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UN MESTIERE IN CRISI?

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«Risolverò il problema della penuria d’acqua nel mio villaggio.»

Con coraggio e il vostro aiuto.

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Ticinosette n° 30 29 luglio 2011

Agorà Musicista: una professione in crisi? Società Talento: un falso mito?

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FABIO MARTINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Arti Gian Carlo Menotti. Il musicista dei due mondi

Impressum

Media Tradurre. La sfida dell’impossibile Mundus Muzak, musica senza emozione

Tiratura controllata 72’011 copie

Vitae Gabriele Capelli

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GAIA GRIMANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Editore

Luoghi Berna. Turnhalle Tendenze iPad2

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ORESTE BOSSINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

DUCCIO CANESTRINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage Dimitri, clown e “homme orchestre”

Teleradio 7 SA Muzzano

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MATTIA MANTOVANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Chiusura redazionale Venerdì 22 luglio

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D. QUADRI; FOTO DI R. KHATIR . . . . .

KERI GONZATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

CARLO GALBIATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Direttore editoriale

Visioni Melodie selvagge

Redattore responsabile

Astri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Coredattore

Giochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Peter Keller

Fabio Martini

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TIZIANA CONTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

KERI GONZATO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Giancarlo Fornasier

Photo editor Reza Khatir

Amministrazione via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 960 31 55

Direzione, redazione, composizione e stampa Centro Stampa Ticino SA via Industria 6933 Muzzano tel. 091 960 33 83 fax 091 968 27 58 ticino7@cdt.ch www.ticino7.ch

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In copertina

Elaborazione grafica di Flavia Leuenberger

Suoni e parole Cari lettori, abbiamo dedicato questo numero interamente alla musica e alla letteratura. Certo, i limiti imposti dalle pagine, se considerati in relazione alla vastità dei temi in questione, può far sorridere ma non ci ha peraltro scoraggiati. Una riflessione si impone. Nell’arco degli ultimi dieci anni, forse quindici, la musica, considerata nei suoi aspetti più strettamente economici e commerciali, è andata incontro a un processo di svalutazione indotto dalla progressiva affermazione, da un lato, di internet, come luogo di scambio e acquisto dei file (oggi i brani li chiamiamo così), dall’altro, dalla sistematica digitalizzazione dei contenuti musicali. Ciò ha prodotto, come tutti sanno, un generale e diffuso crollo del mercato discografico tradizionale e di tutto il suo indotto, a partire da quel fantastico e ormai smarrito luogo che era il negozio di dischi. Lì ci si ritrovava, si “assaggiava” quanto di nuovo era appena uscito, se ne discuteva, ci si lasciava contaminare dai suggerimenti di altri appassionati. Erano spazi vitali e sociali che il web, con la sua pervasività, la sua infinita capacità di affermarsi come mediatore e, allo stesso tempo, codice e sistema di comunicazione, ha definitivamente cancellato. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia. L’abbassamento dei costi di produzione musicale, la facilità con la quale si può registrare anche a casa propria ha consentito a milioni di musicisti di produrre musica e di diffonderla attraverso la rete, polverizzando e moltiplicando all’infinito le proposte. Una giungla inestricabile nella quale si può davvero trovare di tutto ma che spesso anziché rivelare, nasconde. In questo processo è andata scomparendo

anche la figura del produttore musicale, di colui che imponeva una linea, un concetto ai musicisti, indipendentemente dal genere o stile utilizzato. Oggi sembra toccare alla letteratura, al libro. Appiattito, mercificato, ridotto a prodotto da supermaket, sta anch’esso per compiere il gran balzo verso la digitalizzazione. È l’era dei tablet. In una recente intervista al sito Nazione Indiana (www.nazioneindiana.com) lo scrittore italiano Gianni Celati, citato anche da Mattia Mantovani nel suo articolo a pagina 12, a proposito dello stato attuale della letteratura dichiarava: “Quello che domina è una letteratura meccanizzata. I prodotti più venduti sono finzioni che hanno tagliato i ponti con una letteratura del passato, considerata troppo scomoda e difficile. E la lingua dei nuovi minestroni romanzeschi è la lingua dell’attualità, con le frasi impantanate in un presupposto e scolastico «scrivere come si deve». […] Credo che la maggior parte delle case editrici badino ai propri affari e basta, seguendo le direttive manageriali. Questi manager non sanno quello che pubblicano, sanno solo il numero delle copie vendute. E ormai c’è un compra-vendita degli autori di successo come quello dei calciatori.” Ci chiediamo allora, cosa accadrà nei prossimi anni, quando il libro sarà sempre più digitalizzato e il potere economico delle case editrici minacciato dalla diffusione di un fai da te editoriale diffuso e capillare, come è accaduto per la musica? Forse sarà il caos, magari la fine, o forse, per il libro e per gli autori, un’occasione per affrancarsi dall’omologazione, al prezzo però di restare nascosti nell’ombra, confinati in una delle infinite pieghe digitali di cui il web è costituito. Un buon weekend a tutti, la Redazione


Musicista: una professione in crisi?

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Agorà

Il mestiere di musicista in ambito classico ha inizio con la formazione nei conservatori. Abbiamo incontrato i direttori delle due istituzioni di Lugano e di Como per avere un quadro delle offerte formative e delle problematiche ad esse legate ma soprattutto per conoscere gli sbocchi che il mercato offre oggi ai giovani musicisti

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on tutti leggono i quotidiani regolarmente, mentre quasi tutti ascoltano almeno una volta al giorno musica alla radio o alla televisione. Dallo studio compiuto nel 2008 dall’Ufficio federale di statistica (Ust) risulta che nel corso di un anno, globalmente, almeno un terzo della popolazione svizzera frequenta con una certa regolarità i concerti, indipendentemente dal genere musicale. All’interno di questo gruppo, con i dovuti distinguo per età, formazione, sesso e regione linguistica, il genere che richiama maggiore pubblico è quello della musica classica, i cui concerti sono seguiti da circa il 30% del totale. Sull’altro fronte, nel nostro paese ci sono circa mezzo milione di allievi che frequentano, professionalmente o in modo amatoriale, le scuole di musica. Eppure, nonostante l’ampia presenza della musica nella quotidianità di ognuno, i giovani musicisti, così come i meno giovani, affermano che trovare un’occupazione in questo settore risulta sempre più difficile. Quali complessità riserva oggi la professione del musicista in ambito classico? Ne abbiamo parlato con alcuni esperti, da anni in prima linea in questo settore formativo sia nel campo della didattica, sia come musicisti indipendenti attivi nella musica dal vivo. Benché impegnati in ruoli e in paesi diversi, sono unanimi nel riconoscere che oltre al talento e alla bravura, doti indispensabili, sono altresì necessarie per una buona riuscita professionale la flessibilità, la passione, la curiosità. Ma cosa offrono la formazione e la post-formazione a sostegno dell’inserimento nel mondo del lavoro? Lo abbiamo chiesto a Christoph Brenner, Direttore del Conservatorio della Svizzera italiana e a Bruno Raffaele Foti, Direttore del Conservatorio di Musica “G. Verdi” di Como.


Signor Brenner, quale modello formativo per un conservatorio aperto alla contemporaneità e all’Europa? “All’interno del nostro conservatorio abbiamo tre dipartimenti: quello universitario, che è affiliato alla Supsi, in cui si formano i futuri musicisti. Un altro dipartimento è quello pre-professionale, solitamente frequentato dagli allievi del liceo e che intendono in seguito iscriversi alla scuola universitaria; il terzo, il più corposo, è quello della scuola di musica, aperto a tutti coloro che vogliono avvicinarsi alla musica in modo amatoriale. Per tornare alla Scuola universitaria: il nostro concetto di master è stato sviluppato e coordinato all’interno della Conferenza delle scuole universitarie di musica proprio con l’obiettivo di fornire agli studenti strumenti adeguati per poter avere successo nella professione. I master che proponiamo hanno quattro indirizzi: in primo luogo quello pedagogico, che è un settore del mercato del lavoro molto importante. Poi ve ne sono due dedicati alla performance, che si rivolgono soprattutto a coloro che in seguito intendono lavorare nelle orchestre, negli ensemble o specializzarsi nelle diverse nicchie del mercato musicale; il quarto invece è indirizzato alla composizione.” Riferendosi alla sua esperienza, un giovane diplomato al conservatorio trova facilmente lavoro? “Direi che oggi in qualsiasi settore economico non è semplice trovare un’occupazione e credo che le difficoltà da affrontare siano simili tanto per i musicisti quanto per i giovani provenienti da altri settori; in generale l’intero comparto del lavoro sta subendo rapide evoluzioni. La scelta dovrebbe essere compiuta con convinzione, non con l’idea di trovare il posto fisso per la vita, ma nella consapevolezza che un percorso di studi accademico permette di acquisire quegli strumenti che consentiranno poi di muoversi con flessibilità all’interno del mercato del lavoro. Bisogna essere disposti a crescere formandosi in modo continuo, a eccellere, a viaggiare all’estero perché il mercato musicale è estremamente internazionale. Quello che spesso dimentichiamo di dire nei dibattiti politici è che se è vero che ci sono molti stranieri nelle nostre orchestre è anche vero il contrario: molti musicisti svizzeri suonano all’estero in eccellenti orchestre, penso per esempio a quelle di Berlino o Monaco.” Veniamo ora alla situazione italiana che sembra presentare un differente e più elevato grado di complessità. Signor Foti, quali difficoltà incontra un giovane musicista alla fine dei suoi studi presso il conservatorio? “Il problema della post-formazione è complesso, anche se per un buon musicista la certezza di avere a che fare con un’arte e una professione dietro a cui non si può nascondere è motivo per credere nel proprio futuro. L’obiettivo di un’istituzione di alta formazione come il conservatorio è quello di perseguire l’eccellenza formativa, prima ancora di produrre eccellenza. Oggi rispetto a ieri diventa sempre più urgente fornire delle risposte chiare su ciò che potranno fare poi i nostri ragazzi; non sono più i tempi in cui la formazione artistica italiana valeva da sola la propria spendibilità. L’offerta formativa è molto più ampia della domanda e a questo va ad aggiungersi il dato che in Italia si chiudono le orchestre piuttosto che formarle.”

L’esperienza diretta di un musicista Per completare il quadro di un orizzonte formativo complesso e articolato come quello della musica classica, abbiamo incontrato Massimiliano Pascucci che ha conseguito una formazione composita e di qualità: diplomatosi al Conservatorio S. Cecilia di Roma ha ottenuto in seguito numerose specializzazioni sia in Italia sia all’estero. Massimiliano è un cantante (collabora regolarmente con il Coro della Radiotelevisione Svizzera di Lugano), direttore di coro e compositore (nel 1999 ha fondato l’ensemble vocale Vox Altera specializzata in canto “a cappella” e nel repertorio della musica contemporanea). È anche insegnante di canto in ambito pop. Da anni si spende “in una professionalità multiforme” come ama sostenere, che lo vede alternarsi in ruoli diversi, spesso anche in quello di manager. Romano, da dieci anni vive in Ticino. Come mai ha scelto il nostro cantone? “Sono arrivato a Lugano per completare i miei studi di canto e presto mi sono accorto che la situazione qui era migliore, ho trovato maggiore rispetto e riconoscimento – anche economico – per i musicisti e naturalmente mi è piaciuto il Ticino per la qualità di vita che offre. In Italia, allora come nel presente, la situazione lavorativa è terribile. Oggi nei concorsi per le orchestre preferiscono persone giovanissime, già a 25 anni si è fuori dal mercato e per le cattedre d’insegnamento le difficoltà di accesso alle graduatorie sono tali che si perde via via speranza. Personalmente ho preferito occuparmi dell’esecuzione e della produzione della musica, fatta eccezione della stimolante esperienza d’insegnamento che sto facendo in ambito pop.” Del resto, girovagando tra alcuni blog frequentati da musicisti che operano nei settori di nicchia, ci si accorge che sono molti a lamentare il fatto di dovere acquisire competenze nuove e lontane dalla musica, come quelle manageriali e organizzative.

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Che tipo di profilo organizzativo vi siete dati con il tuo ensemble, per fare un esempio? “Benché Vox Altera sia considerata una formazione di grande qualità nell’ambito della musica contemporanea, non si riesce a trovare un manager che creda in noi e che ci promuova, con tutto che saremmo competitivi e che potremmo assicurargli del guadagno. I piccoli agenti non rischiano, quelli grandi investono solo su progetti certi. Siamo stati così costretti a divenire agenti di noi stessi; in una giornata per me buona trascorro circa un terzo del tempo a occuparmi veramente di musica, il resto in attività di promozione, di organizzazione, ecc. Personalmente non potrei rinunciare a ricoprire contemporaneamente più ruoli perché questo rende la mia visione musicale più completa; però occuparsi di una sola cosa è un privilegio dato a pochi e probabilmente in età molto matura. Un musicista oggi deve barcamenarsi tra mille possibilità, anche aprendosi ai nuovi mestieri come quelli che si stanno affermando in campo tecnologico e nel web. Ci si deve continuamente mettere in gioco per acquisire sempre ulteriori competenze.” (…)


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E di frequentare il conservatorio? “La qualità dell’insegnamento la si instaura tra insegnante e allievo e posso dire che la mia esperienza formativa è stata molto positiva; la struttura in sé, come già dice il nome che è dato a questi istituti, è invece estremamente conservativa. In generale nell’ambiente musicale c’è una mentalità reazionaria, poco incline all’innovazione, a eccezione di alcuni ambiti legati alla musica contemporanea, che però risulta essere una nicchia nella nicchia.”

Offerta formativa e opportunità Torniamo ora ai nostri direttori di conservatorio. La domanda è d’obbligo: cosa offrono le istituzioni scolastiche a cui sono a capo in termini di agevolazione dei giovani studenti e di inserimento nel mondo del lavoro? (Brenner) “Per noi la pratica è molto importante, quindi spingiamo gli studenti a confrontarsi con situazioni professionali, come per esempio a partecipare a vere prove d’orchestra dirette da grandi maestri e a esibirsi in pubblico. Lo stesso vale per l’indirizzo pedagogico in cui simuliamo situazioni di lavoro. Offriamo poi diversi corsi nell’ambito della formazione continua: ricordo anche che da quest’anno abbiamo attivato un master in management culturale. La formazione musicale, ma vale per molte discipline in scienze umanistiche, è anche una formazione di transfer. Per questo sono scettico in merito all’articolo proposto dalla nuova legge quadro sulla formazione universitaria che intende valutare il supporto alle Sup (Scuole universitarie professionali) in base alla percentuale delle persone che rimarranno nello stesso ambito in cui sono state formate. La forza di una formazione sta anche nell’aprire nuovi orizzonti.” (Foti) “Penso che tra i compiti di un direttore di conservatorio, benché la realtà gli chieda di pensare in modo globale, vi sia quello di cercare i luoghi dell’incontro tra istituzioni affinché si creino delle sinergie collaborative; in effetti, sono svariate le istituzioni pubbliche e private che hanno dimostrato sensibilità verso il nostro lavoro. Solo per citarne alcune, tra le collaborazioni in corso con il Teatro Sociale di Como mi preme sottolineare il progetto di orchestra Como Città della Musica, nato dall’incontro di due realtà musicali di valore, la 1813, che è l’orchestra da camera del Teatro Sociale, e l’Orchestra sinfonica del nostro Conservatorio. Oppure la produzione del dvd 7th, un film nato da un laboratorio sulla Settima Sinfonia di Beethoven, che ha visto impegnati durante un anno i nostri giovani con quelli di Dreamers, una scuola di cinema comasca. È stato un lavoro concreto che li ha portati a confrontarsi con la musica, con le nuove tecnologie, i nuovi linguaggi, ma anche a riflettere sulla loro professione, a sensibilizzare un pubblico, istituzionale e non, alla cultura musicale. Queste sono le nostre risposte: individuare delle strategie concrete affinché gli studenti si avvicinino in modo proficuo al mondo del lavoro; mi interessa invece meno polemizzare sulla

situazione formativa, demonizzare l’uso strumentale dei media, criticare le scarse risorse del sistema culturale italiano.” Signor Brenner quanto è importante la presenza dello Stato e del privato nella formazione e nel mercato musicale? E come si svolgono le vostre collaborazioni con le altre istituzioni del territorio? “L’obiettivo non è quello di formare dei musicisti che poi avranno bisogno dello Stato per sopravvivere; vogliamo invece formare delle persone che trovino delle occupazioni soddisfacenti. Per il futuro auspicherei, almeno per il settore dell’insegnamento pubblico ticinese, una maggiore trasparenza e più rispetto nei confronti dei titoli di studio svizzeri. Per il sostegno alla scuola universitaria, il cui budget complessivo ammonta a circa 7 milioni annui, il 70% proviene da fondi pubblici e il restante 30% dalle quote di iscrizione, dall’attività di fundraising e dalle prestazioni di servizio. In generale, come si può dedurre dai dati raccolti dall’Ust, vi sono evidenti differenze tra il Ticino e il resto della Svizzera: da noi ci sono meno persone che suonano uno strumento, di conseguenza le situazioni si complicano anche per gli studenti. Per quanto concerne le collaborazioni, siamo in relazione con molte istituzioni del territorio e realizziamo una media di 300/400 manifestazioni all’anno (tra queste, solo per citarne una, ricordo Novecento presente, organizzata da molti anni in collaborazione con Rete 2). Rispetto all’Osi i nostri rapporti sono ottimi, e abbiamo instaurato scambi molto positivi che si stanno sempre più intensificando. Il nostro conservatorio è una Fondazione di diritto privato con un mandato pubblico per la formazione, ma nonostante questo e le molte attività, non abbiamo ancora il riconoscimento per il mandato culturale, una situazione che mi auguro possa cambiare a breve.” Signor Foti che tipo di visione ha del futuro, in relazione alla sua funzione? “Credo molto nel mio lavoro, anche se ci si muove tra tante difficoltà. Ci fa piacere constatare che il nostro conservatorio è in controtendenza rispetto ad altri conservatori italiani che spesso vivono una crisi di vocazioni. I conservatori a oggi sono istituzioni di formazione al pari delle università, con tutti i pro e i contro. Per esempio, non è possibile seguire un percorso formativo parallelo tra un’ università e un conservatorio: si è creato una sorta di antagonismo che ha messo seriamente in difficoltà gli studenti, costretti a scegliere se seguire una carriera universitaria, magari più sicura, o la formazione musicale. La nuova legge di riforma sulle università, benché sia complessa e avanzi lentamente, è in corso: si sta prendendo atto di questa situazione e a breve questa incompatibilità dovrebbe essere risolta.”

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» di Tiziana Conte; fotografia di Reza Khatir

Consiglieresti la professione del musicista classico? “Innanzi tutto non faccio distinzioni tra musicista classico, rock, jazz, ecc. Consiglierei a un giovane di fare musica come consiglierei a tutti di continuare a sognare.”

L’ultima parola la lasciamo però a Massimiliano Pascucci. Se la musica è sempre necessaria, qual è oggi il ruolo del musicista? “Penso che il musicista oggi dovrebbe avere anche una funzione politica; come tutti gli artisti è un privilegiato, ritengo quindi che dovrebbe contribuire a creare una società pensante, a stimolare uno sguardo critico sulla realtà.”


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Talento: un falso mito? Intorno alla figura dell’enfant prodige si è creata una vera e propria mitologia che da sempre non manca di sorprendere soprattutto le persone che vivono un rapporto marginale con la musica o ancor più con l’apprendimento di una tecnica strumentale

Il campo delle attività umane in cui il fenomeno del “prodi- all’esperienza musicale, in risposta alle attività ludiche e inforgio” ha avuto e continua ad avere una grande rilevanza, fin mali che si svolgono nella cerchia familiare. Gli effetti che ne nelle sue più sottili implicazioni emotive, sociali ed economi- derivano potranno, o meno, ripercuotersi nel corso della loro che, è certamente quello della musica classica. Una faccenda vita in termini di maggiore o minore capacità di affrontare complessa che psicologi, sociologi e studiosi del comporta- in modo approfondito lo studio e la pratica quotidiana di mento umano e animale hanno sondato attraverso una serie uno strumento musicale. Vi è poi un aspetto fondamentale, di studi soprattutto nel corso degli ultimi trent’anni. Fra questi che possiamo considerare del tutto indipendente dalla disciJohn Sloboda, professore universitario, psicologo e musicista plina scelta, ed è quello legato alla capacità di intensificare britannico che nella sezione da lui curata dell’Enciclopedia il proprio impegno di fronte al fallimento. In ogni campo della Musica Einaudi (2002), propodi studio e di apprendimento, il ne un esempio significativo: a due soggetto che tende ad accrescere bambini dopo aver fatto ascoltare l’impegno in termini di tenacia e a più volte una melodia viene rimetabolizzare la frustrazione che chiesto di riprodurla con il canto. inevitabilmente l’errore pone, avrà Il bambino A la ripete in modo infatti un maggiore orientamento sostanzialmente corretto mentre il al successo personale. bambino B ne dà una riproduzione molto approssimativa e frammen“Practice makes perfect” taria. Considerando che nessuno Questa la premessa, peraltro qui dei due fanciulli ha ricevuto una estremamente semplificata, visto formazione specifica e presuppoche si tratta di temi e questioni nendo che entrambi posseggano le assai complesse. Ma noi vogliamo medesime potenzialità in termini stringere il campo e limitarci a musicali, come si spiega una tale quello della musica. Come spiegare differenza? Nel senso comune si l’abilità di un bambino di dieci antenderà a risolvere il quesito in ni capace di eseguire alla perfezione termini di talento: il bambino A, un brano di media-alta difficoltà per un suo particolare bagaglio gedi Chopin o di Beethoven? Più netico, è più dotato sotto l’aspetto facilmente di quanto si pensi. La dell’apprendimento musicale. In tecnica è infatti sostanzialmente realtà, ci spiega Sloboda, non esiste, una “questione di ore”. Una moltio almeno non è mai stato identifitudine di studi e ricerche effettuati Wolfgang Amadeus Mozart (da www.bonn.de) cato, “alcun gene specifico che sembri nel corso degli ultimi vent’anni accompagnarsi a livelli eccezionalmente elevati di abilità musicale”. hanno dimostrato “che la musica non rappresenta un’eccezione Sono invece noti e verificati altri aspetti: per esempio, il fatto alla regola secondo la quale «l’esercizio fa il maestro»” (Sloboda): che un bambino può aver ricevuto una formazione spontanea gli studenti di violino considerati molto bravi dai loro insee un’abitudine al canto o alla danza all’interno della propria gnanti sono quelli che intorno ai 21 anni hanno accumulato famiglia attraverso attività di tipo ludico; che iniziative il doppio delle ore di studio (circa diecimila) rispetto agli personali del bambino nel riprodurre suoni o melodie siano studenti considerati di medio-basso livello (cinquemila ore). state incoraggiate, rafforzando in lui il desiderio di coinvol- Un dato, quello delle diecimila ore, confermato anche dagli gimento in questo tipo di “gioco”; o che la convinzione da studi del sociologo Richard Sennet, autore del saggio L’uomo parte di un genitore riguardo al presunto talento musicale artigiano (Feltrinelli, 2010). In una sua conferenza tenuta nel del proprio figlio sia stata recepita da quest’ultimo che trova settembre del 2009 all’università degli studi di Bologna, il facile, perché gratificante, sviluppare le sue capacità musicali. sociologo americano, riguardo alla generica capacità di svolStudi universitari (Fowler, 1990; Whitehurst, Falco, Lonigan e gere un’attività manuale complessa, dichiarava: “il passaggio altri, 1988) hanno rivelato come, all’opposto, nei bambini vi dal fare tacito a quello esplicito per ritornare poi di nuovo a quello siano gradi assai differenti di coinvolgimento e di esposizione tacito necessita di diecimila ore, vale a dire quattro-cinque ore al


Il bambino dotato Gli studi di Davidson, Howe, Moore e del già citato Sloboda hanno evidenziato come il livello di miglioramento analizzato in classi di conservatorio fra giovani e giovanissimi studenti sia direttamente proporzionale al numero di ore passate studiando lo strumento. All’età di dodici anni gli allievi più abili sono infatti quelli che si esercitano giornalmente dalle due alle tre ore. In sostanza, chi studia molto ha talento, chi non studia si barcamena. In un quadro di apprendimento a lungo termine il ruolo di genitori e insegnanti ha una valenza fondamentale sia sul piano della motivazione sia per quanto concerne lo sviluppo di un proprio profilo espressivo ed estetico. Se in una prima fase l’insegnante deve utilizzare un approccio “leggero”, basato sul coinvolgimento personale e sul carisma, eludendo dunque aspetti legati al confronto e al raggiungimento del successo, in una seconda fase, quando l’allievo ha sviluppato una propria sicurezza esecutiva, questi ultimi aspetti devono entrare in gioco per fornire motivazione e stimolare l’ambizione e il soddisfacimento personale. La

storia di Mozart la conosciamo tutti e le lettere fra il grande musicista e il padre Leopold attestano della pressione a cui il giovane fu sottoposto fin dai primissimi anni. Una storia peraltro condivisa da migliaia e migliaia di giovani che, volenti o nolenti, già dall’infanzia si trovano instradati da genitori e insegnanti verso la carriera musicale. Musicalità e tecnica Il mio insegnante di strumento al conservatorio si arrabbiava molto con i colleghi che obbligavano i loro allievi a presentare agli esami brani particolarmente complessi sotto il profilo espressivo. In particolare, una sua considerazione mi è rimasta in mente: “È inutile costringere un quindicenne a suonare Brahms in pubblico, perché gli riuscirà sicuramente meglio più tardi, quando avrà ricevuto un’educazione sentimentale e vissuto una vera e intensa storia d’amore”. Un’affermazione forse un po’ iperbolica. Certamente la musicalità, e cioè la capacità di interpretare in modo espressivo e rispondente ai contenuti musicali (ed extramusicali), non dipende solo dalla corretta lettura dei segni di espressione (forte, piano, diminuendo, sforzando, ecc) ma da ciò che il musicista saprà riversare in termini emozionali, di conoscenza storica e culturale, nel corso dell’esecuzione di un determinato brano. Si può affrontare una pagina di Igor Stravinskij in modo meccanico, basandosi sul complesso delle informazioni in essa contenute. Ma l’esecuzione della stessa pagina risulterà molto più efficace se, per esempio, l’interprete conoscerà l’arte figurativa del periodo, la vita dell’autore, il contesto storico nel quale egli venne a operare, ecc. Inclusa la regolare quantità di whisky che pare si scolasse quotidianamente…

» di Fabio Martini

giorno di pratica per circa cinque-sei anni. Si tratta di un percorso assolutamente identico al processo attraverso il quale si impara a suonare uno strumento”. Lauren Sosniak, dell’università di Chicago, ha dimostrato, prendendo in esame ventiquattro pianisti statunitensi di alto livello, che inizialmente nessuno di loro presentava segni specifici di un qualche talento musicale. La loro abilità tecnica ed espressiva (un elemento nuovo nel nostro discorso) si è formata pertanto nel tempo, con lo studio sistematico e la tenace applicazione allo strumento.

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Il musicista dei due mondi Il centenario della nascita di Gian Carlo Menotti, compositore e figura di spicco a livello internazionale, offre lo spunto per una riflessione sulla sua opera e, più in generale, sui percorsi che la musica colta ha tracciato nel corso del Novecento

Con queste parole Gian Carlo Menotti (1911–2007), in un’in-

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tervista a Bruce Daffie del 1981, esprimeva la delusione di non essere riuscito a lasciare un’impronta profonda con il suo lavoro creativo: “Ho la sensazione che il compositore – non dovrei nemmeno dire il compositore, ma l’artista in generale, specie in America – sia sempre stato ai margini della società. Si pensa che il nostro ruolo sia quello di intrattenere la gente, piuttosto che quello di far parte della loro vita quotidiana”. Una dichiarazione del genere però sembra abbastanza sorprendente sulla bocca di uno dei pochi musicisti del nostro tempo giunto realmente alla fama internazionale. Menotti era un uomo abituato a frequentare la buona società tra le due sponde dell’Atlantico, con la disinvoltura di chi è cresciuto in mezzo a personaggi celebri e ai più facoltosi magnati dell’industria. Quella frase rifletteva piuttosto la preoccupazione di sapere quale posto egli avrebbe occupato nella storia della musica. Giunto alla soglia dei settant’anni, il maestro non manifestava un grande entusiasmo per il giudizio critico dei contemporanei sul suo lavoro. Si sentiva attaccato sul piano artistico per non aver adottato il linguaggio radicale dei compositori più giovani e non sopportava di essere etichettato, ingiustamente, come il campione dei conservatori. In maniera provocatoria, in quegli anni affermava di aver comprato il maniero del marchese di Tweeddale, perché in Scozia si viveva “come mezzo secolo fa”. Il centenario del compositore, scomparso a Monte Carlo nel 2007, rappresenta dunque una buona occasione per fare il punto della situazione e valutare cosa rimane della figura di un artista così versatile. Gli esordi Menotti viene al mondo il 7 luglio del 1911 in un piccolo paese del Varesotto, Cadegliano-Viconago, vicino al confine con la Svizzera. L’Italia di allora era già implicata in tutte le cabale politiche e militari che stavano trascinando l’Europa verso la catastrofe della Prima guerra mondiale. Il caos del conflitto riverberò negativamente sugli affari della famiglia Menotti, che viveva del commercio di caffè. Il nuovo assetto delle grandi rotte economiche aveva impoverito il valore delle loro piantagioni e la morte del marito costrinse la madre Ines a fare un disperato tentativo di salvare la proprietà portando con sé il figlio in Colombia. Gian Carlo nel frattempo aveva dimostrato un interesse spiccato per la musica e il teatro, scrivendo a soli undici anni libretto e partitura della sua prima opera, La morte di Pierrot. La rovina della famiglia tuttavia si rivelò la sua fortuna, perché costrinse il ragazzo a studiare musica lontano dal clima provinciale e asfittico dell’Italia fascista. Menotti infatti venne accettato come allievo nel 1928 in una delle migliori istituzioni americane, il Curtis Institute di Philadelphia. L’unica moneta necessaria per

accedere al Curtis, una scuola con un numero molto limitato di posti, era (ed è) il talento, il resto non contava. Se un ragazzo era ritenuto meritevole di essere ammesso e non aveva il danaro per pagare la retta, una borsa di studio provvedeva a tutte le necessità del suo mantenimento. Menotti trovò come compagni personaggi destinati a lasciare un segno indelebile nella musica del Novecento, parliamo di Leonard Bernstein e soprattutto di Samuel Barber, un giovanotto introverso e sensibile con il quale intreccerà una lunga relazione sentimentale e artistica. La loro grande casa di Mount Kisco, vicino a New York, conosciuta con il nome di Capricorn, divenne per oltre quarant’anni un punto di riferimento per diverse generazioni di artisti e scrittori, in un clima di tolleranza e accoglienza delle tendenze più vitali della cultura cosmopolita degli anni del dopoguerra. Un artista totale Fu niente meno che Arturo Toscanini, l’indiscusso protagonista della vita musicale americana degli anni Trenta e Quaranta, a spalancare le porte della carriera di Menotti. Il grande direttore d’orchestra vedeva forse nel giovane musicista il possibile erede della tradizione operistica italiana che, dopo la morte di Puccini, sembrava incapace di trovare nuova linfa vitale. Menotti del resto aveva dimostrato già durante il periodo di studi al Curtis Institute di possedere una visione fresca e originale del linguaggio operistico, scrivendo un lavoro in lingua italiana che mantiene ancora oggi una grande forza espressiva, Amelia al ballo. Anche il libretto era di suo pugno, come avverrà per tutto il resto della sua produzione, anche se dopo quest’opera Menotti decise di scrivere i suoi testi in lingua inglese. Grazie all’alleanza strategica tra Toscanini e l’emittente radiofonica di New York Nbc, che aveva formato apposta per il direttore la migliore orchestra sinfonica degli Stati Uniti, Menotti mise piede nel sistema di comunicazione più avanzato del mondo, scrivendo una delle prime opere concepite espressamente per il mezzo radiofonico, The Old Maid and the Thief (1939), e in seguito la prima opera in assoluto scritta per la televisione, Amahl and the Night Visitors (1951), una commovente versione moderna della storia dei Magi che rimane ancor oggi forse il suo lavoro più popolare. Mentre sul piano artistico si integrava sempre più nel mondo anglosassone, nella sfera personale Menotti rimase molto attaccato alle sue origini italiane, rifiutandosi per tutta la vita di prendere la cittadinanza americana. A volte questa irremovibile decisione provocò delle situazioni imbarazzanti, come per esempio nel 1950, quando gli venne conferito il Premio Pulitzer per la sua opera The Consul. A termini di regolamento, infatti, il Pulitzer poteva essere assegnato solo a cittadini americani. La soluzione venne infine trovata con un escamotage, facendo


Il settimanale “Time” dedicò una copertina, realizzata da Boris Chaliapin, al musicista italiano, uno dei compositori più rappresentati nella seconda metà del Novecento (immagine tratta da www.operachic. typehead.com)

Spoleto e i due mondi Per fortuna il molteplice dualismo del suo carattere non si è mai tradotto in un lacerante conflitto tra diverse identità o in meccanismi nevrotici di autocommiserazione, bensì ha conferito alla personalità di Menotti una maggior ricchezza di linguaggio e uno sguardo più aperto. La tradizionale contraddizione tra musica e parola, con la quale si sono scontrati sempre tutti gli autori

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di melodrammi, è stata risolta da Menotti grazie all’invenzione di uno stile moderno di “recitar cantando”, che plasma la linea vocale sulla fisionomia della lingua. L’intera scrittura musicale germina dal seme iniziale della parola, che rimane la fonte autentica del mondo sonoro di Menotti. Ma l’origine italiana del melodramma, ovvero la melodia, ammorbidisce in maniera notevole la scansione rigida di vocali e consonanti, come se l’autore scolpisse la parola nel dolce legno anziché nella dura pietra di marmo. Con la medesima disarmante semplicità il musicista “dei due mondi” ha rispecchiato la propria natura in un festival che porta proprio questo titolo e che ha rappresentato fin dal 1958, anno della sua fondazione, uno dei più stimolanti luoghi d’incontro tra i linguaggi artistici del nostro tempo. Da oltre cinquant’anni Spoleto, un tempo sperduta e quasi spopolata cittadina dell’Appennino umbro, figura tra le capitali della cultura internazionale e attira turisti da tutto il mondo. L’idea era semplice e geniale, ma poteva germinare soltanto nella mente di un artista realmente radicato in due contesti culturali tanto differenti. Sotto questo aspetto Menotti è stato senza dubbio l’erede di Toscanini, il musicista italiano che ha ricevuto un elogio funebre addirittura dal presidente americano Eisenhower: “Toscanini ha saputo non soltanto parlare il linguaggio universale della musica, ma ha anche parlato il linguaggio degli uomini liberi”. Per celebrare il centenario della nascita del musicista italiano, si potrebbero parafrasare le parole di Eisenhower. Gian Carlo Menotti ha voluto parlare il linguaggio universale della musica, in un mondo che, a quanto pare, non sa più che farsene del linguaggio degli uomini liberi.

» di Oreste Bossini

diventare l’autore cittadino a stelle e strisce per un solo giorno, quello della consegna del premio. Non era però il solo dualismo della personalità di Menotti. Il drammaturgo, per esempio, conviveva in lui con il musicista, grazie a una raffinata conoscenza della letteratura e a un profondo amore per il teatro. A differenza di Wagner, che a volte sacrificava il buon senso musicale sull’altare delle sue discutibili imprese linguistiche, Menotti ha scritto sempre drammi chiari, essenziali, d’immediata comprensione. Questo non significa però un teatro per anime semplici. I suoi testi migliori, come The Medium (1946), The Telephon, or L’Amour à trois (1947), The Saint of Bleecker Street (1954) mettono in luce una zona grigia del cuore umano, nella quale ciascuno di noi rischia di smarrire facilmente il confine tra il bene e il male. Menotti però ha scritto il suo libretto più riuscito forse per un’opera del suo compagno, Samuel Barber. Vanessa, rappresentata al Metropolitan di New York nel 1958, racconta una storia d’amore soffocante all’interno di un mondo bloccato da un incantesimo malvagio, che sembra scaturire dalle ossessioni soprannaturali di Henry James.

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La sfida dell’impossibile Dante e Cervantes l’avevano criticata, giudicandola inutile e perfino dannosa. Eppure la traduzione rimane uno dei mezzi fondamentali per la trasmissione dei saperi, delle conoscenze e dell’immaginazione. Ecco perché il tradurre rappresenta una sfida che deve essere accettata e affrontata

Ci sono molti modi per scoraggiare un traduttore o aspirante

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tale, e in certi casi si può perfino ricorrere alle parole di alcuni giganti della letteratura universale. Basti pensare a Dante, che in un celeberrimo passo del Convivio scrisse: “E però sappia ciascuno che nulla cosa per legame musaico armonizzata si può de la sua loquela in altra transmutare, senza rompere tutta sua dolcezza e armonia”. La qual cosa, tradotta (ci scusi il Sommo Poeta) in parole povere, ha pressappoco questo significato: tradurre è impossibile, meglio lasciar perdere. Ma c’è un passo del Don Chisciotte di Miguel de Cervantes che è ancor meno incoraggiante. È lo splendido passo, che fu anche oggetto di una simpatica e divertita rilettura di Thomas Mann, nel quale il Cavaliere della Mancia se la prende con un povero traduttore reo di aver tradotto un’opera dall’italiano in castigliano: “Scommetterei qualunque cosa – dice l’umorale cavaliere rivolgendosi al traduttore – che dove in italiano c’è un «piace», lei in castigliano ci mette «place», dove dice «più» lei scrive «más», e il «su» lo traduce con «arriba», il «giù» con «abajo»”. Il povero traduttore, messo alle strette, non può che rispondere in maniera affermativa, come uno che ha commesso chissà quale crimine, e in questo modo offre a Don Chisciotte lo spunto per criticare l’intera arte della traduzione: “Mi pare che il tradurre da una lingua in un’altra sia come quando si guardano gli arazzi fiamminghi da rovescio. Le figure si vedono sempre bene, ma attraverso tanti fili che le confondono, e non appaiono così nitide e a vivi colori come da diritto”. La qual cosa, tradotta (ci scusi il Cavaliere della Mancia) in parole povere, anzi poverissime, ha pressappoco questo significato: tradurre è impossibile e talvolta perfino dannoso, meglio lasciar perdere. I mondi fra le righe Ci si potrebbe permettere di rispondere a queste pungenti e velenose osservazioni richiamandosi proprio a Thomas Mann, il quale sosteneva che la traduzione tedesca del Don Chisciotte, curata da Ludwig Tieck, era talmente perfetta da non lasciar più distinguere il diritto dal rovescio. Ma in realtà non sempre è così, perché tradurre non significa semplicemente prendere un testo e trasferirlo in un’altra lingua, adattandolo alle strut-

ture sintattiche, grammaticali e lessicali dell’idioma nel quale lo si traduce. Quando si traduce un’opera letteraria si ha a che fare con un intero mondo che si cela dietro il testo e perfino tra le sue righe: un mondo fatto di secoli di storia, usanze, costumi e consuetudini che sono penetrati nella lingua rendendola quella particolare lingua in mezzo a tutte le altre. Prendere questo mondo e trasportarlo in un’altra lingua, restituendolo al cento per cento, è un’impresa a dir poco improba. Ma ovviamente, così come un teologo deve presupporre l’esistenza di Dio e un medico non è pensabile senza malattia, anche il traduttore nel suo piccolo deve partire dall’assunto che l’impossibile può e deve diventare possibile, e che l’eterna perfettibilità del tradurre è non già una iattura, quanto piuttosto una chance. La qual cosa può anche essere espressa in questo modo: tradurre è impossibile, ma non bisogna lasciar perdere e bisogna fare il tentativo di trasformare l’impossibile in possibile. In the mood La traduzione, in questo senso diventa un esercizio di umiltà e insieme di riscrittura. Lo ha espresso molto bene uno dei massimi scrittori italiani viventi, Gianni Celati, che è anche uno straordinario traduttore (per farsene un’idea vale la pena di leggere la sua traduzioneriscrittura della Certosa di Parma di Stendhal): “Tra il tradurre e il riraccontare c’è qualcosa di simile, ed è l’emozione di mettersi in un flusso di immagini che ti guidano momento per momento. La fedeltà in questi casi sta nel fatto di mantenere l’energia, i colori, le tonalità di un certo flusso”. Cervantes, insomma, aveva perfettamente ragione: da una parte sta il diritto e dall’altra sta il rovescio, ma questo non è un limite, è piuttosto uno stimolo. Tradurre significa esserne sempre consapevoli, presentare un rovescio che assomigli il più possibile al diritto e magari invogliare a osservare il diritto senza avere più bisogno del rovescio, imparando la lingua in questione. In fondo, come diceva il grande romantico tedesco Johann Gottfried Herder, “quante più lingue si conoscono, tanti più cuori si posseggono”. È la sfida dell’impossibile: la sfida del tradurre che è anche invenzione, o se si vuole reinvenzione, della verità.

» di Mattia Mantovani; illustrazione di Mimmo Mendicino

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Musica senza emozione Cos’hanno in comune un aeroporto, un ascensore, un centro commerciale e un ambulatorio dentistico? Ma la musica di sottofondo, naturalmente. Anzi, la non-musica, la cosiddetta “muzak”, quella sorta di tappezzeria sonora a cui, il più delle volte, neanche facciamo caso

Mundus

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» di Duccio Canestrini

Con il termine musak ci si riferisce a quelle armonie precotte, Ma è a malapena riconoscibile. La canzone ovviamente non a quelle melodie poco audaci che in certi luoghi fanno da è cantata da Bob Dylan ma da un bravo mercenario che ha arredo, come mobili impersonali. Gli inglesi la chiamano fatto lo sporco lavoro: priva di picchi emotivi, suona leccata elevator music, musica da ascensore. Si tratta per lo più di arran- e pettinata, riarrangiata per una sala o, appunto, per una giamenti strumentali soft, molto soft, ma così soft che spesso linea di “attesa”. fanno venire i nervi. La cosa strana è che a furia di lavorare Praticamente è stata inserita non in segreteria, ma in lavaper sottrazione, nella composizione musicale di queste colon- trice, ed estratta sfibrata e scolorita. Beh, bisogna sapere che nine sonore si è giunti al punto di eliminare un elemento che quel pezzo narra di una bella ragazza di buona famiglia che in tutta la storia della musica si dava per scontato: l’ascolto. si rovina la vita, diventa una vagabonda ed è costretta a fare Perché non venitemi brutte cose per tirare a dire che la muzak si a campare. Una storia ascolta. No, diciamo dura e struggente. Per piuttosto che è qualniente tranquillizzancosa che disturba il site. Per niente muzak. lenzio. Tutt’al più è un Pazienza. Così come intrattenimento, così si calcola che la magcome lo erano certi gior parte delle specie concertini commissioun tempo viventi sul nati ai musicisti dai pianeta Terra sia estinregnanti francesi, in ta, probabilmente anepoca barocca, per alche la maggior parte lietare i lunghi pranzi delle musiche dovrà a corte. Non per nulla soccombere. Penso ai quel genere si definiva canti degli Ainu giapmusica gastronomica. ponesi e a quelli dei Bella, bellissima, fin pigmei equatoriali. stucchevole. Penso a certa inarriÈ pur vero che nel vabile ritmica africana 1978 il geniale comin quindici diciassetAeroporto del futuro (da www.wallpapers.free-review.net) positore inglese Brian tesimi (quando noi se Eno pubblicò l’album va bene danziamo il Music for Airports contrassegnato da una tale rarefazione, da valzer in tre quarti). Forse la riduzione della diversità è un una sorta di estremo rallentamento che sbalordì anche i suoi destino. Si perdono le lingue, si dimenticano i dialetti. A ben fan (ma Eno è sempre stato un creativo provocatore). Ed è vedere anche la nostra musica occidentale è un blob coloniale pur vero che già novant’anni prima, nel 1888, il compositore che ha fagocitato le meravigliose varietà di scale di tempi e luofrancese Erik Satie, con le sue Gymnopedie per pianoforte e ghi lontani. Le dodici note della scala cromatica non stanno con le sue Vexations (un brano che dura molte ore basato su iscritte nelle sfere celesti, ma sono una convenzione, vincente, una frase musicale ripetuta dal pianoforte per ben 840 volte) ormai adottata in quasi tutto il mondo. Con buona pace delle creò la prima musica ambient. Ma oggi, dopo la New Age e il culture musicali che riconoscono e impiegano per esempio dilagare del genere chillout, gli schemi dolciastri della muzak l’enarmonia, cioè i quarti di tono, come accade in India. forse andrebbero rivisti. Non riascoltati. Ma l’effetto calmante, quello che un tempo si otteneva distribuendo bromuro di straforo nelle caserme, e oggi sedativi Pietre che rotolano negli ospedali, no che non si può sentire. Perché l’orecchiabile Ok, lo ammetto, ho subito un trauma. L’altro giorno, al disimpegno della muzak in realtà ci toglie qualcosa. Esprestelefono con lo studio di un avvocato, la segretaria mi ha sione, emozione, esplorazione. Ci sottrae il canto e il controlasciato un attimo in attesa. Inizia “Like a rolling stone”, forse canto, magnificamente irrisolto, del conflitto tra armonia e il miglior brano mai scritto da Bob Dylan, all’epoca d’oro. disarmonia nelle nostre vite.


» testimonianza raccolta da Gaia Grimani; fotografia di Igor Ponti

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vinto il Nobel per la letteratura, uno scienziato, un editore e una docente di scuola dell’infanzia “fanno” cultura e la trasmettono. In modo diverso, certo, ma chi può asserire il contrario? Ogni libro che ho pubblicato mi ha dato enormi soddisfazioni e ha la propria peculiarità, così da rendermi impossibile preferirne uno. Ogni esperienza mi ha arricchito in maniera diversa: a volte ho imparato cose nuove, altre volte ho conosciuto persone molto interessanti e in alcuni casi anche persone meno interessanti, il che fa parte dei rischi di ogni mestiere. Spesso in Ticino l’editoria è Nato come libraio, oggi è editore, attività costretta a chiedere sostegno che svolge con passione e sacrifici. A suo attraverso le sovvenzioni da parere l’editoria ticinese deve guardare parte di Istituzioni culturali, pubbliche o private. Da preoltre i confini nazionali, puntando soprat- sidente della Sesi posso anche tutto sulla promozione capire che in alcuni casi i finanziamenti – che aiutano solo in Ticino e nel Grigioni ma, mi preme sottolinearlo, non risolvono italiano, ma anche in Italia tutti i problemi – sono necessari. Per alcune e, per alcuni titoli, in tutto pubblicazioni io stesso li chiedo e mi servono il mondo. Credo, infatti, che per lo più per mantenere un prezzo di cooggi non ci si debba fermare pertina basso e per fare promozione così da ai confini nazionali. La vicina aiutare a far conoscere e vendere il libro. Ma penisola è un grande mercato se io fossi uno di coloro che decide la finalità e, anche se è una piazza molto per cui vengono erogati, suggerirei che lo difficile, sarebbe impensabile fossero (a determinate e severe condizioni) non approfittare di un bacino anche per la promozione, perché costa moldi quelle dimensioni. La sfida tissimo e senza pubblicità le librerie faticano con la grande editoria italiana ad accogliere un libro di un piccolo editore: non può però essere portata il pubblico non lo conosce e di conseguenza a livello di concorrenza diè più diffidente ad acquistarlo. La produzioretta: per il piccolo editore ne editoriale giornaliera in lingua italiana è la battaglia sarebbe persa in impressionante (circa 160 libri al giorno) e partenza. È un po’ come padi conseguenza la promozione diventa una ragonare il piccolo produttore parte fondamentale di questo lavoro. di marmellate con la multinaUn piccolo editore come me pubblica dai cinzionale dell’alimentazione. La que ai dieci titoli l’anno con tirature decise cosa importante è crearsi una in base al tipo e alle potenzialità dell’opera. nicchia di mercato, lavorare In casa editrice faccio quasi tutto da solo: la sodo e insistere, in modo da mia giornata inizia presto, controllando la farsi conoscere e conquistarsi corrispondenza, sia cartacea sia elettronica. una clientela. Lavoro duro, Poi lavoro sui progetti passati, presenti e ma eccitante: le sfide sono un futuri. Essendo solo devo coordinare, prenpo’ il sale della vita. dere contatti, delegare esternamente alcuni Si dice che gli editori produaspetti della produzione, gestire, negoziare cano cultura, dipende cosa contratti, leggere manoscritti, ecc. È un gross’intende. Dal momento in so investimento di tempo che limita anche i cui si fa un’attività che in un miei hobby e le mie passioni, come i viaggi qualche modo nutre la mene, sembrerà paradossale, la lettura. te di un’altra persona, allora, Il mio futuro? Onestamente non ne ho la certo, si fa cultura. E questo in minima idea. Cosa sogno? Arrivare a un qualsiasi campo dello scibile certo punto, voltarmi indietro e poter dire: umano. Uno scrittore che ha Sono contento.

Gabriele Capelli

Vitae

ono nato nel 1969, a Sorengo, e ho vissuto gli anni della giovinezza a Caslano, nel basso Malcantone. Ricordo di aver avuto un’infanzia piuttosto tranquilla e spensierata e mi ritengo fortunato perché sono cresciuto circondato da prati, boschi e lago. La mia è una famiglia molto unita e numerosa, se si contano, oltre a mia madre, mio padre e mio fratello, una decina di cugini di primo e secondo grado, con i quali ho intensi e ottimi rapporti. Dopo gli studi sono diventato architetto d’interni, esercitando brevemente la professione a Zurigo. Nel 1996 ho aperto una libreria specializzata in arte e architettura e, da allora, mi sono immerso letteralmente nei libri. Il passo verso l’editoria da quel momento è stato abbastanza rapido. Oggi sono editore e presidente della Società degli Editori della Svizzera Italiana. Mentirei a me stesso se non ammettessi che la scelta della mia professione ha comportato nel tempo moltissimi sacrifici, ma ne è valsa la pena, perché sono contento di quello che faccio, nonostante gli sforzi e le rinunce. Mi piace vedere i miei progetti editoriali prendere forma, il libro che nasce pagina dopo pagina, tra mille difficoltà, tra entusiasmi e delusioni. Portare a termine una pubblicazione non è sempre facile e, a lavoro compiuto, ci si sente come svuotati. C’è un attimo di smarrimento. Sembra tutto finito, ma in realtà si è solo a metà dell’opera perché, dopo la produzione, inizia una fase nuova: il lavoro ingente e delicato di promozione, diffusione e vendita. Essere editore per me significa però anche ricavare grandi soddisfazioni. Quando i libri di grafica, per esempio, nei primi anni duemila, sono stati recensiti da importantissime riviste di settore o sono finiti nella collezione del Design Museum di Londra, ho sentito il mio lavoro ricompensato. I miei libri sono distribuiti non

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Dimitri Clown e “homme orchestre”

Talento eclettico, il clown Dimitri propone nei suoi spettacoli un’irresistibile fusione di linguaggi artistici. Tra questi la musica, con la sua capacità di creare atmosfere di volta in volta comiche o poetiche, ricopre una posizione di primo piano. D’altronde Dimitri ha avuto occasione di lavorare per eventi musicali come il Festival di Lucerna, così come esibirsi con Roberto Maggini ed altri amici nel repertorio popolare ticinese fino alla collaborazione con quella che è considerata la più prestigiosa orchestra sinfonica al mondo, i Berliner! testo di Demis Quadri; fotografie di Reza Khatir


sopra e accanto: due momenti di concentrazione alla chitarra e al bandoneon in apertura: una speciale tromba costruita appositamente per Dimitri


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nche al di là dell’uso di colonne sonore, la storia dei rapporti tra teatro e musica riguarda una tradizione molto ampia sia in senso cronologico sia geografico. Nel teatro antico, per esempio, il canto aveva un ruolo molto importante, pur non essendo per noi chiaro se greci e romani distinguessero cantato e parlato secondo i nostri attuali criteri. Il melodramma è nato in seguito ai tentativi della fiorentina Camerata dei Bardi di far rivivere alla fine del XVI secolo la tragedia greca. In tempi più recenti Richard Wagner, parlando di WortTon-Drama, intendeva una rappresentazione dell’opera in musica che potesse incorporare tutte le forme dell’arte. Prendendo spunto da tale idea, lo scenografo Adolphe Appia ha proposto un teatro musicale fondato su partiture strutturate su tre linee, la terza delle quali doveva conservare le indicazioni sui movimenti degli attori. Se in Europa si è spesso assistito a nette separazioni tra generi, nei teatri orientali tradizionali si può dire che la fusione tra varie forme di spettacolo – parlate, musicali e danzate – costituisca la regola. Anche nel mondo

dei clown la musica ricopre molto spesso una posizione centrale: un caso celeberrimo è dato dal lavoro di Grock, che con i suoi spettacoli ha dimostrato di essere un espertissimo strumentista. Ma anche senza uscire dalla Svizzera italiana si può trovare un clown per la cui attività la musica è fondamentale: Dimitri. “Ho cominciato a suonare come tanti bambini con il flauto dolce”, racconta Dimitri. “Ad Ascona, dove sono nato, avevo una bravissima maestra, una delle sorelle Braun, che facevano anche danza espressiva. Quando si era già un po’ avanzati, veniva organizzato un piccolo concerto. Ricordo che una volta, mentre stavo suonando, ha cominciato a venirmi in faccia una mosca, ma io ho continuato a suonare. Alla fine la signora Braun si è complimentata con me: «Sei proprio un professionista, non ti lasci per niente disturbare». Poi chiaramente ho imparato a cantare le canzoni ticinesi, e anche a scuola si cantava parecchio. Era una scuola dove certi maestri usavano ancora il vecchio metodo delle sberle, ma il canto mi piaceva molto. Attorno agli otto anni ho preso lezioni di violino, però come tanti ragazzi non avevo una gran voglia di provare, stu-


diare, fare esercizi, solfeggio, ecc. Quando ho detto al mio maestro, un musicista italiano molto simpatico, che smettevo, lui si è molto dispiaciuto e mi ha detto: «Che peccato! Tra qualche mese avremmo potuto andare insieme a suonare nei caffè». Mi sono quasi lasciato sedurre, ma poi la pigrizia è stata più forte... In seguito, da adulto mi è rincresciuto, perché mi sarebbe servito molto saper suonare il violino, che è uno degli strumenti più difficili. Più tardi però ho lavorato con un famoso clown bianco, che mi ha insegnato un numero dove suonavamo in due su un violino. Ho imparato rapidamente perché almeno sapevo come tenere il violino e l’archetto… Quando invece avevo circa 14 anni ho imparato a suonare la chitarra, che è forse il mio strumento preferito. Con la chitarra mi sono esercitato molto e a Parigi ho continuato a perfezionarmi con dei suonatori di flamenco”. Musica e comicità Alla domanda su come le capacità di musicista siano entrate nella sua attività teatrale, Dimitri spiega: “Per me un clown è sempre musicale, anche se so che ci sono bravissimi clown che non suonano per niente e sono piuttosto acrobati, funamboli, mimi o artisti della parola. Ma per me il modello è il clown musicista. Il mio sogno è sempre stato di suonare diversi strumenti, anche perché questo ti dà la possibilità di creare situazioni comiche e poetiche. E poi la musica, come la pantomima, la danza e tutte le arti non verbali, è internazionale. Puoi suonare i tuoi strumenti nel mondo intero, e toccherai sempre direttamente il cuore del pubblico. Al di là del fatto di essere un musicista o un clown, penso che la musica ti dia una bellissima forza per la vita”. Pur non ritenendo di seguire per il suo lavoro una tradizione particolare, come clown musicista Dimitri ha comunque delle preferenze: “Mi sono sempre piaciute le cose eccentriche. Per esempio, mi sono messo a suonare due sassofoni allo stesso tempo. Poi mi sono detto: «Perché non tre?» E negli ultimi 10-20 anni ne ho suonati anche quattro simultaneamente. In quanto clown e acrobata, anche nella musica mi è sempre piaciuto il virtuosismo, che però naturalmente non deve essere solo esibizione, ma deve essere messo a disposizione della musica stessa e dell’interpretazione. A livello di melodie mi piacciono quelle folkloristiche, perché sono semplici, orecchiabili e ti entrano dentro. D’altra parte anche grandi compositori come Dvořák o Bartók hanno preso tanto dal folklore. Per i miei spettacoli a volte invento io una melodia semplice. Questo mi viene facile. Tra l’altro a Parigi ho imparato un po’ a fare le chansons, anche se non mi considero per niente un compositore”.


Come un menestrello in un angolo incantanto delle Centovalli


Reza Khatir Nato a Teheran nel 1951, è fotografo dal 1978. Ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali. Ha vissuto a Parigi e Londra; oggi risiede a Locarno ed è, fra le altre cose, docente presso la Supsi. Per informazioni: www.khatir.com


sopra: il flauto dolce, uno dei tanti strumenti prediletti dal maestro a sinistra: Dimitri nel suo atelier dove quotidianamente lavora e prova i suoi spettacoli

Dimitri e i Berliner Per accompagnare le proprie performance, Dimitri – che ama interpretare l’homme orchestre – può contare sulla capacità di suonare numerosi strumenti, tra i quali il clarinetto, il sassofono, la tromba, il corno delle Alpi, la concertina e l’organetto diatonico, oltre ad altri di sua invenzione come una specie di tubo ottenuto con una camera d’aria da bicicletta: “Ha un suono un po’ brutto, come di violino accordato male, ma fa ridere”. Ma il trionfo musicale di Dimitri è avvenuto con l’ocarina: “Due anni fa il famoso direttore d’orchestra Simon Rattle mi ha invitato a fare il clown per i 125 anni dei Berliner Philarmoniker. In quell’occasione ho fatto l’homme orchestre, fingendo di prendere gli strumenti dei musicisti dell’orchestra. Ogni tanto, poi, quando Rattle cominciava a dirigere un brano, arrivavo suonando l’ocarina. Allora lui mi fermava dicendomi che non potevo farlo in quel momento, perché voleva magari eseguire un pezzo di Stravinskij. Verso la fine però mi ha lasciato suonare una tarantella con l’ocarina, accompagnato da tutta l’orchestra di cento elementi. Questo è stato, senza dubbio, il momento culminante nella mia carriera di musicista...”. E chi potrebbe metterlo in dubbio…


Turnhalle. Luoghi kafkiani testo di Keri Gonzato; fotografie di Beat Wuischpard ©

partire dalla primavera una variopinta baraonda arty cool si gode il cortile all’aperto con in mano bevande fresche fornite di ghiaccio tintinnante. I numerosi tavolini in metallo, le informali panchine in legno e le piante, che creano un bel gioco di penombra, sono piuttosto invitanti nei mesi caldi. E da quest’estate lo spiazzo ospita anche un angolo mangereccio dai sapori mediorientali. Infatti tra tavolini e piante è sorto un piccolo tempio del gusto esotico che promette ai suoi devoti ricche offerte dai nomi invitanti, falafel, hummus, samak, hallumi…

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Ci sono uomini che si trasformano in scarafaggi giganti, città

che mutano in deserti e poi ci sono le palestre addormentate che al risveglio si trovano trasformate in locali pubblici. Beh, forse la storia degli uomini che diventano scarafaggi non è poi così comune (Franz Kafka a parte), ma posso assicurarvi che la terza variante è una realtà concreta e tangibile in quel di Berna! Perché, in fondo, “la vita è sempre creazione, imprevedibilità e, nello stesso tempo, conservazione integrale e automatica dell’intero passato”, come ha scritto il filosofo Henri Bergson (1859–1941), parole che rappresentano un’ottima premessa al luogo che vogliamo presentarvi. Nella capitale elvetica la metamorfosi è toccata a un vecchio edificio che in passato ospitava lavagne, gessetti, insegnanti e studenti un po’ annoiati. Una scuola dunque, completa di aule e palestra, che in tempi recenti è stata convertita in luogo poliedrico dedicato a musica, performance ed esposizioni d’arte. Si chiama Turnhalle, che lascia dubbi sulla sua natura solo a chi è a completo digiuno di tedesco, poiché il termine significa letteralmente “palestra”, e sul suolo gommoso del pian terreno si muovono i ballerini del sabato sera, nei canestri (al posto delle palle) si gettano le note di dj e gruppi musicali e al posto delle bibite isotoniche si bevono birre e altre varianti refrigeranti notturne. Per creare più spazio è stato costruito un secondo piano a soppalco, una sorta di grande terrazzo in legno da cui, tra una chiacchiera e l’altra, si può sbirciare il dancefloor. Alle pareti del secondo piano invece, dove le orecchie attente potrebbero ancora sentire l’eco degli schiamazzi degli studenti ribelli, invece delle pagelle stanno appesi i quadri dell’artista del momento. La folla che invade corridoi, aule e palestra è sempre piuttosto giovane, soprattutto nello spirito, ma non si limita agli scolaretti in uscita libera. Turnhalle, orario aperitivo: a

La parte della musica Un occhio di riguardo lo meritano i concerti e i vari eventi ospitati dallo spazio: la programmazione è curata e densa di eventi che vanno dal lancio di stilisti emergenti agli spettacoli Burlesque, dai dj-set stravaganti ai concerti acustici. Spesso negli ampi spazi del Café-Bar Turnhalle risuonano le note del jazz che, tra un assolo e una jam session, fanno vibrare gli anelli da atletica, una strana decorazione, ancora ciondolanti ai muri. Sulla parete di fianco al bancone del bar spicca ridanciano il cartello Fussballspiel Verboten, ovvero “Vietato giocare a calcio” a ricordare il rinnovato status della palestra. Girovagando per Berna quindi, non lontano dalla stazione ferroviaria, se vedrete il cartello Turnhalle CaféBar con il disegno di un omino che fa stretching appoggiato alla “r”, saprete per certo di essere in un luogo speciale: al numero 4 di Speichergassen. Trasformare invece di cancellare Trasformare, cioè mutare qualcuno o qualcosa nel suo aspetto esteriore e nella sua funzione, non è un fatto così scontato, soprattutto dalle nostre parti. La storia del Turnhalle, un edificio che si è trasformato adattandosi a tempi nuovi e a necessità diverse, pur mantenendo la sua natura strutturale è invece un piccolo esempio di come una città possa avanzare e “progredire” senza dover cancellare e radere al suolo il proprio passato. A volte basta cambiare posizione, guardare da una prospettiva diversa per imparare a vivere spazi antichi, carichi di storia, in modo nuovo e stimolante. Una conclusione che vuole essere una proposta perché anche dalle nostre parti si inizi a considerare in modo più creativo l’integrazione delle ricchezze e degli edifici del passato con la voglia del nuovo. Perché è più bello diventare che dimenticare, trasformare invece di cancellare. (www.turnhalle-bern.ch) informazioni www.turnhalle-bern.ch www.facebook.com/pages/turnhalle www.facebook.com/pittariabern


Luoghi

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iPad X Tendenze p. 48 – 49 | di Carlo Galbiati

La prima versione dell’iPad, il tablet di Apple, è uscita alla fine di maggio 2010 e in nove mesi ne sono stati venduti 15 milioni di esemplari in tutto il mondo! Ora tocca all’ iPad 2 che offre all’utenza un ulteriore passo in avanti in termini di funzionalità e connettività

Si può affermare senza ombra di dubbio che è stato Steve Jobs,

il patron di Apple, a inventare il mercato dei tablet. Un mercato che pare in espansione, nonostante il predominio dell’azienda di Cupertino: alla fiera dell’elettronica di consumo di Las Vegas, tenutasi il gennaio scorso, sono stati presentati ben 80 nuovi modelli di tablet dalle varie aziende, alcuni già presenti sul mercato, altri in uscita nella seconda metà del 2011. Del resto, per tutti i principali quotidiani e riviste è disponibile l’applicazione per la lettura su iPad e in numero minore per i tablet Android: il “Corriere del Ticino”, per fare un esempio a noi prossimo, può essere attualmente letto dall’iPad e nei prossimi mesi è prevista l’applicazione anche per le piattaforme Android. Ma facciamo un passo indietro. Il tablet è un apparecchio portatile, con display tra i 7 e i 10 pollici di diagonale, basato su un sistema di controllo touchscreen in grado di svolgere molte delle funzionalità del PC più altre esclusive: è possibile navigare in internet, scattare foto, girare filmati, ascoltare musica, visualizzare i propri video e quelli su You Tube, fare videochiamate, giocare connettendosi al televisore, orientarsi in città grazie al Gps integrato e tanto altro ancora. A differenza di un computer il tablet si accende immediatamente rendendo subito disponibili le funzionalità.

Novità in arrivo Il 25 marzo scorso è arrivato sul mercato europeo l’iPad 2. Tra le principali innovazioni lo spessore ridotto del 33%, la presenza della doppia fotocamera e il connettore dock a 30 pin che permette anche il collegamento al televisore; il display misura sempre 9,7 pollici. L’iPad 2 dispone di soli quatttro tasti: accensione, blocco dispositivo, controllo volume e tasto per richiamare il menù principale. Volendo si può collegare una normale tastiera come la Apple iPad Dock ma l’iPad 2 con le relative applicazioni è progettato per funzionare esclusivamente con il tocco delle dita. A differenza dei tablet Android, l’iPad non supporta la riproduzione dei video in Flash presenti su diverse pagine web. Per far fronte a questa decisione dell’azienda, molti siti però stanno convertendo i loro filmati nello standard HTML5 riproducibile senza problemi dall’iPad. La versione con connettività Wi-Fi da usare a casa o nei luoghi pubblici dove è disponibile un Hot Spot Wi-Fi ha un costo che parte dai 549 franchi (modello con 16 GB di memoria). Per chi desidera essere connesso a Internet tramite la rete cellulare c’è il modello con connessione Wi-Fi + 3G dal costo dai 699 franchi in su (16 GB di memoria). Per le connessioni 3G gli operatori di telefonia Swisscom e Orange offrono piani tariffari specifici. La fotocamera posteriore permette di scattare foto e di riprendere video in alta definizione con una risoluzione di 720 linee progressive; la qualità delle foto lascia un po’ a desiderare, soprattutto se confrontate con quelle scattate dall’iPhone 4. La fotocamera frontale è utilizzata per le videochiamate con FaceTime: quest’applicazione preinstallata permette di videochiamare gli amici che dispongono di iPad 2, iPhone 4 e


computer Mac. Al tradizionale uso della fotocamera frontale che permette al nostro interlocutore di vederci durante la conversazione, si unisce quella posteriore che mostra ciò che stiamo vedendo in quel momento e basta un tocco perché il programma alterni la visuale tra le due fotocamere. L’unico limite è che per ora FaceTime non è in grado di sfruttare la connessione 3G ma solo quella Wi-Fi. Le applicazioni Numerose sono le applicazioni per l’iPad gratuite e a pagamento a partire da Skype, il noto software di telefonia via internet su PC (Windows) che nella versione 3.0 per iPad ha introdotto la possibilità di fare e ricevere videochiamate sulla rete 3G. Moltissimi i giochi, per esempio Angry Birds, che nelle sue differenti versioni ha raggiunto il traguardo di 200 milioni di download. La possibilità di visualizzare le immagini provenienti dall’iPad 2 su un televisore ad alta definizione, collegandolo alla presa Hdmi del televisore tramite un adattatore, permette di usare l’iPad come controller e di guardare su grande schermo la partita che si sta giocando. Chi possiede un computer Mac conosce molto bene il programma di montaggio video iMovie: partendo da un filmato grezzo con estrema facilità in pochi minuti si può arrivare a realizzare un film completo di titoli, colonna sonora e dissolvenze. La versione per iPad 2 è ottimizzata per i comandi touch del tablet e permette di montare le immagini riprese dalla fotocamera posteriore. A montaggio concluso il filmato può essere caricato direttamente su You Tube. Due importanti novità arriveranno in autunno per i possessori di dispositivi mobili iOS (iPad, iPhone e iTunes). Innanzitutto iCloud, uno spazio gratuito di 5 GB on-line nel quale saran-

no archiviabili documenti, impostazioni, contatti e molto altro ancora, in modo che queste informazioni vengano sincronizzate tra tutti i dispositivi. Se lo spazio sembra poco, dobbiamo tenere presente che musica, applicazioni e libri comprati tramite i servizi di Apple, ovvero iTunes, App Store e iBookStore, non rientrano nel computo. In pratica, tutto quello che acquistiamo tramite Apple viene automaticamente aggiunto al backup di iCloud e possiamo accedervi da un massimo di dieci dispositivi, a patto che ci colleghiamo con lo stesso Apple ID. Ancora più interessante il servizio iTunes Match. Il programma determina quali brani della mia collezione musicale sono presenti su iTunes Store e automaticamente li aggiunge alla mia libreria iCloud. La nuova versione del sistema operativo Apple iOS 5 per i dispositivi mobili arriverà invece in autunno, probabilmente in concomitanza con l’uscita del nuovo smartphone iPhone 5. Sarà possibile aggiornare alla nuova versione l’iPad e l’iPad 2 (su cui attualmente è installato iOS 4). Fra le tantissime novità del nuovo sistema operativo, oltre 200, c’è AirPlay Mirroring. Già presente in iOS4 permette di condividere nella propria rete domestica senza fili i contenuti multimediali che sono presenti sul proprio iPhone, iPad, iPod Touch e sul computer Mac. È sufficiente collegarsi in modalità Wi-Fi al Modem Router domestico per inviare, in maniera semplice e immediata, la musica presente sull’iPad ad amplificatori audio e sistemi stereo certificati AirPlay. Se invece voglio inviare i video ripresi con la fotocamera dell’iPad 2 al televisore in modalità wireless è necessario disporre dello “scatolotto” Apple TV. Il dispositivo è necessario perché attualmente nessun televisore è certificato AirPlay ■


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Melodie selvagge

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Astri

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» di Keri Gonzato

parabola delicata e feroce in cui si racconta di una za martellante del film. Un confronto con la morte che si vita che deve giungere alla fine per poter cominciare dav- trasformerà in rinascita. Melody, interpretata dalla graziovero, perché “a volte per cambiare la tua vita devi confron- sa Saffron Burrows, non ha più nulla da perdere e si abbantarti con la tua mortalità.” È questo il perdona nelle braccia dell’esistenza, accada corso di Melody Wilder, la protagonista di quel che accada. Il suo percorso sarà quelThe Guitar: un film tanto semplice e linelo di una persona che nella perdita ritrova are quanto profondo e incisivo. La pellitutto, una percorso in cui scoprirà il vero cola, uscita nel 2008, narra di una situasenso del suo esistere, un senso che stazione in cui i cambiamenti superficiali va scritto nel suo nome: Melody, melodia, e ordinari non sono più sufficienti: per Wilder, più selvaggia. Sul suo nuovo camsopravvivere è indispensabile rivoluziomino incontra alcune persone speciali, nare tutto, fare tabula rasa, ricominciare Isaach de Bankolé (Roscoe Wasz) e Paz de dall’inizio. Con The Guitar la regista esorla Huerta (Cookie Clemente) ma sopratdiente Amy Redford ha creato una melotutto, si lascia vivere in modo totale, assedia filmica dal sapore bohémien che tocca condando i suoi desideri più profondi e davvero le corde dell’anima e le fa vibraistintivi. Ripesca dal suo inconscio il desire. Il film, ambientato a Manhattan, parderio represso di suonare una chitarra, la della fame di vita e ricorda che spesrossa, come quella che tentò di rubare da so ce ne dimentichiamo accontentandoci piccola. Il suono della chitarra, collegata The Guita Guitar di Amy Redford per lo più di vivacchiare in modo davveagli amplificatori, si espande libero, semStati Uniti, 2008 ro un po’ malato. Vite malate perché pripre più libero. La musica, accompagna le ve di ritmo, come quella di Melody almeno fino a quando immagini in un crescendo intenso, e sostiene il percorso non scopre di essere afflitta da una grave forma di cancro, di trasformazione dalla morte alla vita, dalla malattia alla una rivelazione che nel giro di pochi giorni induce il suo guarigione. Il film è finito, ti ritrovi faccia a faccia con la compagno a lasciarla e, come se non bastasse, perde anche tua vita e la domanda che riecheggia dentro è: e tu come il lavoro. Da quel momento la morte resta l’unica presen- saresti se dovessi incominciare a vivere davvero?

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Il 4 agosto sarà esaltato dall’arrivo di Marte nell’amico segno del Cancro. Non accadeva dal 2008. Decisionismo e opportunità. Vita sociale e dinamismo per i nati nella prima decade. Possibili gelosie.

Grazie a Venere e Urano favorevoli, questa prima settimana di agosto si presenta ottima per fare qualcosa di diverso dal solito. Colpi di fulmine e intuizioni. Opportunità in tutti i campi per i creativi.

Grazie a Marte, Plutone e Urano, se avrete coraggio, potrete dare una svolta definitiva alla vostra vita. Approfittate della mediazione di Giove per coronare di successo i vostri desideri più intimi.

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Venere è con voi. Siete senza regole grazie alla quadratura con Giove. Agguerriti almeno fino al 3 agosto. Grazie all’aiuto di Marte potrete realizzare qualcosa di importante. Opportunità professionali.

Prima settimana di agosto ricca di opportunità. Grazie agli aspetti di Mercurio con Giove e Plutone presto riuscirete a concludere qualcosa d’importante. Particolari le giornate comprese tra il 2 e il 3 agosto.

Con Marte, Urano e Plutone angolari è difficile trovare un punto di equilibrio. Attenti a non sfogarvi soprattutto vittimizzando i familiari. Cercate di inserire nuovi elementi nelle vostre realtà quotidiane.

Agosto fatto di ozi e piaceri stimolati dai transiti di Giove e Marte in rapporto angolare con Venere e Plutone. State comunque attenti a non farvi travolgere dalle contraddizioni della vostra personalità.

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Occasioni dovute al transito di Urano. Colpi di fulmine e inaspettati incontri con personalità creative. Tenete la lingua a freno: con Mercurio in opposizione è facile compiere errori di comunicazione.

Inizio mese segnato da importanti congiunture astrali. Da una parte uno stellium di pianeti nei segni cardinali spinge a improvvisi cambiamenti, dall’altra, Giove benevolo, vi dà fiducia per farcela sul serio.

Frenetici e a volte bipolari in ordine agli effetti dei transiti di Giove e Urano. Venere in opposizione accresce il desiderio di sentirsi al centro dell’attenzione. Fuggevoli inquietudini intorno al 6 agosto.

Grazie a Marte, Mercurio, Giove e Plutone si apre un agosto ricco di fermenti e di attività. Incontri con persone speciali ed espansione della conoscenza favoriti dalla vicinanza con il mare. Seduzioni.

» a cura di Elisabetta

ariete Inquietudine dovuta al duplice aspetto di Urano con Marte e Plutone. Cercate di canalizzare il potere creativo verso qualcosa di costruttivo in linea con gli obiettivi del vostro cuore. Siate meno impulsivi.


» illustrazione di Adriano Crivelli 2

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La soluzione verrà pubblicata sul numero 32

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Orizzontali 1. Ricca zuppa di verdure • 10. Idolatrare • 11. Breve esempio • 12. Un personaggio di Celentano • 14. Titolo onorifico (abbr.) • 15. Nota musicale • 16. Il Cellamare • 18. Risparmi • 21. Bacino lacustre • 23. Per l’appunto! • 24. Le sorelle dei genitori • 25. Lo è la spesa modesta • 27. Son ghiotti di miele • 28. Avverbio di luogo • 29. Le iniziali di Toscanini • 30. Pronome personale • 31. Fu allievo di Cimabue • 33. Articolo spagnolo • 34. Concorso Internazionale • 35. Antico Testamento • 36. Essi • 38. Ha scritto “Lo straniero” • 41. Inviluppare • 43. Il Ticino sulle targhe • 45. Capo etiope • 46. Un combustibile • 47. Integra • 48. È funesta quella di Achille • 49. Nord-Est • 50. Affermare • 52. Le iniziali di Montesano • 53. La città del Nobel • 54. La Kant di Diabolik. Verticali 1. Noto album di Pino Daniele • 2. Frulla in testa • 3. Abitano ad Oslo • 4. Epoca • 5. La poetessa di Lesbo • 6. Figure geometriche • 7. Lorenzo nel cuore • 8. Accentato nega • 9. Sollevato dall’incarico •

13. Lo dice il rassegnato • 17. Dittongo in Coira • 19. I confini di Comano • 20. Intacca la vite • 22. È ai piedi del Gottardo • 26. Accalappiare • 31. Pagina centrale • 32. Il fiume di Londra • 34. Lo prepara la futura sposa • 37. Mezza riga • 38. Il nome di Pavese • 39. Pari in canto • 40. I suoi semi forniscono un olio commestibile • 42. Quasi unici • 44. Agnese a Madrid • 51. Leva centrale.

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SPINAS CIVIL VOICES

DOVE C’È ACQUA, I BAMBINI CRESCONO BENE. Nei paesi del Sud del mondo, un bambino su quattro è denutrito. L’acqua può fare molto, perché dove c’è acqua, la terra è generosa, la fame sparisce e i bambini crescono bene. Il vostro contributo è come l’acqua che irriga i campi.

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