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Un rabdomante talentuoso

di Cinzia Mion

Giancarlo possedeva una competenza straordinaria: sapeva farsi spiazzare, stupire, incuriosire, attirare da qualsiasi spunto considerato interessante, degno di essere catturato

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Accingendomi a scrivere un ricordo di Giancarlo Cerini devo resistere al desiderio di indugiare a troppi risvolti affettivi e nostalgici. La nostra collaborazione professionale è di lunga data e così la nostra amicizia (chissà perché mi è scaturita di getto una forma verbale al presente, forma che non cambierò…). Giancarlo – al di là di altre doti già ampiamente riconosciute sempre da tutti, esplicitate recentemente e pubblicamente anche dal Ministro Bianchi, nonché da altre personalità e professionisti, anche nel presente numero della Rivista – ne possedeva una di molto particolare. Mai riscontrata in nessun altro che io almeno abbia conosciuto. Mi riferisco alla competenza – perché di competenza si tratta – di farsi spiazzare, stupire, incuriosire da qualsiasi spunto che lui riconosceva subito essere interessante. Ed essere velocissimo nel rappresentarsi come avrebbe potuto utilizzare quello spunto, una particolare ricerca, un pensiero nuovo e originale, ai fini di un arricchimento, approfondimento o espansione delle tematiche che stava trattando o avrebbe potuto inaugurare. Dapprima si trattava di vedere come poter utilizzare il contributo nel suo territorio (quando era ancora in servizio come Dirigente tecnico in Emilia-Romagna), poi nelle Riviste con cui collaborava o dirigeva, alla fine come coinvolgere nuove risorse, o persone precedentemente affermate, nelle sue collaborazioni già avviate al Ministero dell’Istruzione. In altri termini era un rabdomante talentuoso e impareggiabile nell’individuare e poi attivare collaborazioni, proporre formazioni, richiedere articoli o contributi più corposi, scovare e contattare tutti i soggetti che considerava degni di attenzione. L’aggettivo talentuoso è riferito a lui, naturalmente, ma anche alla tipologia della ricerca che non possiamo ascrivere alle persone in sé, ricche di talento – che pur ci sono state – ma talentuose nell’individuare determinate tematiche che lui considerava preziose ai fini sempre del miglioramento della Scuola. Soprattutto la Scuola dei ‘piccoli’. Il mio ricordo di proposito manterrà un registro leggero, quasi confidenziale. E inevitabilmente riguarderà i suoi ingaggi nei miei confronti.

La prima volta

Non ricordo la prima volta che ho incontrato Cerini ma rammento la prima volta che mi ha ingaggiato per una formazione. Da tempo mi ero lasciata sedurre dall’analisi psicosociale, frequentando corsi di formazione presso lo studio Aps di Milano perché, per completare la formazione in psicomotricità relazionale, avevo sentito il bisogno di affrontare la tematica della gestione del ‘gruppo come strumento di lavoro’. Da questa formazione, a impostazione psicoanalitica che si rifà al pensiero di Melanie Klein, erano scaturite delle interessanti ricerche sulla sfumatura transferale e controtransferale della relazione educativa che avevo trattato in alcuni articoli sulla rivista “L’Educatore”, per Sergio Neri. Da qui deduco l’attenzione alla tematica nuova, insieme al mio nome, per una formazione su tale tema a Bologna. Giancarlo infatti leggeva tutto, dai quotidiani alla stampa specialistica, soprattutto della concorrenza… Più recentemente abbiamo riso insieme di questo.

I suoi appunti

Aveva l’abitudine di prendere sempre appunti. Usava dei fogli grandi che riempiva in modo fitto fitto ma usando evidenziatori di colori diversi con frecce ed ellissi che soltanto lui decodificava. Anche quando teneva le relazioni, prima di cominciare a usare le slide. Nonostante però questa nuova competenza digitale, avevo però l’impressione che non avesse mai abbandonato anche questa modalità, una specie di sottotraccia che non lo abbandonava mai. In qualcuno di questi fogli, cerchiato da una ellissi che lo metteva in evidenza, secondo me scriveva il nome delle persone da contattare, che magari aveva appena ascoltato intravvedendo un’opportunità, oppure perché improvvisamente gli veniva in mente una correlazione che non voleva lasciarsi scappare. Per non dimenticarsi il nome o l’argomento, insieme a quelli abituali che non aveva bisogno di annotarsi. E così la lista dei suoi contatti cresceva in modo reticolare e continuo. Per poter essere attento a cogliere spunti interessanti o nuovi di zecca Giancarlo possedeva una curiosità epistemica sempre allerta, coniugata con una competenza all’ascolto non comune. Ti fissava con lo sguardo intenso e con un lampo di complicità e direi anche di furbizia, seguito da un sorriso accattivante e poi: “Potresti scrivermi qualcosa sull’apprendistato cognitivo, oppure qualcosa sullo Zerosei per un manualetto cui sto pensando, magari un articolo sulla psicologia dell’apprendimento (una cosetta!!!) con una piccola casa editrice romagnola”. Non ricordo mai di avere avuto titubanze o tentennamenti. Lui chiedeva ciò che ognuno era in grado di dargli. Era in questo proprio talentuoso. Rispetto allo stile di scrittura un giorno mi apostrofò dicendomi che usavo un periodare un po’ troppo complesso e a volte tortuoso e che invece dovevo scrivere in modo nazional-popolare. Gli chiesi spiegazioni e lui serafico: “Soggetto, verbo, complemento”. Da allora butto giù come mi viene, poi rileggo e di un periodo ne faccio tre.

Interviste

Un’altra prerogativa tipica di Giancarlo era quella di sguinzagliare il collaboratore adatto a intervistare il personaggio di turno che fosse diventato noto per qualche ricerca nuova, per qualche aspetto che lui poteva rilanciare in Ri-

Giancarlo sguinzagliava collaboratori per le interviste

La scoperta dei neuroni specchio e la conseguente ‘intersoggettività’ costituisce la spiegazione scientifica dell’intuizione formidabile di Vygotskij: l’apprendimento è sempre interattivo

vista dell’istruzione, cui teneva moltissimo e che definiva una pubblicazione ‘di nicchia’, come a darle una patente di ‘nobiltà’. In genere queste interviste dovevano essere realizzate in breve tempo, altrimenti l’effetto novità poteva svanire. Fu così che un bel giorno nel 2010 mi trovai nello studio del neuroscienziato Vittorio Gallese a Parma per intervistarlo sui neuroni specchio e i suoi riverberi sulla conoscenza a scuola. Avevo partecipato a un convegno a Milano su un tema che mi aveva attirato per i collegamenti con corpo e movimento, tematiche molto correlate alla psicomotricità. Si tratta della pratica disciplinare di grande interesse formativo per la professionalità docente, cui da moltissimi anni mi stavo dedicando.

I neuroni specchio

I neuroni specchio si attivano sia quando si compie un’azione sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri. Il neurone dell’osservatore ‘rispecchia’ quindi il comportamento dell’osservato, come se stesse compiendo l’azione egli stesso attraverso quella che Gallese chiama simulazione incarnata. A Gallese stesso, nell’intervista (1) – dopo avergli dato modo di spiegare dal punto di vista scientifico i dati più salienti della scoperta di questi neuroni, da cui si desumeva che siamo tutti programmati fin dalla nascita all’intersoggettività – ho chiesto di chiarire gli eventuali collegamenti utilizzabili nel mondo della scuola. La scoperta dei neuroni specchio infatti fornisce la spiegazione scientifica della formidabile intuizione di Vygotskij, negli anni Trenta del secolo scorso, che la dinamica dell’apprendimento è sempre interattiva. Sono stati convalidati anche i riferimenti fatti da Bruner a una ricerca di Daniel Stern che, a proposito di precocità delle interazioni madre e neonato, parla di

1) In “Rivista dell’istruzione”, n. 6-2010.

attenzione condivisa, sguardo congiunto e azione reciproca, sottolineando così come la base della comunicazione sia squisitamente preverbale, anche negli aspetti dialogici. Mi piace ogni tanto rileggere questa intervista molto stimolante.

La sparizione degli Istituti d’arte

Per un’intervista allo psicoanalista Massimo Ammaniti sono partita per Roma in treno, andata e ritorno in giornata; le domande vertevano soprattutto sul problema scottante degli adolescenti, collegato alla dispersione scolastica. Avevo conosciuto Ammaniti a Mestre a un convegno in cui eravamo relatori, organizzato dall’Istituto italiano della relazione su tematiche teoriche riguardanti la psicomotricità relazionale. Giancarlo lo ha saputo: ecco l’incarico al volo! Ricordo che il giorno dopo, ritornata a casa con il mio registratore nuovo di zecca, ebbi la sgradita sorpresa di trovare cancellato tutto. Non ho mai capito cosa possa essere successo. Forse avevo toccato un tasto sbagliato incautamente. Per fortuna la mia consuetudine con carta e penna è tale da non fidarmi fino in fondo delle tecnologie per cui, quasi per un riflesso condizionato, avevo preso appunti sulle risposte di Ammaniti. Ho ricostruito tutto. Non l’ho mai raccontato a Giancarlo ma quando l’autore ha preso visione del testo lo ha approvato. Nella sua intervista Ammaniti ha toccato parecchi punti che sono validi ancora adesso, per esempio di fronte all’abbandono precoce della scuola da parte dei ragazzi ricordo che si è rammaricato che le competenze dell’artigianato e quelle artistiche non vengano più coltivate e che siano stati aboliti, nel silenzio assordante, gli istituti d’arte. Tutto questo in favore di una liceizzazione generalizzata che ha annullato il saper fare, misconoscendo così i talenti potenziali dei ragazzi, investendo solo sul merito.

Rav per la scuola dell’infanzia

Un altro aspetto stava molto a cuore a Giancarlo, che sappiamo quanto amasse la scuola dell’infanzia e tutto il percorso Zerosei. Mi riferisco al Rav-Infanzia e al rischio che a un certo momento l’Invalsi, soprattutto per la pressione all’interno di una sua ricercatrice, sottoponesse tutte le scuole italiane (statali, comunali, parificate, ecc.) a una batteria di strumenti per misurare gli esiti dell’apprendimento dei bambini e delle bambine. Questo intento si accompagnava a un’affermazione un po’ dogmatica sull’oggettività scientifica delle prove. Sappiamo però come sia difficile ‘congelare’ in un istante, attraverso l’osservazione dei risultati, la rapida e mutevole evoluzione di un bambino nell’età della frequenza della scuola dell’infanzia. Naturalmente Giancarlo si è allarmato e mi ha coinvolto. Ci siamo attivati subito scrivendo articoli e un post su Facebook, in forma di lettera aperta all’Invalsi, raccomandando di non procedere in tal senso. Per fortuna ciò che era stato paventato non è accaduto e abbiamo potuto tranquillizzarci tutti. Infatti, tutto il mondo gravitante con passione intorno a questo segmento di scuola si era nel frattempo allarmato e si era attivato un tamtam. Il Rav infanzia è stato varato ma in una modalità mite, come Cerini amava chiamare la valutazione alla scuola dell’infanzia dando molto rilievo, tra le altre variabili adeguate al tipo di scuola, al processo di incoraggiamento. Incoraggiare al posto di misurare è stata la scelta da lui molto caldeggiata. Si è vista allora scomparire la voce della prontezza nelle ipotetiche risposte alle poco probabili domande.

Autori noti e meno noti

Andando a scorrere i nomi dei collaboratori durante le diverse annate scopriamo, a partire dal 2007, anno in cui Cerini ha assunto la direzione della Rivista, nomi prestigiosi insieme a nomi non ancora molto noti ma che lo diventeranno nell’arco degli anni successivi, a testimonianza del fatto di quanto fosse efficace la sua competenza rabdomantica.

Cinzia Mion

Già dirigente scolastica, psicologa, formatrice