milano il primo, nato a Napoli e architetto di Bissone? Vista la corposa biblioe figlio dello scultore Pietro il secondo, Borrografia già disponibile – le ultime pagine del mini e Bernini operano e si rincorrono nella volume ne presentano una versione “essenziacittà eterna per molti decenni, lasciando segni le” – forse in pochi ne sentivano il bisogno. Ma indelebili delle loro capacità quali progettisti ciò che contraddistingue l’opera di Barilier è il e scultori, ma anche restauratori e stuccatori. Francesco Borromini. Il mistero e lo splendore punto di vista. Qui infatti non è solo il genio Le poche (ma mirate) immagini in bianco e di Etienne Barilier creativo di Francesco Borromini (1599–1667) a nero presenti nel volume sono in grado di racCasagrande, 2011 dominare; piuttosto è la sua storia di uomo a contare senza riserve della straordinaria abilità volte cupo, fatta di apprendimento, relazioni, tormenti... oltre di Francesco Borromini nel trovare soluzioni che ai nostri che di opere che lo pongono oggi tra le figure più importan- occhi, ancora oggi, paiono inaspettate e disarmanti. In fondo, ti dell’intera storia dell’arte. Barilier, professore di letteratura la bellezza della cupola del San Carlino – con le sue croci, i e traduzione all’Università di Losanna, ricuce la vita del Tici- cerchi, gli ovati e gli ottagoni: un puzzle sul punto di esplodenese punteggiando le pagine di note storiche e politiche, oltre re verso il cielo – testimonia che “l’arte non è dappertutto”.

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» testimonianza raccolta da Marco Jeitziner; fotografia di Reza Khatir

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Edgardo Rossi

Vitae

eravamo arrivati con dieci secondi in meno di loro. Dieci secondi! A quei tempi, il peso del kart non contava. C’erano piloti di 50 chili che, anche se non erano granché, alla partenza ti “davano” già tre, quattro metri. Poi è arrivato il regolamento: pilota e kart dovevano pesare complessivamente 120 chili. Ma c’era sempre chi faceva il furbo: un ticinese attaccava al telaio delle padelle di piombo di più di 10 chili l’una. Oppure aveva due caschi uguali, ma in uno inseriva dei pesi. Alla pesatura indossava quello “truccato”, e poi quando correva metteva l’altro: ne ha vinte diverse La grande passione per i motori, il bri- di gare così… Ma anche con vido della velocità e le competizioni, le questi trucchi non era facile gare vinte e l’amicizia con altri campio- battermi! Se il kart aiutava con le ragazze? (ride, ndr.) Be’, ni. Una carriera breve ma intensa negli loro seguivano… anni Sessanta, fino al titolo di campione Quasi tutti i piloti a livello mondiale vengono dal kardel mondo di karting ting: Hakkinen, Senna, Hadi, ero già passato davanti. milton, Schumacher, Alonso, ecc. E come Fatto sta che ho vinto quel nella Formula Uno, quando si compete, mondiale, non la corsa, ma anche nel kart bisogna essere freddi. Per ai punti. Per vincere bisogna combattere la tensione, a quei tempi magari fare i furbi. Purtroppo poche si beveva qualche caffè in più ed eravamo a volte ho avuto la fortuna di posto così, ma a quei livelli non puoi confare il tempo migliore, pertrollarla. C’è chi è freddo, chi si emoziona ché non avevo mai il mezprima e chi, ed è peggio, durante la gara, e zo uguale agli altri, a parte questo non va bene... Cos’è cambiato oggi? l’anno del mondiale. Ricordo Tantissimo. Allora avevo 22 anni ed ero che a Düsseldorf avevo vinto tra i più giovani, oggi invece i ragazzini prima, seconda e terza mancominciano a 6 anni. Il kart ormai è una che, poi si ruppe il motore, macchina, potente, con tenuta di strada, ma arrivai comunque terzo. ma soprattutto eravamo tutti più o meno Un’altra volta, vicino a Pariamici. Ronnie Peterson, che ha vinto il gi, a 140 chilometri orari sul mondiale di Formula Uno e poi è deceduto a rettilineo prendo una curva Monza, era svedese, io ticinese... ma quando a destra, freno e perdo una ci trovavamo ci si abbracciava, anche se io ruota che non era stata stretnon parlavo inglese. Ero anche amico di ta bene: ho rotolato ma nulla Guido Sala, che è stato due volte mondiale. di grave. Andavamo in Germania, in Olanda, oppure In Ticino, invece, abbiamo coi ticinesi si andava a correre a Losanna cominciato nel 1962, quando o a Vevey, facendo il Sempione, dove si avevano appena costruito la pranzava e si stava tutti assieme. Già ai miei pista a Magadino. Già allotempi sono riusciti a fare andare un kart a ra, con la nazionale svizzera 214 chilometri orari! Oggi con uno da 100 composta da quattro ticinesi, cc che pesa 60-70 chili sono arrivati a oltre avevo una marcia in più. Una 270 km/h! volta abbiamo fatto una corsa Penso che ancora oggi il karting per i giovani in salita al Luzzone e c’era ragazzi sia sicuramente una scuola. Imparaanche Silvio Moser: noi coi no cosa significa guidare, dosare la velocità, kart, loro con le auto da Forquanto si può viaggiare per arrivare vicino a mula Uno. Ero salito veloce, una curva, come impostarla, come compornon so in quanto tempo. tarsi in caso di uscita di pista o di incidente. Anni dopo, ho poi saputo che Perché è questo guidare una macchina!

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o sempre avuto la passione per i motori, già da ragazzino, quando al campo di calcio di Monte Carasso organizzavano delle corse di gimcana. Avevamo fatto anche una gara di stock-car, saldando delle putrelle davanti alle auto: averle ancora oggi, quelle auto varrebbero un milione, ma a quei tempi l’avevo pagata una miseria… Comunque, quando ero ragazzo i kart in Ticino non c’erano ancora: venivano dagli Stati Uniti e ricordo che il primo l’avevo comprato in Italia. La mia carriera è durata solo cinque anni: ho cominciato quando ne avevo 22 e verso i 27 ho smesso. La prima corsa l’ho fatta a Stans, all’aeroporto, arrivando secondo; dunque già un bel risultato, ma al terzo anno potevo già vincere il Mondiale a Milano. Naturalmente, ci vuole anche un po’ di fortuna, non dipende solo dal pilota ma anche dai mezzi, dai motori, ecc. Ho vinto diversi campionati ticinesi, il campionato svizzero, partecipando anche a diversi campionati europei a squadre e infine ho vinto un campionato del mondo. A quest’ultimo, ho partecipato quattro volte, a Roma nel 1964, poi in Germania, in Olanda e l’ultimo vincente a Montecarlo nel 1967. Avevo rischiato di non farcela: eravamo cinque piloti con cinque punti di differenza e bastava che qualcuno arrivasse davanti. Ma c’erano stati dei sabotaggi e il mio motore non andava. Così, capendo già un po’ di motori e di telai, dissi al meccanico che non avevo più bisogno di lui e ho fatto a modo mio. Siccome c’erano anche degli accordi con altre nazioni, che ti facevano vincere o che ti buttavano fuori, ho indossato la tuta di un altra squadra, poi ho cominciato a guadagnare, il motore andava bene, non era più il “cammello” di prima. Sorpassavo belgi e francesi, loro si chiedevano chi fossi, ma era troppo tar-


Costruire dal Centro

Caso più unico che raro di “pianificazione critica” dello spazio abitativo in Ticino, che cosa rimane oggi della visione urbanistica che oltre trent’anni or sono ha animato l’architetto Luigi Snozzi e le autorità politiche di Monte Carasso? testo di Giancarlo Fornasier fotografie di Matteo Aroldi


Un complesso abitativo progettato dall’architetto Aurelio Galfetti sito alle spalle della struttura conventuale, scolastica e congressuale


in apertura: Casa N. Morisoli vista dalla strada verso la montagna


Una zona archeologica adiacente la chiesa (a sinistra) e sovrastata da uno degli edifici del Centro scolastico; i resti (in primo piano a destra) sono ciò che rimane di un chiostrino medievale incautamente demolito nella seconda metà del Novecento e primo nucleo del Convento rinascimentale in seguito restaurato

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na trasmissione radiofonica di Rete Due1 del settembre 2009 ricordava, nel trentennale del “Progetto Monte Carasso”, un’iniziativa urbanistica che a livello cantonale e nazionale rappresenta ancora oggi un caso, ahimé, più unico che raro. In quella stessa emissione il sindaco di Monte Carasso, Flavio Guidotti, e l’architetto e pianificatore Luigi Snozzi, ricostruivano le vicende che hanno permesso al comune bellinzonese di dotarsi di un progetto che, seguendo un piano regolatore “ripensato e critico” rispetto al precedente, mirava alla qualità sia del territorio sia della vita sociale del paese.

Quel che rimane del Progetto Il modello di pianificazione e urbanizzazione proposto da Monte Carasso è stato più volte premiato, tanto da diventare nel tempo il soggetto di visite guidate, esposizioni e libri. A questi ultimi vi rimandiamo per meglio apprendere le vicende storico-politiche che oggi permettono di guardare all’esperienza sopracenerina come a un modello positivo e vincente. Ma tutto ciò che è stato pensato e discusso, progettato e costruito negli ultimi tre decenni sarebbe oggi ancora possibile? Lo abbiamo chiesto a Flavio Guidotti, ieri come oggi sindaco del comune: “In una battuta potrei dire che sarebbe certamente possibile se gli attori di allora fossero gli stessi: le autorità, la popolazione e il progettista... Ma uno di questi non è più lo stesso, l’intera società ticinese è cambiata e con lei la popolazione, compresa quella del nostro comune in parte giunta da altri luoghi. Oggi una consistente componente degli abitanti di Monte Carasso si trova dunque a vivere all’interno di un progetto già realizzato, senza però esserne stata partecipe. Ma al di là dei contenuti progettuali,

è necessario considerare che sono cambiati anche i modi e i tempi, in particolare dal punto di vista politico-istituzionale”. Si spieghi meglio... “Vede, trent’anni fa c’era ancora un rapporto di rispetto e fiducia fra autorità-istituzioni e popolazione, così come negli anni Settanta il rapporto allievi-famiglia-docenti era diverso...”. È stato dunque il tessuto sociale ad aver giocato un ruolo determinate per la nascita e lo sviluppo del progetto? “Diciamo che un conto è apprezzare oggi quello che è stato fatto, un altro esserne stati gli attori sin dall’inizio. Come dicevo, la realtà di trent’anni fa non è quella attuale, e la popolazione ha avuto un suo ruolo. Pensate a che cosa sarebbe stato oggi Monte Carasso senza quella voglia di credere nell’idea iniziale. Ricordo che qualcuno che conosce bene la situazione delle aggregazioni comunali, una volta mi portò a titolo esemplificativo Ravecchia, oggi un quartiere di Bellinzona; un agglomerato molto ricco dal punto di vista abitativo, ma povero da quello sociale. Se Monte Carasso fosse stato aggregato a Bellinzona che cosa ne sarebbe stato? Avremmo potuto agire con il supporto della popolazione come abbiamo fatto? Questo a me basta per dire che il nostro lavoro è stato importante... e ricordiamoci che è iniziato in anni in cui la mentalità contadina stava volgendo al termine: il cambiamento necessitava di un nuovo modo di pensare. È ciò che siamo riusciti a fare. Ma non si pensi sia stato semplice”. A proposito di evoluzione e storia: un pregio suo e dell’architetto Snozzi è certamente stato quello di partire dal valore storico (il Convento) per rilanciare l’intero comune. Siete stati in grado, insomma, di far comprendere alla popolazione l’importanza di porre la ricchezza del territorio (e la qualità della vita) al di sopra degli interessi del singolo. “Il progetto parte dall’antico struttura religiosa che, si noti bene, era destinato alla demolizione. Da lì ci si è spostati all’intera area storica che lo circondava; poi al piano (...)


Sovrapposizioni storiche e stilistiche: alcuni edifici e zone verdi nei pressi di El curt di Paitign, a nord-ovest del Complesso conventuale. Nel 2009, in occasione del 30esimo di fondazione del “Progetto Monte Carasso”, all’architetto Luigi Snozzi è stata conferita la cittadinanza onoraria quale riconoscimento alla sua opera meritoria


viario (completamente ripensato) e via di questo passo... Come in un gioco di bambole russe che comprendeva, per finire, le gerarchie e i rapporti tra pedoni, ciclisti e l’intera mobilità, sino alla pianificazione di tutto il comprensorio comunale. Da qui nasce la dinamica che ha voluto portate la «qualità nel territorio» al centro del progetto, con infrastrutture, servizi, ecc. Una dinamica che ha avuto delle conseguenze nella stessa vita sociale di Monte Carasso, senza ombra di dubbio migliorandola”. L’invenzione del “centro” Altro aspetto assai interessante e molto evidente nel vostro comune è la presenza di un centro, storico e di aggregazione, ben definito e identificabile. È stata questa una priorità che vi siete posti sin dall’inizio? “Certo: quando c’è un punto di riferimento, un luogo di incontro e di identificazione, questo va a tutto vantaggio della vita del paese e della qualità del territorio. Avevamo bisogno di un luogo di scambio, un elemento fondamentale per un piccolo paese. Ma al di là degli aspetti urbanistici che la scelta di salvaguardare il Convento ha portato, il riordino del «centro» è stato un volano per tutto il progetto, tanto da dare al comune una visibilità internazionale: da quasi vent’anni a Monte Carasso si svolge un seminario di architettura e tutte le attività di animazione che oggi sono in agenda danno sostanza all’idea di partenza (la comunità, l’incontro). Una vita sociale che la popolazione ha riscoperto attraverso i concerti, la presenza di una piccola galleria d’arte, e poi ancora la Palestra e le società che grazie a questa sono nate o vi hanno trovato una sede stabile. E ancora la Scuola elementare e la Casa delle società, una sala multiuso attrezzata e messa a disposizione di chi opera nel nostro comune”. Tutto ciò ha naturalmente causato sin dall’inizio dei costi: come reagì la popolazione di fronte all’importante spesa che caratterizzava il progetto di Luigi Snozzi? “Quando proponemmo la nostra idea, spinti forse da un eccessivo entusiasmo, i costi si aggiravano, allora, sui 20 milioni di franchi: tanti per un comune dal gettito annuale di un milione circa. Significava impegnare il futuro in modo importante. Ma il nostro era un progetto che aveva «una visione», e in più era flessibile: come dire, esisteva la cornice di un quadro e dovevamo comporre le tessere per definire l’immagine finale. Chiedendo alla popolazione e ai proprietari di immobili e terreni dei «sacrifici»... ma concedendo loro anche dei vantaggi: penso alla possibilità di utilizzare il terreno edificabile in modo più razionale, poter costruire sui confini e con indici di sfruttamento impensabili con un piano regolatore a zone, più classico. Con un po’ di fortuna – quella serve sempre – e grazie alla positiva evoluzione finanziaria è stato possibile portare avanti l’avventura iniziale...”. Un’avventura che continua. Ancora oggi esiste una commissione che vaglia i singoli progetti e dialoga con i committenti. E dal comprensorio sul piano oggi l’attenzione si è spostata verso dei montagna... “Dall’identificazione nel progetto da parte di molte componenti civili e politiche del nostro comune è nata la Fondazione Curzùtt, un progetto che coinvolge più attori – tra questi il Patriziato – e che grazie a un’ammirevole

Matteo Aroldi Fotografo professionista da oltre 20 anni, opera e si muove prevalentemente fra l’Asia e la Svizzera. La città, i suoi estremi, le incongruenze, l’interazione tra le persone e lo spazio urbano rappresentano il suo contesto d’azione privilegiato, “dove l’intimità degli esseri umani è esposta e perennemente visibile”. Per ulteriori informazioni: www.matteoaroldi.com.

note 1 “Monte Carasso compie trent’anni. Dall’utopia alla realtà di un progetto” Geronimo - Arte del 17 settembre 2009 Rsi-Rete Due (www.rsi.ch). bibliografia Tra le pubblicazioni dedicate al riordino urbano di Monte Carasso segnaliamo: Monte Carasso, la reinvenzione del sito di Luigi Snozzi; foto di Stefania Beretta Edizioni Birkhäuser (1995) Per ulteriori informazioni e un’estesa bibliografia vi rimandiamo al sito del comune bellinzonese: www.montecarasso.ch.


Il comune di Monte Carasso confina a sud con Sementina; l’omonimo torrente rappresenta il limite naturale fra i due paesi

raccolta di fondi sta dando ottimi frutti: come la bonifica di selve pascolari, i recuperi di alberi da frutta e vigne, la creazione di un Ostello, ecc. Anche la nascita della Fondazione dimostra che l’identificarsi in una visione e crederci sia essenziale. Avere un progetto (e un progettista) è ed è stata la vera fortuna del nostro comune”. Come dobbiamo leggere questo “spostamento” verso la montagna: è il segnale che l’esperienza al piano, questa sorta di “processo di educazione urbana”, sta volgendo al termine? “Vede, l’edificazione si deve rapportare con il territorio, sfruttandolo ma in modo razionale e corretto. Diciamo che c’è stata un’evoluzione a livello edilizio e che ora il territorio mostra segnali di riempimento. Certo esistono ancora terreni residui ma in pratica non sono più sul mercato; il processo di edificazione tende dunque a diminuire

e questo non è un male. Ricordiamoci che repentini aumenti della popolazione sono all’origine di problemi, sociali e di convivenza”. Dunque, recuperare la parte della montagna significa dare nuovo ossigeno allo sviluppo edilizio del vostro comune... “No, non direi. Ogni tanto qualcuno mi dice che a Monte Carasso manca un parco. Ma il nostro parco è la montagna, e il processo di recupero di questa parte del comprensorio comunale permetterà di riscoprire le nostre radici rurali. Recuperare per conoscere da dove veniamo. Perché se non sappiamo da dove veniamo rimaniamo fragili... e poco importa se le nostre radici non sono nei libri di storia dell’arte. In questi anni quale sindaco ho capito che un approccio mirato e critico al territorio è fondamentale, perché permette di scoprire relazioni e legami. Sociali ma soprattutto con se stessi”.


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Le tre colombe trascrizione di Fabio Martini illustrazione di Antoine Déprez

C’era una volta… il re di Bretagna. Il suo nome era Faran ed era moooolto vecchio. Sentendo che era giunta la sua ora chiamò a sé i suoi due figli, Lud, il maggiore, e Owein, un uomo da tutti considerato come saggio e prudente. Affidò la corona al primo ma chiese a Owein di fare da consigliere al nuovo re in modo che le sue scelte fossero sempre giuste ed equilibrate. Re Lud, grazie anche ai buoni consigli del fratello, governò molto bene: difese il regno dagli attacchi dei nemici, costruì grandi fortificazioni e fu sempre benevolo verso il suo popolo. Un giorno però Owein si presentò al fratello per chiedergli il permesso di partire. Il re di Francia era morto poco tempo prima e sapendo che aveva una figlia, Clotilde, bella come la luce e sua unica erede, Owein desiderava andare a chiederla in moglie. Il re gli concesse volentieri il permesso di lasciare il paese e fece preparare subito una flotta per il viaggio. Prima di partire, gli affidò tre colombe addestrate a portare messaggi a grande distanza e dato che anche lui ne aveva alcune si sarebbero potuti scambiare consigli anche vivendo molto lontani l’uno dall’altro.


Owein sbarcò in Francia e fu accolto con grandi onori da tutti i nobili che, dopo essersi consultati, gli concessero la mano della futura regina. Divenne dunque re di Francia e insieme a Clotilde iniziò a governare con saggezza e giudizio. Avvenne però che dopo tre anni sul regno di Bretagna si abbatterono tre terribili calamità. La prima fu l’invasione dei Parniani, un popolo di misteriosi razziatori che avevano la capacità, grazie a un debole vento loro alleato, di ascoltare tutti i discorsi dei loro nemici riuscendo così ad anticipare le loro mosse. Dato che non era possibile sconfiggerli, re Lud, saggiamente, non parlò con nessuno e inviò un messaggio con una colomba al fratello affinché gli desse un consiglio. Questi in risposta gli inviò una delle sue tre colombe con appeso al collo un sacchettino contenente una polvere che rendeva sordi. Re Lud allora organizzò una grande festa fingendo la resa dei Britanni ai Parniani e diede loro da bere del vino in cui lui stesso aveva sciolto la polvere. Divenuti sordi e in preda alla disperazione, i Parniani fuggirono a gambe levate. Qualche tempo dopo però, nella notte di Calendimaggio, si iniziò a sentire un urlo spaventoso in tutte le terre di Britannia: un grido così terribile che tutti si chiusero in casa in preda alla più cieca paura. Le attività furono così trascurate: i campi abbandonati non davano più frutti e grano, le mandrie brucavano libere, gli artigiani non producevano più gli attrezzi e le cose necessarie per la vita di tutti i giorni. Re Lud vedendo il suo regno spegnersi lentamente, inviò disperato una colomba al fratello. Qualche giorno dopo dalla Francia giunse la seconda colomba di Owein con il seguente messaggio: “Caro fratello”, vi era scritto, “ogni giorno, quando la luce del giorno lascia posto alle tenebre, il drago rosso di Britannia viene attaccato da un drago bianco del Nord che lo azzanna al collo. È questo a provocare il grido che tanto vi spaventa. Per liberare il paese dal drago bianco dovrai misurare le tue terre e trovare il centro esatto. Lì scaverai una grande buca e vi metterai un tino grande come una casa e pieno fino all’orlo di idromele. Il drago bianco ne è ghiotto e vi si getterà. Quando sarà ubriaco e addormentato lo seppellirete in una fossa con sopra un tumulo di settanta cubiti di pietra. Non si risveglierà mai più a meno che la Britannia non venga invasa”. Re Lud seguì alla lettera il consiglio del fratello e riuscì a liberare le sue terre dal terribile flagello del drago bianco del nord.

Qualche tempo dopo, una terza sciagura si abbattè sulla Britannia. Una mattina i granai, le dispense, le cantine furono trovate vuote: tutte le provviste erano misteriosamente svanite. Nessuno riusciva a capire la ragione di queste sparizioni e tutti si diedero un gran da fare per trovare nuove provviste. Ma una volta terminata la raccolta la misteriosa sparizione si verificò di nuovo. Per evitare di vedere il proprio popolo ridotto alla fame re Lud inviò un’altra colomba al fratello, re di Francia. Dopo un paio di giorni finalmente si scorse un batter d’ali: era la terza colomba che giungeva dalla Francia con il messaggio di Owein. Fu portato subito a Lud che nel silenzio della sua stanza lo lesse con estrema attenzione. Questo è quello che vi era scritto: “Caro fratello, la causa delle sparizioni è dovuta a un mago malvagio che ruba e distrugge le vostre provviste. Dopo aver riempito di ogni ben di Dio le cantine del tuo palazzo, ti nasconderai e appena lui entrerà lo coglierai di sorpresa. Bada però di usare una spada tutta d’oro, altrimenti i tuoi colpi non avranno alcun effetto”. Re Lud fece allora chiamare il fabbro di corte e raccolto l’oro che teneva in uno dei suoi forzieri lo fece fondere e chiese che fosse realizzata una spada come mai se ne erano viste. Il fabbro ci lavoro per due giorni interi e alla fine consegnò al re quanto richiesto. Una volta fatte riempire le cantine e le dispense, re Lud si appostò dietro una colonna. Allo scoccare della mezzanotte si udì un lungo sibilo e infine apparve il mago, tutto vestito di nero e alto come due uomini. “Infame, non potrai andartene senza prima aver combattuto”, gridò il re prima di sfilare la spada dal fodero. Il mago fece una terribile risata e disse: “Vieni, vieni reuccio. Non esiste spada a questo mondo che mi possa dar cruccio”, e in segno di sfida fece segno di accettare il combattimento disarmato. Re Lud si lanciò verso di lui e solo all’ultimo momento sguainò la spada. Quando il mago scorse il luccichio dell’oro capì di essere tratto in inganno e tentò di sottrarsi al colpo mortale che implacabile lo colpì in pieno petto. Il mago si trasformò allora in un grosso topone e in un battibaleno scomparve alla vista del re. Da quel giorno la Britannia visse in pace e prosperità grazie anche a tre piccole e pacifiche colombe.

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La civiltà del vino Si tiene in questi giorni a Cernobbio – precisamente dal 10 al 13 novembre – la terza edizione del Villa d’Este World Wine Symposium, uno degli eventi più esclusivi nel panorama vinicolo internazionale. E non solo perché vi partecipano il marchese Piero Antinori, e Sir Aubert de Villaine, oppure ancora Monsieur Henri de Pracomtal che del vino, del grande vino, hanno fatto la storia. Ma perché nessuno di loro è presente per fare affari... Tendenze p. 48 – 49 | di Patrizia Mezzanzanica

A l World Wine Symposium non si vende, non si promuovono etichette, non si commercia. Qui si discute: di valori, di passione, di cultura e soprattutto del futuro. Il fascino del Villa d’Este World Wine Symposium è proprio questo: nell’albergo più bello del mondo si decide la sorte della più prelibata fra le bevande. Monsieur François Mauss, ideatore e anima di questa manifestazione, nonché fondatore del Grand Jury Européen, vive di questa antica passione ma il suo è un linguaggio contemporaneo, appassionato e immediato. Se questa tradizione millenaria sopravviverà alla standardizzazione e alla produzione di massa sarà un po’ anche merito suo, dei suoi ospiti, delle riflessioni e delle strategie che scaturiscono da questi incontri, e della consapevolezza che per assicurarsi il futuro è necessario preservare il passato. Perché, dice “il giorno in cui toglieremo al vino la cultura e la storia, il vino non esisterà più, sarà un prodotto come un altro: come un bicchiere, un fiammifero o un telefono”. Ma come scongiurare questo pericolo? Come convincere le nuove generazioni, che consumano poco vino, a godere di questa ricchezza? Lo abbiamo chiesto a lui direttamente: “Purtroppo viviamo in un mondo in cui è sempre più raro trovare il tempo di prendersi una pausa e assaporare un buon calice di vino. Siamo perennemente di fretta, non ci fermiamo neppure per pranzo o cena. I giovani poi, e lo dico con infinita tristezza, preferiscono i superalcolici, che stordiscono velocemente. Odio tutto questo. Io ho quattro figli e ho sempre cercato di interessarli al vino, di insegnare loro come apprezzarlo. Ha funzionato, e ora, quando i loro amici vengono a trovarli, hanno il permesso di aprire qualche bottiglia speciale della mia cantina. Il disinteresse giovanile è in gran parte imputabile alla mia generazione che non ha saputo, o voluto, trovare il tempo di insegnare loro il reale valore del vino. È l’educazione la chiave di ogni questione”. Si discute spesso sul rapporto fra vino e salute. Qual è la sua opinione? “Come per ogni cosa è la misura che conta. Se bevuto con moderazione e in ragionevole quantità, il vino è un vero toccasana. Per averne conferma basta leggere Pasteur che riguardo a questo si è adoperato più di qualsiasi altro scienziato.


Se si parla di sicurezza stradale non c’è neppure da discutere: niente alcool quando si guida. Ma ci sono luoghi e tempi che possono, anzi devono, essere deputati alla degustazione. Conoscere il vino, assaporarlo, discuterne con amici intenditori è indispensabile alla sua evoluzione. È un piacere che gratifica e aiuta ad apprezzare la vita. Sono ben altre le cattive abitudini che possono mettere in pericolo la nostra salute!”. Lei sostiene che il vino è frutto della storia di un popolo. Cosa unisce le diverse tradizioni di Italia, Francia, Germania, Austria e Svizzera, che lei cita come i principali paesi produttori, nella creazione dei loro vini? “In tutti questi paesi l’uva, insieme ad altre coltivazioni, è il prodotto più comune della terra, certamente uno dei primi a essere stati piantati. Ma è anche parte della loro cultura, perché molti dei loro ordini religiosi coltivavano vigneti. Solo per citarne alcuni i cistercensi in Francia, o i monaci benedettini in Italia. Il ruolo del vino nella simbologia cristiana, comune a tutti i paesi europei, è molto forte, una storia dentro la storia. Non esiste nulla di simile al mondo. Produrre un piatto, un’auto, una casa o un tovagliolo non ha lo stesso significato. Quando parliamo di vino dobbiamo sempre tener presente che la civilizzazione crebbe, da noi, di pari passo con la coltivazione delle vigne”.

Nel programma del Wws è inserito un seminario sullo sviluppo del mercato vitivinicolo in Cina. Non ritiene che questo rappresenti un pericolo? Produzione in larga scala, milioni e milioni di bottiglie, e tutto a discapito di cultura, passione e storia? “Per comprendere appieno il contributo che la Cina può dare in questo settore bisognerebbe andarci, come abbiamo fatto noi, e fare una degustazione di tè. Allora chiunque sarebbe in grado di riconoscere il valore altissimo della loro cultura. Noi siamo bambini in confronto. Ci sarà uno sviluppo molto veloce, persino più di quello visto negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale. E siccome la Cina ha un’importante tradizione gastronomica, sono certo che svilupperà anche la capacità, e la passione, di scegliere i migliori vini europei che possono accompagnarla”. Che cosa pensa dei vini svizzeri? Crede che possano realmente competere con quelli italiani e francesi? “In Svizzera ci sono produttori a livello internazionale come Simon Maye, Marc Raymond e molti altri. In un recente blind tasting del Grand Jury Européen abbiamo avuto ben cinque vini svizzeri nelle prime posizioni. C’è da esserne molto fieri!”. nell’immagine: Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Bacco, 1597, (particolare), Galleria degli Uffizi, Firenze. Immagine tratta da www.arte.it

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Vi troverete a scartare tutte le scelte non compatibili con la vostra reale essenza. Vita a due e rapporti familiari sotto la lente. Erotismo in crescendo. Periodo ansiogeno per i nati nella prima decade.

Novembre prosegue con un calo di energie provocato, oltre che dai soliti transiti stagionali anche dalla vostra tendenza a fasi di indolenza. Risveglio di antiche rivalità familiari con fratelli e parenti.

Con la metà di novembre, potrete tornare a vedere tutto con serenità. Utilizzate al meglio le vostre potenzialità ma imparate anche riconoscere i vostri limiti e a non sentirvi sempre al centro dei complotti.

I transiti in corso consentono di farvi sentire sempre di più quanto possa essere per voi importante possedere uno spazio tutto vostro. Possibili disturbi a livello dell’apparato digerente. Traslochi in vista.

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Novembre prosegue in maniera vigorosa e appassionata. Durante questo periodo cercherete di dare inizio a un gran numero di attività. Non farete mai assolutamente nulla per celare le vostre passioni e interessi.

Attenzione a canalizzare in maniera corretta le energie interiori. Se avete una relazione di vecchia data, cercate di rinnovarla. Siate più flessibili nei confronti di amici e soprattutto dei colleghi di lavoro.

Momento giusto per un’analisi interiore di quanto siate effettivamente in linea, nella vita di tutti i giorni, con il vostro “Se superiore”. Puntate sui progetti a lungo termine. I risultati arriveranno.

Professionalmente siete sotto attacco, e voi spesso non riuscite a controllare il tono delle vostre parole. Cercate di farvi comprendere senza andare incontro a travisamenti. Momento critico per la prima decade.

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capricorno

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Ripresa di antichi ideali. Gli obiettivi tendono a farsi sempre più chiari. Improvviso desiderio di intimità familiare. Trattenetevi dalla golosità e praticate più attività fisica: ne gioverete molto.

Vita professionale al setaccio per i nati nella prima decade. Possibile rottura delle posizioni lavorative non consone alla vostra reale natura. Ambizione in aumento. Flirts e scappatelle per la terza decade.

Rafforzamento della vostra natura contemplativa e mistica. Le vostre scelte saranno sempre animate dal profondo. Maggiore metodo e disciplina negli studi e nel lavoro. Evitate inutili polemiche in famiglia.

Iniziate a sfruttare al massimo le potenzialità acquisite nel corso degli ultimi anni, perché fra qualche mese potreste raccoglierne i frutti a iosa. Controllate l’aggressività nelle dispute familiari e non.

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Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 17 novembre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 15 nov. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

Orizzontali 1. Ognuno fa il proprio • 9. La Parade musicale • 10. Cattiva • 11. Articolo romanesco • 12. Nodo centrale • 13. Pancia prominente • 14. Profonda, intima • 15. Fu re dei Parti • 18. Grossa arteria • 19. Puri e semplici • 21. Alcoolisti Anonimi • 22. Subisce gli influssi lunari • 23. Arte latina • 25. Frutto conico • 26. Lo sono certi eventi • 28. Vasi panciuti • 30. Unite formano dittonghi • 32. Moneta giapponese • 33. Inconsueto • 35. La terza nota • 36. Pari in gemelli • 37. L’artista dà il proprio • 38. Priva di energie • 40. Thailandia e Malta • 42. Il giorno trascorso • 44. È composta da celle • 46. La cura il regista • 48. Dittongo in pietra • 49. Cuor di foca • 50. Armi belliche • 53. Voto scolastico • 54. Fobia. Verticali 1. Ha inventato il microfono a carbone (nome e cognome) • 2. Intacca la vite • 3. Consonanti in ruota • 4. Megera • 5. Stato africano • 6. Dittongo in boato • 7. Paventare • 8. Adesso • 13. Ripida • 14. Ripetuti • 16. Cascare dalle nuvole • 17. Privo di zucchero • 20. Trasparenti come il vetro • 22. Io, in altro caso • 24. Quartiere • 25. Se ne lavò le mani • 27. Trauma senza pari • 29. Antichi, passati • 31. Il nome della Staller • 34. Piccolo strumento a fiato • 39. Un pesce d’acqua stagnante • 41. Il nome della Callas • 43. Si dice consegnando • 45. Gas luminoso • 47. Vocali in grassa • 51. Pari in anima • 52. Il Nichel del chimico.

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