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l’analisi

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LE CATTIVE ABITUDINI DIGITALI DA CUI DOVREMMO FUGGIRE

Stiamo sperimentando un processo di trauma collettivo e un periodo di stress che va avanti da due anni. Al covid-19 e alle conseguenti restrizioni si aggiungono il sovraccarico tecnologico e l’affaticamento digitale dovuti al trasferimento di gran parte delle nostre vite su uno schermo, un fatto che ha avuto un crescente impatto deleterio e stressante sulla nostra salute fisica e mentale. Le nostre esistenze oggi sono saturate dalle tecnologie digitali che fanno da mediatori tra diversi ambiti della nostra vita, così le interazioni faccia a faccia diminuiscono mentre accelerano i sentimenti di isolamento e distanza. La tecnologia è diventata un’estensione della nostra sfera fisica nella quotidianità. Nella mia attività di consulenza sul benessere aziendale, Dr. Digital Health, i clienti sottolineano le difficoltà di dover gestire in forma digitale, da casa, numerosi ambiti della loro vita. La separazione mentale e fisica tra il lavoro e il tempo libero in casa sfuma sempre di più. Di riflesso, ciò provoca ossessioni tecnologiche, saturazione digitale e un’incapacità di staccarsi dal mondo online. Abbiamo una compulsione allo scrolling perché le applicazioni e le piattaforme digitali sono progettate e costruite in modo tale da trattenerci su di esse. C’è poi il fenomeno della produttività tossica. Uno tra i comportamenti emersi dai lockdown, specie dai primi, è lo spostamento culturale dalla paura di lasciarsi sfuggire qualcosa (fear of missing out) alla paura di non

essere percepiti come produttivi. Su Instagram, Facebook e Twitter cose come imparare una nuova lingua, ristrutturare casa o diventare un panettiere venivano presentate come obiettivi di vita raggiungibili dall’oggi al domani. Questa produttività tossica è stata celebrata online in modo tanto ampio da attraversare i confini tra piattaforme, generi e settori di mercato, perché i lockdown produttivi significavano successo, felicità e trasformazione personale a dispetto della tragedia mondiale. Inoltre si è accentuato il “capitalismo della piattaforma”. La società basata sul digitale e sulla sorveglianza, in cui oggi viviamo, ha accelerato l’uso di dispositivi, il tempo passato davanti a uno schermo e la dipendenza dalle piattaforme che veicolano le nostre vite personali e professionali nel quotidiano. Chi prima della pandemia usava una manciata di applicazioni e piattaforme ora ne usa a decine o addirittura a centinaia nella quotidianità. La nostra crescente dipendenza dei monoliti tecnologici e dai loro app Rachael Kent

store ci pone in posizione di maggior svantaggio in termini di potere del consumatore, dato che possiamo accedere a servizi e prodotti solo tramite due negozi di applicazioni, quelli di Alphabet e di Apple. In cambio, questi colossi diventano sempre più anticompetitivi e onnipresenti nel dominare le nostre abitudini di consumo tecnologico quotidiano, e approfittano dal punto di vista commerciale di queste abitudini ormai normalizzate. L’uso gratuito dei social media e di applicazioni di autotracciamento ha normalizzato il fatto che la privacy per molti utenti non sia più un diritto umano. Dopo due anni di convivenza con la pandemia e con le sue restrizioni, è importante riconoscere il loro impatto cumulativo deleterio sulla salute mentale. Inoltre è incredibilmente importante dare priorità alla salute e alla felicità, e un modo per farlo è identificare i comportamenti digitali che potrebbero impattare negativamente. Il mio primo consiglio è di riconoscere che è perfettamente naturale, oggi, sentirsi travolti dalla saturazione tecnologica nella vita professionale e privata. Inoltre allontanarsi fisicamente dai dispositivi tecnologici ci aiuta a “spegnere” e a resettare i nostri comportamenti digitali abituali. Può essere utile, inoltre, tracciate dei limiti: abbiamo normalizzato il fatto di essere sempre disponibili, ora denormalizziamolo! Infine, siate gentili con voi stessi: ricordate le cose che nei lockdown vi hanno dato nutrimento e aiutati ad andare avanti, e tornate a esse per supportarvi in questo periodo di perduranti sfide, che si tratti di esercizio fisico, di esplorare nuove cucine, di digital detox o di apprendere nuovi hobby. Rachael Kent, docente e ricercatrice del dipartimento Digital Humanities del King's College London

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