Ticino7

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№ 39

del 30 settembre 2011

con Teleradio 2–8 ottobre

Cristianesimo e modernità

Un ConfronTo diffiCile C  T › RT › T Z ›  .–




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Ticinosette n° 39 30 settembre 2011

Agorà Europa e cristianesimo, sempre più lontani? Arti Cindy Van Acker . Il gesto minimo Relazioni La madre

Impressum Tiratura controllata 72’011 copie

Chiusura redazionale Venerdì 23 settembre

Editore

Teleradio 7 SA Muzzano

Direttore editoriale Peter Keller

Redattore responsabile Fabio Martini

Coredattore

Letture Pagine vuote

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Fiabe Meluzza

tiziana Conte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di

demis QuadRi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

niColetta baRazzoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage Kart: “semplice” passione di

di

6 8 10 11 12 14 39 46 48 50 51

RobeRto Roveda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Gaia GRimani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Media Letteratura . Parole dalla Palestina Vitae Sferico

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GianCaRlo FoRnasieR; Foto di JaCek Pulawski . .

Fabio maRtini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tendenze Tecnologie . La rincorsa dei tablet

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CaRlo Galbiati

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Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cruciverba / Concorso a premi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel . 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel . 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt .ch www .ticino7 .ch

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In copertina

L’uomo nella Trinità Illustrazione di Antonio Bertossi

Dove finiscono le paure elettorali L’attesa per le imminenti elezioni federali si fa sempre più spasmodica . E non poteva essere altrimenti vista la “pesante” posta in palio e gli equilibri che un’eventuale e ulteriore affermazione di Udc e Verdi potranno determinare nella politica della Confederazione . Sarà dunque una chiamata alle urne dal responso storico? Non lo sappiamo, ma certamente “l’impegno” e i finanziamenti non mancano, e la visibilità a suon di manifesti e cartellonistica pure . Quanto avvenuto negli scorsi giorni alla stazione ferroviaria di Zurigo e le polemiche “censorie” legate a una presunta iper-visibilità di alcuni messaggi politici Udc, dimostrano che a volte il troppo storpia . E questo si evidenzia maggiormente quando il messaggio veicolato è già di per sé “forte e chiaro”, immediato e incontrovertibile sin dall’inizio . Lasciamo per un attimo la Confederazione e guardiamo verso nord, alla Norvegia, che nemmeno troppe settimane fa era sulle pagine di tutti i media per le stragi di Oslo e Utøya . Un recente fondo apparso sulla “Süddeutsche Zeitung” (www.sueddeutsche.de) analizzava quanto avvenuto alle recenti amministrative norvegesi dell’11 e 12 settembre . Elezioni assai interessanti da un punto di vista della comunicazione politica, proprio perché nei giorni delle stragi (era il 22 luglio) il paese era nel pieno di un’accesa campagna elettorale . In altre nazioni e contesti culturali, le decine di giovani vittime di Anders Breivik sarebbero state un potente e irrinunciabile argomento da cavalcare per tutti quei partiti alla ricerca di consensi; a partire dai socialdemocratici norvegesi, gli stessi che avevano organizzato il campus preso di mira da Breivik . Ebbene, gli esponenti politici “sono stati estremamente cauti nell’evitare di avvelenare il clima politico” si legge

nell’articolo . “Al contrario, hanno risposto alla violenza con un dibattito sobrio e democratico, senza la ruvidità della dialettica politica norvegese. In questo modo, i socialdemocratici hanno dato il buon esempio e gli altri partiti lo hanno seguito” . Fra luglio e settembre ben pochi politici hanno utilizzato il tema “stragi” per raccogliere voti, e la campagna elettorale è stata contrassegnata da toni moderati: “Il dibattito è stato vivace ma le polemiche aspre sono mancate del tutto” . Come si ricorda, Anders Breivik era un attivista del Partito del progresso, formazione politica di stampo populista come ve ne sono altre in tutta Europa; una formazione che prediligeva i temi della paura, dell’insicurezza e dell’immigrazione, utilizzati quali calamite per elettori alla sacrosanta ricerca di sicurezza e identità . A campagna elettorale conclusa e con l’intero paese ancora sotto una cappa di incredulità e sgomento, il responso delle urne ha regalato al Partito del progresso una cocente sconfitta, dimezzando i voti raccolti solo due anni prima alle elezioni parlamentari . Che cosa dovrebbe confermare quanto avvenuto in Norvegia? Secondo il giornale tedesco che “il populismo, per sopravvivere, ha bisogno di clamore. Niente lo danneggia di più di un sobrio dibattito politico” . Chissà, a questo punto i fatti norvegesi potrebbero forse aiutarci a rispondere al nostro interrogativo: chi uscirà vincente alle prossime federali? Con ogni probabilità chi sarà in grado di tenere alta la tensione sociale e costruire contrapposizioni, chi saprà cavalcare le paure, mostrare minacce più o meno reali, sommergere gli elettori di manifesti elettorali “rossi e neri” ecc . ecc . A meno che . . . i toni non si abbassino e a vincere siano il confronto pacato, le proposte a lungo termine e i programmi condivisi . Buona lettura, la Redazione


Europa e cristianesimo, sempre più lontani?

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Agorà

In questi ultimi decenni sembra essersi realizzata una frattura profonda fra l’Europa e la sua religione storica, il cristianesimo. La sensazione è che il messaggio cristiano abbia perso tra gli europei di oggi buona parte della sua forza propulsiva e che in molti ambiti, particolarmente nella Chiesa cattolica, vi sia un’incapacità di dialogare con la modernità e la laicità del mondo attuale. Parliamo di questa crisi con il teologo cattolico e saggista Vito Mancuso di Roberto Roveda

P

er secoli Europa e cristianesimo hanno rappresentato due realtà praticamente inscindibili, tanto che veniva usato il termine cristianità per indicare il nostro continente. Lentamente però, nel corso degli ultimi due secoli e in maniera più decisa da cinquant’anni a questa parte si è assistito a una sorta di “divorzio” tra gli europei e la loro religione storica, tanto che molti teologi cristiani oggi si spingono a parlare di necessità di una nuova evangelizzazione dell’Europa. E questo nonostante i dati parlino di un buon 75% della popolazione europea ancora – almeno nominalmente – legata al cristianesimo. Il problema più evidente è che il cristianesimo non pare più in grado di colloquiare in maniera feconda con le esigenze di modernità e di laicità degli europei di oggi, un discorso che appare ancora più evidente se si parla di Chiesa cattolica, spesso da più parti accusata per il suo conservatorismo. Ci apprestiamo a vivere in un’Europa scristianizzata? Oppure in cui il cristianesimo rappresenta un piccolo universo legato più al passato che al presente? Ne abbiamo discusso con il filosofo e teologo cattolico Vito Mancuso, che nei suoi saggi come L’anima e il suo destino (2007) e La vita autentica (2009) ha spesso parlato della necessità di una riscoperta del messaggio originario di Cristo e della necessità per i credenti di assumersi in prima persona le proprie responsabilità e a non accettare passivamente dogmi, indicazioni di fede, regole che riguardano la vita religiosa e la vita in generale anche nel momento in cui queste vengano dalle gerarchie ecclesiastiche.


Professor Mancuso, si può parlare di una crisi generale del messaggio cristiano? O è semplicemente un problema che riguarda le istituzioni cattoliche? “Direi entrambe le cose. Anche se uno guarda al mondo protestante non trova una situazione di grande salute o di grande effervescenza, né a livello di base, né a livello di vertice. Quindi, il problema va aldilà della struttura ecclesiale della Chiesa cattolica; non è semplicemente un problema di ruoli o di potere. E non è neanche solo un problema di norme etiche, per quanto la chiusura intransigente sulla morale sessuale, come su ogni aspetto della bioetica, non aiuti di certo. Il problema è più generale e riguarda la capacità del cristianesimo di stare al passo della società. È per questo che la religione cristiana deve essere ri-compresa, ri-annunciata, ri-attualizzata. Tutti i grandi teologi del Novecento, cattolici, protestanti, ortodossi, lo hanno detto. Potrei farle molti nomi, ma mi limito a ricordare i grandissimi teologi cattolici che hanno partecipato al Concilio Vaticano II. In particolare Chenu1, Congar2, Hans Kung…”. Tutti nomi oggi emarginati… “È così. Ciò non toglie che la teologia del Novecento abbia compreso che non si tratta di un problema congiunturale, ma è piuttosto strutturale, riguarda nel profondo il senso di che cosa significa oggi essere cristiani. Bonhoeffer 3, nelle sue Lettere dal carcere, fa emergere questa cosa in maniera chiarissima: ci dobbiamo chiedere esattamente che cosa significa Cristo oggi, cosa significa salvezza, cosa significa redenzione, cosa significa essere cristiani. Se poi chiede a me come teologo cattolico se la Chiesa cattolica è consapevole della crisi profonda che attraversa il cristianesimo e se sta mettendo in atto quelle condizioni perché la teologia, le altre scienze umane e le forze del laicato possano effettivamente contribuire a far sì che questa ri-comprensione e ri-fondazione avvenga, io le rispondo di no. Non c’è questa apertura. Papa Roncalli aveva capito queste esigenze di mutamento radicale e ha convocato il Concilio Vaticano II, evento straordinario, che ha dato grandi frutti, ma che poi ha smesso di orientare la Chiesa. Il Concilio proponeva un metodo nuovo per diffondere la parola di Cristo, un metodo che è stato assolutamente messo da parte. Anzi, oggi in ambito cattolico sono maggioritarie le istanze tradizionaliste. Ma anche qui è utile capire di cosa stiamo parlando, perché non si può ridurre il cristianesimo a una sorta di derby calcistico, innovatori contro conservatori. Il vero problema è capire il ruolo e la funzione del cristianesimo”. Quindi, a suo parere il cristianesimo ha ancora molto da dire… “Il cristianesimo, a differenza di altre religioni che coltivano l’isolamento rispetto al mondo, che sono negazioni dal mondo – come il buddismo, per il quale il contatto con la realtà non è di per sé essenziale – è, per definizione, incarnazione nel mondo. Se il cristianesimo si dimentica di essere comunione, sale della terra, luce del mondo, cittadella posta sotto un monte, viene meno al suo stesso senso. L’incarnazione è il dogma centrale della religione cristiana, è il movimento fondamentale del Dio cristiano che lo differenzia da tutte le altre forme religiose. È il logos che si fa carne. Se questo cristianesimo non si fa carne veramente non serve a nulla. È come il sale che perde il sapore, e a nulla serve se non a essere calpestato, come dice il Vangelo di Matteo. Dunque, il problema è capire come il cristianesimo può tornare a fecondare il mondo. Anche perché questa terra, parlo dell’Occidente e dell’Europa, non fecondata dalla sua religione, non ci guadagna: si diffonde dappertutto lo scetticismo, la corruzione, la noia, i divertissements a tutti i livelli… L’oppio dei popoli ormai è diventato ben altro”. Che cosa si può fare per invertire la rotta? “Mi viene in mente solo una strada di metodo, a questo punto. Il grande teologo Albert Schweitzer 4, per me un santo oltre che un

grande umanista, ci ricorda nei suoi scritti che il fondamento della vita spirituale è la sincerità: di fronte a se stessi, alla propria fede, a Dio e agli uomini. In altre parole, bisognerebbe guardarsi negli occhi, non nascondere i problemi, farli emergere, capire che cosa stiamo facendo, cosa siamo qui a fare, Gesù cosa farebbe? Siamo fedeli a chi, conservando delle leggi e delle norme così distanti dalla vita concreta? Riusciamo a portare ancora un po’ di speranza e di bene agli uomini? Oppure essere, che so, cattolici non è diventata che una delle tante lobby di questo mondo?”. Rimanendo in ambito cattolico, cosa pensa di questa difesa della Chiesa di tutto ciò che è dottrina, norma, prassi? “Mi viene in mente la famosa distinzione tra i due tipi di fede fatta da Martin Buber5: da un lato la fede come credenza; dall’altro la fede come fiducia sulla base della quale si agisce, a volte anche contro l’interesse proprio, in modo profetico. La fede come fiducia che genera una prassi retta, giusta. È la ortoprassi, che genera giustizia. Per quello che capisco io del Vangelo, il messaggio di Gesù si esemplifica su questo. Lui non ha detto che alla fine ci saranno esami di catechismo, o che sarà importante aver riconosciuto alcuni dogmi, o anche persino solo aver riconosciuto lui. Quello che conta è la prassi, è la giustizia, la vita buona, la vita autentica. Questo è il senso del Vangelo. Altrimenti non servirebbe a nulla. Se bisogna credere assolutamente ad alcune cose, anche se poi nella realtà i conti non tornano, finisco in una gabbia, perché la prigione della mente è la peggiore di tutte. Il cristianesimo, nel suo annuncio risorgivo, esplosivo, vero, è l’opposto”. C’è ancora spazio nella moderna società europea per il cristianesimo? “Da cristiano le rispondo di sì. Attraverso la figura di Cristo, nella sua relazione privilegiata con Dio, io mi rapporto al principio del mondo come dice Tommaso d’Aquino. Gesù è la mia via, mediante cui io mi rapporto. È una via che favorisce, che sottolinea, che celebra l’umanità, ovvero: io per andare a Dio non devo uscire da me stesso, ma devo prendere in mano totalmente il mio essere uomo e proseguirlo fino in fondo. C’è spazio per una cosa del genere? A mio parere sì, c’è un enorme spazio, perché oggi noi abbiamo bisogno della riconciliazione dell’uomo con se stesso. Dobbiamo riconoscere che anche il nostro spirito, come il corpo e la psiche, può contrarre delle malattie. Invece delle malattie spirituali non se ne parla, non ci si rende conto neanche che esistano. La malattia dello spirito del nostro tempo io la definisco sindrome gnostica, cioè la sfiducia rispetto a sé stessi, in quanto natura, in quanto materia, rispetto al mondo. Il pensare Dio come slegato, come altro rispetto al mondo. Ma il nucleo fondamentale del cristianesimo, per cui la pienezza della divinità si dà nella pienezza della umanità, è il farmaco per eccellenza per questa malattia. Quindi, il cristianesimo interpretato giustamente, ripreso nella sua vitalità, nella sua sorgività, ha nel nostro mondo uno spazio vastissimo”.

note 1 Marie-Dominique Chenu (1895–1990) è stato un teologo cattolico francese, uno dei teologi che prepararono il Concilio Vaticano II. È considerato colui che ha rinnovato il tomismo. 2

Yves-Marie-Joseph Congar (1904–1995) è stato un cardinale e teologo francese. Insieme a Jean Daniélou e Henri de Lubac fu uno dei precursori della nuova teologia, che, soprattutto fra gli anni 1940 e 1950 considerò nello studio della dogmatica gli sviluppi della filosofia contemporanea.

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Dietrich Bonhoeffer (1906–1945) è stato un teologo luterano tedesco, protagonista della resistenza al Nazismo.

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Albert Schweitzer (1875–1965) è stato un medico, teologo, musicista e missionario luterano tedesco. Premio Nobel per la pace nel 1952.

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Martin Mordechai Buber (1878–1965) è stato un filosofo, teologo e pedagogista austriaco naturalizzato israeliano.

Agorà

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Il gesto minimo La presenza in Ticino della coreografa e danzatrice belga Cindy Van Acker con un suo spettacolo ci offre l’occasione per una chiacchierata sulla sua poetica, il silenzio, la musica… di Tiziana Conte

Arti

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Un momento dello spettacolo “Obtus” con la danzatrice Marthe Krummenacher (immagine tratta da www.batie.ch)

La

danzatrice di origine belga, Cindy Van Acker vive e lavora ormai da molti anni a Ginevra, dove ha fondato, nel 1999, la compagnia Cie Greffe di cui è coreografa e direttrice artistica. Di formazione classica, Cindy ha iniziato la sua carriera dapprima con il Ballet Royal de Flandres per poi entrare nel corpo di ballo del Grand Théâtre di Ginevra, esperienza che l’ha portata a scegliere la Svizzera come patria adottiva. Il suo interesse si è però ben presto spostato sulla danza contemporanea. Ha così studiato e collaborato con le principali figure internazionali del settore tra le quali Laura Tanner, Hestelle Héritier e Myriam Gourfin. Il suo spettacolo Corps 00:00 ideato nel 2002 e presentato anche in Ticino nel corso dell’edizione di Chiassodanza del 2003, l’ha messa in luce rivelando la sua ricerca radicale sempre sottesa da una concezione minimalista dell’azione. Nel 2005, è stata chiamata dal noto regista italiano Romeo Castellucci – fondatore della compagnia Socìetas Raffaello

Sanzio – per rappresentare la Svizzera alla Biennale di Venezia. Dopo questa prima collaborazione Castellucci l’ha invitata nuovamente per creare la partitura coreografica della sua Divina Commedia realizzata in occasione del Festival di Avignone del 2008, e ancora per collaborare al suo Parsifal che ha debuttato nel gennaio 2011. Del 2007 è invece la collaborazione con il celebre artista sonoro finlandese Mika Vainio dei Pan Sonic, che compone ed esegue in scena le musiche del suo spettacolo Kernel. Sempre con Vainio nel biennio 2008-2009, Cindy ha prodotto – in collaborazione con altre cinque interpreti – 6 solo legati all’idea di figura isolata nello spazio: in un primo tempo Lanx, Nixe e Obtus, e successivamente, Obvie, Antre e Nodal presentati al Festival d’Avignone 2010. Cifra stilistica della sua poetica è il rigore della scrittura coreografica, la sobrietà estetica e il minimalismo dei movimenti che convergono in una composizione minuziosa, dove


la musica elettronica diviene elemento centrale dell’opera stessa. Cindy Van Acker esamina con precisione quasi scientifica le relazioni tra corpo e spirito, suono e ritmo, realizzando opere che superano i confini della danza, della perfomance e delle arti plastiche. Signora Van Acker, come riassumerebbe la sua ricerca artistica? Quali indicazioni può fornire allo spettatore per meglio comprendere il suo lavoro? “Ho molte difficoltà a parlare del mio lavoro, ho sempre la sensazione di tradirmi, di ridurre i miei propositi, di annullare quell’apertura che permette l’esprimersi del linguaggio scenico. Ho una certa diffidenza quando si tratta di scrivere di ciò che avviene in scena. A volte le parole si offrono come un complemento alla danza, altre invece, come per eccesso, aggiungono informazioni che sfociano in futili domande. Lo spettatore disponibile e con poche aspettative è per me il territorio d’accoglienza ideale…”. Potremmo affermare che alla base del suo lavoro c’è il linguaggio dei movimenti? “Sì, anche a rischio di sentirmi – e di sembrare – poco a mio agio con il linguaggio delle parole… È una ricerca che ho iniziato molto tempo fa, nel 2001, quando ho deciso di riconsiderare il corpo «spogliandolo» da tutto ciò che può sembrare «naturale»: i riflessi e i gesti condizionati dai comportamenti sociali o dalle abitudini psichiche. Ho così fatto reset ripartendo dal mio solo corpo e ho deciso di trattarlo al pari di una materia plastica. Ripartire dal punto zero con il linguaggio del corpo significa rimettere in discussione i valori conosciuti, sia quelli psichici sia quelli mentali, lasciando che un certo linguaggio corporeo si profili. Il pensiero del movimento è ovunque: nel corpo, nello spazio, nel suono, nella luce, nello sguardo dello spettatore. È una sorta di discorso su un corpo che si libera fino a divenire il mio proprio linguaggio «naturale»: vedo nei corpi quello che è nel mondo. Le tematiche che sviluppo nei miei lavori possono partire da uno stato più o meno profondo, sorgere da domande sul corpo, come da domande sulla mente, sulla società, su un’emozione…”.

A lei ho chiesto, al di là della sua incredibile capacità tecnica, di mettere l’accento sulla qualità sensibile del movimento, di superare il virtuosismo. All’inizio di ogni lavoro predefinisco alcuni aspetti che sono indotti a loro volta dalle immagini mentali che proietto su uno specifico corpo. Mi chiedo, per esempio, cosa mi suscita quel corpo a livello di ritmo? Qual è l’entità e la struttura che deve avere la pièce? Molte indicazioni vengono suggerite dal corpo del danzatore e dal compositore che scrive il pezzo”. Il silenzio è un elemento costitutivo della sua poetica. Quale senso e valore ricopre? “Il silenzio è una dimensione che permette di cercare l’identità vergine del movimento, che per me vuol dire la forma di cui il corpo è investito, le tracce lasciate dal movimento nel suo divenire, la sua architettura nello spazio, il suo ritmo… desidero vedere la sua risonanza nel silenzio, il silenzio mi permette di capirne la tessitura, la densità, il peso, la sospensione… Con il silenzio posso meglio comprendere come i singoli movimenti comunicano tra loro: nei miei lavori ogni movimento è scritto, dall’inizio alla fine, ma il tempo dell’interprete è invece flessibile. Il danzatore deve poter ascoltare il suo ritmo interno che cambia ogni giorno e modularsi a seconda delle esigenze coreografiche. È questo che permette di ottenere una certa intensità e densità”.

Ho deciso di riconsiderare il corpo “spogliandolo” da tutto ciò che può sembrare “naturale”: i riflessi e i gesti condizionati dai comportamenti sociali o dalle abitudini psichiche. Ho così fatto reset ripartendo dal mio solo corpo e ho deciso di trattarlo al pari di una materia plastica

Come lavora con le sue interpreti? Che tipo di interazione intende stabilire con i danzatori? “A un certo punto ho sentito l’esigenza e ho pensato che non solo il mio corpo poteva spingersi oltre l’esperienza coreografica. Ho avuto il desiderio di confrontarmi con l’altro, in uno scambio, che è forse anche una sorta di fusione. In questo modo si esce da una certa forma di autismo: permette di esprimere i propri pensieri, sottolineandone alcuni aspetti. Il modo in cui l’altro risponde – se resiste, se accetta, se propone – è fondamentale nel lavoro di creazione che a questo punto diventa un dialogo di corpi, e questo è quello che sta al centro di questi soli con l’altro. La tonalità corporea, la sua poetica, cambia e arricchisce il mio lavoro; questo è quello che mi interessa: il momento in cui il linguaggio si appropria di altri corpi e declina la sua identità. Penso, per esempio, a Tamara Bacci (interprete che vedremo in scena il 30 settembre al Teatro San Materno di Ascona e con cui Van Acker ha spesso collaborato, ndr.): è lei che mi ha scelta ed è nata una specie di fusione: ci siamo spinte e superate l’un l’altra.

La musica elettronica è una costante dei suoi spettacoli, composizioni originali che spesso vengono eseguite dal vivo, direttamente in scena. Come si relaziona con i musicisti con cui lavora? “ Dal 2003 lavoro, quando è possibile, con compositori con i quali sento di avere una sensibilità simile. Penso, per esempio, a Denis Rollet o a Mika Vainio, con cui collaboro da anni: durante la creazione fornisco loro degli input che possono andare del tonalità poetiche, a parole chiave, oppure a un titolo, o alla descrizione di un genere di suono che mi interessa. Partendo da queste indicazioni loro determinano la tessitura sonora, compongono cioè una sorta di «biblioteca di suoni». Una volta terminato il lavoro coreografico, eseguiamo una prova in silenzio alla presenza del compositore, spesso sono loro che si accorgono se nella coreografia ci sono dei problemi o dei passaggi da risolvere… La maggior parte della volte non sono necessarie troppe parole per capirsi e riconoscersi nel lavoro che si sta portando avanti, al massimo dobbiamo sistemare qualche dettaglio sui tempi, insomma abbiamo una sensibilità comune, una radicalità che investe il gesto come il suono. Certo non per tutti i progetti funziona così, ma in genere, per quanto riguarda la musica, cerco una stretta relazione tra suono e movimento che possa rappresentare una base forte. Si tratta di trovare una risonanza comune che nasca dal confronto con l’identità di ciascuna delle persone con cui collaboro”.

Cindy Van Acker al Teatro San Materno di Ascona Nella serata di venerdì 30 settembre, giorno di uscita del presente numero di Ticinosette, presso il Teatro San Materno di Ascona, sarà possibile per il pubblico ticinese conoscere direttamente il lavoro di Cindy Van Acker che, oltre a presentare lo spettacolo Fractie, interpretato da Tamara Bacci, sarà disponibile per un incontro con il pubblico. Verrà inoltre proiettato il suo cortometraggio Obvie D’après – le solo Obvie.

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La madre Narra il Vangelo che quando Maria, già incinta, fece una visita alla cugina Elisabetta, il figlio di quest’ultima, anch’essa in attesa, le esultò in seno al suono della sua voce testo di Gaia Grimani fotografia archivio Martelli

C on nessun altro essere al mondo, neppure con la persona

Relazioni

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che amiamo, viviamo un’intimità così prossima come quella che sperimentiamo con nostra madre durante i momenti che ci trasformano da un embrione in una donna o in uomo. L’unione è così forte e profonda che basta una sua preoccupazione o una sua gioia perché esse siano trasmesse al bambino e ne provochino una reazione. La madre, a differenza del padre, ha quindi un rapporto fisico particolare con la sua creatura, rapporto istintivo e naturale che l’accomuna a molti degli esseri viventi e che non s’interrompe neppure dopo la nascita, dato che molti bambini vengono nutriti al seno dal latte materno e di una persona che stenta a crescere si dice che non ha ancora tagliato il cordone ombelicale.

Una relazione interiore La complicità fra madre e figlio va però molto oltre il fatto puramente fisico e sconfina continuamente in quello misterioso dell’universo interiore. Nessun altro essere umano ha, come lei, intuizioni, preveggenze, senso di protezione. È la nostra prima maestra e ci insegna a parlare, ci sostiene nei primi passi, ci consola delle prime ferite e delle prime sconfitte, ci accoglie fra le sue braccia se abbiamo paura o siamo stremati. Sempre giustifica, sempre perdona, sempre ama. Vi sono però anche deviazioni comportamentali talvolta orrende, come insegnano i fatti di cronaca, ma sono eccezioni alla regola, spie di disturbi mentali o di famiglie deflagrate. Per i primi dieci anni della nostra vita la madre è il tramite più significativo tra noi e il mondo. La sua importanza è tale da trasferirsi in molte espressioni della lingua parlata che indicano qualcosa di estremamente caro e fondamentale: la madre terra, la madre lingua, la madre patria e così via. Guai se una donna abusa di questo enorme potere: crea dei figli pavidi e sottomessi che misureranno il resto dell’universo col suo metro, non conquistando mai la propria indipendenza, persone che non riescono a intrecciare relazioni valide con il prossimo e soprattutto con un partner, destinate a una vita incompleta e solitaria da mammoni.

La maternità: necessità e desiderio Per molte donne l’aspirazione alla maternità è un fatto acquisito, naturale e che una volta si situava tra i venti e i trent’anni: oggi si è spostato in avanti di una decina. La donna del nostro tempo, grazie alla sua emancipazione, vive questa condizione in maniera molto diversa da sua madre, decide più tardi di avere un figlio e spesso lo pianifica in maniera più consapevole. Sovent è una donna che lavora e che non vede nella maternità la sua unica possibilità di realizzarsi, ma l’abbina ad altri fattori, come il successo nella professione e la vita di coppia cui non rinuncia più, come accadeva in passato. La donna di oggi scopre così che il tempo concesso ai propri desideri o alle proprie passioni non solo non è sottratto alla famiglia, ma le dà un nuovo equilibrio nella misura in cui ritorna alle sue mansioni di madre più soddisfatta e serena. Essere una buona madre, infatti, significa, oggi più che mai, sapersi dare delle priorità e prendersi i propri spazi, concedendo ai figli un tempo più limitato, ma qualitativamente più significativo. Il sentimento materno è talmente ricco dal punto di vista interiore che non è solo legato a chi fisicamente è in grado di generare: una donna può sentirsi tale ed esserlo senza mai aver avuto dei figli, come dimostra l’ampia schiera di ottime madri adottive (o di nonne o di zie, anche nubili) che hanno consolato l’infanzia di molti, persone in grado di essere tenere, comprensive, accoglienti, di dare un amore gratuito che non aspetta nulla in cambio, in una consapevole offerta di se stesse per il bene altrui. Ma v’è di più: la donna è chiamata a raggiungere la pienezza del senso materno paradossalmente proprio nell’età in cui deve rinunciare alla procreazione: l’età della menopausa. In quel momento così delicato di passaggio dall’età giovanile alla maturità, ella si trova davanti a un bivio: o accettare maternamente la vita e tutto ciò che le propone o ribellarsi, inacidendosi e trasformandosi nello stereotipo della suocera. Chi sa maturare e varcare quella soglia con la dolcezza della madre, scopre gioie impreviste e insospettabili tesori riservati a chi capisce che nel dare amore v’è più gioia che nel riceverlo.


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Pagine vuote

Più di cinquecento pagine: un fiume di parole, di voci inte-

» di Roberto Roveda

che sono i mantra tanto cari a De Carlo: la critica alla società riori mischiate a pensieri che si segue a fatica, con la conti- del consumo, il disprezzo per la famiglia, l’impossibilità di nua tentazione di saltare queste elucubrazioni per cercare il una relazione sincera e duratura tra uomo e donna, anche se punto dove finalmente accade qualcosa di poi si continua tenacemente e masochistisignificativo. Intanto, pagina dopo pagina, camente a inseguire il grande amore. Come cresce il sospetto che l’autore stia giocando ciliegina finale, un inseguimento attraverso a fare “lo scrittore bravo”, quello che riesce l’oceano con tuffo finale di Lui nelle acque a imbellettare la brodaglia più indigesta e a di un lago canadese e Lei con il viso rigato rendere interessante anche una vicenda non da pioggia e lacrime. Pura soap, solo che a solo trita, ma pure ritrita. Peccato che Andrea De Carlo manca totalmente la capacità di De Carlo non sia probabilmente all’altezza chi scrive questi prodotti seriali di tenere ben di un’opera di maquillage artistico e Luielei, desta l’attenzione dello spettatore. Il nostro è l’ultimo lavoro dello scrittore italiano, si troppo preso a fare l’intellettuale e raggiunge rivela per quello che è: più che un romanzo, il culmine quando si concede un pizzico di un monumento alla presunzione del suo autobiografismo descrivendo la frustrazione autore, al suo narcisismo. di Lui, costretto a scrivere romanzi a getto Totalmente preso da se stesso, De Carlo continuo, a presenziare conferenze e a rilaallora si dilunga nel raccontare la nascita sciare interviste. della più scontata delle storie d’amore tra Ma se così stanno le cose per De Carlo, ma Andrea De Carlo Leielui Lui, scrittore in crisi di creatività e reduce da allora perché pubblicare un romanzo ogni Bompiani, 2010 mille avventure (personaggio originalissimo biennio, sempre più lungo, sempre più nodavvero...) e Lei americana piena di qualità e buoni sentimenti, ioso del precedente? Con l’aggravante che, con l’andare del ma con l’istinto della crocerossina nelle storie d’amore (anche tempo, paiono essere peggiorati alcuni dei difetti che hanno qui un carattere femminile nuovo di zecca). Per centinaia di da sempre afflitto la sua scrittura, come l’uso di personaggi pagine parlano, pensano, schermagliano, sentenziano – Lui –, stereotipati, la mancanza di ritmo narrativo, l’incapacità di esprimono buonismo – Lei –, e intanto ricostruiscono quelli costruire dialoghi convincenti e serrati.

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Parole dalla Palestina

Abbiamo incontrato le scrittrici palestinesi Adania Shibli e Suad Amiry, ospiti quest’anno di Babel, la manifestazione letteraria bellinzonese. Due donne che con i loro romanzi esplorano, ciascuna a suo modo, la travagliata realtà dei territori occupati testo di Demis Quadri fotografia di Reto Albertalli

Media

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L’edizione 2011 del Festival di letteratura e traduzione Babel

(www.babelfestival.com) ha avuto come protagonista la Palestina: un paese, come notano gli organizzatori dell’evento, al centro dell’attenzione dei media ma del quale alle nostre latitudini si conosce poco, soprattutto dal punto di vista della vita culturale e artistica. Abbiamo allora colto l’occasione per intervistare due partecipanti alla manifestazione. La prima, Adania Shibli, classe 1974, è nota al pubblico europeo per il suo romanzo Sensi (Argo Editrice), storia ambientata in un villaggio palestinese con protagonista una ragazzina senza nome. La seconda, Suad Amiry, nata a Damasco nel 1951, è architetto e direttrice del Riwaq Centre for Architectural Conservation; tra il 1991 e il 1993 ha partecipato agli incontri di Washington per la pace in Medio Oriente, e come scrittrice ha raggiunto il successo internazionale con il volume Sharon e mia suocera (Feltrinelli). La letteratura, la società e la realtà Cercando di descrivere l’attuale letteratura palestinese e il proprio lavoro personale, Adania Shibli spiega: “Dopo l’occupazione della Palestina e la creazione dello stato d’Israele, è venuta a crearsi, e continua a svilupparsi in tal senso, una situazione crudele soprattutto nei confronti dei palestinesi. Da parte loro, gli scrittori palestinesi, me compresa, cercano di osservare tali condizioni di vita, le sensibilità e i rapporti che queste creano, nel tentativo di vincerle con le parole. Leggendo la letteratura palestinese contemporanea, ci si accorge di come essa offra un peculiare ritratto di uno spazio soffocante attraverso il movimento, o meglio il non-movimento, dei personaggi al suo interno. Direi quindi che quella palestinese è la letteratura di un ultimo respiro che non finisce mai. Personalmente cerco di contemplare attraverso le parole la vita, sia in generale sia nel quadro specifico della Palestina, dove ho vissuto per la maggior parte del tempo”. Anche il lavoro di Suad Amiry è fortemente radicato nella realtà: “Cerco di descrivere i palestinesi come normali esseri umani, non come eroi o gente che vuole morire. Siamo mediterranei e amiamo la vita. Ma spesso veniamo descritti in modo stereotipato, come aggressori o come vittime e non come persone che vivono, vanno a scuola, siedono al ristorante, si sposano, hanno dei figli, piangono i loro morti, ecc. Penso che spesso i media si interessino soltanto alle storie di orrore e di morte, e allora la mia scrittura diventa anti-giornalistica...”. In questo lavoro un ruolo fondamentale è riservato al senso dell’umorismo: “Se mi si chiede quale sia il paese più divertente del mondo arabo, rispondo che probabilmente è l’Egitto, perché vi si continua a vivere nella povertà e nel degrado. Una cosa simile succede con i neri in America. Spesso chi è oppresso cerca di normalizzare la vita ridendoci sopra. In situazioni di umiliazione, è un modo per riguadagnare la propria umanità. Quando ho scritto Sharon e mia suocera, all’esterno dovevo far fronte alle pressioni dell’esercito israeliano, e dentro casa a quelle di mia suocera: l’umorismo è stato un modo per uscire da due forme di occupazione… Diverso è il caso del mio libro più recente, Murad Murad, dove si racconta un viaggio che ho fatto insieme ad alcuni giovani lavoratori palestinesi verso Israele, dopo la costruzione del muro. È sempre più difficile scrivere sulle vite degli altri. Sebbene


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13 Una strada di Jenin

non manchi un po’ di umorismo neanche in quel libro, non potevo prendermi la libertà di divertirmi alle loro spalle. Inoltre durante quel viaggio sono stata vicino a Giaffa, la patria di mio padre, e ho provato un sentimento di alienazione nell’essere una persona araba in Israele, e per lo stesso motivo tutto si è spostato su un piano più emotivo ed esistenziale. Puoi esprimerti partendo dal cervello o dal cuore, ma quando le cose vengono dal cuore tutto rischia di diventare molto emozionale, difficile e anche rabbioso”. L’onda lunga delle rivoluzioni In tempi recentissimi, una serie di rivolte e di cadute di regimi ha scosso molti paesi arabi e nordafricani. Ovviamente la Palestina, già marcata dalla divisione politica, non è rimasta indifferente a tali rivolgimenti. “La situazione in Palestina è diventata col tempo sempre più cupa e disperata”, afferma Adania Shibli, “e ciò trova un riflesso nella divisione politica. Per i suoi abitanti, la vita sembra allargare ogni giorno i limiti del rancore. Quello che è successo con le rivoluzioni arabe, tuttavia, ha riacceso la speranza per gli indifesi di provocare cambiamenti in quelli che sembravano regimi e governi scolpiti nella pietra. Ma è ancora presto per tracciare le conseguenze degli eventi attuali sulla cultura palestinese. L’esperienza della divisione, che ormai i palestinesi vivono come una realtà quotidiana, è stata così crudele e dolorosa, che è difficile ripensarla con l’adeguata profondità. Bisognerebbe guardare alle proprie ferite con attenzione, però nel caso di difficol-

tà del genere l’obiettivo primario è la sopravvivenza, non la mera contemplazione”. Secondo Suad Amiry, in Palestina la maggior parte della popolazione è molto felice delle rivolte e del crollo dei regimi: “Sono arrivate nel momento in cui meno ce le si aspettava, quando come arabi ci eravamo arresi. Dà un senso di liberazione l’opportunità di andare in strada, esprimersi pacificamente – anche se le reazioni possono essere tutt’altro che pacifiche – e capire che puoi arrivare a un risultato. Prima il mondo arabo era preso tra due poli: da una parte il Movimento islamico e dall’altro i regimi, le famiglie o i partiti al potere. Potevamo scegliere tra due pessime alternative. E allora uno si diceva: «Ok, accetto Mubarak perché l’altra opzione è un oscuro e reazionario fondamentalismo islamico». Ma c’è una maggioranza che non è d’accordo con questo e che adesso si sta organizzando. È una strada lunga e non sappiamo esattamente dove porterà, ma è estremamente importante ribellarsi contro qualcosa che non si vuole. Adesso in Palestina c’è speranza, anche se non è chiaro come si potrebbe porre un termine all’occupazione israeliana. È evidente che lo stato di Israele non è interessato alla pace, o per lo meno a pagare il suo prezzo, cioè il ritiro dai territori occupati. Ma forse adesso i palestinesi scenderanno tutti in piazza contro Israele e le autorità palestinesi. E forse gli arabi influenzeranno gli israeliani a scendere in piazza pure loro… Non so come finirà tutto questo, ma a ogni modo è meglio di accettare regimi che non sono al servizio dei loro popoli. In Egitto, in Tunisia, in Siria e in ogni altro luogo”.


» testimonianza raccolta da Nicoletta Barazzoni; fotografia di Igor Ponti

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Sferico

Vitae

rubato tutte le sculture, ero rimasto senza niente. Come quando avevo consegnato il mio primo libro a un editore italiano. In quel periodo si era ammalato mio padre. Una casa editrice media, l’ha copiato e pubblicato con un finto nome. Ho fatto loro causa, da qui, ma le leggi, che dovrebbero essere valide in tutti i paesi, si scontrano ancora contro muri “medioevali”. Sono almeno riuscito a riscriverlo e pubblicarlo no profit e ad avere un record di copie vendute. Battuta di caccia è un libro humour, con novecento messaggi d’amore pronti all’uso. Con Melanie Moore eravamo considerati Scolpisce il marmo, ricavandone forme una coppia modello, ma a sinuose. Musicista pop e scrittore, non volte l’amore si scontra con conosce sosta nel viaggiare, seguendo la cruda realtà della vita da artisti. Abbiamo vissuto mol’intuito e il suo cuore menti incredibili, che sono racchiusi nei suoi dieci rogenere. Ho composto e cantamanzi, viaggiato molto e rischiato la vita più to per due anni musica pop, volte. Abbiamo cominciato con altri dodici con lo pseudonimo James ragazzi a Parigi. Abitavamo con fotografi, Arles, a Parigi come solista. modelle, musicisti. Una parte del gruppo si Quando mi sono accorto che è persa nei labirinti delle droghe, e due amici per l’industria musicale la sono morti molto giovani. In quegli anni creatività non era fondamendi precarietà sarebbe bastato un nulla per tale, ho seppellito il progetto. saltare in aria, con tutte le tue convinzioni. Quando la gente mi chiede Avere una faccia simile a quella di John che droga uso per creare i Lennon non aiuta, in particolare quando miei mondi pittorici, risponcrea dei preconcetti. A volte la gente mi do che ho avuto amici morti vede come un personaggio decorativo, che di overdose, e che non mi è si è inventato l’aria dell’artista. A 14 anni ho mai balenata l’idea di ricorrescolpito la mia prima opera che ho intitolato re a delle sostanze per elevare “Famiglia”. La città di Opatia, in Croazia, il mio stato vitale e la mia tramite uno sponsor, collocherà quest’opeesistenza. Nuotare un’ora, nel ra, grande, in marmo bianchissimo, nella pieno del freddo invernale, piazza principale della città. Nella vita cerco è una vera droga che prova di seguire il Nazareno, e posso affermare di la tua forza di volontà, una averlo “incontrato”, quando scavavo duranscarica d’adrenalina pura. Ci te l’estate, da ragazzo, nei campi archeologici vado tutti i giorni, all’imbrudi Corazin in Israele. Proprio per riempire il nire, soprattutto quando sono “buco esistenziale” sto terminando di scriin Europa. Sono un giovane vere Geroglifici del tempo ultimo, in italiano e artista ma ho vissuto taninglese. Una scrittura surreale e un libro di te realtà diverse: ho fatto la “lettura creativa”, aperta alla fantasia immagavetta a Parigi, ho provato ginativa e all’intelligenza del lettore. Il surrela durezza dell’asfalto e le ale non si coniuga con la fede? Il surreale è il contraddizioni della società. mondo del pensiero, dove l’anima è libera di Ora sto perseguendo un previaggiare. I miei quadri di “pittura filosofica” stigioso progetto, malgrado la sono dei romanzi, toccano temi come la creprecarietà di mezzi, un vero azione, il peccato originale, ma soprattutto miracolo che sta prendendo vogliono portare un’apertura al futuro e alla forma, nel marmo e basalsalvezza. Ho sempre spinto il mio operare to delle mie sculture grandi. oltre le mie forze, cercando di consegnare Iniziare è stata durissima a Pae consacrare alla terra opere che abbiarigi, una galleria d’arte mi ha no almeno un pallido riverbero di Cielo.

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R

icordo ancora la meraviglia di quando ero bambino nello scoprire un rudere incontaminato nelle mie “spedizioni archeologiche” in montagna. Ero un ragazzo ribelle, mi ero innamorato perso di una turista, conosciuta alle Cinque Terre. Per lei sono scappato di casa a 14 anni. Una volta finiti i soldi, guadagnati con lavoretti da parenti, ho dormito in spiaggia, vita selvaggia! Tutte avventure raccolte nel mio libro Sketchblock che sono fiabe d’amore. Preferisco sferico a poliedrico. Scultura e pittura sono il mio sangue, scrivo per gli incoraggiamenti dei lettori, con una parentesi di musica pop. Di formazione sono architetto, come mio padre che mi manca molto. Con l’era industriale le figurazioni umane nell’arte hanno ceduto il posto all’avvento dell’automazione razionale, quindi si è andati verso l’astratto e il concettuale. Al centro del mio lavoro sta la ricerca sull’uomo che si completa nel cielo. Mi siglo Sferico e ho creato la corrente dello Sferismo per un sogno di rinascita nell’arte, che attualmente è in una profonda stasi. L’arte dovrebbe essere una porta aperta sulla verità, capace di ricollegarci al nostro destino, immenso. Per arrivare alla “sintesi formale” delle mie sculture ci vogliono anni di studio, anni in cui continui a creare e a eliminare, una lotta con il mondo e con te stesso, che a volte termina con la totale distruzione. Nei cantieri di marmo devi arrivare con bozzetti calibrati al millimetro e le idee molto chiare, devi scegliere il blocco che “aspetta” la tua opera, e questo richiede molta fatica e determinazione. Stabilite le dimensioni che il blocco può accogliere, disegno tutti i tagli, precisi, nitidi, che non lasciano margine d’errore. La vena musicale è parte del mio “essere sferico” e mi viene dal nonno, morto tragicamente giovane, che suonava qualsiasi strumento e qualsiasi


Kart

NoN chiamatelo pareNte povero dell’automobilismo. il “KartiNg” è uNa discipliNa che Nei deceNNi ha formato e valorizzato iNtere geNerazioNi di piloti, su 2 e 4 ruote: da ayrtoN seNNa a michael schumacher, da valeNtiNo rossi a sébastieN buemi. perché salire su uN go-Kart sigNifica prima di tutto mettere alla prova capacità di guida e seNsibilità al volaNte. iN tutta sicurezza, diverteNdosi e magari appreNdeNdo qualcosa iN più sulla meccaNica... e sui Nostri limiti

testo di giancarlo fornasier fotografie di Jacek pulawski


in queste pagine 28 agosto 2011, terzo appuntamento del “Master KCL”. Da alcuni anni il Kart Club Locarno organizza presso la propria pista di Magadino quattro gare ufficiali. Al “Master” sono ammessi go-kart di diverse categorie, con un peso totale minimo che viene controllato al termine della gara (foto a destra). Tutti i mezzi meccanici sono sottoposti a rigorosi controlli tecnici da parte dell’organizzazione. Ma anche i piloti non lasciano nulla al caso: la pressione delle gomme, per esempio, è un parametro fondamentale (foto piccola a destra) in apertura Il go-kart: un mezzo meccanico piuttosto semplice ma che richiede, se si vogliono ottenere prestazioni e “tempi sul giro”, una messa a punto attenta e mirata. Anche un singolo bullone serrato in modo non corretto può fare la differenza…

Q

uattro ruote del diametro di 5 pollici, un telaio tubolare in acciaio, un motore di piccola cilindrata posto subito alle spalle del posto di guida a sua volta composto da un seggiolino avvolgente, il volante e il piantone dello sterzo, due minuscoli pedali (l’acceleratore e il freno, che agisce sull’asse posteriore) e poco altro. Se ci sono dei termini che bene riescono a riassumere la disciplina sportiva del karting – o kart o ancora go-kart – e la sua vera filosofia, questi sono certamente la “semplicità” e l’“essenzialità”. Gli stessi concetti ai quali i padri del kart si sono ispirati per dare vita a un mezzo nato per il puro divertimento e che in pochissimi anni è diventato la prima e più importante palestra per chi vuole avvicinarsi al mondo dei motori, a quattro ruote ma anche a due ruote. Piccole note storiche Fu la genialità di alcuni appassionati e piloti di auto da corsa statunitensi a permettere la nascita dei primi kart: siamo verso la metà degli anni Cinquanta e l’assemblaggio e la messa a punto di queste piccole monoposto permettevano ai piloti di correre e allenarsi a costi molto contenuti, alla luce sia della semplicità costruttiva sia della facile reperibilità di ruote e motori di derivazione motociclistica o agricola. Certo, in oltre 50 anni l’iniziale divertimento si è trasformato in una disciplina completa e assai impegnativa (anche fisicamente), almeno per chi ha ambizioni sportive e mira a titoli nazionali e mondiali. Nel frattempo sono stati introdotti nuovi materiali, i motori a 2 o 4 tempi e i telai non sono più quelli di un tempo – solitamente “raffazzonati”


e assemblati in piccole cantine e casalinghi garage – e le minuscole gomme slick (dal battistrada liscio) hanno oggi mescole e caratteristiche specifiche. Nei decenni sono stati introdotti propulsori con frizione e marce (sino a 6 diversi rapporti), il raffreddamento delle ultime generazioni di kart è a liquido (attraverso l’utilizzo di un radiatore) e hanno fatto la comparsa sistemi frenanti che coinvolgono anche le ruote anteriori – oltre al classico ponte posteriore –, soluzione che permette “staccate” ulteriormente “al limite”. Tutto ciò non ha però impedito alla disciplina del karting di rimanere fedele alle proprie origini: umiltà, divertimento, semplicità, sfida, fai da te... e tanta voglia di sperimentare, oltre all’immancabile passione. La stessa che nel lontano 1967 portò il ticinese Edgardo Rossi a laurearsi Campione del mondo nell’allora categoria “Kart” (a oggi, primo e unico svizzero a potersi fregiare di questo titolo). E la stessa grande passione che ancora fa sorridere il signor Giovanni Longhi e la sua famiglia, i quali hanno fondato e gestiscono l’unica struttura ticinese dedicata al kart, dopo la recente cessata attività della storica Pista Sartorelli a Osogna. Divertimento, impegno e passione È sin troppo facile associare il karting alla velocità e al rischio, creando così un parallelismo con il mondo dell’automobilismo sportivo. Un errore che molti compiono e che inevitabilmente fa pensare a “rischi” e “pericoli” per chi guida. “No, il mondo del kart e quello agonistico non hanno nulla a che fare... almeno per chi pratica questa disciplina in modo amatoriale e per il puro piacere di divertirsi” dichiara il signor Longhi, mentre osserva i piloti girare sul kartodromo di Magadino, un circuito di medie dimensioni (580 metri la sua lunghezza) di proprietà del Kart Club Locar-

(...)


i prossimi appuntamenti Domenica 2 ottobre si svolgerà il quarto e ultimo appuntamento del “Master KCL”, evento organizzato dal Kart Club Locarno nella pista di Magadino. La finale vedrà aggiudicare tutti i titoli 2011. Nella stessa giornata tornerà anche la “Over 40”. Un appuntamento da non mancare per gli appassionati ma anche per tutti i neofiti del kart, i quali potranno apprezzare le caratteristiche tecniche e agonistiche di questo completo e meraviglioso sport

no. Una pista permanente progettata nel 1974, ma che ancora oggi rimane assai impegnativa. “Proprio per la loro forma, il baricentro molto basso e a seguito dell’introduzione di protezioni laterali, anteriori e oggi anche posteriori, i maggiori rischi legati all’incolumità dei piloti (il toccarsi e l’agganciarsi delle ruote, e il conseguente pericolo di ribaltamento, ndr.) sono molto contenuti. Certo, come per tutte le pratiche fisico-sportive l’imprevisto e l’inciden-

te non sono impossibili… ma credo che a casa o sulle piste di sci il pericolo sia molto più presente e dalle conseguenze a volte assai gravi”. Come già detto, chi non è mai salito su un go-kart difficilmente può rendersi conto di quanto impegno e quale concentrazione richiedono guidare un veicolo di 60-70 kg di peso (al quale va aggiunto il pilota) e spinto da motori che possono raggiungere anche i 45 cavalli di potenza a oltre 15.000 giri. Infatti,


sopra Un momento di preparazione prima della gara. I kart più avanzati hanno motori “4 tempi” raffreddati a liquido, come la presenza del radiatore a sinistra del pilota lascia intuire

la struttura rigida del kart, lo sterzo diretto e privo di aiuto, l’elevata aderenza delle gomme slick, ne fanno uno strumento da condurre con precisione, giocando – nel caso di motori monomarcia, i più diffusi – con gas e freno, in modo da tenere sempre il motore a giri elevati e, nelle curve, inserendo il veicolo al limite dell’aderenza e del sovrasterzo. Insomma, come nella migliore tradizione, il kart è da guidare “con il sedere”, la

parte del corpo più sensibile per un pilota; l’unica in grado di farci capire esattamente (e con qualche frazione di secondo in anticipo...) quando si sta esagerando, quando e dove è il mezzo ad aver preso il sopravvento sul pilota. “Il kart è un disciplina completa: è e deve rimanere un divertimento come dico sempre a chi viene in pista; ma allo stesso modo richiede costanza, impegno e capacità di controllo, oltre a un’adeguata preparazione fisica e (...)


una buona dose di metodo per chi vuole migliorarsi e riuscire a interpretare nel migliore dei modi la pista e le sue traiettorie. Senza dimenticare la necessità di sapersi controllare, evitando di superare i propri limiti e quelli del veicolo...”. E non di rado avviene che, ragazzi avvicinatisi al kart mostrino sorprendenti maturazioni anche in altri ambiti: “Per esempio quello scolastico” ci conferma Giovanni Longhi.

Il kart: educazione e prevenzione I moderni motori (dai 60 ai 125 ccm), i silenziatori applicati allo scarico e l’utilizzo di comuni benzine senza piombo nella preparazione delle miscele, fanno del kart un’attività sportiva che non per forza di cose si scontra contro la sempre crescente sensibilità verso l’ambiente. “Negli ultimi decenni ci siamo molto impegnati nel prevenire e con-

sopra la griglia di partenza a pochi secondi dal via. I kart più prestazionali possono avere potenze superiori ai 45 cavalli a oltre 15.000 giri/min. e toccare velocità superiori ai 150 Km/h...


per informazioni Pista Kart Locarno-Magadino Amministrazione: Kart Longhi Sagl Via S. Maria 19 CH-6596 Gordola tel.: +41 (0)91 745 44 55 info@karts.ch www.karts.ch Sede del circuito: Strada Cantonale CH-6573 Magadino tel:. +41 (0)91 859 24 56 ringraziamenti Si ringraziano il signor Giovanni Longhi e il personale della Kart Longhi e del Kart Club Locarno (KCL) per la cortesia, la disponibilità e la professionalità dimostrate, e senza i quali la realizzazione di questo reportage non sarebbe stato possibile

Jacek Piotr Pulawski Di origini polacche, classe 1978, opera come fotogiornalista freelance in Svizzera e all’estero per quotidiani e riviste. Nel 2009 ha ricevuto il premio della “Swiss Press Photo” come miglior fotografo dell’anno e ulteriori riconoscimenti sono giunti nel corso del 2010. Per ulteriori informazioni: www.pulawski.ch

tenere, per esempio, i rumori: tanto che oggi l’attività al kartodromo si concentra principalmente nelle ore pomeridiane...” ci dice ancora Longhi, mentre un monoelica in fase di atterraggio all’aeroporto di Magadino sommerge gli scarichi dei piloti in pista. “Abbiamo la fortuna di poter essere aperti tutto l’anno; credo sia una grande opportunità per tutti coloro che vogliono divertirsi, senza violenze e abusi”. Anche in

questo senso e viste le rare possibilità in Svizzera di provare le proprie abilità in spazi protetti, il karting rappresenta un’ottima “valvola di sfogo” per tutte quelle persone che troppo spesso confondono le strade per circuiti... “Tutti, almeno una volta, dovrebbero provare a guidare un kart. Sarebbe un ottimo modo per scoprire, senza pericolo alcuno, quanto buona è la nostra capacità di guida”.


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Meluzza trascrizione di Fabio Martini illustrazione di Simona Giacomini

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C’era una volta… un contadino che aveva

un albero di mele, così dolci, ma così dolci che il re di quelle terre le voleva tutte per sé. Giunse però una cattiva stagione e l’albero di far mele proprio non ne volle sapere: al momento del raccolto il contadino riuscì a malapena a riempire tre cesti e mezzo. Preoccupato per ciò che avrebbe detto il re, l’uomo riempì la quarta cesta mettendoci la sua figlia più piccina che coprì con qualche mela e un po’ di foglie. Una volta portate le ceste nella cucina del re, la bimba rotolò insieme alle mele e si nascose sotto una sedia. Tutte le volte che aveva fame o sete si mangiava una mela. Dopo qualche giorno, il cuoco e i suoi aiutanti si accorsero che le mele di-

minuivano a vista d’occhio e che dovunque erano sparsi i torsoli smangiucchiati. “Per tutti i diavoli” esclamò il cuoco, “qui c’è un bel topone. Dobbiamo scovarlo”. Si misero subito all’opera e cerca che ti cerco, dopo un po’ trovarono la bimba. “E tu chi sei?” le chiese il cuoco. “Sono una mela” rispose lei, per paura che al suo babbo succedesse qualcosa di brutto. “Sono nata anch’io sull’albero”. “Stranissimo, davvero stranissimo” disse il cuoco. “Allora ti chiameremo Meluzza e d’ora in poi mi aiuterai in cucina”. E così fu. Passarono gli anni e Meluzza era così brava nelle faccende, cortese nei modi e bella d’aspetto che tutti l’ammiravano. La


sua grazia non era sfuggita agli occhi del principe che aveva la sua stessa età. Ogni momento libero lo passavano insieme e fra loro nacque una profonda amicizia. Ma più grande e bella Meluzza diventava, più cresceva l’invidia delle altre serve del palazzo, gelose della fanciulla. Cominciarono così a spargere delle voci secondo cui Meluzza aveva rubato niente popò di meno che il tesoro delle streghe. Le voci giunsero alle orecchie del re che ne fu molto arrabbiato e fece chiamare la giovinetta. “È vero che avete rubato il tesoro delle streghe?” le chiese scuro in volto. “No, mio sire, non l’ho rubato… e mai vi mentirei”. Ma il re non le credeva. “Non siete sincera e per punizione dovrete portarmi quel tesoro. Partirete subito e finché non l’avrete trovato non fatevi vedere a corte”.

Disperata per essere stata cacciata dal palaz-

zo, Meluzza si trovò sola per strada. Iniziò a camminare ma giunta la sera le venne fame e sonno. Incontrò un albero di ciliegie e proseguì. Incontrò un albero di pere e proseguì. Incontrò un albero di mele, vi salì, ne mangiò un po’e si addormentò fra i rami. La mattina, al risveglio, sotto l’albero vide una vecchietta che la osservava incuriosita. “Che ci fate sull’albero bella figliola?”, le chiese la vecchia. Meluzza raccontò la sua storia e la donna ne ebbe compassione. “Ascoltami bene,” le disse “ti darò del grasso, del pane e una filastrocca, ma tu dovrai proseguire la tua strada”. Meluzza accettò i doni, la ringraziò e riprese il suo viaggio finché trovò il sentiero sbarrato da tre lupi affamati. Meluzza gettò loro il pane e i lupi la lasciarono passare. Cammina, cammina arrivò in un luogo in cui la strada era interrotta da un fiume in piena. Recitò allora la filastrocca che le aveva insegnato la vecchietta: Acquetta, acquetta, acquetta bella, se non avessi furia ne berrei una scodella. Pronunciate quelle parole il fiume si asciugò, lasciandola libera di arrivare all’altra

sponda. Cammina, cammina giunse di fronte a un palazzo come mai se n’erano visti a questo mondo. Provò a entrare ma la porta si apriva di un sipraglino troppo stretto per passarvi. Allora prese il grasso e unse i cardini e la portà come d’incanto si spalancò. Una volta all’interno, vide una stanza con le pareti tutte d’oro e al centro la cassetta con dentro il tesoro delle streghe. Meluzza la prese ma giunta in prossimità della porta dalla cassetta uscì una vocina che diceva: “Porta, porta schiaccia Meluzza”. La porta rispose: “No che non la schiaccio. Era da tanto tempo che non mi ungevano i cardini”. Giunta di fronte al fiume, dalla cassetta uscì di nuovo la misteriosa vocina: “Fiume, fiume affogala”. “Non che non l’affogo. Mi ha detto acquetta, acquetta bella. Perché dovrei affogarla?”. Cammina, cammina Meluzza arrivò dai lupi e dalla cassetta uscì ancora la vocina: “Belve, belve azzannate Meluzza” “E perché dovremmo? Ci ha sfamato!”.

Dopo

molto camminare giunse vicino a casa e lungo la strada trovò il principe che l’aspettava. “Meluzza bella, Meluzza mia. L’avete trovato! Quando mio padre, il re, vi chiederà cosa desiderate come premio dovrete dirgli «la cesta del carbone che sta nella cantina». Mi raccomando…”. Meluzza annuì e si avviò verso il palazzo del re. Giunta al suo cospetto poggiò a terra la cassetta. Il re l’aprì e ne uscì una gallina tutta d’oro seguita dai suoi pulcini anch’essi tutti d’oro. Il re le chiese allora cosa volesse in premio. “Voglio la cesta del carbone che sta giù in cantina con tutto quello che c’è dentro”. “È una ben strana richiesta, ma vi accontenterò”, e diede l’ordine ai servitori di prendere la cesta. Una volta aperta ne uscì il principe che, per amor di Meluzza, ci si era nascosto dentro. Il re dovette allora accettare l’unione dei due giovani che di lì a poco si sposarono. E vissero tutti felici e contenti…

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La rincorSa aLLa meLa Tendenze p. 48 – 49 | di Carlo Galbiati

Per arginare L’invaSione degLi iPad aP

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daLL’autunno 2010 numeroSi Produttori h baSati SuL SiStema oPerativo android Sono aL momento deLudenti

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guerra dei tablet continua. Apple, come accade da tempo, domina il mercato e gli altri… inseguono. Di fatto solo Samsung con il suo Galaxy Tab da 7 pollici – lo schermo dell’iPad è di 9,7 pollici – è stata parzialmente premiata dalle vendite. Ma i problemi sono svariati: il tablet Toshiba Folio 100 è stato addirittura tolto dal mercato dalle maggiori catene di distribuzione inglesi dopo che molti utenti avevano restituito il prodotto per i troppi buchi del software in cui sono incappati. Il problema dei tablet con sistema operativo Android è dovuto alla eccessiva frammentazione della piattaforma e all’ancora esiguo numero di applicazioni per Android 3.0. I primi modelli “non Apple” utilizzavano infatti applicazioni sviluppate per gli smartphone, in seguito “adattate” ai tablet. Alle risposte, informatici e produttori stanno però lavorando: entro la fine dell’anno, per esempio, dovrebbe essere immesso sul mercato Android Ice Cream Sandwich, un sistema operativo universale per smartphone e tablet, ottimizzato per i nuovi processori nVidia Tegra 3. Inoltre, diversi attori, fra cui Sony e la stessa Toshiba – che torna alla carica dopo la già citata esperienza negativa del Folio 100 con un nuovo modello basato su Honeycomb 3.1 – immetteranno in autunno nuovi modelli di tablet Android. Ma andiamo per ordine…

• SamSung • Samsung ha attualmente in catalogo in Svizzera solo il modello da 7 pollici (Galaxy Tab P1000) mentre in Italia sono reperibili i modelli con display da 10,1 pollici Galaxy Tab 10.1 e Galaxy Tab 10.1v. Questi ultimi, che possono essere considerate le “copie” dell’iPad, hanno un spessore di 7,6 mm e utilizzano come sistema operativo Honeycomb 3.1. Samsung ha poi parzialmente sostituito l’interfaccia Android standard con TouchWiz. Dispongono di due fotocamere – quella posteriore è limitata a soli 3 Megapixel –, con cui effettuare videochiamate e riprese video. La casa coreana ha realizzato apposite applicazioni per i suoi tablet: accanto all’Android Market ufficiale con 200mila applicazioni, Samsung dispone di applicazioni specifiche per i suoi prodotti, siano essi tablet o smartphone. • motoroLa • Per quanto concerne Motorola, il suo Xoom, più pesante del Galaxy Tab 10.1 (730 grammi invece di 595) integra un connettore HDMI e uno slot per schede Micro SD che permette di espandere la memoria interna. Il sistema operativo è Honeycomb 3.0, con possibilità di aggiornamento a 3.1. Sarà inoltre possibile collegare al connettore Micro USB di cui è dotato hard disk, tastiere e perfino i controller Usb delle consolle Playstation 3 e Xbox 360. Il costo attualmente si aggira intorno ai 740 franchi.


un anno – a Partire

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• rim • Approccio completamento diverso quello della società canadese Rim nello sviluppo del suo tablet da 7 pollici BlackBerry PlayBook. Il nuovo sistema operativo BlackBerry Tablet OS, sviluppato appositamente, permette di sfruttare appieno la potenza del processore. A differenza dei tablet Android il multitasking del PlayBook offre la possibilità di tenere aperti giochi 3D come Quake III in contemporanea a filmati e pagine web, il tutto senza il minimo rallentamento. C’è ovviamente il supporto dei contenuti video in Flash delle pagine web, due fotocamere da 3 e da 5 Megapixel, connettori HDMI e Micro USB. Il tablet non dispone di connettività 3G ma solo Wi-Fi per collegarsi al modem-router domestico o a uno Hot Spot Wi-Fi. Nelle intenzioni di Rim questo tablet deve funzionare come monitor per i propri smartphone BlackBerry. Installato il software BlackBerry Bridge sullo smartphone, il PlayBook si collega al cellulare in modalità Bluetooth permettendo di navigare in internet tramite la connessione 3G dello smartphone. Per ora il tablet non dispone di client di posta elettronica e per visualizzare le e-mail il PlayBook deve collegarsi allo smartphone mediante il Bridge: le e-mail rimangono residenti sul BlackBerry (smartphone). Attualmente non tutte le applicazioni sul market BlackBerry App World funzionano con il PlayBook, in futuro però sarà possibile utilizzare anche le applicazioni sviluppate per Android 2.3. È inoltre atteso con molta curiosità il tablet di Amazon: ricordo che gli e-book venduti da Amazon possono venir letti dal Kindle, l’e-book reader dello store statunitense, dall’iPad e dai tablet Android 3.0.

• asus • Asus propone l’Eee Pad Transformer che si distingue dagli altri tablet grazie all’innovativa docking station opzionale che dotata di tastiera QWERTY e touchpad lo trasforma in un vero e proprio notebook; quando è collegato alla docking station, il tablet raddoppia la sua autonomia. Il modello con 16 GB di memoria interna è disponibile a 490 franchi, mentre per la docking station sono necessari 122 franchi. Sul mercato è oggi disponibile anche un tablet 3D: LG Optimus Pad. Esso è dotato di un display da 8,9 pollici e di una doppia fotocamera posteriore da 5 Megapixel che permette riprese in 3D a 720 linee progressive. Lo schermo supporta la riproduzione dei filmati 3D con la tecnica anaglifa che mediante l’utilizzo di particolari occhiali dotati di due filtri di colore complementari consente di dare tridimensionalità alle immagini. Va detto, a onor del vero, che la visione anaglifa 3D offre una scarsa fedeltà cromatica. Niente paura! Le immagini possono essere viste in modalità stereoscopica dai televisori 3D cui il tablet può essere collegato collegato mediante un cavo HDMI. Anche per questo tablet fotocamera frontale per le videochiamate, GPS, processore nVidia Tegra 2 e sistema operativo Honeycomb 3.0. Disponibile per ora solo in Italia, ha un prezzo abbastanza elevato: 899 euro.

Premio Möbius Multimedia Lugano • www.moebiuslugano.ch • La quindicesima edizione del Premio Möbius Multimedia Lugano che si terrà il prossimo 1. ottobre sarà interamente dedicata ai tablet e alle nuove forme di editoria a esso collegate. La manifestazione si concluderà con una tavola rotonda a cui parteciperanno alcuni importanti opinion leader del settore

aPPle – ben venticinque milioni


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Astri toro

gemelli

cancro

Cambiamenti professionali grazie ai buoni aspetti tra Marte e Urano. Siate maggiormente prudenti quando parlate. Possibili problemi di comunicazione con il partner o i colleghi di lavoro. Eviate rischi inutili.

Le finanze continuano a essere brillantemente consacrate dalla magnifica azione combinata di Giove e Plutone. State attenti a non esagerare con atteggiamenti egocentrici o aggressivi, soprattutto in famiglia.

Momento buono per i nati nella prima e seconda decade favorito dai transiti planetari. Imprevedibili i nati nella terza decade. Romanticismo e crescita affettiva grazie a Nettuno e Venere.

Con Mercurio, Venere e Saturno in quadratura è difficile che in questo periodo non stiate attraversando una crisi nei sentimenti. Dovrete riorientarvi interiormente. Evitate gli atteggiamenti autodistruttivi.

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bilancia

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Momento adatto per risolvere una vertenza legale. Opportunità inaspettate. Se riuscirete a liberare la creatività potrete realizzare grandi cose. Sviluppo e aiuti da parte delle nuove tecnologie. Maggiore modestia.

Vita professionale in primo piano: grazie ai transiti di Giove e Plutone avrete la concreta possibilità di realizzare le vostre ambizioni. Aiuti da parte di persone importanti. Incontri tra il 4 e il 5 ottobre.

Grazie a Mercurio e Venere potrete dare un’impronta edonista al periodo adottando scelte consone alla vostra natura. Incontri sentimentali durante una trattativa di affari. Rinnovato interesse per l’antiquariato.

Vita sessuale condizionata dai vostri umori e dal vostro orgoglio. Mentre con Mercurio e Venere di transito tendete a essere più attratti dalle relazioni avvolte dal mistero. Controllate la vostra possessività

sagittario

capricorno

acquario

pesci

Se volete realizzare i desideri dovete imparare a sfruttare i transiti di Urano, Marte e Mercurio. Difatti con Urano di passaggio nella vostra quinta casa solare sono favorite le soluzioni più creative e originali.

Periodo di grande fortuna favorito dal transito di Giove. Grazie anche all’aiuto di terze persone riuscirete a realizzare progetti di una certa rilevanza sociale. L’importante è dare spazio alle proprie potenzialità.

Calo energetico causato dagli aspetti disarmonici di Marte e Giove. Non è il momento per dichiarare guerra al mondo. Qualunque situazione può essere brillantemente risolta grazie a una giusta mediazione.

Momento felice per le relazioni esterne. Periodo di cambiamenti, progetti e speranze per il futuro. Grazie a Giove e a Plutone armonici riuscirete a realizzare qualcosa di importante attraverso un interesse.

» illustrazione di Adriano Crivelli

» a cura di Elisabetta

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 41

Risolvete il cruciverba e trovate la parola chiave. Per vincere il premio in palio, chiamate lo 0901 59 15 80 (CHF 0.90/chiamata, dalla rete fissa) entro giovedì 6 ottobre e seguite le indicazioni lasciando la vostra soluzione e i vostri dati. Oppure inviate una cartolina postale con la vostra soluzione entro martedì 4 ott. a: Twister Interactive AG, “Ticinosette”, Altsagenstrasse 1, 6048 Horw. Buona fortuna!

Orizzontali 1. Taciturna, poco espansiva • 10. L’ama Zivago • 11. Città francese • 12. Spostare • 14. Due romani - 15. Rosa nel cuore • 16. Fughe in massa • 18. La nota Martinetti • 20. Poi • 22. Dispari in diari • 23. Li ripara il lattoniere • 25. Buttarsi • 28. Quaderni intimi • 30. Squadra madrilena • 31. Filo vegetale • 32. Ricolma • 33. La meta del goliardo • 35. Italia e Portogallo • 36. Uno a Zurigo • 37. La uccide Ercole • 38. Pari in beffa • 40. Non lo rispetta il ritardatario • 42. Questa cosa • 43. Il nome di un Garrani • 44. I confini di Vezia • 46. Ohio e Uruguay • 47. Pagar pena • 49. Nazione • 51. Il giorno trascorso • 52. Il dio dei venti • 53. Barbatella. Verticali 1. Noto racconto di M. Zadoorian • 2. Malessere da mal di mare • 3. Torto senza pari • 4. Ha composto il Bolero • 5. Battesimo navale • 6. Beneficiare del lascito • 7. Consonanti in ruolo • 8. Mezza dozzina • 9. Somari • 13. Corretti, precisi • 17. Coraggiosi • 19. Un pittore e un cantautore • 21. Biasimare • 24. L’alieno di Spielberg • 26. Il tesoro statale • 27. Raganella arborea • 29. Rabbia • 32. I limiti della zona • 34. Il nome di Montesano • 37. Sarcasmo • 39. L’ha buono chi ha naso • 41. Antenato • 45. Motivetto • 47. Gastone nel cuore • 48. Telefono in breve • 50. Il nome di Pacino.

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La soluzione del concorso apparso il 16 settembre è: NASCERE

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Tra coloro che hanno comunicato la parola chiave corretta è stato sorteggiato: Franco Dellea Vicolo ai Moron 4A 6572 Quartino Al vincitore giungano i nostri complimenti!

Premio in palio: buono RailAway FFS “Rigi” RailAway FFS offre 1 buono del valore di 160.- CHF per 1 persona in 2a classe per l’offerta RailAway FFS “Rigi” da scontare presso una stazione FFS in Svizzera. Ulteriori informazioni su www.ffs.ch/railaway.

Rigi. Il paradiso del divertimento e del relax! È la montagna svizzera più amata per le escursioni, da dove godere uno stupendo panorama sulle Alpi, il Mittelland e i laghi. Un’ampia rete di sentieri invita ad esplorare la montagna. Le famiglie potranno apprezzare i numerosi spazi barbecue coperti e li parco giochi per bambini e l’impianto trampolino. L’avventura inizia con il viaggio a bordo della prima ferrovia europea di montagna (1871). Da luglio a settembre, ogni sabato e domenica, i treni a vapore salgono da Goldau al Rigi Kulm. Qui potete trovare anche le più diverse varianti di percorso. Ci sono a disposizione inoltre due cremagliere da Vitznau e Goldau e la funivia panoramica da Weggis.

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Centinaia di famiglie vivono in questa bidonville che, nella stagione umida, diventa Villaggio di Koh Kong una fogna a cielo aperto, covo di infezioni e malattie

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Associazione Missione Possibile Svizzera Banca Raiffeisen Lugano Numero di conto: 1071585.70 Via Ungè 19, 6808 Torricella Via Pretorio 22 IBAN: CH04 8037 5000 1071 5857 0 Tel. +41 91 604 54 66 6900 Lugano Codice bancario: 80375 www.missionepossibile.ch info@missionepossibile.ch


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