In memoria di
PERIODICO DI INFORMAZIONE E CULTURA DELLA PRO LOCO - TIGGIANO
DAVIDE
NOI E LA LIBERTÀ DI STAMPA di Alfredo De Giuseppe
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a vicenda degli operai Adelchi che da alcune settimane è alla ribalta delle cronache regionali e non solo, è oramai nota a tutti e si sta manifestando in tutta la sua drammaticità. Dopo aver occupato per giorni il tetto di Palazzo Gallone e Piazza Pisanelli, a seguito del mancato rispetto degli impegni presi dall’imprenditore circa il riavvio del ciclo produttivo ed il rientro dei lavoratori in cassa integrazione, gli operai, esasperati dai mesi di instabilità lavorativa e dalle contraddittorie richieste dello stesso imprenditore ad Istituzioni e sindacati, avevano addirittura occupato la sede Sergio’s di Specchia. Attualmente sembrava essersi trovato un accordo tra Adelchi e le forze sindacali grazie all’intervento della Regione Puglia, tuttavia gli stessi lavoratori, considerandolo insufficiente rispetto alle loro aspettative, stanno tuttora continuando la protesta. Al di là degli aspetti politici della vicenda, ciò che più colpisce sono ovviamente i risvolti umani. Gli uomini che stanno trascorrendo interi giorni e notti passando dal cornicione di Palazzo Gallone alla occupazione dell’azienda non sono eroi ma, come si sono definiti essi stessi in un recente comunicato, padri di famiglia e mariti
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erché la libertà di stampa è un principio che ci riguarda tutti? Per un motivo molto semplice: è uno dei requisiti fondamentali per il nostro essere cittadini. La libertà di pensiero e quindi di stampa è stata una conquista complessa per l’umanità, tant’è che ancora oggi in qualsiasi sistema dittatoriale la prima cosa che viene abolita è la reale possibilità di pubblicare a mezzo stampa o video le informazioni non ufficiali. Noi in Italia abbiamo un problema che ci rende completamente anomali rispetto ai principi teorici di una buona democrazia e rispetto alla concretezza del resto d’Europa che ci guarda sempre più con piglio negativo: un problema che ha un nome e un cognome e che purtroppo per tutti noi è il nostro presidente del consiglio, il Cav. Silvio Berlusconi. Questa anomalia è nata e cresciuta nell’era craxiana, fra antenne selvagge, tangenti, fondi neri, corruzione di giudici, società off-shore e frequentazioni piduiste. A quel tempo pochi colsero l’enormità delle concessioni nazionali via etere in modo quasi esclusivo ad un’unica persona (fra questi De Mita che dimise i suoi ministri dopo l’approvazione della legge Mammì - rivedersi gli articoli del tempo per capire meglio la dinamica dell’ascesa del Cav). Pochi avevano apprezzato l’importanza del mezzo televisivo per produrre e costruire consenso politico, elettorale, economico. Da allora Berlusconi con un
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di Bianca Paris
a pioggia di informazione è un anestetico sottile che appanna curiosità, sorpresa e partecipazione, soprattutto quando gli eventi raccontati sono remoti nel tempo e nello spazio. Di tutt’altro registro è il dolore che ti esplode nel cuore in conseguenza di un dramma che, pur collettivo, si è consumato nei tuoi paraggi e addirittura con il contributo del tuo sangue. A questo dolore indicibile appartiene la tragedia che il 17 settembre ha mozzato il fiato a mamma e papà di Davide Ricchiuto, il Caporal Maggiore scelto della Folgore, abbattuto insieme a cinque commilitoni mentre era a Kabul, in missione contro quell’incubo di irrazionalità distruttiva che è il fondamentalismo islamico. Questo il dramma che dal nucleo familiare di Davide è traboccato sulla nostra comunità; l’ha risucchiata in quelle lacrime, e l’ha proiettata al primo piano della cronaca. Notorietà amarissima che nessuno di noi in assoluto avrebbe mai voluto vivere. 39º Parallelo purtroppo arriva in ritardo a dare voce a tanto lutto privato e collettivo. Altri fogli, con scadenza più ravvicinata, hanno potuto farlo con immediatezza e, bisogna aggiungere, in maniera egregia. Ora potrebbe sembrare che a quanto è stato detto e celebrato non ci sia altro da aggiungere, e invece intorno a fatti di tal portata, qualche cosa in più da dire c’è sempre, e non è detto che si tratti di una banalità. E allora proviamoci.
Anno IX, Numero 5 - Tiggiano, Ottobre 2009 - Distribuzione Gratuita
La premessa è che la persona di Davide, il suo ruolo, il sacrificio estremo sono stati omaggiati a livello ufficiale in modo eccellente. Riportiamo a lato i passi più significativi degli interventi fatti durante il rito funebre. Ci piace farlo perché riteniamo quegli interventi meritevoli di lettura e ripensamento. In parallelo però pensiamo che anche le parole, le esclamazioni, le mezze frasi bisbigliate dalla gente comune stretta attorno allo scoramento della famiglia, meritino rispettosa Continua a pag. 5
mezzo che va veloce, ipotizziamo che guidi una Ferrari, ha vinto molte sfide, ha superato molti concorrenti sulle 500, fino ad avere il controllo della Mondadori, di almeno un quotidiano in modo diretto e altri in modo indiretto. Infine, da quando è presidente del consiglio ha messo alcuni suoi uomini nei posti strategici della RAI, controllando di fatto anche il servizio pubblico. Lo strapotere mediatico che lo ha fatto vincere è diventato ora un mostro incontrollabile, fino a diventare un vero, reale e imminente pericolo per la libertà. Uomini che manipolano in modo costante e professionale (a volte in modo impeccabile) la realtà pur di mantenere il privilegio assoluto, politici che sono suoi avvocati difensori, intellettuali che hanno perso ogni senso del pudore, escort, veline, ministre avviluppate in unico grande gioco televisivo con punte da reality di quinto livello. Questo lo scenario sconfortante per chi vorrebbe invece un’Italia basata sulla civile convivenza, tesa in modo unitario alla soluzione dei problemi nuovi e antichi. Il Lodo Mondatori, con la sentenza civile di questi giorni che condanna la Fininvest di Berlusconi al pagamento di ben 750 milioni di euro al gruppo che fa capo a De Benedetti, è un paradigma perfetto dell’azione mediatico/politica di questi anni. Berlusconi per tramite di Cesare Previti, Continua a pag. 2
CRISI ADELCHI alcune riflessioni di Stefano Valli che vorrebbero tornare quanto prima alle loro famiglie. E per comprendere la drammaticità di questa vicenda, occorre spogliarla proprio di tutti quegli aspetti politico-economici e soffermare l’attenzione su queste persone che, seppur in numero costantemente decrescente, ostinatamente e con la forza della disperazione difendono il loro lavoro non solo come mezzo di sostentamento ma come elemento di dignità. Di fronte a queste proteste estreme il ruolo del lavoro riprende per intero il suo valore costituzionale, si riconferma elemento fondativo di un’intera società. In questo senso la vicenda Adelchi pone alcuni importanti spunti di riflessione. La manifestazione svoltasi a Tricase Mercoledì 30 Settembre è stata da tutti considerata un successo. Ma a prescindere da come si con-
cluderanno le trattative, quanto mai difficili e delicatissime, che sono in corso ai vari livelli istituzionali per cercare di risolvere la vertenza, è stato importante notare quanto forte sia stata la solidarietà della gente di tutto il Capo di Leuca. Al corteo che si è snodato lungo le strade di Tricase hanno infatti partecipato Sindaci, studenti, politici e sindacati, lavoratori dipendenti ma soprattutto tanti cittadini. Anche i commercianti, al passaggio dei manifestanti, hanno abbassato le saracinesche in segno di sentita partecipazione alle difficoltà degli operai. I quotidiani hanno giustamente sottolineato l’importanza delle tante presenze. In un periodo storico in cui i media ci descrivono una società contrassegnata dal cinismo degli adulti, orientati solo all’interesse personale ed economico, e dal disim-
pegno dei giovani, disinteressati del futuro ed occupati solo a navigare in internet o a stordirsi con ogni genere di sostanza, la massiccia e variegata presenza al corteo di mercoledì è soprattutto il segnale di una società viva e forte nelle sue radici, che guarda al dramma dei lavoratori Adelchi con gli occhi di chi, anche avendo conosciuto il benessere di oggi, non dimentica che esso è nato proprio grazie al sacrificio dei padri e dei nonni che con la forza del loro lavoro hanno onorato la loro terra. E’ il segnale che, Continua a pag. 2
39° Parallelo • ottobre 2009 Continua dalla prima NOI E LA LIBERTÀ DI STAMPA
condannato in sede penale, compra da due giudici romani una sentenza per far decadere l’accordo fra De Benedetti e la famiglia proprietaria della Mondatori. Berlusconi ne diventa il principale azionista. Dopo la sentenza penale la conseguente e corretta sentenza civile. A parte tutte le considerazioni morali (e ci sarebbe da scrivere un’enciclopedia), oggi Berlusconi sfruttando quello stesso potere mediatico che gli fu regalato anche attraverso queste sentenze, afferma che si tratta di un complotto politico, ordito da giudici, giornali e organizzazioni varie di sinistra. Il mostro mediatico si mette in moto, confonde le acque dicendo le mezze verità (Previti corrompe ma non viene mai nominato il mandante), spacca l’Italia,
pag. 2 non fa più riconoscere gli onesti dai disonesti, decapita tutte le garanzie intermedie al suo stesso strapotere, addomestica gli animi con notiziari ad hoc e trasmissioni zuccherose. Libertà di stampa per noi del Sud è doppiamente importante, prima come cittadini del mondo che devono comprendere, educare e formarsi delle idee. Poi come cittadini del Sud, di queste regioni colluse con le mafie, governate a colpi di populismo e propaganda, forti di un clientelismo secolare, di un nepotismo incrollabile, di una disinformazione mascherata di belle canzoni. Noi abbiamo bisogno della libertà di stampa, per esprimerci, per denunciare, per crescere. Per essere cittadini e non sudditi. Chi minimizza la questione non ha capito niente, sempre fino a ricredersi alla prossima catastrofe sociale, sempre in agguato, sempre vicina.
Continua dalla prima CRISI ADELCHI...
comunque dovesse concludersi la vicenda, gli operai e le famiglie avranno intorno non indifferenza ma il sostegno delle Istituzioni e l’umana solidarietà dei cittadini. Ma la vicenda Adelchi pone anche un serio problema di politica economica che tutte le forze orientate non in senso liberista non possono sottovalutare. Occorre fare una analisi critica delle scelte fatte negli ultimi anni. Tricase, come tanti altri paesi del Sud, ha investito molti anni fa nel settore calzaturiero, in altre zone si è puntato sul tessile. Erano anni di crescita economica, il Mondo era ancora bipolare e la concorrenza cinese non era nemmeno presa in considerazione. Il posto in azienda era considerato una sicurezza. Il tempo ha purtroppo smontato queste convinzioni ed ora lascia spazio solo ad una domanda semplice ma che nasconde una analisi critica profonda: è giusto affidare l’economia di un intera
comunità nelle mani di un’unica persona, l’imprenditore, che sente di non avere alcun dovere nei confronti della comunità che lo ospita se non quello di pagare gli stipendi ai suoi dipendenti? Se da questa crisi si vorrà trarre un insegnamento per il futuro non si potrà prescindere da domande come questa. L’imprenditore è per definizione un uomo libero il cui lavoro presuppone l’efficienza della produzione. In un mondo globalizzato è conseguenza naturale che egli si sposti dove guadagna di più, lasciando alle Istituzioni il problema di soste-
Storie del Dottore di Tiggiano ANTONIO NICEFORO di Marianna Massa
Innanzitutto mi scuso con le persone che mi hanno mandato le prime preziose testimonianze per il ritardo con cui scrivo questo pezzo. Purtroppo alla mia età bisogna sempre arrancare per sopravvivere e buttarsi in tutta una serie di avventure per fare curriculum e un po’ di soldi... Le mie avventure mi tengono sempre lontana dalla realtà di Tiggiano, di Lecce e dell’Italia. Allora avevo bisogno di tornare qua e restare abbastanza tempo nei luoghi dove il nonno Tonio aveva vissuto, con le persone che hanno condiviso la sua esistenza, perchè sono l’unico legame che abbia mai avuto con lui. Ed eccomi qua, a quasi un anno di distanza dall’appello che ho rivolto ai tiggianesi per far rivivere la memoria collettiva di Antonio Niceforo, eccomi qua alla Serra, Marina Serra, dove nella calma di Settembre ho finalmente trovato il tempo di tirare le somme delle prime poche ma buone testimonianze ricevute. Prime, ripeto, perchè spero che non siano le ultime. La più veloce a rispondere, come immaginavo, è stata mia madre, la figlia del Dottore, che continua fino ad oggi a imbattersi in persone, spesso sconosciute a lei, che ringraziano il nonno Tonio per vite salvate, fe-
rite risanate e tutta una serie di gentilezze mediche. Fino ad oggi, ripeto, anzi fino a ieri mattina quando stavamo passeggiando per la Serra e, passando dal lungomare, mi ha indicato una signora, dicendomi che le aveva raccontato che quando lei aveva il figlio piccolo, il dott. Niceforo le aveva portato da Lecce, perchè a Tiggiano non si trovava, un latte adatto a suo figlio che prima era stato male per il latte e non solo non si era fatto pagare la visita, ma nemmeno il latte comprato a Lecce. Nella email che mi ha mandato poco dopo l’appello, mia madre descrive episodi simili: “Ultimamente ho avuto due episodi: 1) alla sagra di Tiggiano quest’estate la signora che serviva le pizze, quando le ho dato il biglietto per ritirare un piatto mi ha guardata in faccia e poi mi ha detto:<<ma lei è la figlia del dott. Niceforo?>> e, alla mia risposta, si è messa a fare tante lodi del nonno e mi ha riempito il piatto di un sacco di roba da mangiare. 2) Al Comune di Tricase, dove in questi giorni sono andata più volte per la costruzione da fare alla Serra, un impiegato, quando ha letto il mio cognome, mi ha chiesto se ero parente del dott. Niceforo e poi, quando ha saputo che ero la figlia, mi ha detto che mio padre era un medico bravissimo, che aveva curato lui e la sua famiglia e che curava tanta gente a Tricase, Corsano ed altri paesi vicini e non si faceva mai pagare. ( All’epoca del nonno c’erano i medici condotti, cioè i medici che ricevevano uno stipendio dallo stato per curare le persone iscritte nell’elenco dei poveri; i non poveri, invece, dovevano pagare le visite. Ma il nonno non si faceva pagare da nessuno e si accontetava solo dello stipendio).”
Vorrei citare anche un’altra tesimonianza molto commovente che ricorda l’abilità del nonno Tonio nell’ usare il forcipe per far nascere i bambini (uno strumento simile spesso arrecava danni cerebrali al nascituro). Mi ha scritto la madre di uno dei bambini che il nonno Tonio ha fatto nascere col forcipe. Riprendo il suo racconto da quando, a parto iniziato, il marito preoccupato decide di recarsi a casa del nonno Tonio. “In verità M. andò da tuo nonno Tonio per pregarlo di correre a casa per applicare il forcipe. Tuo nonno, preso di sorpresa a un’ora tarda, erano le tre di notte, rimase un attimo titubante. Poi, vista la disperazione del suo amico, si vestì in fretta, prese la borsa dei ferri e corse. Io, appena lo vidi, dissi fra me: “Grazie Signore…” Poi, guardandolo, mi accorsi che era spaventato quanto me. Furono bolliti i ferri e intervenne, stando ben attento a che il forcipe non danneggiasse la mia bambina. Operò e il vagito di mia figlia fu il più atteso “Alleluia” che si potesse immaginare. Non mi dilungo a ricordare il dolore patito, la scena irreale che si offriva ai miei occhi, l’espressione distesa di tuo nonno che, appena sentì il vagito della bambina, si trasformò e guardandomi sorrise felice. M. abbracciò l’amico alle spalle perché non poteva altrimenti, in quell’abbraccio c’era tutta la gratitudine di un amico. Devo aggiungere che la mia bambina, in attesa dell’arrivo di tuo nonno, era stata battezzata perché si temeva che non ce l’avrebbe fatta.” E ancora un’ultima, importantissima testimonianza che va ascoltata molto più delle
nere e riassorbire la forza lavoro. Ecco allora che le forze politiche che quelle Istituzioni mirano a governare non possono affrontare il nuovo secolo se non risolvendo alla base questi problemi figli di un economia globalizzata ed un mercato del lavoro in cui i paesi emergenti, Cina in testa, giocano senza regole. Il difficile rapporto tra etica e profitto sembra una questione fin troppo complessa da analizzare, ma la triste realtà degli operai di Tricase dimostra come purtroppo incida ogni giorno nella vita di tutti noi.
precedenti poichè contiene un’idea per concretizzare il ricordo di questo straordinario personaggio. “Lui non era il solito medico di famiglia, ma esercitava molte attività mediche che oggi sono prerogativa degli specialisti. Dal pronto soccorso, facendo dei piccoli interventi in ambulatorio, all’ortopedia, alla ginecologia, alla consulenza psicologica, all’odontoiatria ecc. Visto che in quegli anni nessuno era nelle possibilità economiche di pagare uno specialista, lui tutte queste prestazioni le faceva con amore e passione verso il prossimo; ci si rivolgeva a lui per un qualsiasi problema sia di ordine medico che di altra natura. Vorrei anche cogliere l’occasione di parlarle un po’ di politica locale amministrativa, perché il nonno per un po’ di anni ha fatto pure il segretario di partito. È vero che esiste una bellissima piazza a lui intitolata, ma è vero purtroppo, che a nessun amministratore locale è venuta l’idea di inaugurarla e di far sì che la figura del Dott. Niceforo, fossa conosciuta anche dai giovani del nostro paese o da quelli che non hanno potuto avere il piacere di conoscerlo. Comunque, l’inaugurazione piu’ importante spero ( anzi ho la certezza ) che l’abbia fatta personalmente il Signore portandoselo in cielo a sedere alla Sua destra fra i Dottori (della Sanità).” Ringrazio tutte le persone che mi hanno fornito queste e altre testimonianze e di cui non cito i nomi per discrezione. Questo pezzo è stato scritto grazie all’aiuto di pochi preziosi cittadini di Tiggiano, spero che siano d’esempio ad altri volenterosi che fin’ora non si sono espressi. Per questo fornisco nuovamente i miei contatti postali: Marianna Massa - Via Nazario Sauro 31 73100 Lecce - massamr@libero.it Scripta manent, dicevano i latini; scrivere è un gesto umile ma pieno di coraggio e gratitudine, ed è forse il miglior modo per far rimanere viva la memoria collettiva del Dottore di Tiggiano.
Riflessioni d’autunno…
39° Parallelo • ottobre 2009 Continua dalla prima IN MEMORIA DI DAVIDE
attenzione. “E’ un eroe” si sentiva dire. “Davide è un eroe”. E la cosa suscitava almeno in me una tenerezza infinita. Leggevo infatti in quella parola “eroe” l’orgoglio di poter rivendicare la propria appartenenza a Davide, a questo ragazzo in divisa , figlio della nostra comunità, divenuto di colpo tragicamente famoso. Ma “eroe” è una parola da usare con le pinze. E’ troppo alta e insieme, troppo astratta. Non a caso il mondo greco lo usava per indicare le entità intermedie tra gli dei e gli uomini. Un po’ al di sotto della divinità e tanto al di sopra della umanità. Insomma, un’astrazione. Davide era forse questo? Assolutamente no. Davide era un ragazzo reale concreto, un ragazzone come tanti, pieno di vita, innamorato della vita e del lavoro che si era scelto. Era un compagnone, pronto a dare una mano d’aiuto quando occorreva e prontissimo a gioire con gli altri, coraggioso certo, ma non privo di titubanze; desideroso di calore umano di incoraggiamento, come ha ricordato con paterna tenerezza il suo diretto superiore. Questa descrizione della persona di Davide potrebbe sembrare riduttiva, non lo è affatto. È invece quella che, restituendolo alla dimensione della normalità, sottolinea la pazzesca anormalità del gesto che gli ha spento la vita. Quell’odio implacabile è il segnale di una voglia matta di distruggere la vita, di una fame voracissima di morte. Oggi ha inghiottito sei giovinezze, sei promesse di futuro. Che altro brama il suo “sonno della ragione?”. E intanto a Tiggiano, nella linda villetta di piazza Roma, quella assurda voglia di morte ha lasciato un vuoto grande così e, con il vuoto, lacrime amare. Chi non vorrebbe avere il potere di asciugarle quelle lacrime? Tutte le lacrime del mondo, comprese quelle, ancora più amare che si versano nella ignominia e non nella gloria? Tutti lo vorremmo, ma quel potere non è concesso a nessuno. Le lacrime bisogna piangerle fino in fondo. Perché le lacrime, soleva ripetere un grande saggio dell’antichità, sono la penale da pagare per il fatto di essere nati. E allora a noi tutti cosa resta? Ben poco, al di là della speranza di una società meno feroce dell’attuale. Una società vaccinata una volta per tutte contro la barbarie che imperversa e che oggi da Tiggiano si è portata via la vita di Davide. E al suo posto nel cuore della famiglia, ha lascito un vuoto tale che l’abbraccio di tutta la comunità tiggianese, pur caldo e intenso, non può certo sperare di compensare almeno un po’. E tuttavia è lì, intorno a loro, nel ricordo commosso di Davide.
ulla scia degli ultimi avvenimenti che hanno rattristato il nostro paese, scosso le coscienze e richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema delle missioni di pace, nonché sul sacrificio di quanti sono impegnati in prima persona, l’unica riflessione possibile è quella sulla morte. Il Santo d’Assisi la considerava “sorella” liberandola, così, da quell’aura di tristezza ed orrore con la quale si suole indicarla. Noi comuni mortali, che non apparteniamo alla schiera degli eletti (almeno per ora), la consideriamo sorellastra e, come tale, capace di tenderci le trappole più subdole assestandoci dei colpi quando meno ce lo spettiamo. Mi sono più volte domandata soprattutto in questi giorni, come penso molti abbiano fatto, se sia giusto morire in circostanze tragiche, in un’età nella quale si fanno progetti per il futuro che appare roseo e promettente. La risposta, sinceramente, non sono riuscita a trovarla, ma ad una conclusione sono giunta: la morte è sempre col fiato sul collo e quando prendiamo consapevolezza di tale inquietante verità la nostra mente reagisce in modi diversi a seconda delle specificità individuali. C’è chi, ossessionato dalla sua idea, si chiude in atteggiamenti patologici che impediscono di progettare il futuro, vede pericoli dappertutto ed attribuisce al destino un ruolo di arbitro delle proprie ed altrui azioni. Sono i fatalisti, coloro che considerano il destino “già scritto, già segnato” e si convincono che nulla potrà deviare il corso degli eventi. A differenza dei primi, altri non sembrano affatto turbati dall’idea della morte, come scomoda compagna di viaggio, al punto che raccolgono le sfide più insolite fino a combattere battaglie ardue che mettono a dura prova la resistenza reciproca. Sono gli audaci, coloro che, pur rendendosi conto dei pericoli, si lanciano nelle avventure più spaventose, aprono varchi insperati nel dedalo degli eventi e, spesso, ne hanno la meglio divenendo Eroi. C’è, poi, il pavido colui che ha timore di menzionare l’inquietante “sorella” e, quasi, rinuncia a vivere perchè sospetta di trovarsela negli angoli più bui e remoti, come anche dietro la porta di casa. Indipendentemente dall’idea che gli uomini hanno della morte e delle reazioni possibili alla sua idea, essa giunge inaspettata, in silenzio o clamorosamente, dopo lunghe sofferenze o improvvisa. In tal caso si sente ripetere che questa “è la morte dei giusti” quasi che chi muore, o si lascia morire, lentamente non possa appartenere alla categoria. Per chi ha il dono della fede la morte è solo un momento di passaggio dalla vita terrena all’eternità beata, dimensione nella quale lo sguardo è orientato verso il volto misericordioso del Padre. Nei testi sacri è ricorrente la descrizione
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di Concettina Chiarello della condizione di somma beatitudine derivante dalla contemplazione del volto di Dio, ma non si trovano riferimenti, né sommari, né particolareggiati, dei luoghi, dei tempi o delle persone con le quali, nell’altro mondo, ci si può incontrare, o si spera di vedere. Ed è proprio questo l’assillo, il pungolo di ogni comune mortale: capire come vivremo una volta esalato l’ultimo respiro. Mi capita, perché limitata, fragile e soggetta alle crisi esistenziali, mentre sono impegnata in un’attività o mentre ammiro la bellezza della natura o nei momenti di relax, di interrogarmi su come appariranno i luoghi della terra osservati dalla volta celeste. Mi chiedo se proverò nostalgia per averli lasciati o se potrò continuare a seguire, anche soltanto con lo sguardo, le persone rimaste a condurre una vita, forse più misera, ma terrena. Molto spesso opero una sorta di trasposizione e cerco di immaginare il tutto attraverso una visione dall’alto come se stessi compiendo un lungo viaggio in aereo, ma poi mi accorgo che il mondo appare piatto, lontano, informe e ritorno alla realtà rimuovendo, anch’io, il pensiero della morte e di una vita più eterea e diversa da quella terrena. In questi giorni, devo ammetterlo, più volte sono ritornata su tali inquietanti pensieri forse a causa della tristezza autunnale che li concilia, ma soprattutto perchè determinati e tragici eventi evocano immagini che avremmo voluto cancellare e ricordi che credevamo sopiti. La morte, scuote sempre le coscienze e induce alla riflessione sul nostro essere persona, se poi a spegnersi, o ad essere trasformata, è una giovane vita si rischia di mettere in discussione perfino le verità di fede (sempre per chi ha tale dono). E’ proprio in quel momento che si cade in uno stato di crisi profonda che porta a non avere più fiducia in nessuno, neanche in un Padre Buono e Misericordioso che, inspiegabilmente, si è dimenticato dei suoi figli. A tutti riesce difficile comprendere il paradosso della morte che, se cristianamente intesa, è promessa di una vita nuova e più appagante, priva delle brutture di quella terrena. Nel momento della prova la limitatezza e la fragilità umane emergono in tutta la loro crudezza, ma di ciò non dobbiamo aver paura: anche il Figlio di Dio, uomo come noi, ebbe a chiedere al Padre che “se fosse possibile passasse da lui il calice amaro delle morte”. Ma neanche Lui fu risparmiato da quella più orrenda... “quella di croce”. Forti di questa convinzione non dobbiamo aver pudore di manifestare le nostre perplessità, ma non possiamo neanche vivere chiusi nelle trappole del fatalismo o della paura, né possiamo sfidare gli eventi. Dobbiamo solo considerare la morte un evento naturale comune al genere umano e… non
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domandarci nulla. Certo, se ci venisse chiesto di scegliere dove poter morire, quasi tutti sceglieremmo un luogo a noi familiare ... domestico. Solo qualcuno potrebbe indicare... il cielo! Davide Ricchiuto, presumo, abbia scelto tale “non luogo” non tanto per morire quanto per vivere in un’altra dimensione. Ed ora sovrasta il nostro mondo librandosi nell’aria come Folgore. Mentre cercavo di tessere queste mie, contestabilissime, riflessioni mi sono imbattuta, e non mi sembra un caso, nelle pagine di un’antologia dove, nonostante tanti altri bellissimi brani scelti, sono stata attratta da uno in particolare con al margine questa precisazione “da Le canzoni dei paracadutisti della Folgore” (Manuale di Scrittura Signorelli Scuola). Pensando di fare cosa gradita lo riporto per intero ma invito tutti a riflettere soprattutto sulle due ultime strofe. Giungiamo da lontano Qual folgore dall’alto Spazzando ogni difesa Nell’ebbrezza dell’assalto; apriam la strada al fante, il valico ai carristi, diam ali alla vittoria: chi? Noi, paracadutisti Siam cento, cento e cento, tutti forti, arditi e sani, un po’ pazzi, un po’ poeti, ma il fior degli italiani. A chi cade combattendo Dio concede in sorte bella Di volare lieve lieve Tra una nuvola e una stella: In quell’ angolo di cielo Riservato a tutti noi, dove vivono in eterno Santi, Martiri ed Eroi.
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Toma Antonio
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39° Parallelo • ottobre 2009 l mio terzo viaggio in quel lontano “capo” occidentale della Sicilia è coinciso con l’evento dell’anno internazionale sanvitese “la Sagra del Cous Cous” svoltasi dal 22 al 27 settembre. Per sei giorni i tanti visitatori, circa 200 mila, hanno goduto di un evento eccezionale, l’ho avvertito subito anch’io al mio arrivo. Mi sono sentito catapultato in un ribollire di preparativi per la quarta sera dell’evento tra artisti di strada, impalcature per i concerti serali, allestimento di bancarelle, imponenti stand già pronti all’apertura e gli ultimi ritocchi per la finale della gara. Non avrei mai immaginato che da lì a poco mi sarei trovato a sedere tra i giudici di gara pronto a selezionare il piatto vincitore dell’edizione 2009: un mio caro amico presentandomi all’assessore Graziano Paolo tra gli organizzatori dell’evento, mi aveva invitato a far parte della giuria popolare. Durante l’attesa, tra una portata e l’altra, sorseggiando un eccellente vino siciliano, ho chiacchierato con il giurato seduto alla mia sinistra. “Ritengo”, mi diceva, “questa manifestazione un’iniziativa da prendere ad esempio e possibilmente da esportare come evento culturale, anche sotto l’aspetto organizzativo”. In seguito ho scoperto che il compagno di paletta era l’addetto stampa dell’Ambasciata Americana, il quale con tutta evidenza, vivendo quell’iniziativa, già pensava di esportarla in America. Il cous cous è costituito da granelli di semola, piatto di origini arabe ma molto diffuso nell’Africa settentrionale, in alcuni paesi dell’Asia e di altri europei che affacciano sul Mediterraneo. Si caratterizza nella cultura popolare come piatto semplice e carico di spiritualità, in alcuni paesi durante la preparazione e il consumo, le comunità familiari si riuniscono creando un’atmosfera esorcizzante e nello stesso tempo propiziatoria in un clima di festa. Il cous cous tradizionalmente veniva preparato con semola di grano duro. Di solito accompagnato con carni in umido o
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Destagionalizzare si può San Vito Lo Capo e la sagra del Cous Cous
verdure bollite, molto spesso condito con aromi piccanti. Nella tradizione del cous cous di San Vito Lo Capo la semola lavorata a mano, viene cotta a vapore in una pentola di terracotta, condita con brodo di pesce, con l’aggiunta di aromi come foglie di alloro, cannella e in alcuni casi anche con mandorle tritate. La sagra del 2009 ha visto come partecipanti alla gara del “Cous cous fest” otto paesi: Italia Costa D’Avorio – Francia –
Palestina – Senegal – Israele – Marocco – Tunisia. La squadra dell’Italia con il piatto di cous cous a base di pesce con finocchio selvatico e medaglione di mostella si è imposta in finale su quella del Senegal giunta al secondo posto col cous cous condito con pesce al forno. Edoardo Respelli grande esperto dell’arte culinaria, presidente della giuria tecnica, alla domanda: cos’è per lei il cous cous? così ha risposto: è prima di tutto un piatto di un’importanza socio-politica notevole, è una grande testimonianza di ciò che ci hanno lasciato gli arabi. In gastronomia è un piatto straordinariamente versatile, personalmente lo gusto in tutte le versioni, ma ho una passione particolare per quella con i gamberi rossi siciliani. Il sindaco di San Vito, Matteo Rizzo, sostiene che destagionalizzare si può. Il
mese di settembre è molto propizio: l’appendice dell’estate e l’evento fanno incrementare le presenze del 30% rispetto ad agosto, mese in cui si toccano le punte massime di presenze. In questi ultimi anni in controtendenza rispetto all’andamento generale, la crescita è stata del 450%. Per queste ragioni l’obiettivo anche se ambizioso è quello di esportare non solo in Italia ma anche all’estero questa iniziativa, facendo diventare un vero business la vendita di semola di grano duro dal momento che solo nei giorni della sagra se ne utilizzano circa 5 tonnellate. Le nazioni che si sono aggiudicate il titolo delle dodici competizioni sono: 3 edizioni la Tunisia - 2 l’Italia - 2 Costa D’Avorio - 2 Israele - una edizione Palestina - Marocco - Algeria. Più volte mi sono soffermato a riflettere su quanto accomuna San Vito Lo Capo al Capo di Santa Maria di Leuca. Entrambi affacciati su promontori di confine con mari di incanto esprimono il primato della bellezza naturalistica, nello stesso tempo marcano la lontananza dall’Europa. Li accomuna la sensibilità degli abitanti verso gli usi e i costumi di altre popolazioni e altre culture, come per esempio il Cous cous fest. Il “Finibus terrae festival” organizzato dalle Pro Loco e Associazioni dei 9 Comuni del Capo di Leuca nacque guardando verso la internazionalizzazione dell’evento. Intenzione era quella di coinvolgere paesi che affacciano sul Mediterraneo nel tentativo di fondere le musiche popolari di altri popoli con la pizzica salentina. Purtroppo quel progetto naufragò dopo qualche anno, malgrado l’idea era buona. Non si può escludere tuttavia che possa essere ripresa. San Vito Lo Capo mi ha riservato la grande sorpresa di ritrovare lì un po’ di Salento. Ho scoperto che i due comitati
dei festeggiamenti San Vito, quello di Tricase e San Vito quello siciliano di San Vito Lo Capo sono, come si potrebbe dire, “gemellati”. Buon segno di collaborazione. Ippazio Martella PERIODICO DELLA PRO LOCO - TIGGIANO Sede: Piazza Roma, 1 - 73030 Tiggiano (Le) Reg. Tribunale di Lecce n. 775/2001 reg. stampa Direttore editoriale: Bianca Paris Coordinatore redazionale: Ippazio Martella Redazione: Concettina Chiarello, Maria Antonietta Martella, Stefano Marzo, Enzo Ferramosca, Ilaria Aretano, Massimo Alessio Direttore responsabile: Antonio Silvestri Collaboratori: Luigi Maria Guicciardi, Alfredo De Giuseppe, Angelo Lazzari, Marianna Massa, Stefano Valli, Emanuele Martella
Foto Archivio Pro Loco (salvo diverse indicazioni) La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita Gli articoli ricevuti e pubblicati possono non seguire la linea editoriale del giornale Per informazioni: tel. 0833.531651 Grafica e Stampa: Imago Pubblicità Lucugnano 0833.784262 Chiuso in tipografia il 16 ottobre 2009
La redazione ricorda ai lettori che ricevono copia di 39° Parallelo a domicilio che ad aprile è scaduto l’abbonamento. Sicché l’invio è assicurato, e lo diciamo con rammarico, solo a coloro che effettuano il versamento. La Redazione ringrazia comunque tutti i lettori per l’interesse con cui seguono la vita del giornale. c/c n. 37428828 intestato a Pro Loco Tiggiano, p.zza Roma, 1
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PROGETTO SALENTO Sistema Turistico Territoriale LETTERA A PAOLO BUZZI - FUTURISTA Paolo, il tuo futuro è già qui. Le rondini fuggite dal Nord coperto d’ombra dopo l’estiva nudità, qui sull’estremo lido del mare italo-greco sono a caccia: ultimo scalo, ultimo rifornimento prima del grande volo. Piccole cose, insetti un po’ come i pacchetti del viatico da migranti all’opposto al Nord, cacciati dal Destino maligno via dai cieli azzurri dai tramonti viola e di smeraldo. Le rondini sfrecciano a volo radente fra gli ulivi esaltate da un misterioso istinto. Passeranno alte sopra umani abbruttiti. Di loro molte moriranno nel volo o a fucilate ma non sarà morte indecente. Anzi, eroica, in cielo o all’atterraggio. Paolo, hai detto bene: morire, dovrebbe essere volare e più in alto, e al massimo dei sensi fuori dalla gabbia dove viviamo piccolissimi poeti rinchiusi. Dal Salento settembre 2009 Luigi Maria Guicciardi Oggi l’angolo allarga il suo spazio ad una iniziativa di particolare interesse, in quanto omaggio unitario a due valori: la memoria collettiva e quella privata. Per la prima, l’autore evoca nel centenario della nascita, la stagione del Futurismo, l’evento letterario che, superati i toni sommessi dei poeti crepuscolari, esaltò l’ebbrezza del vivere la vita come sfida, l’ottimismo, le macchine e i toni “gridati”. Per la seconda, l’autore recupera il profilo culturale di Paolo Buzzi, lo scrittore che con Marinetti varò il Futurismo stesso, con qualche preludio ermetico. Si dirà: cosa c’è di privato in tutto questo? C’è la circostanza che Paolo Buzzi, a Milano, abitava nella stessa strada e a cento metri di distanza dalla casa di Luigi M. Guicciardi. Una circostanza, si potrebbe dire, contagiosa. Perché non
è da escludere che abbia contribuito ad esaltare lo spirito di per sé vivace e creativo del giovane Luigi. Il quale in una nota a parte così ricorda il suo importante vicino di casa: “era un bel vecchio ancora dotato di forza e di umorismo. Per gli ottanta anni la Provincia fece una grande festa in cui rispose con una giovanilissima orazione. Un giornalista gli chiese come gli piacesse viaggiare in treno (in prima, seconda o in terza?) Rispose: sulla locomotiva! Futurista fino alla morte”. In conclusione: bravo, certo, Paolo Buzzi. Ma una lode va anche al dottor Luigi M. Guicciardi che, nel ricordo di quella lontana poetica, ci ha regalato questi 27 versi freschi frizzanti percorsi dal quel brivido rapinoso che è la tensione verso l’alto. B.P.
l 25 u.s. è stato presentato il STT nell’ambito dell’area vasta del sul Salento. Il progetto ha una sua precisa validità. La prova sta anche nella adesione unanime che ha ottenuto con la possibile integrazione in unico progetto con quello dell’area vasta del nord Salento e con possibili sviluppi per l’integrazione della Provincia di Brindisi e parte della Provincia di Taranto. L’idea di promuovere turisticamente la terra dei Messapi in un unico piano è meritevole di grande apprezzamento progettuale. Finalmente si propone ai visitatori un Salento nella sua interezza geografica pur nel rispetto rigoroso della propria diversità territoriale: tra costa ionica costa adriatica ed entroterra con la valorizzazione dei locali usi costumi cultura e beni architettonici. Tuttavia è bene non sottovalutare l’eccellenza del progetto appena sotto-
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scritto. Esso non cancella il lavoro già fatto, ma è opportuno accantonare la eventuale pretesa di voler governare il nuovo istituto solo perché si è partiti prima. Va certo tenuto conto del lavoro fin qui svolto, ma subito dopo bisogna guardare oltre e progettare per l’intero territorio. Badando bene a non trascurare o ignorare del Salento, luoghi e contrade pregne di storia. Per fare un esempio: nei molti interventi non ho mai sentito nominare Leuca. Oggettivamente Leuca è il suo territorio ha un significato storico, mitologico e culturale di grande spessore. E Leuca non è la sola perla che il Salento può esibire. La promozione di un progetto turistico non può prescindere dalla individuazione di itinerari significativi, percorrendo i quali i turisti possono dire al loro ritorno in sede di aver conosciuto “culturalmente” e non solo “climaticamente “ il Salento.
Protagoniste della storia
BEATRICE CENCI A cura di Emanuele Martella Nacque a Roma il 12 febbraio 1577 da Francesco Cenci ed Ersilia Santacroce. Alla morte della madre, la piccola Beatrice fu accolta assieme alla sorella Antonina nel monastero di Santa Croce a Montecitorio dove rimase fino all’età di quindici anni. Nel 1593 Francesco Cenci sposò in seconde nozze Lucrezia Petroni dalla quale non ebbe figli. Uomo collerico e spregiudicato, più volte condannato ed incarcerato per gravi delitti, Francesco Cenci, fermamente restio a provvedere la bellissima Beatrice di una dote adeguata al suo rango, decise nel 1595 di segregarla, assieme alla matrigna, nella rocca di Petrella Salto, nel basso Lazio. Nel 1597, malato e perseguitato dai creditori, si ritirò anch’egli a Petrella, assieme ai figli Bernardo e Paolo. Per la giovane Beatrice la convivenza con il padre si rivelò subito insostenibile: da tempo privata della libertà ed ora fatta anche oggetto di continui oltraggi e percosse, scrisse anche al papa per ottenere la grazia di essere sottratta alla tirannia paterna. Esasperata, Beatrice giunse alla risoluzione di assassinare il padre: assieme alla matrigna Lucrezia, ai fratelli Giacomo e Bernardo, al castellano Olimpio Calvetti, suo amante, e al maniscalco Marzio, tentò in più occasioni di liberarsi di lui. Al terzo tentativo, Francesco
Cenci, prima stordito dall’oppio somministratogli a tradimento poi colpito violentemente al capo ed alla gola, morì. Il suo corpo fu gettato ai piedi della rocca da un’alta balaustrata, per simulare una caduta accidentale. I familiari lasciarono in fretta Petrella per tornarsene a Roma a palazzo Cenci, senza neanche prendere parte alle esequie. Due furono le inchieste che seguirono al ritrovamento del cadavere: la prima disposta dal feudatario del luogo, la seconda sollecitata da papa Clemente VIII. La verità non tardò a venire a galla. Olimpio Calvetti, minacciato di “tormenti”, confessò; poi, uno dopo l’altro, sotto tortura, confessarono anche gli altri. Bernardo, per non aver partecipato attivamente all’assassinio del padre, fu il solo ad aver salva la vita: condannato ai remi sulle galere pontificie, fu costretto ad assistere all’esecuzione dei suoi cari, legato ad una sedia. L’11 settembre 1599, alla presenza di una folla immensa, Lucrezia e Beatrice salirono sul patibolo di Castel Sant’Angelo per essere decapitate; Giacomo fu seviziato e squartato lungo il tragitto.
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LUNA 1969. QUI BASE TRANQUILLITA’. AQUILA E’ ATTERRATA di Maria Antonietta Martella
uesto il titolo della mostra video-fotografica allestita il 18 agosto scorso nell’atrio del Palazzo Baronale e nel corridoio centrale del bosco retrostante. Quella tiggianese era una delle circa trenta tappe previste in Italia (in provincia è stata ospitata solo a Lecce) della mostra itinerante organizzata con l’alto patrocino dell’Ambasciata americana e riconosciuta dalla NASA come unico evento ufficiale nell’ambito dei festeggiamenti in Italia dei 40 anni trascorsi da quando i due astronauti Neil Armstrong e Edwin Aldrin per la prima volta nella storia misero piede sulla Luna. La mostra è patrocinata anche dall’Agenzia Spaziale Italiana, dall’Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario, dall’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica, dall’Università del
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Salento, da Federculture e dall’Unione Astrofili Italiani. La tappa tiggianese, voluta dall’amministrazione comunale, illustrava dunque con pannelli esplicativi e immagini fornite dalla NASA i dettagli della missione Apollo, fortemente auspicata dall’allora Presidente degli Stati Uniti John Kennedy che già nel 1961 chiedeva al Congresso di impegnarsi per vedere un uomo sulla Luna entro la fine degli Anni ’60. Siamo in piena guerra fredda. Il mondo che conta è diametralmente schierato in due blocchi di potere tutti orientati alla sfida dell’avanzata tecnologica e della progettazione delle armi più sofisticate mai pensate fino ad allora, dopo aver sperimentato la potenza distruttiva della bomba atomica sul Giappone un quindicennio prima. Si mette così in moto una macchina di uo-
mini e mezzi di portata straordinaria: qualche migliaio di ingegneri mettono a disposizione i loro cervelli collaborando con la NASA nell’eccezionale sforzo volto a non fallire l’ambizioso progetto in cui saranno investite ingenti risorse economiche. Gli studi, l’addestramento dei piloti e le simulazioni nella fase di progettazione della navicella che dovrebbe far scendere l’uomo sulla Luna e ‘possibilmente’ riportarlo sano e salvo sulla Terra durano quasi un decennio, quando nel 1969 tutto è pronto per la storica impresa. Un tempo apparentemente lungo, dieci anni, ma relativamente breve se pensiamo alle scarse informazioni sul periodo di sopravvivenza dell’uomo nello spazio, o sulle ancor più scarse notizie riguardanti la consistenza del suolo lunare visto che nessuno ci era stato prima, o ancora come ci si può muovere e camminare una volta allunati, dato che la gravità della Luna è un sesto di quella terrestre. Ma la difficoltà maggiore consiste, forse, nella fase di separazione e riaggancio di Eagle, in italiano ‘Aquila’, il modulo progettato per raggiungere il suolo lunare, alla navicella di comando Columbia che nel frattempo rimarrebbe in orbita intorno alla Luna in attesa di riportare gli astronauti a casa. Gli americani, comunque, sono pronti a tutto. Nel caso in cui la
missione fallisse e gli astronauti rimanessero bloccati sulla Luna, e quindi condannati a morte certa, il Presidente Nixon in diretta televisiva leggerà un comunicato stampa di cordoglio alla nazione e alle famiglie degli astronauti periti, sottolineando che il loro sacrificio non sarà stato vano ma sarà servito a fare un passo importante nella conoscenza umana. Così, il 20 luglio 1969, mentre i più sulla Terra sono nelle loro faccende affaccendati, Armstrong e Aldrin allacciati alla cabina, in piedi, dopo aver corretto la traiettoria che punta su una zona più rocciosa di quanto si aspettassero e che potrebbe compromettere la
gono rocce e altro materiale prezioso per gli studi futuri senza dimenticare di attivare la telecamera del circuito televisivo grazie alla quale le immagini in bianco e nero della prima volta sulla Luna, seppur con qualche minuto di ritardo e in modo non proprio nitido e perfetto, arrivano sulla Terra facendo esultare l’America e milioni di persone in tutto il mondo. La bandiera statunitense piantata nel suolo lunare, e tesa con delle bacchette nell’aria priva di vento, è forse il simbolo più emblematico della potenza americana, ma l’incisione su una targhetta “uomini dal pianeta Terra sono venuti in pace per tutta l’umanità” unisce
missione, dal modulo lunare comunicano con la Terra: “Qui Base Tranquillità. Aquila è atterrata”. Dalla scaletta scendono sul suolo lunare, fanno un breve giro di perlustrazione, scattano foto, raccol-
tutti i popoli umani. La più grande delle imprese è compiuta e il mondo per qualche ora dimentica guerre e rigidi schieramenti, non ancora consapevole forse che mai prima l’uomo aveva osato tanto.
SPAZIO AI GIOVANI
orremmo cominciare questo articolo con un grande GRAZIE! Grazie a tutte le persone che ci hanno dato fiducia e che hanno creduto in noi dandoci la possibilità di realizzare nel e per il nostro paese, qualcosa di creativo, originale ma soprattutto di veramente GIOVANILE. Quest’estate infatti la PRO-LOCO GIOVANI grazie all’impegno di noi ragazzi e
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alla preziosa collaborazione di alcuni soci, ha realizzato due importanti iniziative: “La grande festa dei bambini” tenutasi il 19 Agosto e la manifestazione “RIFIUTARTE” che si è tenuta il 31 Agosto, nei pressi del campo sportivo comunale. “La grande festa dei bambini” interamente dedicata ai più piccoli si è svolta nel corso di tutta la giornata del 19 Agosto. Nel pomeriggio, durante LA CACCIA AL TESORO, più di 40 bambini sono stati impegnati nella ricerca di indizi, per le strade del nostro paese. Ci ha entusiasmato l’idea di far trascorrere ai più piccoli un pomeriggio ricco non solo di divertimento ma anche di socializzazione e di storia tiggianese. Il contenuto degli indizi nascosti, infatti, era legato alla storia delle piazze, delle strade e dei monumenti di Tiggiano. La serata invece è stata allietata dallo spassoso spettacolo di Enzo Pazzo e Monik Comik, due artisti della “Compagnia dei Girovaghi&Ciarlatani”, che hanno appassionato le famiglie presenti con gag comi-
che, numeri di giocoleria e tanto mimo. “RIUFIUTARTE” è stata una manifestazione rivolta per lo più ai giovani. Nel corso della giornata sono state svolte diverse attività: performance di pittura, creazioni di sculture ma soprattutto writing non solo su pannelli di varie dimensioni ma anche su vecchi elettrodomestici ed altri oggetti di recupero che sono stati raccolti nelle campagne tiggianesi e nelle zone limitrofe. L’evento, infatti, ha voluto evidenziare l’insistente realtà delle discariche abusive presenti sul nostro territorio e dimostrare come oggetti, ritenuti “di rifiuto”, possono diventare materia prima per autentiche
opere d’arte. La serata si è poi conclusa con vari concerti di musica rock e reggae, con la spettacolare partecipazione di trampolieri, giocolieri e sputa fuoco. Continueremo certamente a dare il nostro contributo alle attività di promozione sociale e culturale del nostro paese, ma vorremmo F O R T E MENTE che altri giovani si avvicinassero all’associazione per poterla arricchire con nuove idee e nuove proposte. A loro rivolgiamo questa famosa frase “Chi vuol muovere il mondo, prima muova se stesso” (Socrate). PRO LOCO GIOVANI
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LUTTO CITTADINO
Gli amici
IL SINDACO Cari Concittadini, se per tragedia si intende anche la difficoltà di esprimere in modo adeguato la profondità di un dolore, l’evento per cui oggi siamo qui riuniti, è un’autentica TRAGEDIA. Tocca a me, Ippazio Antonio Morciano - Sindaco novello - trovare la forza per farmi portavoce di questo lutto che è della intera Comunità, e che è fuori dell’ordinario. E non sono sicuro di reggere alla commozione per un dramma di tanta intensità. Davide Ricchiuto, il caporal maggiore giovanissimo, forte, generoso e bello della FOLGORE ... Non è più con noi. In missione in Afganistan per aiutare “da Italiano”, quella terra a rinascere, a liberarsi dalla stretta dei terroristi islamici, è stato falciato, insieme a cinque suoi commilitoni, dalla furia di quell’incubo che ancora oggi personifica l’anti-ragione.
22 Settembre 2009
Ora a tutti noi non resta che fare quadrato attorno al dolore ed allo smarrimento della famiglia, ben consapevoli di non essere in grado di consolarla, in quanto noi stessi abbiamo bisogno di essere consolati. Per questo chiedo a tutte le autorità militari e civili presenti, a nome dell’intera Comunità, ringraziandole nello stesso tempo per tutto quello che hanno già saputo fare, di impegnarsi affinché la pace possa realmente regnare su ogni parte del mondo. Questo è quello che noi vogliamo, questa era la volontà di Davide. Addio Davide, piangiamo con tutte le nostre lacrime la tua prematura scomparsa, ma porteremo nel cuore e nella mente l’orgoglio di averti avuto, sia pure per un tempo brevissimo, in mezzo a noi. All’Amministrazione Comunale ora, l’impegno di tramandare ai posteri il tuo sacrificio.
Ciao Davide… Oggi ci ritroviamo qui, stretti intorno a te, come ad ogni tuo ritorno. Era questo che amavi fare … Ti piaceva circondarti di noi amici, trascorrere intere serate tra il buon cibo e l’allegria per poi riuscire sempre a convincerci ad aspettare con te l’alba di un nuovo giorno. Tutto questo ti caricava di forza e di energia che trasmettevi anche a noi… Perché è questo che tu eri: Solare Dinamico Propositivo Orgoglioso Forte Generoso Protettivo Testardo, e sempre preso dalle mille passioni che vivevi con assoluta intensità. Come gli avventurosi viaggi, le intense estati al mare, le magre battute di pesca, le donne e i motori, ma soprattutto la tua vita militare…
E’ proprio a quest’ultima che hai dedicato te stesso, con grinta coraggio tenacia e caparbietà; doti che ti sono state trasmesse dai tuoi cari genitori, Angelo e Marina, che abbracciamo e sosteniamo, ma soprattutto ringraziamo per averci donato un Eroe, il NOSTRO EROE…IL NOSTRO DAVIDE… che è stato, è e resterà un buon amico, un grande fratello e un vero compagno! CIAO 1° caporalmaggiore scelto DAVIDE RICCHIUTO CIAO BUFFALO
IL MARESCIALLO Ciao Davide, Siamo i tuoi fratelli, tu sai cosa significa la parola fratelli per noi, siamo tanti, in servizio e non. Comunque anche coloro che ancora non lo sono, hanno sempre l’orgoglio di indossare il tuo basco amaranto. Io vorrei dirti tante cose, ma il dolore ha il sopravvento, noi paracadutisti e tu lo sai, quando diciamo non ce la faccio più vuol dire che la mente e il corpo hanno ancora forza, ma forse sono le parole che non vogliono più uscire.
Caro Davide Ci possono togliere tutto anche la vita, purtroppo, ma non il colore dei nostri baschi e il nostro essere paracadutisti; tu Davide sei al di sopra di tutti, 400metri sopra tutti e tutto anche di coloro che ti hanno fatto questo. Da oggi non avremo sei paracadutisti in meno, ma sei angeli in più. Riposa Davide in quell’angolo di cielo riservato a tutti noi ed agli eroi perché tu lo sei e per noi lo sarai sempre. Ciao Davide! Buon volo
foto di A. Martella
Gli zii e i cugini Un rombo di moto attraversava la strada, sapevamo tutti che era lui, Davide, arrivava col suo solito sorriso e diceva “ Beh! Ci aci faciti!” noi lo ammiravamo a cavallo di quella moto. Ci mancherà quel rombo che ci annunciava la sua venuta, ci mancherà la sua serenità, la sua semplicità di ragazzo buono, ci mancheranno le sue parole, poche ma sempre soppesate.
Ogni persona piccola o grande che passa nella nostra vita è unica, lascia sempre un po’ di sè e prende un po’ di noi. Davide, porteremo sempre con noi i tuoi ricordi, custodiremo il suono della tua voce per ascoltarla in giornate senza sole. Ciao Davide! Ti vogliamo bene i tuoi cugini e i tuoi zii.
LA MAESTRA Carissimo Davide,
tua sorella e tuo fratello, artisti da sempre, hai voluto dare anche tu una pennellata eroica al grandioso quadro della tua vita. Ora per noi sei l’artista più grande. Conoscevi i pericoli, eri conscio degli alti rischi, ma nonostante tutto sei andato avanti con il grande spirito di abnegazione che ti ha sempre contraddistinto. Purtroppo sei andato oltre e con un volo ancora una volta anticipatario ci hai lasciato per sempre. La tenacia, che oggi noi tutti leggiamo nella fierezza del tuo sguardo, rimarrà scolpita nei nostri cuori.
Figlio fratello amico e alunno indimenticabile, ti scrivo con la penna del cuore, perché, come tua maestra, ti ho visto crescere, giorno dopo giorno per cinque anni. Arrivasti a scuola anticipatario come la rondine più piccola. Ora te ne vai come la rondine più grande. Il mondo si regge su entità piccolissime come i messaggi del dna, gli impulsi degli aironi, e cosi via. Tu, caro Davide, hai saputo raccogliere il seme dell’antico senso del dovere, lo hai ereditato da tua madre, da tuo padre, e dalla gente del tuo paese. Caro Davide, come tua madre tuo padre Ciao Davide
foto di A. Martella
IL FRATELLO Sono il fratello di Davide. A nome della mia famiglia ringrazio tutti, in tutta Italia. Siamo commossi per la vostra partecipazione al nostro dolore. Ci avete dato la forza, anche se eravamo già forti, per superare questa prova durissima e l’immensa sofferenza che ne è derivata cerchiamo di non dimenticare tutti i nostri fratelli che sacrificano la propria vita per la patria e per la pace nel mondo. Grazie a tutti
39° Parallelo • ottobre 2009 er l’ennesima volta in questi ultimi tempi le Pro Loco sono chiamate in causa quasi come quei soggetti che compromettono l’immagine del Salento o della Puglia o dell’Italia con l’organizzazione di sagre e fiere, che “non promuovono il territorio e spesso si svolgono in condizioni poco decorose sotto il profilo dell’igiene”. Affermazioni gravissime e tali da richiedere immediati interventi di chi di competenza. Anni di impegno delle nostre Associazioni, quando il resto del mondo utilizzava tagliatelle alla bolognese o crepes alla parigina, vilipesi e distrutti da atteggiamenti a dir poco frettolosi. La sagra, o meglio sacra, senza voler andare nella preistoria, risale, stando alla letteratura, agli anni Trenta, quando è stata accertata e documentata come manifestazione popolare legata al prodotto locale. Così solidificata è divenuta l’espressione più genuina e immediata di quella promozione del territorio, che è alla base della ormai centenaria storia delle Pro Loco italiane, che nessun altro fine e interesse hanno se non quello della tutela, valorizzazione e promozione della propria località. L’appello rivolto alle Pro Loco (così riferisce il giornalista), in sostanza, ci sembra perciò del tutto fuori luogo. Se poi vi sono anche altri problemi, quali quelli legati all’igiene, allora s’è fatto gran danno nel non intervenire tempestivamente. Noi da sempre abbiamo ritenuto l’ecologia nella sua espressione complessiva un fattore fondamentale per l’intera immagine del territorio, e al proposito molto abbiamo detto e rilevato, anche qui,
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nche quest’anno il nostro piccolo paese può vantare la partecipazione della sua squadra di calcio in un campionato di 2^ categoria, cosa non di poco conto se si pensa che le compagini dei paesi limitrofi non hanno saputo fare di meglio. Un nuovo team, con il solo intento di proseguire quanto di buono si era già fatto negli anni precedenti con l’A.S.D. ”Calcio Giovanile Tiggiano”, di cui si conserva il nome, armato di tanta buona volontà, si è messo al lavoro per cercare di portare avanti nel migliore dei modi un folto gruppo di giovani calciatori. Infatti, se da una parte il numero di calciatori tiggianesi, componenti la rosa, non forma l’intera compagine locale, è pur vero che quest’anno si ha a disposizione una squadra composta quasi esclusivamente da giovani ragazzi, molti dei quali provenienti direttamente dai settori giovanili. A tal proposito, si è cercato di dare un maggiore impulso e investire maggiori risorse proprio nel settore giovanile, in una fascia di età che comprende tutti i ragazzi dai 5 ai 15 anni, acquisendo anche la preziosa collaborazione di personale che in questo campo vanta le numerose esperienze fatte in altre società sportive, con la speranza di avere, chissà in futuro, una
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BASTA CON LE SAGRE
purtroppo, riscontrando soltanto un muro di gomma. E allora ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo provveduto con la nostra passione e le nostre braccia a operare anche in quel campo. L’UNPLI (Unione Nazionale delle Pro Loco italiane) da tempo proprio per questo tipo di manifestazioni ha redatto un protocollo sulla corretta prassi igienico-sanitaria, approvato dal Ministero della Sanità, al quale le nostre associazioni hanno sempre cercato di attenersi scrupolosamente. Se le sagre poi promuovano positivamente o meno il territorio bisognerebbe chiederlo agli utenti, specie agli ospiti che provengono da ogni parte d’Italia e dall’estero. Tale tipo di indagine l’UNPLI Puglia ha condotto qualche anno fa, quando si cominciava a rivestire il termine di un’immagine negativa. Il riscontro ha evidenziato
un interesse e un gradimento totale. E, anzi, il turista chiedeva espressamente di essere coinvolto anche nella organizzazione dell’evento, percependo l’importanza di una volontà d’integrazione non solo di tipo ricreativo, ma soprattutto cul-
turale. Non si comprende, pertanto, perché non si perde occasione nel porre al centro del problema la Pro Loco, quando sagre e sagrette di ogni tipo vengono bandite da tanti altri enti, associazioni e privati, di cui non si fa mai cenno. Allora si cominci a fare una mappatura della situazione e poi si esternino valutazioni e apprezzamenti. E non vogliamo entrare nel campo delle finalità e delle gestioni di tali eventi. Per quanto ci riguarda possiamo solo dire che eventuali utili, pagate tutte le tasse e le spese di rito, le Pro Loco li utilizzano esclusivamente per le proprie attività istituzionali, legate alla tutela, alla promozione e all’accoglienza sul territorio. Da anni, non da ieri, abbiamo sollecitato gli organi preposti a redigere un disciplinare
ALL’INSEGNA DEL CALCIO
squadra che possa accedere e primeggiare magari anche in categorie superiori. In tale prospettiva, altrettanto preziosa è la costante attività di Rocco Morciano, che nell’ambito delle attività svolte dalla “Nuova Polisportiva Virtus Tiggiano” sta da anni portando avanti un discorso didattico-sportivo con i ragazzini della stessa fascia di età. Oggigiorno diventa sempre più difficile trovare giovani ragazzi disposti a far parte di una squadra di calcio, considerato che ciò comporta il sacrificio di tre o quattro pomeriggi a settimana e che molti giovani, e sempre in numero più crescente, intra-
prendono i loro studi universitari fuori regione. Anche il calcio, come era giusto che fosse, si è fermato nei giorni successivi alla tragedia che ha colpito noi tutti, per rendere omaggio al giovane nostro concittadino scomparso così tragicamente e, di conseguenza, il debutto stagionale casalingo è stato rinviato a domenica 04 ottobre, con un’affluenza di pubblico che non si vedeva da tanto tempo e dove la nostra compagine unitamente a quella ospite ha tributato un ultimo saluto a Davide. Il calcio a Tiggiano, non ha ceduto il passo neanche al caldo torrido di quest’estate. Si sono, infatti, susseguiti diversi tornei di
sulle sagre pugliesi e a regolamentare la materia. Ogni tentativo è rimasto senza successo. La qualità è stato un connotato portante del nostro movimento: qualità come sistema di vita, come arredo territoriale e come offerta culturale. Non vogliamo addentrarci nelle problematiche legate alla qualità. Ma abbiamo sempre evitato di fare come chi per tenere pulito il proprio uscio spazza l’immondizia verso il vicino di casa. Gli esercizi di qualità, comunque configurati, osterie, ristoranti e pub, non temono le sagre, fiere o altro: per mangiare in quei posti bisogna prenotare con anticipo, e non solo d’estate. Anzi, la sagra è un’occasione di conoscenza e di apprezzamento del territorio, e consente un’affluenza altrimenti non possibile. La selezione la fa l’utenza, non le Pro Loco o gli Enti. E questo è un problema reale, che bisogna affrontare con metodo, coraggio e professionalità. La qualità delle nostre iniziative, per fortuna, è attestata dalla presenza sempre crescente dei visitatori, e ci si sforza di migliorarne continuamente i livelli, attraverso iniziative di formazione e convegnistica. Certamente stando alle disposizioni di legge, anche europee, riteniamo di essere abbastanza ossequiosi, e ci turbano profondamente questi richiami alla igienicità, soprattutto rispetto a quanto abbiamo visto a Bruxelles in occasione della mostra dei nostri presepi, dove l’arrosto di carni, wurstel, e simili preparato per le vie e piazze della città, a mala pena consentiva di poter distinguere i fumi dalle persone. Angelo Lazzari Presidente Regionale UNPLI Puglia
calcetto primo fra tutti quello delle “Associazioni” che ha visto impegnati circa 110 calciatori, tutti tiggianesi, dal più giovane di appena 16 anni fino al meno giovane di circa 64 anni e che ha visto vincente la formazione dell’AVIS capeggiata dal suo presidente Luigi Marzo, squadra che ogni anno si è sempre battuta alla grande avendo, questa volta, la meglio in finale contro la fortissima squadra della Welness Studio vincitrice della precedente edizione e che ogni anno arriva nelle zone alte del tabellone. La nota più bella dei tornei estivi è sicuramente la partecipazione attiva di tanti nostri concittadini che, per motivi di lavoro o di studio sono fuori e tornano in paese solo per le vacanze estive, gente comune che si ritrova intorno ad un campo di calcio che in questo caso non divide, ma unisce. Massimo Alessio