Incontro Dicembre 2012

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Per una Chiesa Viva Anno VIII - N. 11 – Dicembre 2012 P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it

RAVELLO

Il senso pieno del Natale La celebrazione della nascita di Gesù che festeggiamo nella Liturgia del Natale contiene la sintesi del vangelo: è la vera bella notizia sufficiente a dare fiducia, speranza e gioia all’uomo contemporaneo che, in ansiosa ricerca e inquieto davanti al mistero della Natività di Cristo, si pone la domanda: “Gesù da dove viene?”. A questa legittima esigenza risponde, con straordinaria, insuperabile chiarezza esegetica e profonda sapienza spirituale, Papa Benedetto nella sua recente pubblicazione dal titolo “L’Infanzia di Gesù” (Rizzoli – Libreria Editrice Vaticana). In questo agile volume che completa la sua opera capitale dedicata a “Gesù di Nazaret”, Josepf Ratzinger dimostra la realtà storica della nascita di Gesù e ne interpreta il mistero: l’insondabile progetto divino descritto nelle Sacre Scritture che affermano la verità rivelata del “Verbo di Dio, “Il Logos”che entra nella storia del mondo. Del piccolo prezioso gioiello del Papa mi piace riportare di seguito alcuni passaggi che descrivono la storia della nascita di Gesù. A pagina 36 scrive: “(…) Gesù è nato in un’epoca determinabile con precisione. All’inizio dell’attività pubblica di Gesù, Luca offre ancora una volta una datazione dettagliata ed accurata di quel momento storico: è il quindicesimo anno dell’impero di Tiberio Cesare; vengono inoltre menzionati il governatore romano di quell’anno e i tetrarchi della Galilea, dell’Iturea e della

Traconìtide, come anche dell’Abilene, e poi i capi dei sacerdoti (cfr. Lc 3,1 s). Gesù non è nato e comparso in pubblico nell’imprecisato “una volta” del mito. Egli appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente indicato: l’universale e il concreto si toccano a vicenda. In Lui, il Logos, la Ragione creatrice di tutte le cose, è entrato nel mondo. Il Logos eterno si è fatto uomo, e di questo fa parte il contesto di luogo e tempo. La fede è

legata a questa realtà concreta, anche se poi, in virtù della Risurrezione, lo spazio temporale e geografico viene superato e il “precedere in Galilea” (Mt 28,7) da parte del Signore introduce nella vastità aperta dell’intera umanità (cfr. Mt 28,16ss). (…) Maria avvolse il bimbo in fasce. Senza alcun sentimentalismo, possiamo immaginare con quale amore Maria sarà andata incontro alla sua ora, avrà preparato la nascita del suo Figlio. La tradizione delle icone, in base alla teologia dei Padri, ha interpretato mangiatoia e fasce

anche teologicamente. Il bimbo strettamente avvolto nelle fasce appare come un rimando anticipato all’ora della sua morte: Egli è fin dall’inizio l’Immolato, come vedremo ancora più dettagliatamente riflettendo sulla parola circa il primogenito. Così la mangiatoia veniva raffigurata come una sorta di altare. Agostino ha interpretato il significato della mangiatoia con un pensiero che, in un primo momento, appare quasi sconveniente, ma, esaminato più attentamente, contiene invece una profonda verità. La mangiatoia è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento. Ora, però, giace nella mangiatoia Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo – come il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana. È il nutrimento che dona all’uomo la vita vera, quella eterna. In questo modo, la mangiatoia diventa un rimando alla mensa di Dio a cui l’uomo è invitato, per ricevere il pane di Dio. Nella povertà della nascita di Gesù si delinea la grande realtà, in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini”. Anche durante la catechesi dell’udienza del mercoledì 27 novembre Papa Benedetto XVI ha ripreso nuovamente il tema della nascita di Gesù affermando: “in Gesù Cristo Dio si è fatto uno di noi. Dio non può essere considerato una idea astratta, ma Persona viva che ama. Dio è Amore; è Colui che ama l’uomo e si è fatto vicino all’uomo attraverso Gesù. IN GESÙ CRISTO IL 'LOGOS' È ENTRATO NEL MONDOe in Lui Dio è ormai i vicino all’uomo”.

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Segue dalla prima pagina La vicinanza di Dio è il metodo realizzato nell’Incarnazione nella grotta di Betlemme, nella semplice casa di Nazaret e nella attività svolta nelle città della Palestina di duemila anni fa. E’ il metodo dell’umiltà per cui Dio non ha esitato a farsi uno di noi per mostrarsi, farsi conoscere e trasformare l’uomo liberandolo dal male. La rievocazione storica della nascita di Gesù che celebriamo nella Liturgia solenne del 25 dicembre di ogni anno, perciò, si fonda sulla certezza che Gesù,il Figlio di Dio, è veramente venuto su questa terra come afferma l’apostolo Paolo nella lettera ai Galati "Quando giunse la pienezza dei tempi, Iddio mandò il suo Figliuolo, nato di donna, nato sotto la legge" (Galati 4,4). L’anno della Fede indetto dal Papa sia per tutti il tempo opportuno per intensificare il cammino verso e con Gesù e con la guida del suo alto e coinvolgente magistero pontificio vogliamo approfondire con la lettura e lo studio della Parola di Dio, contenuta nella Sacra Scrittura o Bibbia, le ragioni della nostra fede in Gesù, il Figlio eterno di Dio, inviato al mondo "Per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché ricevessimo l'adozione di figliuoli" (Galati 4,4-5 ). Don Giuseppe Imperato

Sartre e il Natale di Gesù Era il 1940 e in una Francia occupata dai nazisti, il filosofo ateo Jean Paul Sartre, imprigionato nel campo di Treviri, elaborò, il suo primo testo teatrale, Bariona o il figlio del tuono. In quel testo, a un certo punto, entrava in scena Maria che aveva appena dato alla luce il Bambino Gesù e, come ogni madre si era messa a contemplarlo con tenerezza, consapevole dell’unicità della sua esperienza. Ecco alcune righe veramente sorprendenti di quell’opera composta da un autore di netta caratura “gentile”. «Cristo è suo figlio, carne della sua carne e frutto delle sue viscere. Ella lo ha portato per nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio (...) Ella sente insieme che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e

che egli è Dio. Ella lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Egli mi assomiglia. È Dio e mi assomiglia!”. Nessuna donna ha avuto in questo modo il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolissimo che si può prendere tra le braccia e coprire di baci, un Dio tutto caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e vive».

“L'infanzia di Gesù” Il nuovo libro del Papa È stato pubblicato il nuovo libro del Papa , intitolato: "L'infanzia di Gesù": da Betlemme l'uomo e la storia sono nuova realtà. Interpretare, in dialogo con esegeti del passato e del presente, ciò che Matteo e Luca raccontano all’inizio dei loro Vangeli sull’infanzia di Gesù, alla luce di due interrogativi: “Che cosa intendevano dire?”. E poi: “E’ vero? E in che modo mi riguarda?”. Sono le domande che Benedetto XVI premette al suo nuovo libro intitolato "L’infanzia di Gesù", spiegando le linee-guida con la speranza che, scrive, molte persone ne traggano aiuto nel loro cammino verso Gesù. Stamattina la presentazione del volume in vaticano, e al termine, l'udienza di Benedetto XVI concessa agli editori del volume, la Rizzoli e la Libreria Editrice Vaticana. Sfogliamo alcune pagine del libro, nel servizio di Gabriella Ceraso: E’ la sala d’ingresso all’intera trilogia su Gesù, il libro sulla sua infanzia, secondo l’autore, che inizia con una riflessione sull’origine del Salvatore dalla domanda inaspettata che Pilato fa a Gesù: ”Di dove sei tu?”- domanda circa l’essere e la missione, scrive il Papa. Messe in luce le differenza tra le genealogie nelle versioni di Matteo e di Luca, Benedetto XVI ne rivela il medesimo senso teologicosimbolico: “Il suo essere intrecciato nelle vie storiche della promessa, e il nuovo inizio che, paradossalmente, insieme con

la continuità dell’agire storico di Dio, caratterizza l’origine di Gesù”. Gesù dunque è creazione dello Spirito Santo, anche se la genealogia rimane importante. Così scrive il Papa: “Giuseppe è giuridicamente il padre di Gesù. Mediante lui egli appartiene, secondo la legge, legalmente alla tribù di Davide. E tuttavia, viene da altrove, ‘dall’alto’, da Dio stesso. Il mistero del ‘di dove’, della duplice origine ci viene incontro in modo molto concreto: la sua origine è determinabile e tuttavia è un mistero. Solo Dio è nel senso proprio il padre suo. La genealogia degli uomini ha la sua importanza riguardo alla storia del mondo, e ciò nonostante, alla fine, è Maria – l’umile Vergine di Nazareth – colei in cui avviene un nuovo inizio, ricomincia in modo nuovo l’essere persona umana”. Tema del secondo e più ampio capitolo è l’annuncio a Zaccaria della nascita di Giovanni Battista e l’Annunciazione a Maria, messe a confronto dal Papa e presentate come adempimento di antiche profezie, fino a quel momento storico in attesa del loro vero protagonista. Joseph Ratzinger si sofferma sui vari aspetti delle reazioni di Giuseppe e soprattutto di Maria al messaggio inaspettato: turbamento, pensosità, coraggio, grande interiorità tratteggiano la figura delle Vergine nella parole del Papa. Rileggendo il dialogo tra Maria e l’Angelo, secondo il Vangelo di Luca, Benedetto XVI spiega che attraverso una donna “Dio cerca un nuovo ingresso nel mondo”, dopo il fallimento dei progenitori. “Bussa alla porta di Maria. Ha bisogno della libertà umana” scrive il Papa, citando Bernardo di Chiaravalle: “Non può redimere l’uomo, creato libero, senza un libero ‘sì’ alla sua volontà. Creando la libertà Dio, in un certo modo, si è reso dipendente dall’uomo: il suo potere è legato al ‘sì’ non forzato di una persona umana”. Maria diventa Madre attraverso il suo “sì”. E’ questo il momento decisivo: “Attraverso la sua obbedienza – prosegue – la Parola è entrata in lei e in lei è diventata feconda”. Al centro del terzo capitolo l’evento di Betlemme: la nascita di Gesù in un preciso contesto storico-universale, che


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Benedetto XVI mette in luce sottolineando il clima dell’età di Augusto Imperatore romano: “Solo in questo momento, in cui esiste una comunione di diritti e di beni su larga scala, ed una lingua universale permette ad una comunità culturale l’intesa nel pensiero e nell’agire, un messaggio universale di salvezza, un universale portatore di salvezza può entrare nel mondo: è, di fatti, la pienezza dei tempi”. Gesù – precisa il Papa – non è nato nell’imprecisato “una volta” del mito: “Egli appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente indicato: l’universale e il concreto si toccano a vicenda. In lui, il logos, la ragione creatrice di tutte le cose, è entrato nel mondo, il logos eterno si è fatto uomo. E di questo fa parte il contesto di luogo e tempo”. Nella prospettiva di una lettura del Vangelo, secondo l’esegesi canonica, Benedetto XVI spiega poi, il significato di tanti particolari della narrazione della nascita, che da semplici fatti esteriori diventano parte della grande realtà in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini. In particolare, nel passo dedicato alla presentazione di Gesù al Tempio, si sottolinea come questa redenzione “non sia bagno di autocompiacimento ma una liberazione dall’essere compressi nel proprio io", che ha come costo la sofferenza della Croce. “Alla teologia della Gloria”, scrive il Papa “è inscindibilmente legata la teologia della Croce”. Ai magi sapienti e alla fuga in Egitto, infine, è dedicato il quarto capitolo, dove con una ricca gamma di informazioni storico-linguistiche scientifiche, il Papa delinea i Magi e conclude che essi rappresentano non solo le persone che hanno trovato la via fino a Cristo, ma “l’attesa interiore dello Spirito umano, il movimento delle religioni e della ragione umana incontro a Cristo”. Una processione che, scrive Benedetto XVI, percorre l’intera storia. E anche nelle riflessioni su altri spunti del racconto – la natura della stella, la sosta dei magi a Gerusalemme fino alla fuga in Egitto e alla strage degli innocenti – Benedetto XVI oltre i semplici fatti, allarga l’orizzonte del lettore al grande progetto d’amore di Dio: la salvezza eterna offerta alla libertà dell’uomo. Scrive infatti il Papa: “Con la fuga in Egitto e con il suo ritorno nella terra

promessa, Gesù dona l’esodo definitivo: egli è veramente il Figlio; egli non se ne andrà via per allontanarsi dal Padre: egli ritorna a casa e conduce verso casa. Sempre egli è in cammino verso Dio e con ciò conduce dall’alienazione alla Patria, a ciò che è essenziale e proprio”. In questo senso il breve epilogo con il racconto – secondo il Vangelo di Luca – di Gesù dodicenne che discute con i dottori al Tempio e poi si confronta con i genitori, in cui si manifesta il mistero della sua natura di vero Dio e insieme vero Uomo, è in certo modo il coronamento dell’opera e “apre la porta verso il tutto della sua figura, che poi”, scrive il Papa, “ci viene raccontato dai Vangeli”. Fonte: www.radiovaticana.org

“La fede permette di guardare il «sole», Dio” Cari fratelli e sorelle, avanziamo in quest’Anno della fede, portando nel nostro cuore la speranza di riscoprire quanta gioia c’è nel credere e di ritrovare l’entusiasmo di comunicare a tutti le verità della fede. Queste verità non sono un semplice messaggio su Dio,

una particolare informazione su di Lui. Esprimono invece l’evento dell’incontro di Dio con gli uomini, incontro salvifico e liberante, che realizza le aspirazioni più profonde dell’uomo, i suoi aneliti di pace, di fraternità, di amore. La fede porta a scoprire che l’incontro con Dio valorizza, perfeziona ed eleva quanto di vero, di buono e di bello c’è nell’uomo. Accade così che, mentre Dio si rivela e si lascia conoscere, l’uomo viene a sapere chi è Dio e, conoscendolo, scopre se stesso, la propria origine, il proprio destino, la grandezza e la dignità della vita umana. La fede permette un sapere autentico su Dio che coinvolge tutta la persona uma-

na: è un "sàpere", cioè un conoscere che dona sapore alla vita, un gusto nuovo d’esistere, un modo gioioso di stare al mondo. La fede si esprime nel dono di sé per gli altri, nella fraternità che rende solidali, capaci di amare, vincendo la solitudine che rende tristi. Questa conoscenza di Dio attraverso la fede non è perciò solo intellettuale, ma vitale. E’ la conoscenza di Dio-Amore, grazie al suo stesso amore. L’amore di Dio poi fa vedere, apre gli occhi, permette di conoscere tutta la realtà, oltre le prospettive anguste dell’individualismo e del soggettivismo che disorientano le coscienze. La conoscenza di Dio è perciò esperienza di fede e implica, nel contempo, un cammino intellettuale e morale: toccati nel profondo dalla presenza dello Spirito di Gesù in noi, superiamo gli orizzonti dei nostri egoismi e ci apriamo ai veri valori dell’esistenza. Oggi in questa catechesi vorrei soffermarmi sulla ragionevolezza della fede in Dio. La tradizione cattolica sin dall’inizio ha rigettato il cosiddetto fideismo, che è la volontà di credere contro la ragione. Credo quia absurdum (credo perché è assurdo) non è formula che interpreti la fede cattolica. Dio, infatti, non è assurdo, semmai è mistero. Il mistero, a sua volta, non è irrazionale, ma sovrabbondanza di senso, di significato, di verità. Se, guardando al mistero, la ragione vede buio, non è perché nel mistero non ci sia luce, ma piuttosto perché ce n’è troppa. Così come quando gli occhi dell’uomo si dirigono direttamente al sole per guardarlo, vedono solo tenebra; ma chi direbbe che il sole non è luminoso, anzi la fonte della luce? La fede permette di guardare il «sole», Dio, perché è accoglienza della sua rivelazione nella storia e, per così dire, riceve veramente tutta la luminosità del mistero di Dio, riconoscendo il grande miracolo: Dio si è avvicinato all’uomo, si è offerto alla sua conoscenza, accondiscendendo al limite creaturale della sua ragione (cfr Conc. Ec. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 13). Allo stesso tempo, Dio, con la sua grazia, illumina la ragione, le apre orizzonti nuovi, incommensurabili e infiniti.

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Segue da pagina 3 Per questo, la fede costituisce uno stimolo a cercare sempre, a non fermarsi mai e a mai quietarsi nella scoperta inesausta della verità e della realtà. E’ falso il pregiudizio di certi pensatori moderni, secondo i quali la ragione umana verrebbe come bloccata dai dogmi della fede. E’ vero esattamente il contrario, come i grandi maestri della tradizione cattolica hanno dimostrato. Sant’Agostino, prima della sua conversione, cerca con tanta inquietudine la verità, attraverso tutte le filosofie disponibili, trovandole tutte insoddisfacenti. La sua faticosa ricerca razionale è per lui una significativa pedagogia per l’incontro con la Verità di Cristo. Quando dice: «comprendi per credere e credi per comprendere» (Discorso 43, 9: PL 38, 258), è come se raccontasse la propria esperienza di vita. Intelletto e fede, dinanzi alla divina Rivelazione non sono estranei o antagonisti, ma sono ambedue condizioni per comprenderne il senso, per recepirne il messaggio autentico, accostandosi alla soglia del mistero. Sant’Agostino, insieme a tanti altri autori cristiani, è testimone di una fede che si esercita con la ragione, che pensa e invita a pensare. Su questa scia, Sant’Anselmo dirà nel suo Proslogion che la fede cattolica è fides quaerens intellectum, dove il cercare l’intelligenza è atto interiore al credere. Sarà soprattutto San Tommaso d’Aquino – forte di questa tradizione – a confrontarsi con la ragione dei filosofi, mostrando quanta nuova feconda vitalità razionale deriva al pensiero umano dall’innesto dei principi e delle verità della fede cristiana. La fede cattolica è dunque ragionevole e nutre fiducia anche nella ragione umana. Il Concilio Vaticano I, nella Costituzione dogmatica Dei Filius, ha affermato che la ragione è in grado di conoscere con certezza l’esistenza di Dio attraverso la via della creazione, mentre solo alla fede appartiene la possibilità di conoscere «facilmente, con assoluta certezza e senza errore» (DS 3005) le verità che riguardano Dio, alla luce della grazia. La conoscenza della fede, inoltre, non è contro la retta ragione. Il Beato Papa Giovanni Paolo II, infatti, nell’Enciclica Fides et ratio, sintetizza così: «La ragione dell’uomo non si annulla né si avvilisce dando l’assenso ai conte-

nuti di fede; questi sono in ogni caso raggiunti con scelta libera e consapevole» (n. 43). Nell’irresistibile desiderio di verità, solo un armonico rapporto tra fede e ragione è la strada giusta che conduce a Dio e al pieno compimento di sé. Questa dottrina è facilmente riconoscibile in tutto il Nuovo Testamento. San Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, sostiene, come abbiamo sentito: «Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani» (1 Cor 1,22-23). Dio, infatti, ha salvato il mondo non con un atto di potenza, ma mediante l’umiliazione del suo Figlio unigenito: secondo i parametri umani, l’insolita modalità attuata da Dio stride con le esigenze della sapienza greca. Eppure, la Croce di Cristo ha una sua ragione, che San Paolo chiama: ho lògos tou staurou, "la parola della croce" (1 Cor 1,18). Qui, il termine lògos indica tanto la parola quanto la ragione e, se allude alla parola, è perché esprime verbalmente ciò che la ragione elabora. Dunque, Paolo vede nella Croce non un avvenimento irrazionale, ma un fatto salvifico che possiede una propria ragionevolezza riconoscibile alla luce della fede. Allo stesso tempo, egli ha talmente fiducia nella ragione umana, al punto da meravigliarsi per il fatto che molti, pur vedendo le opere compiute da Dio, si ostinano a non credere in Lui. Dice nella Lettera ai Romani: «Infatti le … perfezioni invisibili [di Dio], ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute» (1,20). Così, anche S. Pietro esorta i cristiani della diaspora ad adorare «il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15). In un clima di persecuzione e di forte esigenza di testimoniare la fede, ai credenti viene chiesto di giustificare con motivazioni fondate la loro adesione alla parola del Vangelo, di dare la ragione della nostra speranza. Su queste premesse circa il nesso fecondo tra comprendere e credere, si fonda anche il rapporto virtuoso fra scienza e fede. La ricerca scientifica porta alla conoscenza di verità sempre nuove sull’uomo e sul cosmo, lo vediamo. Il vero bene dell’u-

manità, accessibile nella fede, apre l’orizzonte nel quale si deve muovere il suo cammino di scoperta. Vanno pertanto incoraggiate, ad esempio, le ricerche poste a servizio della vita e miranti a debellare le malattie. Importanti sono anche le indagini volte a scoprire i segreti del nostro pianeta e dell’universo, nella consapevolezza che l’uomo è al vertice della creazione non per sfruttarla insensatamente, ma per custodirla e renderla abitabile. Così la fede, vissuta realmente, non entra in conflitto con la scienza, piuttosto coopera con essa, offrendo criteri basilari perché promuova il bene di tutti, chiedendole di rinunciare solo a quei tentativi che - opponendosi al progetto originario di Dio - possono produrre effetti che si ritorcono contro l’uomo stesso. Anche per questo è ragionevole credere: se la scienza è una preziosa alleata della fede per la comprensione del disegno di Dio nell’universo, la fede permette al progresso scientifico di realizzarsi sempre per il bene e per la verità dell’uomo, restando fedele a questo stesso disegno. Ecco perché è decisivo per l’uomo aprirsi alla fede e conoscere Dio e il suo progetto di salvezza in Gesù Cristo. Nel Vangelo viene inaugurato un nuovo umanesimo, un’autentica «grammatica» dell'uomo e di tutta la realtà. Afferma ilCatechismo della Chiesa Cattolica: «La verità di Dio è la sua sapienza che regge l’ordine della creazione e del governo del mondo. Dio che, da solo, «ha fatto cielo e terra» (Sal 115,15), può donare, egli solo, la vera conoscenza di ogni cosa creata nella relazione con lui» (n. 216). Confidiamo allora che il nostro impegno nell’ evangelizzazione aiuti a ridare nuova centralità al Vangelo nella vita di tanti uomini e donne del nostro tempo. E preghiamo perché tutti ritrovino in Cristo il senso dell’esistenza e il fondamento della vera libertà: senza Dio, infatti, l’uomo smarrisce se stesso. Le testimonianze di quanti ci hanno preceduto e hanno dedicato la loro vita al Vangelo lo confermano per sempre. E’ ragionevole credere, è in gioco la nostra esistenza. Vale la pena di spendersi per Cristo, Lui solo appaga i desideri di verità e di bene radicati nell’anima di ogni uomo: ora, nel tempo che passa, e nel giorno senza fine dell’ Eternità beata. Benedetto XVI


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Le signore della conversazione Questo articolo è dedicato a Giulia, ad Eulalia, a Emilia e a tutte le donne di Ravello, sempre cordiali nei miei confronti, generose come la splendida terra che ha dato loro i natali. Un articolo che parla di donne, e più precisamente di un mondo femminile così brillante e straordinario da non avere uguali in tutta la storia umana. Sto parlando del fantastico mondo dei salotti francesi del Seicento e del Settecento dove si celebrava, ad un livello mai più raggiunto, il rito della conversazione. Immaginate un ambiente in cui si sono dati appuntamento i maggiori letterati, filosofi, critici, storici e scienziati del momento; e intorno a loro alcune donne che dirigono la conversazione e tengono banco in fatto di buone maniere, di gusto, di lingua. E’ lo stile di vita, acquisito mediante l’uso mondano, che caratterizzerà l’alta società francese per più di un secolo; uno stile che sapeva coniugare leggerezza e profondità, il piacere e la ricerca della verità, i lazzi spiritosi e la riflessione filosofica. Come si spiega che in un’epoca in cui l’inferiorità giuridica della donna permea tutti gli ambienti e le istituzioni, siano delle donne a guidare gli incontri delle elité intellettuali, a fare da arbitre di conversazioni talmente elevate ed influenti da plasmare le regole e lo stile di un’intera società? Forse la risposta risiede nella paradossale affermazione di una delle regine di quei salotti, Madeleine de Scudéry: “Sono molto ignorante, ecco il punto. Tutta la mia educazione si è concentrata su ciò che poteva rendermi gradevole.” Naturalmente, Mademoiselle de Scudéry non era affatto un’ignorante: scrittrice di grande successo, è rimasta nel mondo letterario con romanzi importanti come Artamène e Clélie, pubblicati entrambi intorno alla metà del Seicento. Con quell’affermazione, Mademoiselle de Scudéry voleva sottolineare che non era stata la cultura ad elevarla all’equilibrio e alla classe che le consentiranno di eccellere nella vita di società. Prive di incarichi e di mansioni di potere, assenti dalla scena pubblica, le signore dei salon dominano la società servendosi di due strumenti delicati e invisibili, ma efficaci quanto il più affilato dei bisturi: la parola

e le buone maniere. Grazie alla padronanza delle regole di comportamento, al loro francese limpido e naturale, alla capacità di destreggiarsi in tutti i riti e le pratiche del gioco mondano, le damigelle della nobiltà francese affinano orecchio e lingua, elevandosi a un’altezza nettamente superiore a quella degli uomini. Come specifica Benedetta Craveri nello splendido La Civiltà della Conversazione - libro che ha fatto da guida a questo articolo - il rito delle riunioni salottiere inizia a dispensare i suoi tesori intorno al 1620, nella dimora parigina di Madame de Rambouillet. “Qui”, scrive la già citata Mademoiselle de Scudéry, “si ha l’impressione di essere sotto l’effetto di un incantesimo: le stanze sono piene di rarità che attestano la competenza di chi le ha scelte, l’aria è sempre profumata grazie ai magnifici cesti pieni di fiori che creano un’eterna primavera, le lampade e gli arredi sono diversi da ogni altro, e insomma tutto è unico, tutto è speciale”. In questa cornice ideale, le vestali dei modi aristocratici conservano il fuoco sacro dell’urbanità francese con tale perfezione da far esclamare a uno degli ospiti, Morvan de Bellegarde: “E’ solo frequentando le donne che si acquisisce quell’aria di mondo, quella politesse che nessun consiglio né alcuna lettura possono conferire”. Nei salotti di quelle che saranno denominate le Preziose, si conversa, si inventano rime, si scrive, si scherza in modo leggiadro e raffinato. Non c’è argomento di cui non si discuta: politica, religione, psicologia e casistica amorosa, filosofia; i risultati sono sempre eccezionali. Una sera, nel salotto di Madame Geoffrin arrivò quasi per caso l’abate di Saint-Pierre, noto per il suo parlare lento e noioso. Ma quella volta, sotto la guida sapiente della padrona di casa, le cose andarono diversamente. “Signor abate”, commentò alla fine della serata Madame Geoffrin, “siete stato di un’eccellente conversazione”. “Madame”, le rispose lui, “sono un semplice strumento che voi avete saputo suonare”. Ai primi del Settecento, il salon di Madame de Lambert divenne il primo per importanza in tutta la Francia. “La sua casa”, scriveva il marchese d’Argenson, “rendeva

onore a tutti coloro che vi erano ammessi”. Come testimonia d’Alembert, da questo salotto, grazie alla perfetta simbiosi fra cultura e buone maniere, “gli uomini di mondo uscivano più colti, gli uomini di lettere più amabili”. Educata all’amore per le lettere, scrittrice elegante e prolifica, Anne-Thérèse de Marguenat de Courcelles avrebbe potuto riposare sugli allori della sua produzione letteraria e del rango acquisito sposando il marchese di Lambert; ma ciò che le interessava in sommo grado era il giudizio del mondo. “Il desiderio di essere stimati”, scriveva, “è anche l’anima della società, perché ci unisce gli uni con gli altri. Io ho bisogno della vostra approvazione, voi della mia. Allontanandosi dagli uomini ci si allontana dalle virtù necessarie alla società, perché quando si è soli ci si trascura”. L’altro faro di questa donna straordinaria era la felicità, una felicità da

raggiungere col cuore, perché “la capacità di persuasione del cuore è superiore a quella della mente”. Una felicità che per Madame de Lambert era indissociabile dall’altruismo e dall’amicizia, come dimostra l’illuminante monito rivolto al figlio: “Se volete essere felice da solo non lo sarete mai: tutti vi contesteranno la vostra felicità; se volete che tutti lo siano con voi, tutti vi verranno in aiuto”. L’arte dello stare insieme non aveva un solo modello. Il salotto di Madame de Tencin divenne il punto di attrazione dei maggiori personaggi della cultura del tempo grazie al coraggio, all’autorità e alla sicurezza di giudizio di una donna che era stata destinata al convento contro la sua volontà, e che alla morte del tirannico padre chiese e ottenne l’annullamento dei voti religiosi e la reintegrazione nell’eredità familiare.

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I NCONTRO PER UNA CHIESA VIVA alle arguzie che rendono più piacevole e interessante una conversazione. Siamo mille miglia distanti dalle donne che inventarono un mondo fatto di raffinatezza, gaiezza, passione, amicizia, piaceri, il più grande dei quali, secondo molte di loro, andava ricercato proprio nella conversazione. Nessuno come le dame dei salon francesi del Seicento e del Settecento ebbe dimestichezza con il potere magico ed euforizzante della parola, con la sua capacità di far vivere emozioni e passioni, di dare visibilità e forza al reale. Una parola, non bisogna dimenticarlo, messa al servizio della verità, non solo del divertimento, capace dunque di raffinare gli spiriti e di inoltrarli al meglio nel gran libro della vita. In piena età napoleonica, Madame de Stael, figlia di un ministro e moglie di un ambasciatore, si diceva convinta che i francesi fossero i più abili diplomatici d’Europa. “Lo spirito della conversazione”, scrisse nel noto saggio De l’Allemagne,”ha bizzarramente sviluppato nei francesi quello più serio delle negoziazioni politiche”. Ma le dame dei salotti francesi fecero molto di più. Nel pregevole La vera storia del romanzo, la studiosa canadese Margaret Doody scrive che nella Francia del Settecento l’influenza delle Preziose “stava palesemente determinando una rivoluzione sociale”. Le regine della conversazione furono le prime a rivendicare il diritto di una donna ad istruirsi, a non sposarsi se non lo voleva, a scegliere il marito secondo il proprio gusto e i propri sentimenti, a credere che fosse possibile frequentare degli uomini come amici, senza implicazioni amorose o sessuali. E’ dal movimento femminile nato nei salon, afferma la Doody, che nascono le nostre università miste. E’ incredibile, forse assurdo che nel mondo non esistano più donne (né uomini) capaci di affascinare i propri interlocutori e di rallegrarli con l’eleganza dei modi unita alla seduzione della parola. Siamo diventati banali e volgari, dimenticando che le sfumature del comportamento e della lingua, la capacità di trarne tutte le potenzialità espressive, la modulazione e l’intonazione della frase, in una parola l’arte delle buone maniere e della conversazione, fa del nostro parlare uno strumento di educa-

Il successo della giovane Marchesa de La Ferté-Imbault si fondava invece sulla gaiezza, l’effervescente, contagiosa allegria che costituiva uno degli strumenti più efficaci dell’arte mondana. Ma forse nessun salotto conobbe il potere di attrazione che seppe suscitare nei suoi contemporanei una donna orfana, sola, senza distinzione sociale: è Julie de Lespinasse. Nel 1754, la regina dei salotti del tempo, Madame du Deffand, accoglie in casa la sfortunata nipote Julie. Insieme, esse daranno vita al più straordinario connubio mondano-intellettuale del tempo, il modello più riuscito del salon parigino del Settecento. Julie è bella, alta, slanciata; il suo viso aperto e trasparente registra un’incredibile gamma di espressioni. Ma Julie non si accontenta delle doti estetiche; come la zia, coltiva la ricerca della verità, scegliendo di essere essa stessa autentica in ogni cosa. “Posso dire”, scriveva il critico teatrale JeanFrancoise La Harpe, “che non ho mai conosciuto donna che avesse più spirito naturale, meno voglia di farne sfoggio, e più talento per far valere quello degli altri”. Quasi identico il giudizio del letterato Jacques-Antoine Guibert: “Non era mai né al di sopra né al di sotto di quelli a cui parlava; sembrava possedere il segreto di tutti i caratteri, la misura e la sfumatura di tutti gli spiriti. Era l’anima della conversazione, ma non se ne faceva mai l’oggetto”. Non si può non rimanere ammirati dinanzi alla vicenda di una ragazza orfana e povera che in virtù della sua sensibilità e del suo fascino riesce a conquistare l’indipendenza, il prestigio mondano, l’amicizia e la stima di personaggi del calibro di Condillac, Diderot, Marmontel, Guibert, Turgot, d’Alembert, Condorcet. Che cosa è rimasto di quest’arte suprema del saper vivere, di questo modo di agire gli uni sugli altri con garbo, maestria, gusto, allo scopo del miglioramento reciproco? Nulla o quasi. Sparita ovunque l’aristocrazia del sangue e quella culturale, spariti i modi del buon vivere, gli incontri mondani e la cultura che vi circolava. E’ triste, oggi, vedere quanto si sia abbassato il livello culturale di tutti noi, quanto poco teniamo al parlare in modo corretto, alle buo- zione, di civiltà, di elevazione spirituale. Armando Santarelli ne maniere, alle citazioni colte, ai motti,

Un sogno che apre un varco nel passato La piazza è catramata dall’inverno: le sette ed un quarto del mattino sanno di scuola, di aghi di pino sparsi dal vento in uno shangai disordinato, di macchine da caffè avvitate come agili ballerine; un orlo di fioriere delimita il percorso delle auto da quello dei pedoni. Quello spartitraffico naturale e romantico ci saluterà qualche anno dopo, giusto il tempo di tagliarmi i capelli, di imparare ad usare gli ombretti, di portare le mani alle orecchie mentre le mine brillano e scavano un tunnel più giovane nella pancia della nostra montagna. La piazza di quelle mattine di febbraio è fatta di poche cose semplici e sicure che ormai fanno parte della nostra vita, quasi come dei componenti di famiglia: l’ufficio postale con la sua luce paglierina, la farmacia, la minuscola edicola, un portone sempre chiuso con sopra la scritta Ricordi di Ravello e nella cui pancia perennemente costipata immagino siano concretizzati depositi di vecchie deglutizioni, stemmi, foto, e poi ancora una salumeria con in bella vista una bilancia gigantesca. Io, come tutti gli altri, aspetto ingessata nel bavero della mia giacca l’autobus che ci porterà ad Amalfi, con noi c’è anche un amico di allora: non frequentiamo la stessa classe, è più grande di me, ma ci conosciamo da sempre, facciamo lo stesso percorso per andare a scuola, compariamo puntuali nella stessa arena di circa duemila abitanti, qualche volta abbiamo trascorso dei pomeriggi estivi insieme a giocare nel retro azzurrino della sua bottega di cui ricordo una bicicletta e tante racchette,io non ho mai avuto sufficiente equilibrio né una buona coordinazione mano occhio. Siamo forse in dieci ad aspettare l’autobus, abbiamo tutti la stessa espressione assonnata, profumata di latte e biscotti, di un ripasso veloce , del timore di un’interrogazione che ci angoscia, con l’ansia che ci riga le labbra, tutti con gli zaini sulle spalle, come tartarughe, quelli sono i nostri gusci al sapore di latino, di greco, di matematica. Nessuno è al cellulare, troppo presto, troppo sconveniente per quella generazione fatta di diari, di lettere, lontana dagli sms e dunque ancora non avvezza al frenetico tip tap di dita su microscopiche, tastiere


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intelligenti dotate perfino di un dizionario ragionato, capace di correggere meglio di un insegnante qualsiasi strafalcione dettato dalla distrazione o dalla scarsa preparazione. Si parla di tutto e di niente, si scherza soprattutto, ci si augura uno sciopero improvviso, che una navicella aliena decurti l’ora di latino della sua protagonista spietata, ci si strattona, si progetta il fine settimana, si riassume la trama inquietante di twin peaks, si scommette sulla faccia dell’assassino, io ho un’idea, ma non coincide con quella degli altri. All’improvviso, mentre ancora vorremmo attardarci in quella onesta

pausa di cui tutti ci sentiamo meritevoli, oltre che bisognosi, il lombrico azzurro della Sita sbuca dal nulla e con un abile movimento circolare, fa manovra per ingigantirsi ed ingoiarci. Il mio amico di allora, più grande di me, con cui giocavo nel retro bottega, bravo a tennis, alto, resta immobile, non viene con noi, addirittura cambia direzione, io lo guardo stupita, penso non abbia voglia di venire a scuola, gli faccio un gesto, mi aspetto che all’improvviso si unisca a noi, ma niente, resta là, impassibile. Allora sono io a raggiungerlo, farfuglio qualcosa , non mi guarda, sembra intorpidito, distante. Lui non risponde, ma da una gestualità paradossalmente immobile, comprendo che , pur volendo, non posso tenergli compagnia, né prendere la sua stessa direzione, devo andare con gli altri, verso l’autobus, verso la mia mattina a via Valle dei Mulini, sotto la roccia, distante dal mare e tuttavia non abbastanza da non sentirne l’odore. Eseguo, mi volto, lui non è più lì’. Io proseguo, la-

scio il mio amico di allora indietro,al suo segreto. Per una settimana di tanti anni fa, questo è stato il sogno ricorrente di molte delle mie notti, poi, così come era arrivato a tenermi compagnia, si è sfilato dalla mente, dissolvendosi. Dovevo riflettere su una data particolare, una spina che sta piantata fra il broncio di ottobre e le gote arrossate di dicembre,il due novembre, giorno dedicato ai defunti, dovevo tessere il mio ricamo di parole intorno a questo giorno in cui, non so se casualmente o con solenne preparazione, il cielo è quasi sempre plumbeo, innocuo e fermo, come se ci fosse asfissia Avevo paura di non essere in grado di dire qualcosa che potesse essere adatto, quindi di risultare banale, scontata, poi, ho ricordato all’improvviso il sogno che mi ha accompagnato dopo che il mio amico di allora, che non frequentava la mia stessa classe, che era più grande di me e con cui giocava nel retro bottega, ci ha lasciati senza un motivo. Cos’è la morte? Non posso dirlo, non sono nessuno per farlo. Forse è la semplicità di quel gesto con cui il mio amico mi diceva di non aspettarlo, di non tentare di seguirlo. E’ accettare il fatto che prenderà un’altra direzione e che non si unirà a me, a noi. Il mistero è rispettare quel momento, capire che bisogna andare avanti, continuare dall’altra parte, ma che tuttavia non si è lontani, che c’è sempre una corrispondenza che non impedisce osmosi fra i propri cari e noi. C’è solo un muro, fatto di un orario che l’altro non potrà più rispettare, di un’azione che non condivideremo, di un abbraccio e di una voce di cui avremo solo perenne, malinconica memoria, di un appuntamento a cui saremo soli fino a quando un pensiero, una foto, una preghiera, a volte, come nel mio caso, un sogno, ci apriranno un varco nello stesso muro da cui siamo spaventati ed inibiti.

Emilia Filocamo

Celebrare la fede Nella nostra società si riscontra una generalizzata crisi di valori morali ed etici .La verità , la giustizia , la solidarietà sono sopraffatti da un unico ideale : la ricchezza ed il potere .Noi cattolici soffriamo ancora di più perché ci rendiamo conto che c’è anche una crisi di fede , non solo all’esterno ma anche all’interno della stessa Chiesa, fra coloro che sono battezzati. Nelle nostre parrocchie vi sono sempre più posti vuoti e manca all’appello l’intera nuova generazione di giovani. Per aiutare i cristiani a riscoprire la fede il Papa Benedetto XVI , ha voluto indire l’Anno della Fede. E’ indispensabile riscoprire la bellezza e la gioia di essere cristiani. La fede è dono di Dio. Nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo : “La fede è la virtù teologale per la quale noi crediamo a Dio e a tutto ciò che Egli ci ha rivelato e che la Chiesa ci propone di credere, perché Dio è la stessa Verità. Con la fede l'uomo si abbandona a Dio liberamente”. (386) La fede come qualsiasi altro dono esige una risposta generosa, libera e fiduciosa. I battezzati, allorquando comprendono il dono della fede che hanno ricevuto devono corrispondere alla Rivelazione che Dio fa di se stesso attraverso il Cristo Gesù, con gioia ,entusiasmo e determinazione. Aderire a Cristo ed ai suoi insegnamenti significa trasformare poco a poco la nostra mentalità per riuscire a vivere secondo i criteri di Dio. Molti sono i cristiani nelle nostre comunità che vivono con fedeltà, abbandonati completamente nelle mani di Dio; le opere che essi compiono sono proprio la testimonianza della presenza dello Spirito Santo nel loro cuore. Allo stesso tempo si può constatare che molti si proclamano cristiani, affermano di credere in Dio ma di fatto non lo conoscono e vivono lontano da Lui, come se Egli non ci fosse, non vi si affidano e non riescono a percepire la “consolazione di incontrarsi personalmente con Lui per sperimentare il suo Amore incondizionato, la sua Misericordia ed il suo Perdono”.

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Anche coloro che conducono una vita di fede, molto spesso, non restano immuni da sbandamenti, dubbi, incertezze e deformazioni ,per questo è necessario rinnovare “permanentemente” la fede, senza stancarsi ,per essere sempre perseveranti e fedeli al Signore che ci viene incontro e ci invita a vivere nella sua amicizia . Una fede rinnovata si ottiene attraverso un umile e paziente itinerario di catechesi. La catechesi,infatti, “ci mette non solo in contatto, ma in comunione , in intimità con Gesù Cristo.” ( DGC 80) L’educazione ci porta a vivere differenti dimensioni della fede: professata, celebrata, vissuta, pregata. Elemento comunque indispensabile per pronunciare il nostro “sì incondizionato” al Signore è creare intorno a noi “ spazi di silenzio”in cui è necessario abbandonare i pensieri a volte inutili che ci assillano, liberarsi dal frastuono e dalla fretta che dominano le nostre giornate per riempire le orecchie e poi i nostri cuori della Parola di Dio e riuscire così a percepire il soffio leggero dello Spirito che ci parla . Lo stesso Papa Benedetto XVI ci ha ricordato : “E’ importante oggi pure per noi ... saper fare silenzio in noi per ascoltare la voce di Dio, cercare, per così dire un “parlatorio” dove Dio parla con noi: Apprendere la Parola di Dio nella preghiera e nella meditazione è la strada della vita”. Tutto questo è preghiera. La preghiera è la nostra risposta generosa al dono della fede .Nella preghiera Dio rivela a noi il suo Volto, parla a ciascuno nell’intimità e ci invita a seguirlo. La preghiera inoltre trasforma la nostra “ in fede celebrata “, poiché la fede non può essere vissuta nell’intimità delle nostre coscienze, occorre testimoniarla pubblicamente e celebrarla. “ La fede va celebrata e partecipata nella Liturgia e nella Carità.” I cristiani adulti che vogliono cambiare il loro

stile di vita scelgono di aderire con convinzione e determinazione al Mistero di Cristo e non hanno difficoltà ad offrire agli altri le ragioni della propria fede e dell’appartenenza alla Chiesa. Essi sono gioiosi nel manifestare la propria fede nelle Celebrazioni Eucaristiche, soprattutto domenicali, e nei Sacramenti; non mostrano timidezza nel proclamare la convinzione delle scelte di tipo cristiano nelle realtà sociali,nell’impegno politico ,nel mondo della cultura e del lavoro . La fede adulta, infatti va confessata ,celebrata per poter annunciare in modo credibile il Vangelo di Gesù ed aumentare la “ forza missionaria” che si riceve attraverso il Battesimo. Un invito allora a tutti i cristiani a non abbandonare la “ formazione alla fede , la Liturgia Comunitaria, soprattutto della Domenica e la Preghiera quotidiana”. Abbandonare queste pratiche significa rischiare con il tempo, di allontanarsi da Dio, di non ascoltare più la sua chiamata e non sperimentare più la sua presenza vicina ed amorevole. Solo nei Sacramenti, nella Preghiera e nelle Celebrazioni Liturgiche si avverte la Presenza Salvatrice di Dio e si fa esperienza della Sua Grazia e del Suo Amore.

Giulia Schiavo La Giornata di Preghiera per le Claustrali Il 21 novembre, memoria liturgica della presentazione di Maria al tempio, è la giornata dedicata alla preghiera per le Claustrali. Oggi si ripropone sempre più forte l’interrogativo sull’utilità per la Chiesa di monasteri che accolgono vergini consacrate e impegnate esclusivamente nella preghiera. È lo stile della nostra società, che considera fuori luogo la contemplazione a fronte di obiettivi da raggiungere ma allo stesso tempo favorisce, con forme non sempre positive, l’isolamento, la riflessione interiore e la meditazione, che provoca questo interrogativo e, forse, proprio l’occasione della giornata di preghiera per le Claustrali può aiutarci a capire che ricchezza rappresenta per la Chiesa e per la comunità la presenza di monasteri di clausura. In quest’anno, dedicato alla riscoperta della nostra fede nel cinquan-

tesimo anniversario del Concilio Vaticano II, approfondire il perché di una scelta di vita così estranea ai canoni della società moderna può aiutarci a capire il perché noi crediamo. Il documento conciliare Perfectae Caritatis sottolineava come i Monasteri dediti esclusivamente alla contemplazione occupano un posto preminente nel Corpo mistico di Cristo producendo frutti di santità costituendo una gloria per la Chiesa e una fonte di grazie celesti per le comunità e proprio in quest’ottica le Claustrali rappresentano una ricchezza per le comunità ecclesiali che le accolgono. In queste sorelle che hanno voluto pronunciare con la stessa intensità di Maria il proprio “sì” a Gesù, ponendolo al centro della propria vita, dobbiamo riscoprire la bellezza di questa presenza assoluta, che nelle loro giornate si fa preghiera, lode e contemplazione. La preghiera, la lode e la contemplazione, infatti, sono gli strumenti scelti dalle Claustrali per vivere quest’unione a Cristo e alla Chiesa, che, come scritto nella Perfectae Caritatis, le considera una gloria. In quest’ottica, la presenza storica a Ravello di numerosi monasteri ed oggi di un monastero di clausura dell’ordine delle Clarisse va letta come una ricchezza spirituale che deve dare i suoi frutti in fatto di crescita della comunità ecclesiale. Occorre guardare a quel cenacolo di preghiera come ad un luogo dove, tra i rumori del mondo, rivive il silenzio e la pace della casa di Nazareth, dove ogni giorno riprende forma il “sì” di Maria con lo stesso amore per il prossimo del giorno dell’Annunciazione. La comunità ecclesiale ravellese, raccolta nella celebrazione liturgica domenicale, ha voluto pregare per le sue Suore Clarisse, perché possano continuare ancora ad elevare lodi al Signore per tutti i membri della comunità; sempre più c’è bisogno, infatti, di una preghiera costante per riscoprire la propria fede e vivere il Vangelo nella quotidianità. L’augurio è che vivendo in modo più maturo l’essere cristiani impariamo a riconoscere la ricchezza spirituale che le nostre comunità nascondono e a ringraziare Dio per le grazie celesti che ogni giorno attraverso le Claustrali riversa su di noi.

Maria Carla Sorrentino


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La Salute come bene universale da assicurare e difendere In un comunicato stampa del 17 Novembre 2012, Papa Benedetto XVI raccomandava che: ” in tempi di crisi economica che sottrae risorse alla tutela della salute, gli ospedali e strutture sanitarie ripensassero al proprio ruolo per evitare che la salute, anziché bene universale da assicurare e difendere, diventi una semplice 'merce' sottoposta alle leggi del mercato, quindi un bene riservato a pochi". Il tema della tutela della salute viene affrontato quotidianamente a livello mondiale sotto diversi aspetti da persone ed istituzioni che propongono diverse soluzioni per vivere sani e prevenire malattie e decadimento fisico. L’Unione Europea ha proclamato il 2012 “Anno europeo dell'invecchiamento attivo e delle solidarietà tra le generazioni” con l’obiettivo di promuovere una cultura dell'invecchiamento che valorizzi l'utile contributo degli anziani alla società e all'economia. Sono sempre più le persone che raggiungono la terza età e viverlo in modo sano e da indipendente è un obiettivo importante sia per se’ stessi che per le relazioni sociali con parenti ed amici. Questi sono segnali che la cultura del benessere fisico sta maturando verso nuove prospettive, inquadrando la pratica di un’attività fisica non soltanto come mezzo per stare in forma e/o competere nelle varie discipline, ma anche come la migliore soluzione per la prevenzione delle malattie degenerative della terza età. Per gli anziani i benefici riguardano l’autonomia funzionale, la diminuzione del rischio di cadute e di fratture e la protezione dalle malattie correlate all’invecchiamento. L'esercizio fisico non solo fa bene alla salute ma allena anche il cervello e lo rende più brillante. I benefici dello sport a livello cognitivo si riscontrano anche nei nonatleti, in chi è sedentario, in sovrappeso e a rischio di patologie cardiovascolari già dopo 4 mesi di allenamento. La con-

nessione fra attività cerebrali e movimento è stata indagata dai ricercatori del Montreal Heart Institute su un gruppo di soggetti, di eta' media 49 anni, tutti in sovrappeso e sedentari, sottoposti a test neuropsicologici, cognitivi e biologici. Lo sport rende il cervello più intelligente e sveglio, migliora le capacità di ragionamento, la memoria e la prontezza a prendere decisioni. I partecipanti all'indagine, in sovrappeso e con più di un fattore di rischio di patologie cardiovascolari, sono stati sottoposti a 4 mesi di allenamento 'sprint' due volte la settimana, composto da esercizi aerobici intensi di breve durata come uno scatto di corsa o bicicletta mantenuto per 30 secondi alternati a esercizi a bassa intensità come una camminata rapida. ''Dopo 150 minuti di allenamento di tipo moderatovigoroso a settimana, svolto per 4 mesi, non solo sono migliorati i parametri cardiaci, colesterolo, pressione del sangue e il peso ma è incrementata l'ossigenazione del cervello e sono migliorate le capacità cognitive'', spiega Martin Juneau, direttore del centro di prevenzione al Montreal Heart Institute e della ricerca. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) raccomanda un minimo di 30 minuti di attività fisica moderata (che include ma non si limita allo sport) al giorno per gli adulti e di 60 minuti per i bambini. L’inattività fisica è al quarto posto tra le principali cause di morte dovuta a malattie croniche, quali disturbi cardiaci, ictus, diabete e cancro, e contribuisce ad oltre 3 milioni di morti evitabili all’anno a livello mondiale. La mancanza di attività fisica contribuisce, inoltre, ad aumentare i livelli di obesità infantile e adulta. Lo sport , praticato a livello amatoriale, fa bene alle persone di ogni età: nei bambini promuove uno sviluppo fisico armonico e favorisce la socializzazione, mentre negli adulti diminuisce il rischio di malattie croniche e migliora la salute mentale. Non è mai troppo tardi per iniziare con l’attività fisica. Per attività fisica non si deve intendere necessariamente la pratica di uno sport o l'effettuazione di faticosi allenamenti, ma anche, più semplicemente ed alla portata di tutti, un'attività moderata,

purché costantemente ripetuta. L'azione del camminare può corrispondere a questa esigenza di attività fisica minima giornaliera in quanto conciliabile con le esigenze quotidiane in particolare quelle della persona adulta, e praticabile in ogni spazio e ambiente, senza alcun onere di carattere economico. Il cammino rappresenta il primo livello per tutti coloro che desiderano iniziare a dedicarsi alla propria salute . E’ un’attività che svolge un ruolo importante sia nella prevenzione primaria che secondaria delle malattie cardio-vascolari, può rappresentare un modo per riscoprire il valore del dialogo, dell’amicizia, della compagnia degli altri. L'azione educativa della famiglia dovrebbe, pertanto, puntare sull’educazione all’attività fisica per strutturare nei giovani l'abitudine al movimento, sfruttando ogni occasione offerta dalla quotidianità, e la scuola, dal canto suo, dovrebbe organizzare percorsi didattici appositamente costruiti per il raggiungimento delle medesime finalità. È sufficiente camminare per almeno 30 minuti al giorno per "bruciare" le calorie in eccesso. A seconda delle età e delle opportunità possono essere considerati attività fisica anche il gioco, la possibilità di svolgere, in alcuni momenti della giornata, semplici esercizi di mobilizzazione o di allungamento (stretching), salire le scale e spostarsi a piedi quando non sia assolutamente necessario l'uso dell'auto o dei mezzi pubblici. Anche le attività classicamente svolte per i lavori di casa fanno bruciare calorie… così come il ballo. Da qualunque punto di vista la si guardi, l’attività fisica che sia sotto forma di sport praticati o delle semplici camminate all’aperto o che sia rappresentato da momenti di svago e di gioco, fa bene sia al fisico che alla mente. Proprio come un vero farmaco, l'attività fisica può migliorare la salute delle persone, ma solo se 'somministrata' in quantità e modi corretti. A come 'prescrivere' meglio lo sport sono state dedicate alcune sessioni del Congresso Mondiale di Medicina Sportiva, presentato a Roma, a settembre 2012 nella capitale.

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Segue da pagina 9 "Mantenersi attivi fin da giovani è un'attività di prevenzione - ha spiegato Maurizio Casasco, presidente del congresso e della federazione Medico Sportiva Italiana - ma come tutte le terapie necessita di una prescrizione corretta. Il medico sportivo è la persona competente per la prescrizione dell'esercizio fisico, che se troppo poco è inutile, ma se è troppo può essere dannoso e addirittura pericoloso". Nel settore l'Italia rappresenta una delle eccellenze mondiali, ha ricordato Fabio Pigozzi, presidente della Federazione Internazionale di Medicina Sportiva: "L'Italia è stata la prima nazione al mondo ad avere una specializzazione in medicina dello Sport - ha spiegato Pigozzi - inoltre l'aspetto di grande rilevanza sociale della visita d'idoneità obbligatoria per legge ha fatto dell'Italia il paese antesignano di un modello che è stato raccomandato da organizzazioni internazionali prestigiose a partire dal Comitato Olimpico". Per riuscire però a raggiungere un numero maggiore di persone, a cominciare dai ragazzi sempre più sedentari, i medici dello sport hanno bisogno di 'aiuto', soprattutto dalle scuole: "Le scuole dovrebbero fare come i campus americani ha suggerito Casasco - e aprire le strutture anche al di fuori dell'orario delle lezioni". A Ravello, grazie alla collaborazione della chiesa locale, dell’amministrazione locale e dell’istituto scolastico, le associazioni sportive del territorio (Costiera e Monti Lattari e Movicoast) stanno seguendo queste direttive per promuovere la pratica delle discipline sportive ed artistiche sin dalla più giovane età, utilizzando anche i locali della scuola in orari extracurriculari ed organizzando le visite mediche per il rilascio del certificato di idoneità fisica. Una buona organizzazione, il buon esempio dato ai bambini ed agli adulti, unita all’attività di volontariato finalizzata al miglioramento della qualità della vita della collettività, contribuiscono sia a promuovere la cultura allo sport sia il senso di appartenenza alla comunità, valori che non hanno scadenza nel tempo.

Le confraternite di Ravello e di Campagna rinnovano il legame di amicizia

“Le confraternite del SS. Nome di Gesù e della Beata Vergine del Monte Carmelo di Ravello e quella Monte dei Morti e della Beata Vergine del Carmelo di Campagna rinnovano l’impegno a testimoniare la fede in Gesù Risorto nella comune devozione a Maria Santissima del Monte Carmelo”. Con queste parole, contenute nel testo sottoscritto dai priori Giovanni Apicella e Giacomo Aiello, domenica 11

novembre 2012, nel Duomo di Ravello, i due sodalizi hanno confermato il legame di collaborazione e comunione, avviato il 26 novembre 2011 a Campagna. Una celebrazione alla quale gli associati hanno partecipato indossando l’abito previsto dai rispettivi statuti, camice, cingolo, mozzetta e medaglione. Commosse, al termine, le parole del Priore ravellese, Giovanni Apicella, quando ha ricordato i confratelli defunti nell’anno in corso, Alfonso Tenebre e Rosaria Elefante. Profondamente emozionato anche il celebrante, Don Giuseppe Imperato, Marco Rossetto quando ha chiesto ai confratelli campa-

gnesi di porgere un affettuoso saluto a Don Carlo Magna, che per diversi anni ha collaborato fervidamente con la Parrocchia Santa Maria Assunta di Ravello. Ha ricordato inoltre l’opera di Mons. Giuseppe Maria Palatucci, il frate di Montella rettore del Collegio Serafico di Ravello nel 1923 e poi Vescovo di Campagna dal 1937. Dopo la scambio dei doni e la consegna della pergamena, i confratelli di Campagna hanno visitato la Cappella di San Pantaleone con il Prof. Luigi Buonocore e goduto di un momento di fraternità, offerto dai colleghi ravellesi. Verso le 13.00, gli amici di Campagna hanno lasciato Ravello, sicuramente edificati da questa esperienza di comunione, che speriamo possa continuare e saldarsi ancor di più negli anni che verranno. Del resto la vocazione missionaria dei laici impegnati, auspicata dal Beato Giovanni Paolo II n el l ’Esor tazi on e A po stolic a “Christifideles Laici”, specialmente in questo Anno della Fede deve costituire la linfa di una nuova evangelizzazione e di un approfondimento serio della Parola di Dio, percorso ineludibile di ogni cristiano e compito precipuo delle associazioni laicali. Una testimonianza credibile che deve aiutare a riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata, anche partendo dalla pesante eredità che ci hanno lasciato i nostri avi, che per primi scoprirono e vollero le aggregazioni laicali. Una moltitudine di uomini e donne di tutte le età, che hanno confessato la bellezza di seguire il Signore, e hanno trasmesso questo patrimonio di valori e tradizioni alle nuove generazioni.

Salvatore Amato


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Benedizione delle tessere di Azione Cattolica e rinnovo dell’impegno di adesione Quest’anno la benedizione delle tessere di Azione Cattolica da parte dell’Arcivescovo, Mons. Orazio Soricelli, ha avuto una cornice formativa molto importante per coloro che hanno deciso di rinnovare il loro “Si” all’Associazione. Nel Salone degli Stemmi dell’arcivescovado, ad Amalfi, infatti, sabato 1° dicembre, alla vigilia della prima domenica di Avvento, gli iscritti all’AC da tutta la Diocesi si sono ritrovati per ascoltare le importanti considerazioni fatte da Don Vito Piccinonna, Assistente nazionale del settore “giovani” di AC, su “Vivere l’AC nella Chiesa bella del Concilio”. Don Vito ha ripercorso la storia dell’AC prima e dopo il Concilio Vaticano II, soprattutto evidenziando quanto dell’esperienza associativa è stata accolta dai documenti conciliari e ora costituisce le fondamenta di questo nuovo modo di vivere la Chiesa, così come è venuta fuori dal Concilio stesso. Una Chiesa quella post conciliare che non rinuncia ad essere maestra ma coniuga a questo compito quello propedeutico di essere madre. Il Concilio, infatti, riduce e annulla la distinzione tra gerarchia e laicato, che è stato chiamato ad essere realmente popolo di Dio, riscoprendo la dignità sacerdotale, profetica e regale che è fatta dono dalla grazia del Battesimo. Questa dignità era già riconosciuta prima del Concilio dall’AC, che, nata dalla volontà di due giovani a metà Ottocento, si era data l’impegno di costruire una società cristiana operando dentro e fuori la Chiesa. L’opera del Concilio ha rappresentato per la Chiesa il momento del risveglio, in quanto, lungi dal rinnegare il passato, la Chiesa ha riconosciuto la necessità di svegliarsi dal sonno durato secoli e di aprire gli occhi sul mondo, che intanto aveva percorso le strade del progresso e del cambiamento. In quest’ottica l’AC partiva avvantaggiata in quanto aveva già al suo interno quella sensibilità e quelle intuizioni che poi diventeranno le conclusioni conciliari. Nel decreto Apostolicam Actuositatem, al numero 20 viene citata l’AC, a cui i Padri conciliari riservano lo stesso fine apostolico della Chiesa che è “l'evangelizzazione

e la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza, in modo che riescano ad impregnare dello spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti”. Il Concilio riconosce ai laici la corresponsabilità, insieme alla gerarchia, della crescita della Chiesa. Questa visione prevede una figura di laico diversa da quella che fino al Concilio si era avuta e non bisogna dimenticare che il Papa Paolo VI, che chiuse il Concilio, era stato assistente della FUCI, e che il nuovo ruolo del laico risente molto di quello che già in AC era presente. Don Vito ha affidato ai presenti, alla conclusione dell’incontro, una serie di impegni che costituiscono i veri strumenti per crescere spiritualmente nell’Associazione e fare sì che l’AC sia in parrocchia lievito di comunione e spiritualità. Innanzitutto occorre conoscere i documenti del Concilio (almeno la Lumen Gentium, la Dei Verbum, la Gaudium et Spes e l’Apostolicam Actuositatem), poi occorre vivere una profonda spiritualità e una formazione integrale fatta di catechesi, liturgia ma anche carità, proporre da parte degli educatori la misura alta della vita cristiana che è la santità, recuperare e valorizzare la missione laicale della Chiesa nel mondo e recuperare il volto comunionale della Chiesa, occorre, cioè, fare comunione. A conclusione di questo momento, i partecipanti, guidati dall’Arcivescovo, dall’Assistente diocesano, Don Antonio Porpora, dal Presidente diocesano e dall’Assistente nazionale, si sono trasferiti nella cripta della Cattedrale, dove, all’ombra dell’Apostolo Andrea, primo chiamato alla sequela di Gesù, sono state benedette le tessere che i presidenti parrocchiali daranno agli iscritti e è stato rinnovato l’impegno di adesione all’AC. Un momento di festa ha concluso un pomeriggio lungo ma bello e sicuramente molto importante per i giovanissimi e gli adulti della nostra parrocchia che hanno partecipato con grande interesse.

Maria Carla Sorrentino

Lettera alle famiglie

Insieme per il bene di tutti! Cari Fratelli, ancora una volta mi permetto di invadere l’intimità della vostra casa per riflettere con i membri della vostra famiglia sull’importanza dei valori umani e spirituali che nascono e si acquisiscono all’interno dei nuclei familiari.La famiglia infatti, nelle nostre comunità deve essere sostenuta e resa protagonista attiva, affinchè valori quali gratuità,solidarietà, reciprocità ed accoglienza, siano tradotti in comportamenti di vita . La famiglia resta il primo ed indispensabile soggetto deputato alla trasmissione dei valori .In questo spazio interpersonale si percepiscono e si sperimentano esperienze di relazioni, di affetti, e di comunicazione che aiutano a capire il significato stesso della vita e ad avere fiducia nel futuro. I buoni principi, però non basta receperli , è necessario metterli in pratica nella quotidianità . I membri delle vostre famiglie , devono rendere testimonianza diretta, soprattutto come esempio verso le nuove generazioni, di scelte ragionevoli,di esperienze di vita moralmente corretti , di comportamenti coerenti ispirati agli insegnamenti evangelici dell’Amore verso Dio e verso il prossimo. Cari fratelli, in questo compito di maggiore solidarietà e di apertura agli altri, non dovete sentirvi isolati ! La nostra Comunità Parrocchiale “ Famiglie di più famiglie”,è sempre pronta ad accogliervi , e già si sta lavorando con specifici itinerari di spiritualità per sostenere adeguatamente la famiglia ed i bisogni primari che in essa si presentano. Il Piano Diocesano voluto dall’Arcivescovo, ci incoraggia ad operare insieme , ad affrontare le difficoltà insieme per “realizzare il bene di tutti “. E’ necessario imparare a vivere le nostre relazioni nella carità fraterna per riuscire di portare a compimento le parole di Gesù : “Come io ho amato voi , così amatevi anche voi gli gli altri.” ( Gv 13,31). Con l’augurio di realizzare una Comunità sempre più accogliente e solidale fraternamente vi saluto.

+ Orazio Soricelli, Arcivescovo


CELEBRAZIONI DEL MESE DI DICEMBRE GIORNI FERIALI Ore 17.00: Santo Rosario Ore 17.30: Santa Messa GIORNI PREFESTIVI E FESTIVI Ore 17.30: Santo Rosario Ore 18.00: Santa Messa GIOVEDI’ 6-13-20-27 DICEMBRE Al termine della Santa Messa delle 17.30 Adorazione Eucaristica LUNEDI’ 3-10-17 Itinerario di Formazione alla Fede con il Catechismo della Chiesa Cattolica per tutti gli Operatori Pastorali – “L’uomo è capace di Dio” 2 DICEMBRE I DOMENICA DI AVVENTO Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 3 DICEMBRE Memoria di San Francesco Saverio 4 DICEMBRE Memoria di Santa Barbara Vergine e Martire, Compatrona di Ravello Ore 17.00: Adorazione Eucaristica Ore 18.00: Santa Messa della Purificazione 8 DICEMBRE Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 9 DICEMBRE II DOMENICA DI AVVENTO Ore 8.00-10.30: Sante Messe Ore 18.00: Santa Messa vespertina e processione con la statua di Santa Barbara 13 DICEMBRE Memoria di Santa Lucia Vergine e Martire 15 DICEMBRE InIzio della Novena di preparazione al Natale 16 DICEMBRE III DOMENICA DI AVVENTO Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 19 DICEMBRE Ore 18.00: Incontro dell’Arcivescovo con gli operatori pastorali 23 DICEMBRE IV DOMENICA DI AVVENTO Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 24 DICEMBRE Natale del Signore Ore 24.00: Messa della notte 25 DICEMBRE Solennità del Natale Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 26 DICEMBRE Santo Stefano Protomartire Ore 10.30 - 18.00: Sante Messe 30 DICEMBRE Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 31 DICEMBRE Ore 18.00: Santa Messa di ringraziamento di fine anno


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