Ticino7

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Merito e meritocrazia Il merito conta eccome: un mondo in cui non ci fosse lode per l’azione socialmente approvata e biasimo per quella disapprovata sarebbe un mondo di pazzi. Un incubo dei peggiori

Lessico

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Giustizia o efficienza? Il merito è sicuramente un criterio efficiente, e quindi da adottare, per conseguire una società in grado di funzionare bene e di offrire buoni rendimenti economici. Forse però non è un criterio completamente giusto rispetto a coloro che sono sottoposti al suo vaglio, per i motivi che cercherò ora di spiegare. Prendiamo la formula del merito: “quoziente di intelligenza + sforzo”, elaborata nel 1958 dallo scienziato sociale inglese Michael Young, inventore della parola meritocrazia e primo critico della società meritocratica. Partiamo dal primo fattore, semplice da capire e facile da demolire: che merito c’è nell’essere nato intelligente? Nell’essere venuta al mondo con talento artistico, o matematico, o letterario? O nell’aver avuto dei genitori e dei maestri che hanno sviluppato la tua intelligenza e creatività? Che merito c’è nell’essere cresciuto in un paese ricco che istruisce tutti gratuitamente? Il secondo fattore, quello dello sforzo, sembra maggiormente legato alla libera scelta responsabile individuale. Eppure non potrebbe essere, ci chiediamo, che l’ambizione e la capacità di sforzarsi e di compiere scelte opportune siano anch’esse doti naturali o che si apprendono socialmente in certi contesti educativoambientali e in altri no? L’argomento or ora addotto si rifà ai due punti della famosa critica alla meritocrazia del filosofo politico americano John Rawls (1921–2002), che recitano: “1. Nessuno merita il posto che ha nella distribuzione delle doti naturali [...]. 2. L’affermazione che un uomo merita il carattere superiore che lo mette in grado di fare uno sforzo per sviluppare le sue capacità è altrettanto problematica; il suo carattere infatti dipende in buona parte da una famiglia e da circostanze sociali a lui favorevoli, cose per cui non può pretendere alcun merito”.

Conta più lo sforzo o il risultato? Si potrebbe ribattere a Rawls, come è stato fatto, che se le doti naturali non sono meritate, la capacità di fare uno sforzo invece lo è. Ma anche supponendo che sia così, che cosa conta nella valutazione del merito, il risultato ottenuto o lo sforzo compiuto per conseguirlo e magari non raggiungerlo? Pensando in termini di giustizia – non di efficienza, non di mercato, non di realpolitik – è giusto premiare il talento, lo sforzo o il risultato? Valutare lo sforzo tuttavia è assai difficile, tanto quanto valutare la motivazione, fattore tendenzialmente ignorato nei test e nelle selezioni ai posti di eccellenza ma decisamente importante. E se nonostante lo sforzo il risultato si rivela deludente? Se i meno dotati si sforzano tanto e conseguono poco? Le leggi del mercato si disinteressano sovranamente degli sforzi meritori e guardano solamente ai risultati, così come non si interessano alle storie che producono merito o giustizia, ma soltanto alle vendite del prodotto finito. Alle leggi del mercato non importa se il risultato deriva da scelte attive o da dotazione passiva: vogliono persone che rispondano ai requisiti richiesti dal momento o imposti da mode e bisogni veri o falsi, e sono disposte a pagarle profumatamente senza alcun riguardo nei confronti di attività o passività del merito.

» di Francesca Rigotti; illustrazione di Mimmo Mendicino

Il mito del merito Il merito: preposto a decidere dell’attribuzione di posizioni di prestigio e ben pagate, e prima ancora dell’accesso a luoghi di istruzione privilegiati che conducono a carriere di responsabilità, generosamente retribuite e socialmente riconosciute. Qualche osservazione intorno al criterio del merito insomma ci sarebbe; quel merito sul quale si è venuto a creare un mito secondo cui il merito stesso sarebbe un criterio limpido ed equo per l’attribuzione e la distribuzione dei beni succitati, invocato da tutte le parti politiche a sostituire i criteri basati su eredità, corruzione, nepotismo.

Intelligenti e stupidi Attenzione poi a un altro aspetto, poco considerato dai fautori acritici del merito: uno degli svantaggi della società meritocratica – lo intuì già lo stesso Young – è la divisione della società in intelligenti e stupidi, in istituzioni di serie A, popolate da persone per lo più arroganti, competitive, aggressive, convinte di essere superiori e spesso prive di valori morali, e istituzioni di serie B che raccolgono persone in gran parte demoralizzate, avvilite e umiliate nella loro autostima. Nella società meritocratica inoltre competitività e aggressione trionferebbero a tutto svantaggio di doti come gentilezza e coraggio, immaginazione e sensibilità, simpatia, mitezza e generosità. Giovani meritori andrebbero a spadroneggiare su persone più mature ma non privilegiate, e tornerebbero a esserci anche i servi, stupidi ovviamente, affinché gli intelligenti possano risparmiare il loro tempo.


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