L’Arsenale di Venezia. Progetti tentativo

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ANFIONE e ZETO

collana di architettura diretta da Margherita Petranzan

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l’arsenale di venezia progetti tentativo

ILPOLIGRAFO


Ricerca d’archivio e cura iconografica Michelina Michelotto e Barbara Pastor Pastor Architetti Associati, Venezia

progetto grafico e redazione Il Poligrafo casa editrice grafica Laura Rigon redazione Sara Pierobon copyright Š marzo 2017 Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISBN 978-88-9387-002-3


indice

11 L’Arsenale di Venezia. Progetti tentativo 13

1. Eventi

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2. Frattempo

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3. Altri eventi

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4. Iniziative straordinarie

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5. Un punto di vista soggettivo

70 appendice Derivando da Target Venezia - Progetto Arsenale: un progetto tentativo 85

Note

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Crediti fotografici



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l’arsenale di venezia progetti tentativo

Questo saggio riprende1 alcuni studi ed esperienze progettuali sul tema indicato nel titolo, sviluppati in sede universitaria IUAV, tanto in autonomia per propria iniziativa che in collegamento con altre sedi – in particolare Genova, Facoltà di Architettura – o ancora per partecipazione di docenti a iniziative di enti pubblici, il Comune di Venezia e il CNR, nel corso degli ultimi tre o quattro decenni. Seguendo metodiche differenti, gli studi sono sempre diretti alla conoscenza del corpo architettonico e ai modi storici della produzione dell’Arsenale storico; e comunque tesi a immaginare e rendere possibile un processo di nuova vita per tale grandioso impianto. Di più: gli studi sono stati tali da indicare il modo di riabilitarne la capacità di produzione nel genio d’origine, ma in modo che sia legata a far vivo il sapere artigianale associato o tendenzialmente trasposto nella marca delle tecnologie oggi in corso di sviluppo. Tutto ciò costituendo un sistema connotativo della sua identità storica e prospettando una possibile costituzione di museo vivo, ove si conservano beni, informazioni e storie nello svolgersi delle attività produttive, nel confronto dei modi di produzione, storici e contemporanei. Tutto nel corpo, per il corpo della città e della sua laguna; entità vive, esse stesse nel segno destinale della conservazione di un sistema di vita; immaginando ruoli di attività pubblica tanto per la misura di esigenze civiche, quanto per rilevanza metropolitana, e con caratteri alto-adriatici nei quali si specifichi il destino seguendo la misura e marca globale di questo nostro tempo. 11


L’interesse motivazionale di questo saggio nasce con gli studi e programmi di progettazione promossi da molti docenti IUAV; nasce da molte voci che si levano in canto a sonorità autonome, da cui tuttavia derivo intonazioni e dissonanze che possono costituire un corpo complesso orientabile a fini destinali comuni, per il bene della vita urbana e per l’impegno produttivo dell’Arsenale. Non ne ricavo un pensiero progettuale sicuro, anzi soltanto orientamenti tentativo. Il significato di progetto tentativo è chiaramente definito da Luigi Pareyson2. Mi piace tuttavia pensarlo attraverso una metafora, una ricorrenza tra varie sculture a bassorilievo, nella regione centromeridionale della Francia, che presentano la vita complessa del mondo con un profilo che segna il salvifico aldilà attraversando una porta stretta, ma non vi è alcun sentiero che la raggiunga; ogni anima deve scavarsi il percorso, cercare tentando la via. La metafora è vicina al senso della scritta sull’ingresso di un monastero a Toledo, Caminantes, no hay camino, hay que caminar, che ha indotto Luigi Nono a meditare sulla propria ricerca e dedicarvi tre composizioni: ricercando – erano le ultime. In questo saggio ricorrono studi ed esperienze progettuali sul tema indicato nel titolo, sviluppati in sede universitaria IUAV, tanto in autonomia per propria iniziativa, quanto in collegamento con altre sedi; o ancora per partecipazione di docenti a iniziative di enti pubblici, il Comune di Venezia e il CNR, nel corso degli ultimi tre o quattro decenni: studi ed esperienze tesi a immaginare e rendere possibile un processo di vita per l’Arsenale storico – straordinaria opera un tempo definita “cuore e forza della Repubblica”, cresciuta e trasformata nel corso di oltre otto secoli –, immaginando ruoli di vita pubblica tanto per la misura di esigenze civiche, quanto per rilevanza metropolitana, e con caratteri alto-adriatici nei quali si specifichi il destino seguendo la misura e marca globale di questo nostro tempo. Tali studi ed esperienze di progettazione, dapprima motivati da interessi interni propri alla ragione scientifica universitaria – tendenti a intraprendere e mantenere rapporti strategici di vita e studio con la città, tanto nella sua storia quanto nei fatti civici in atto – hanno trovato più forte sollecitazione in eventi vitali dell’Arsenale, dovuti a iniziative del Comando Marina che lo gestiva e ancora è parte del dominio. Il saggio è composto da cinque parti e un’Appendice: – Eventi: iniziativa e propositi del Comando Marina (Ministero Difesa) sull’Arsenale; – Frattempo: iniziative di studio universitarie, proposta IUAV, CNR e Quartiere Castello; – Altri eventi: proposta del Comando Marina e iniziative di Partecipazione; – Iniziative straordinarie: Expo 2000, e altri studi interuniversitari; – Un punto di vista soggettivo; – Appendice. 12 l’arsenale di venezia valeriano pastor


1. Eventi Il primo di tali eventi – nel mio quadro dei fatti, radicale semplificazione dei reali processi di vita – è nel 1957 il trasferimento del Comando in capo del Dipartimento marittimo Alto Adriatico da Venezia ad Ancona (dove già era stato, dall’istituzione dello Stato unitario fino al 1933). Restava tuttavia un Comando d’Ammiragliato a gestire la base marittima e procedere al disarmo del cantiere militare della Marina, costituito fin dal 1872-1878 nel corpo, recinto murario, fabbricati e darsene dell’Arsenale storico3. L’immediata conseguenza di tale trasferimento è stata la dismissione delle attività cantieristiche militari e quindi il licenziamento dei trecento addetti del cantiere, provocando un certo scoramento partecipato della città, che di fronte al disarmo dell’impresa industriale tecnologica dell’età moderna, costruita sulla gloria del cantiere storico, intravedeva il destino di un mutamento della capacità imprenditoriale cittadina, sulla linea in parte già sofferta con le iniziative vissute alla Giudecca, e presentandosi ancora problematica la promessa di Porto Marghera. L’avvenimento è stato rimediato con il reimpiego di operai e, aprendo al futuro, con la concessione d’uso dei volti (tese-capannoni) del Novissimo per lavori di raddobbo anche di bastimenti civili, all’azienda privata che fin dal 1932 gestiva il cantiere moderno – la coda nord-est, bonificata e attrezzata fin dal 1872, all’inizio delle opere per l’industrializzazione dell’Arsenale storico4. Con tali avvenimenti il Comando Marina si è costituito nei fatti (inaspettatamente), oltre ogni volontà e competenza, quale conservatore dell’Arsenale antico; condividendo tuttavia l’onere con la Sovrintendenza per i beni architettonici e archeologici. Il secondo evento è, nel 1980, la dichiarazione del Comando Marina di voler aprire all’uso pubblico l’Arsenale storico. L’annuncio – per sé inaudita innovazione, negli otto secoli di vita segreta che aveva acceso l’immaginario (fino all’affabulazione) non solo della popolazione urbana ma nel mondo delle relazioni politiche – veniva subito limitato da riserve relative all’estensione della parte visitabile nonché al modo e alla sostanza della partecipazione di enti pubblici e imprese. Invero l’annuncio sanzionava la fine dell’Arsenale quale grande costruttore nella piena sapienza dell’arte navale; apriva il luogo riservato al culto massimo di tale sapienza, concedendo edifici storici segnati dal divenire di tale sapienza alle iniziative private, di enti, fondazioni e imprese; ma subito conducendo la responsabilità dell’apertura al condizionamento del Comune, all’ente autarchico gestore primo del territorio e dei servizi pubblici. Le riserve contenute nell’annuncio, relative ai modi e alle forme d’uso dell’Arsenale, richiedevano una serie di accordi del Comando Marina tanto con il Comune di Venezia quanto con le direzioni sia del Demanio marittimo sia del Demanio civile. Il programma è stato attuato per valeriano pastor l’arsenale di venezia

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È l’immagine dell’Arsenale storico adattato nei suoi volti o tese (capannoni) a sistema industriale per la costruzione di nuove unità navali, e raddobbo di quelle in forza, per la Marina Militare; attuato negli anni 1872-1878 e seguenti con l’addizione dei bacini di carenaggio, interrati su area bonificata – cantiere nuovo concesso all’attività privata anche per usi civili. Nel 1952 cessa l’attività cantieristica militare entro l’area dell’Arsenale storico; ripresa, in seguito alla reazione della città, soltanto nella lunga serie di tese sul confine nord. La foto aerea ripresa tra il 1952 e il 1980, a confronto con il fotopiano del 1910, è una chiara dimostrazione della marginalità funzionale dell’opera storica.

Fotopiano dell’Arsenale, 1910 Foto aerea (foto Giacomelli, Venezia)

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fasi e parziali concessioni, giungendo al compimento dei perfezionamenti solo di recente, nel febbraio 2013 – di tutto ciò farò ulteriore valutazione dopo aver esaminato le attività svolte nel frattempo, tra l’annuncio e il perfezionamento. Di tale frattempo intendo esaminare i casi di dialogo, proposte e contrasti, nei quali ho svolto impegni di studio e lavoro progettuale, sia diretto sia mediato, nell’insegnamento allo IUAV; inclusa la partecipazione a convegni diretti ad argomentare sul senso storico degli eventi con il loro pregnante valore civico nel processo di vita della città. Mi piace, al proposito della partecipazione pubblica attraverso l’interpretazione della stampa sia locale sia nazionale, segnalare un attento regesto, redatto da Gianni Fabbri5, delle molte opinioni d’orientamento e prospettiva destinale espresse dalla stampa, bene esaltate nei titoli, tanto varie e spesso in contrasto da apparire – malgrado un certo senso urtante, ma con divertimento – disorientanti. 2. Frattempo Dall’officina IUAV ho avuto alcuni incarichi, quanto agli studi sull’Arsenale. Il primo è stato il compito6 di coordinare un’intrapresa di rilievi, studi e progettazioni già in atto o annunciate nell’intenzione da gruppi di docenti operanti in differenti dipartimenti dello IUAV. L’interesse era suscitato dalla decisione del Ministero della Marina di passare alcune aree dell’Arsenale al Demanio dello Stato, supponendo prossima la concessione all’uso civile: e dunque in ragione del secondo evento posto in premessa. Aveva suscitato la curiosità, metodica nei procedimenti della ricerca disciplinare, di conoscere approfonditamente la grande e complessa (in sé diveniente) costruzione storica, considerata nelle più varie problematiche d’interesse architettonico; immaginando altresì fatale l’estensione del progetto di restauro e uso (vale a dire processo di cura) a tutto l’Arsenale storico, con riguardo eminente all’interesse civico. Esaminerò a parte tali studi sostanziati nella pubblicazione del libro Progetto Arsenale 7. Il secondo compito, anni Novanta, mi è stato affidato dal rettore Marino Folin per dare corpo alla sua idea di trasferire tutto il complesso dell’organizzazione IUAV all’Arsenale. L’idea era motivata dalla convinzione di poter conferire nuova unità operativa e qualità spaziali allo svolgersi degli studi, ottenendo un alto prestigio per l’istituzione IUAV e per l’Arsenale stesso, associandovi pure una Scuola di Architettura Navale, ideale ripresa di quella aperta nel 1697 da Andrea Musalo e rinnovata nel 1760 da Simone Stratico con indirizzo prettamente scientifico – dimenticata dopo la caduta della Repubblica. Il disegno di approccio alla fattibilità, ragionato con vari colleghi e redatto con Umberto Tubini, prevedeva l’impegno di una parte molto vasta e complessa dell’Arsenale: tutto l’articolato

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settore sud-est – denominato Arsenale di terra, non cantieristico ma destinato alla costruzione delle artiglierie (ora concesso in uso alla Biennale), con l’addizione del complesso a “tesa longa” sullo Stradale di Campagna. La grandezza era motivata dalla necessità di contenere tutti gli spazi istituzionali dei tre settori costitutivi: quello scientifico-didattico, per le migliaia di studenti frequentanti, quello per le attività di studio e ricerca dipartimentale, terzo l’amministrativo, per il centinaio e mezzo di funzionari. Oltretutto valeva l’impegno di destinare un gruppo di spazi attrezzati per esposizioni e convegni d’iniziativa pubblica (sulla linea della tradizione in atto nella sede dei Tolentini). Era necessario trovare la forma capace di coniugare il sistema spaziale tutto aperto dell’Arsenale alle molto varie delimitazioni necessarie nel sistema universitario. L’idea e il disegno furono contrastati, molto discussi e infine accolti dal Consiglio di Facoltà; con favore considerati dal Sindaco Cacciari, ma non dall’intera Giunta, con attenzione visti dallo Stato Maggiore della Marina, ma senza pronunciamento, dubitosamente considerati da Veltroni ministro ai Beni Culturali – che anzi suggeriva di spezzare lo IUAV in due sedi – infine inappellabilmente respinti dal sovrintendente ai beni architettonici e archeologici Livio Ricciardi. Nel 1996 infine il complesso di fabbricati, fatta eccezione per la serie di officine lungo lo Stradale di Campagna – sul quale Marino Folin prometteva una nuova struttura universitaria quale luogo d’interessi per la città, l’inizio di nuova vita per l’Arsenale antico e di rianimazione del sestiere Castello – veniva temporaneamente concesso alla Biennale. Gli elaborati di quel progetto – qui illustrati con planimetria, schizzi e nota a margine – costituiti da grafici e note sulla corrispondenza tra la ricerca di qualità e quantità degli spazi necessari (avendo ben valutato la disponibilità a nuova vita per i caratteri della configurazione architettonica storica), con tutta la documentazione epistolare riguardante la richiesta, le risposte, note di consenso e dissenso, il verbale del dibattito svolto nel Consiglio di Facoltà, sono conservati e consultabili nell’Archivio generale IUAV. Il terzo compito riguarda la campagna di ricerca d’impegno nazionale sostenuta dal CNR con il Progetto finalizzato per i beni architettonici, culturali e ambientali, Sottoprogetto 2: Target Venezia - Progetto Arsenale. Lo studio, rilievo e interpretazione analitica dello stato di degrado sul corpo di fabbricati Deposito Armi era già iniziato da Romeo Ballardini limitatamente all’analisi delle superfici esterne dei corpi di fabbrica – essendo pericolante l’interno. Era per sé finito, in anticipo sul programma quinquennale, ma fatalmente concluso con la prematura scomparsa del docente. Per completare il programma ho trasferito il lavoro delle unità operative (ben undici, con differenti indirizzi specialistici) su quattro tese del Novissimo destinate a nuova sede della sezione veneziana del CNR, Studio Grandi Masse, oggi ISMAR. I lavori d’indagine sono stati costretti in una sola tesa,

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Il disegno di Burelli e Gennaro, sapientemente bello, è una suggestione positiva, in particolare per quanto attiene la Skeuotheke: si manifesta un pensiero soggettivo che ambisce ad agire in un procedimento progettuale crescente da una “scrittura delle prescrizioni”, che sia aperta alle definizioni di dettaglio in cui risuoni la classicità. L’organizzazione spaziale per sé anticipa la “scrittura delle prescrizioni”, in quanto appartiene, nel campo della formatività, al sistema delle forme primarie, o forme formanti, che stanno sopra la nostra testa, come stavano sopra la testa dei Senatori di Atene, concentrati sul mondo delle figure mentre si accingevano a coglierle attraverso il progetto delle prescrizioni. Altrettanto si può dire per il progetto delle Corderie, nel quale da parte dei Provveditori si è interposto sulle prescrizioni il rifiuto della forma formata dal Da Ponte, attingendo dalle formanti una differente spazialità, con altre prescrizioni.

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La Skeuotheke del Pireo; collegava il porto di Zea all’Agorà La Corderia dell’Arsenale (alla Tana) nel progetto del Da Ponte

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Galeazze precisava l’ordine (ma ora non più) verso la Darsena Novissima, cioè sul fronte opposto, per tutta la serie di tese dette Novissimetta: così costruendo un complesso a due fronti su due darsene, unico caso di ordinata complessità maturata nel tempo lungo dell’Arsenale. Tali due complessi – Corderie e Squadratori-Novissimetta – sono considerati da Burelli e Gennaro luoghi nevralgici per conferire nuova vita nel riordinamento dell’Arsenale, avendo in precedenza fatto intendere che la formazione seriale, la paratassi, costruisce funzionalità flessibili, ma anche indifferenza nell’ordine; che tuttavia si compone in modo complesso di relazioni, che diviene forte negli esiti della forma e della produzione, se integrata dalla presenza di elementi ipotattici. Tali elementi per l’appunto sono la Corderia della Tana su cui s’innesta il lungo allineamento del Reparto Artiglieria (sicuramente opera di un grande maestro) – che insieme costituiscono la cinta di confine sud-est dell’Arsenale – coniugata al grande sistema bifronte del rinnovato complesso SquadratoriNovissimetta. La ricomposizione del disegno dell’Arsenale seguendo tale dispositivo di caratteri (vale a dire la riabilitazione dell’impianto costituito alla fine della Repubblica) potrebbe garantire all’impianto architettonico originario lo sviluppo di nuova vita. Fondamentale è la cantieristica, collocata nella serie paratattica del Novissimo e del ricomposto Isolotto. È integrata, per ragioni strutturali delle nuove imprese, alle sezioni museali della storia e scienze della navigazione (il nodo ipotattico centrale). Del tutto nuova è un’organizzazione commerciale: una Fiera nella Corderia e una Borsa merci di nuova costruzione (per me inaspettata nel programma Burelli e Gennaro), complementi alle serie para-ipotattiche della Tana e dello Stradale di Campagna. Dal rilievo critico, meditato ed eseguito come esemplare lezione d’architettura, Burelli e Gennaro elevano una proposta di riassetto dell’Arsenale antico: fantastica costruzione per funzioni incredibili – che ritengo tali perché fondate sull’importanza solo presunta di una portata di grande scala nella produttività dei limitati spazi riservati alla produzione. Procedendo sugli altri studi di Progetto Arsenale 1985, l’interesse va a La concezione strutturale, considerata letteralmente come protocollo per riconoscere i processi delle pratiche storiche di costruzione e per operare interventi sul costruito: così gli studiosi della scienza e delle tecniche di costruzione – Giuseppe Creazza in testa con il crescente Franco Laner e il giovane Umberto Barbisan – passano al vaglio disciplinare i processi della costruzione impegnati nella vicenda edificatoria dell’Arsenale. Ponendosi dal punto di vista di chi studia lo sviluppo del pensiero scientifico, riscontrano che la persistenza delle metodiche di pratica – prova ed errore – che ha consentito di eseguire coperture su luce di portata eccezionale, s’innerva di metodiche complesse (e più avanti prossime al pensiero galileiano, fino a costituire la citata Scuola d’architettura navale diretta da Simone Stratico).

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Nel caso delle Gagiandre, la ragione delle metodiche complesse induce a contemperare l’azione erosiva della corrente marina, obbligando l’impianto costruttivo a una forte obliquità per evitarla, che diventa occasione per la sapienza dei carpentieri a risolvere la disposizione delle capriate e della loro controventatura, in modo da indurre comportamenti strutturali che chiamano in forza l’intero sistema spaziale della costruzione – modo affine, nel principio, allo specifico comportamento di continuità della reazione che caratterizza il guscio dello scafo navale. Tale idea di contiguità del comportamento strutturale, nei modi della costruzione edile e di quella navale, è valutata da due docenti della Facoltà di Architettura dell’Università di Genova. Andrea Buti e Giovanni V. Galliani svolgono una comparazione tra sistemi della carpenteria edile e navale, dimostrando in una serie di casi una corrispondenza chiara tra tecniche e concezione strutturale nei due mondi del costruire, anche più netta di quanto appare nel caso dell’Arsenale di Venezia. La forma strutturale che i due studiosi inducono a osservare riguarda la corrispondenza tra la forma di un tetto e la forma-guscio di una nave; talché le puntellazioni suppletive alla forma continua di un tetto, nella sua affinità al guscio, si riferiscono alla relazione edificatoria nel cantiere navale tra puntelli e guscio-nave. Fatto (aggiungo alla concezione degli studiosi di Genova) che dovrebbe spingere verso studi della concezione strutturale dell’edificare a Venezia e nel contesto lagunare, dove tutto è cedevole e vario è il navigare, comparando le figure strutturali delle forme del navigare e quelle del costruire nella reazione elastica delle cedevolezze; con attenzione al mutarsi delle tecniche e delle strumentazioni nel corso dell’esperienza secolare, e giungere oggi, sulla soglia delle nuove tecnologie, al dilemma dell’edificare su suoli cedevoli e di impegnare l’Arsenale storico nella produzione cantieristica per nuovi modi e misure (tema che riprenderò più avanti). Romeo Ballardini e Mario Dalla Costa riesaminano la serie storica delle addizioni all’Arsenale Vecchio in comparazione con la serie di grandi eventi nei paesi europei e mediterranei, per far emergere e intendere la rilevanza politica della crescita con la potenza e capacità produttiva dell’impianto tecnico militare della Repubblica; ed elencano pure in lunga serie sia gli avvenimenti positivi sia gli incidenti occorsi nel processo della costruzione, tutto per dare alla storia un’immagine palpitante di vita congiunta alle divenienti attualità e costruire una precisa metodologia della conservazione, per un meditato riutilizzo del fabbricato. Lo scopo è di affermare l’unità urbana complessiva, che sussiste nel carattere costruttivo, adattabile alle esigenze vitali, ma senza venir meno ai principi mantenuti nei secoli. Con tale voto costruiscono il quadro procedurale delle analisi che portano a conoscere cause e forme processuali nel degrado della fabbrica, dalle superfici al corpo strutturale; e vi associano l’indice dettagliato delle pratiche restaurative, penetrando nella dettagliata specificazione operativa delle quattro fasi essenziali: il pre-con-

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In una serie di rilievi dei nodi costruttivi Burelli e Gennaro hanno colto forme prototipiche e il loro sviluppo nel corso dei grandi ampliamenti, dall’Arsenale Vecchio al Novissimo; analizzando in particolare gli adattamenti minimi e le forme decisive del comportamento delle strutture dovuto alla geometria obliqua delle fabbriche, di cui caso forte sono le Gagiandre, dove l’ordine deformato induce un eccezionale comportamento spaziale alla struttura delle capriate. Il caso delle Gagiandre è trattato con valutazioni specifiche del comportamento strutturale da Creazza con Laner e Barbisan nel loro saggio La concezione strutturale all’Arsenale di Venezia, p. 83 del citato Progetto Arsenale, Cluva, Venezia 1985.

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Evoluzione dei sistemi murari e delle campate Le tettoie acquee quattrocentesche, piante e prospetti

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dei pontoni costruiti dall’Arsenale per passaggi tra le sponde del Piave, che hanno dato sensibile contributo alla vittoria della guerra 1914-1918). Valga lo spunto dato da Aldo Rossi con il Teatro del Mondo, per vedere che tali natanti potrebbero essere sede di servizi o attrezzature complementari alle attività già insediate; in particolare per il ristoro e momenti di riposo degli operatori, tecnici, consulenti e studiosi, impegnati nelle istituzioni e aziende operanti nell’Arsenale; evitando così lo spreco di spazi delle tese, e considerando pure l’opportunità di mantenere attivi, benché in condizioni variabili, i raccordi e rapporti con la Certosa oltreché con San Pietro e San Daniele. Prefiguro in tal modo e con accentuato interesse, l’ipotesi che l’ampliamento di talune attività, come il possibile ritrovamento di reperti archeologici marittimi, trovi opportuna sede, altamente specializzata nelle dotazioni tecniche e controllo ambientale, nel nuovo tipo di tese natanti. L’attenzione che ho dato a due degli studi di Progetto Arsenale si motiva da sé: sono quelli che hanno considerato l’Arsenale nella pienezza dei ruoli d’integrazione al sistema città-laguna, o invece al suo consistere identitario entro il mondo “globale”. Il gruppo formato da Gregotti-Magnani-Messina con assistenti e discepoli, risolve il rapporto tra l’Arsenale e la città, cogliendo nell’Arsenale l’occasione per dare giusta sede a istituzioni cittadine, con particolare attenzione al sistema di collegamenti e percorrenze, tanto urbane che d’ambito lagunare. Burelli-Gennaro, con i loro discepoli, eseguono il rilievo metrico manuale di quel gruppo di edifici che nel divenire storico sono la matrice tipologica delle fabbriche, mettendo in luce i tratti nomotetici che reggono lo sviluppo dell’Arsenale, le innovazioni nei tempi lunghi delle addizioni come nelle revisioni e rifacimenti delle opere pregresse; ma non danno ragione all’invenzione di tipi straordinari quali una Borsa merci e Fiera coerenti alla vita e alla struttura della forma dell’Arsenale. Nel caso Gregotti-Magnani-Messina, annullate le proposte operative del trasferimento di attività e istituzioni, resta essenziale un presupposto, un’endiadi: la riabilitazione ha senso nel corpo della corrispondenza delle parti dell’Arsenale al sistema città e contesto lagunare, e che sia marcata da una progettazione nel segno del nuovo, che abbia introiettato i principi che costituiscono l’essenza della formatività, modo di generare forma-senso, di Venezia. 4. Iniziative straordinarie Il frattempo è stato segnato da sommovimenti di energie vitali che mutano le condizioni di struttura fin qui considerate: mi conviene esaminarle con arbitrio schematico, distinguendo dal corpo comune dei cittadini quello universitario. Nel corpo universitario, preso dunque a parte, l’emergere di nuove opportunità spinge l’immaginario progettuale nel futuro anteriore a trovare le ragioni no-

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motetiche di guida di ciò che è necessario che sia, esplorando il possibile nelle radici di ciò che è. Nel corpo dei cittadini, d’altra parte, a dare soddisfazione alle necessità vitali e maturarle nei fondamenti per soddisfare bisogni, sull’idea di una Esposizione Universale nel 2000 emerge il lancio di una proposta di grande impegno civico: che l’Expo 2000 doveva trovare sede multipolare tra Venezia e bordo lagunare, sia marittimo che territoriale, nella sua specifica configurazione strutturale policentrica. Venezia avrebbe offerto la sua multiforme struttura d’arcipelago con vari centri d’interesse, e in più soprattutto quella parte del suo corpo, la più vasta e per secoli ritenuta arcana per il mondo, costituita da sistemi architettonici vasti e suggestivi, serviti da bacini navigabili ampi e tranquilli, ovviamente congiunti alla navigabilità della città e della laguna: l’Arsenale. L’idea ha suscitato nuovi motivi per orientare l’interesse di studio e progettazione nello IUAV, da parte di vari dipartimenti. M’interessa cogliere, e trovo sufficiente in questo scritto, l’iniziativa dei docenti che hanno avuto l’idea di stringere accordi collaborativi – corrispondenti in qualche misura all’indirizzo primario dell’Expo, l’estensione universale o comunque allargata a classi d’esperienza differenti – con docenti d’altre sedi universitarie o con docenti e professionisti di classe nota e alta, con legami d’esperienza nella gestione territoriale. Mi riferisco a due distinte iniziative, quella diretta da Luciano Semerani e quella diretta da Giorgio Lombardi, con il contributo progettuale di Carlo Aymonino; che si sono rese pubbliche in tempi e occasioni diverse: 1987 Semerani, 1989 Lombardi. Semerani forma un gruppo di studio e progettazione schiettamente mitteleuropeo13, le cui radici genetiche della progettualità architettonica vanno riferite al rizoma di cultura e creatività delle scuole-tendenze di Vienna, nella serie di alcuni decenni, otto almeno, a cavaliere del passaggio dal XIX al XX, che hanno avuto alta risonanza a Venezia. La formazione di tale gruppo sottende ragioni programmatiche del progetto, tanto nell’aderire alla ragione prima dell’Expo, interrogare e far esprimere linee di tendenza operative nei ruoli internazionali, quanto nel connotare una marca formativa comune tra i progettisti del gruppo che in quel citato rizoma di radici originario riconosce le intenzionalità soggettive: essere conservatori rispetto alle volontà d’assoluto rinnovamento, innovatori rispetto ogni accademismo (ho così parafrasato Semerani, non conoscendo le opere di tutti i partecipanti del gruppo). Dal programma rilevo la chiarezza del pronunciamento sulla fattibilità tecnica intesa quale istanza politico-culturale: così (credo) per intendere esclusa ogni inclinazione verso progetti che in tempi vicini (al 1987) hanno suscitato fantastiche provocazioni innovative per Venezia – specificazione che non indica riferimenti tangibili e resta provocatoria nel silenzio sui fatti sottesi: vale per chi vuol intendere. Semerani fa esplicito il programma, e rende chiaro per il concorso dei

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Una prospettiva per l’Expo 2000 Proposta di Semerani Proposta di Podrecca

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È un progetto che interessa l’intero corpo dell’Arsenale, includendo l’area dell’ex convento delle Vergini. La regia di Semerani sul gruppo numeroso di progettisti mitteleuropei, da lui stesso convocati, è da supporre abbia indotto a discutere inizialmente il ruolo dell’identità differente delle parti nell’unità del sistema. Alcuni autori (per esempio Podrecca e Zoeggeler) hanno esteso la progettazione dalla parte al tutto, connotandovi differenze (un’offerta differenziata del tutto). La regia, nella fase finale, ha indotto riduzioni nei singoli per dar corpo a una nuova unità delle differenze, unità di dialoghi ritrovata nel paesaggio scenografico, come evento di teatro. Un dialogo intenso appare tra la forma dell’ingresso sul fronte lagunare – di Semerani – e le strutture del ponte Arsenale Vecchio di Burelli. Dalla laguna la forma del padiglione d’ingresso appare suggestiva, arcano punto focale di tutta l’estensione muraria; da dentro appare come scena teatrale vuota: form follows fun (secondo il designer Verner Panton) – divertimento che trova opposizione dialogica nel costruttivismo eccedente e bello di Burelli. Non importa che il padiglione-porta sia vuoto – biglietteria o poco più –, importa che sia la porta d’acqua dell’Expo e che la sua forma sia la marca formante delle sistemazioni arsenalizie. Marca rappresentativa ed eloquente, perciò scena teatrale. (Rincresce non poter presentare tutti gli autori coordinati da Semerani).

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Il Piano dell’Esposizione interessava il sistema policentrico veneto assegnando ruoli speciali al sistema lagunare e al territorio che ne fa gronda, collocando presso l’aeroporto il nodo centrale di tutta l’organizzazione: il Magnete, generando una bella connessione per via d’acqua con l’arcipelago veneziano, in particolare con il fatale impianto dell’Arsenale, sia Storico che Nuovo. Riconosco il segno di Carlo Aymonino (si vedano le immagini del Libro Bianco su VENETIAEXPO 2000, a cura del Consorzio Venezia Expo, 1990) dove la generosità dell’espressione formale si contempera con il rigore delle necessità, e felicemente trova e mette a prova un sistema di pontoni, padiglioni natanti per esposizioni, costituiti da una selva di colonne in legno e coperture leggere, disposti attraverso la Darsena Grande a far da pontile: risoluzione chiara che rianima l’esposizione e la Darsena quale piazza d’acqua. In forma definitiva (per noi ancora possibile), quale pontile di attraversamento, avrebbero dovuto eliminare il ponticello e sciogliersi al passaggio di imbarcazioni grandi, per ricomporsi poi. Un modesto sacrificio sopportabile, come sopportabile è nella via di grande traffico a Chicago il sollevarsi del ponte levatoio.

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Gli interventi all’Arsenale nel Piano Venezia Expo 2000 Carlo Aymonino, proposta di ricostruzione, con funzioni espositive, del demolito Isolotto, che divideva in due la Darsena Grande (team di progettazione coordinato da Giorgio Lombardi, con Carlo Aymonio, Enrico Fontanari, Giorgio Bellavitis e Francesco Bandarin; il disegno di destra è di Gianni Predieri)

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vari autori (e per i lettori) il ruolo del progetto delle parti (dei partecipanti): è un canovaccio narrativo, la logica di un racconto che consente di caratterizzare ogni personaggio-progetto entro nuove scene del contesto che concorre a ri-formarlo. Il programma è steso con chiarezza; la scrittura mi indirizza a interpretare le figure del disegno, la sua stessa formatività, quale esaltazione della marca letteraria, del tratto che distingue Semerani, eccellentissimo critico di pensieri figurativi che stanno sul confine letterario del discorso architettonico. Il disegno, il suo proprio disegno della nuova porta dell’Arsenale – tale per l’Expo e per la quotidianità futura della città, giungendovi con la navigazione lagunare – esalta la marca formale letteraria della scena, dona una lettura teatrale della forma, e fa trascorrere questo carattere, così come nella descrizione del programma, sul contesto delle parti, sulla marca formale di ogni corpo d’opera componente il progetto. Devo quindi rilevare che l’accademica eleganza formale neo-cinquecentesca del cantiere industrializzato della Marina, che l’ha ambita trasfigurando la marca storica dell’Arsenale in opera attuale – ma per dispetto del tempo fuggente trascorsa in archeologia industriale –, viene rovesciato in eleganza scenografica, con alta degnità certo, ma tale da far dimenticare l’eleganza tecnica, pura allo stato nascente, dell’Arsenale storico: artisticità non ricercata, ma intrinsecamente autentica. Il progetto proposto da Aymonino14 due anni più tardi, 1989, dà attuazione formale al Programma formulato nel Libro Bianco VENETIAEXPO 2000, pubblicato nel 1990 da un gruppo di aziende del massimo livello nel Veneto. Il progetto interessa Venezia con l’area lagunare, con particolare carico sul bordo della terraferma: presso l’aeroporto di Tessera è collocato il nucleo d’orientamento di idee e direttrici d’informazione con l’organizzazione generale dell’Expo, il Magnete con ampi servizi che guidano al senso relazionale delle parti con il tutto. L’Arsenale è un dettaglio, ma d’importanza cruciale: nel principio che guida il suo ruolo funzionale nell’Expo le organizzazioni sono tutt’altro che occasionali, come in una fiera, sono pensate per la quotidianità che verrà, per un ruolo culturale di riabilitazione del corpo storico dell’Arsenale della Repubblica; quelle innovative, temporanee o meno stabili per il futuro e meno significative nella radice storica delle idee destinali, sono collocate nell’area dell’Arsenale Nuovo. Tale orientamento nella forma dell’uso è correlato al fatto che nel recinto storico dell’Arsenale il progetto d’architettura ha direzione conservativa: quel modo di fare che tende a coniugare il silenzio d’autore sulle forme ed elementi della costruzione (silenzio che l’autore s’impone lavorando con ineffabile abilità). Modo che propone massima evidenza alla suggestione della spazialità storica coniugata alla bellezza degli spazi e delle forme connotanti nuove, ove si esaltano quelle funzioni realizzate nella virtù dell’Expo, e destinate a divenire permanenti (suppongo che la presenza di Bellavitis con la sua conoscenza sull’Arsenale – cfr. nota 3 – sia stata determinante

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nel criterio conservativo). Segno di franca innovazione è dato nel sistema dei padiglioni acquatici, cioè natanti (ovvero pontoni) in sequenza e connessione atta a consentire l’attraversamento della vastissima Darsena Grande – con passaggio a ponte rialzato per la navigazione –, costituiti con una «selva di colonne in legno» (Aymonino) a formare luoghi espositivi: idea da ricordare (anche se, devo dire, che nel decennio 1980 molte prove e tesi hanno riguardato tale ponte di attraversamento della Darsena) e far valere per servizio attivo nell’Arsenale, esaltando la navigabilità nella Darsena, luogo particolare della laguna. Terzo e significativo, ma del tutto indifferente all’Expo, dopo un settennio, nel 1997, è il lavoro sviluppato nello IUAV da Umberto Tubini, conducendo una unità operativa nel corpo di una ricerca interuniversitaria MURST, il cui responsabile nazionale era Alfredo Drugman del Politecnico di Milano – attivo nella Scuola di Dottorato IUAV, “Architettura e Scienza nei musei della cultura materiale”. Il tema era stato curato da tempo; in particolare traeva spunti dal recente libro di Werner Szambien, Il museo di Architettura, Lexis 1996 – storia del primo museo d’architettura progettato per Parigi nel Settecento. Umberto Tubini ha specificato il compito generale volgendo lo studio all’Arsenale di Venezia, esplicitando l’interesse nel titolo “Arsenale: Museo di Venezia. Le forme del sapere nella produzione”. Rappresentato in tavole disegnate con intenzione descrittiva e scritture a fumetto che specificano l’intendimento del senso, rendendo chiaro il complesso contenuto. L’Arsenale, per essere museo della città – cuore e forza della sua vita – è museo di sé, del consistere originario e dei mutamenti della sua propria architettura: perciò oggetto di studio che ne rileva differenze e specifica i modi d’intervento nel rigore di conservare restaurando – mantenere anche le rovine fermandone il degrado. Le differenze dei caratteri e delle mutazioni consentiranno installazioni documentarie e narrative – in particolare storie di archeo-tecniche e del loro divenire esperienziale – secondo un filo narrativo e secondo una forma articolata in ragione dei caratteri, anzi delle caratterizzazioni dialoganti con le specifiche spazialità dei tesoni (capannoni). Tale carattere progettuale nella tesi della ricerca, e dello sviluppo delle tavole – belle nell’espressione del contenuto concettuale –, tale modo aperto necessariamente, soltanto esemplificato con una marca illustrativa del possibile, vuole stabilire criteri per toccare nell’immaginario, nella concezione strutturante forme formanti, non forme formate: nomos, guida tanto per ogni direttore degli ordinamenti museali quanto per i progettisti degli allestimenti, non tanto vetrine espositive quanto costruzioni contenenti l’illustrazione di fatti storici, tecnologie e tecniche, convergenze e contrasti, del saper fare per lunga serie d’esperienze e seguendo il sapere scientifico. Tutto ciò all’interno dei tesoni, ma anche con possibili prolungamenti all’esterno di essi, sull’acqua delle darsene, come avveniva nel lavoro cantieristico.

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Ricerca MURST: Le forme del sapere nella produzione Direttore: prof. Alfredo Drugman, Politecnico di Milano Unità IUAV: prof. Umberto Tubini, Architettura e scienza nell’Arsenale di Venezia Sub-unità: prof. Valeriano Pastor, L’Arsenale è museo, opera e operare

In ragione della complessità della ricerca è possibile presentare soltanto la planimetria che rappresenta la struttura e morfologia degli spazi. Il contenuto dell’elaborazione dà ordine e rappresentazione degli argomenti discussi nel convegno Arsenale e/è Museo, menzionato nel testo.

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La sostenibilità della proposta si dimostrava nella correlazione tra i modelli delle pratiche dell’attività universitaria e il vario carattere e grandezza degli spazi occupabili: è stato un gioco paziente di ricerca delle possibili congenialità. Ciò che pareva scelta possibile e felice – ma era solo l’inizio di un lavoro paziente – si è dimostrata sostenibile al rigore del computo delle quantità. Proprio queste hanno avuto un riscontro positivo, a garanzia della congiunzione tra modi di vivere gli studi e le connotazioni spaziali. A quanto era immaginabile – gli schizzi allegati suggeriscono soltanto la mossa del progredire progettuale – è mancato il tempo per dimostrare le possibilità dello sviluppo. Nel corso dell’uso, le mutazioni vitali dell’immaginario avrebbero consentito di mettere a prova il carattere delle forme dell’Arsenale, e il proprio divenire. Il documento firmato dal rettore Marino Folin è conservato nell’Archivio generale con tutta la serie di allegati riguardanti il rapporto con gli enti e autorità di competenza, con il ministro Veltroni, con docenti IUAV e con i verbali del Consiglio di Facoltà. Gli studi sono riportati in L’Arsenale di Venezia. Il trasferimento dello I.U.A.V. nell’Arsenale di terra: verifica di compatibilità tra un’istituzione e i manufatti arsenalizi, a cura di Maura Manzelle. Fa parte della ricerca MURST Architettura e scienza nei musei della cultura materiale, coordinata da Alfredo Drugman. Gli schizzi tentano sistemazioni sia nelle tese longhe delle officine sistemate nel 1880 con strutture per carro-ponte, sia nel reparto cinquecentesco dell’artiglieria, sia nelle carboniere ottocentesche in ragione della loro vastità. Sono suggestioni di Valeriano Pastor per l’adattamento delle attività dell’officina-studio universitario alle officine e reparti arsenalizi.

Progetto di massima per il trasferimento dell’Istituto Universitario di Architettura all’Arsenale Planimetria della parte sud-est dell’Arsenale, detta Arsenale di terra, dimostra la forma d’uso proposta per il trasferimento dello IUAV

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una totale apertura tra le tese, sì che le confonde in nuova unità. Fatto che si può intendere come naturale derivazione dalla prova dell’Arsenal Novo, in particolare delle tese acquatiche20, della metà del XV secolo: passato un secolo, e oltre la metà del XVI, nel corso della fervida ricerca rinascimentale sugli “ordini architettonici”, nel Novissimo si inventa un ordine colonnare del tutto originale, che appare quale referente del lavoro che vi si svolge: la ricerca di nuovi modelli navali, atti a vincere le forze in gioco nella navigazione e nel dominio dei mari, a competere con le flotte concorrenti. Così come nella concezione delle strutture di copertura delle tese si adottano controventature atte a conferire una resistenza meccanica spaziale, e altri accorgimenti che ne consentono l’uso quali strumenti del lavoro cantieristico. Oltre la figura delle colonne – forte e tozza, con la semplice originalità delle finiture, base e capitello a foglie acquatiche – colpisce la continuità seriale delle arcate a pieno sesto, dall’inizio, dal limite sul bacino, con tratto murario consolidato dalla testata a contrafforte, al termine di ogni setto divisorio delle tese (ma con l’eccezione delle Gagiandre, per le quali si può usare la definizione albertiana di travata ritmica). Sulle tese lungo il lato nord, la ripetizione seriale delle arcate in ognuno dei setti che separano le tese genera una spazialità straordinaria. Oggi solo immaginabile, con l’aiuto del disegno Tonini Lazzari (biblioteca Correr) – che vede la sequenza senza fine, dall’interno favoloso (oggi non più tale) delle tese acquatiche di San Cristoforo. Oggi vari setti divisori sono alterati dal tamponamento di alcune arcate, ma intatte le colonne e identificabili gli archi; mentre altri sono totalmente chiusi senza tracce di colonne e arcate, come già si nota in uno dei rilievi del generale Martini; ma non si può dire se così ab origine o per mutamenti intercorsi durante il XVIII secolo per far fronte alle difficili e problematiche attività di riassetto della flotta, nel mutamento dei tipi e dominio della navigazione, o nel XIX con la nuova organizzazione industriale. Basti però, per dare all’immaginario la forza di formularsi la figura architettonica della continuità tra i volti e quindi goderne, ricordare l’effetto emozionale che si prova, oltre che nelle citate quattro tese presso le Gagiandre, nella Cattedrale di Trieste o nel Duomo di Mantova (ristrutturato da Giulio Romano), dove lo spazio è l’esito della congiunzione di due Basiliche, in origine distinte. Dopo un secolo e mezzo tutti i cantieri del Novissimo sul lato nord (15721578) sono stati innalzati, alleviando il carico con una serie di arcate di misura eguale a quelle passanti nella base, per non gravare troppo sulle fondazioni, ottenendo un esito architettonico ancora straordinario – alla cui suggestione si può attingere grazie alla Tesa di Novissimetta rimasta tale. La ragione che porta a modificare l’altezza è la necessità ineludibile di consentire il rinnovo della flotta della Repubblica, costituendo ex novo, con metodo scientifico, grandi vascelli armati a quaranta cannoni e più – essendo ormai volta al suo termine la navigabilità a

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vela e remi con l’armamento militare delle galeazze, gloria della lontana età di Lepanto. Nella tangibile realtà spaziale di Novissimetta, e con l’aiuto complementare di alcune stampe, si può immaginare lo svolgimento della costruzione di una nave, dall’impostazione della chiglia, poco sollevata dal suolo a tutto il proseguimento. Nel mio immaginario vedo ciò di cui dirò, ma tra breve. All’inizio degli anni ottanta del XIX secolo diventa attivo il cantiere della Marina Militare dello Stato Unitario Italiano. Costruisce navi di acciaio su due grandi scali, opera nuova e bene eseguita, ma al costo della demolizione di una metà dell’edificio detto alle seghe o degli Squadratori: si può ben dire del sacrificio di un’opera bella d’architettura, progetto d’eccellenza dello Scalfarotto (le note di caratterizzazione critica scritte da Paola Gennaro e Romano Burelli21 sono perfette nel darne valore). Nel nuovo quadro dell’esecuzione cantieristica le tese del Novissimo sono diventate officine specializzate nella produzione di componenti e di macchine da fornire agli scali: un servizio su binario Decauville provvedeva ai trasporti. Dal 1912 cominciano le operazioni edili che trasformano le tese in parti distinte tamponando gran parte delle arcate (conservando le colonne) che conferivano continuità spaziale e operativa alla serie, riducendo altresì la lunghezza delle tese chiudendo i due fronti a nord e a sud, infine abbassando l’altezza e rinnovando parte dei tetti con strutture reticolari in carpenteria metallica. Sono così compresse, se non smozzicate, le suggestioni dello spazio continuo; tuttavia permane nell’immagine l’idea dominante della contiguità aperta e del vuoto: nella geometria dei grandi spazi delle tese vige un senso di dominio del vuoto, ricercato in quanto tale, nel gioco del contendersi un primato di pregnanza tra l’ordine geometrico dello spazio operativo e l’ingombro prevaricante delle attrezzature destinate alla costruzione di congegni o allo svolgimento di operazioni cantieristiche – oggi finalmente risolto nell’ordine d’uso dell’attività di ricerca scientifica che vi sono insediate. Nel mio immaginario del progetto tentativo – svolto a latere della ricerca CNR – ho abbozzato due modi di operare per tali attività. Primo è il modo a pool, disteso su zone di poco elevate sul livello di base attuale – ma con le differenze necessarie a garantire opere d’installazione delle reti tecnologiche nel suolo, indispensabili tanto a mantenere una giusta condizione ambientale quanto a servire le apparecchiature informatiche. Il modo a pool può consentire la separazione degli operatori, singoli o a gruppi, con sistemi d’allestimento dei posti attrezzati con strumenti e arredi, anche da laboratorio, che siano progettati riducendo a minima grandezza l’ingombro dei loro supporti sull’area pavimentale (come abbiamo fatto nella grande sala di villa Morosini ad Altavilla Vicentina, sede del CUOA negli anni Ottanta-Novanta), per consentire allo sguardo i percorsi dialoganti con tutte le superfici, offrendo l’immagine totale degli spazi operativi. L’altro modo è lavo-

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Gli schizzi di avvicinamento al progetto di sistemazione delle tese destinate al CNR – progetto senza obbligo, rimasto perciò quale fatto marginale – intendono tentare, mettere a prova un assunto preliminare, o preparazione per una gara, che sarà tale nel dialogo serrato con l’altro, con l’ente che esprimerà esigenze essenziali per il suo operare; che tuttavia colloco nell’ordine tipologico CNR o Thetis, per immaginare analogie operative, ma non precise e vere grandezze. L’assunto preliminare stabilisce che ogni possibile organizzazione architettonica, che soddisfi forme operative necessarie per l’attività dell’ente operante, abbia quale matrice il vuoto degli spazi d’origine: che appaia il vuoto delle tese, il semplice vuoto che alla base, attraverso le arcate – tutte quelle recuperabili –, confluisce nella continuità della sequenza, senza fine nel senso. Intendo tale vuoto come il silenzio della musica – non un intervallo tra parti o una pausa per uno strumento, ma l’intrinseco valore strutturale tra gli armonici. Prima conseguenza è il godere, per l’area bassa, il perimetro con i suoi sfondamenti, la luminosità continua della base in opposizione a quella variata di riflessi dalla darsena a sud, e la contrapposta silente del muro con finestre a nord. Una forma chiusa – per esempio sala conferenze per un centinaio di posti – e altre poche forme chiuse, vetrate o no, possono costituire quell’impedimento visivo che obbliga o invita la nostra formatività

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a costruire la figura dello spazio. Il pianterreno è destinato a pool di lavoro, anche suddiviso da basse frontiere; dove il pavimento è impianto tecnologico per ampi tratti che distinguono percorrenze funzionali, in parte per visitatori dell’Arsenale quale museo del lavoro e di sé, opera storica. Un sistema strutturale a pilotis regge due piani con reticolari tipo Vierendel. I pilotis sono fondati su pali. Nessuna struttura o altro corpo tocca i muri o le altre strutture della tesa – come se il complesso corpo portato fosse un vascello in costruzione, o meglio una costruzione soggetta a mutamenti. I nuovi corpi nelle tese sono collegati da pontili attraverso le arcate. La regolazione del regime ambientale ha il dilemma nell’alternativa tra un sistema unificato e la molteplicità dei soggetti-problema: pongo quindi l’economia della centralizzazione quale sistema finale. Perciò in uno degli abbozzi è provata una torricella tecnica che valga per una sola tesa (o una coppia di tese). L’illuminazione naturale è abbozzata con un sistema tecnico complesso. Ogni foro dei quattro aperti sul tetto di ogni tesa ha un corpo di elementi specchianti in metallo levigato, posti all’esterno e all’interno, orientabili per accogliere la luce, o proteggersi dagli eccessi, e direzionare la luminosità rigenerata – e al caso vedere luoghi e avvenimenti esterni.

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Target Venezia - Progetto Arsenale La Galea Coronelli in una riproduzione inglese del Settecento Giovanni Casoni, Disegno della Trireme descritto dal Canale in Dei Navigli Poliremi, 1834, copia del manoscritto di Cristoforo Canale, Dialoghi sulla Militia Marittima, Venezia, Biblioteca del Museo Correr L’immagine del reperto di galea affondata in laguna – zona di San Marco in Boccalama – allude a un possibile laboratorio di restauro d’imbarcazioni in legno e d’archeologia navale nel corpo dell’Arsenale



Crediti fotografici

Le immagini alle pp. 14, 15, 20, 21, 24-31, 34-39 sono tratte da Progetto Arsenale. Studi e ricerche per l’Arsenale di Venezia, a cura di Paola Gennaro e Giovanni Testi, Cluva, Venezia 1985, pp. 30, 31, 33, 34, 44, 45, 47, 48, 53, 59, 67, 70, 85, 90, 91, 93, 108, 109, 113, 114, 116, 119, 155, 156 I disegni alle pp. 48, 49 sono tratti da L’Arsenale riordinato. Nuovi progetti per Venezia, a cura di Paola Gennaro, Arsenale, Venezia 1987, pp. 51, 68 I disegni alle pp. 50, 51 sono stati gentilmente concessi da Enrico Fontanari I disegni alle pp. 54, 76, 77 sono tratti dal Progetto di ricerca nazionale del Ministero dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica (MURST), “Il Museo del Lavoro. Luoghi per il sapere: cultura e progetto”, cofinanziamento 1998; Progetto dell’unità operativa dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia - Dipartimento di Progettazione Architettonica “L’Arsenale Museo di Venezia, le forme del sapere nella produzione” Il disegno a p. 55, a cura della Studio Pastor, rielabora e riassume il materiale del progetto di trasferimento dello IUAV nell’Arsenale di Terra I disegni alle pp. 66, 67 sono tratti da Comune di Venezia - Ufficio Arsenale, Documento Direttore per l’Arsenale di Venezia - 2015, pp. 19, 21 (http://arsenale.comune.venezia.it/?page_id=319) L’immagine di p. 74 è stata gentilmente concessa da Giorgio Suppiej Il disegno di p. 75 è tratto da La galea ritrovata. Origine delle cose di Venezia, Consorzio Venezia Nuova, Venezia 2002-2003, p. 114 La fotografia di p. 75 è tratta da Arsenale e/è Museo, «Insula Quaderni. Documenti sulla manutenzione urbana di Venezia», 11, maggio 2002, p. 56 (foto Ugo Pizzarello) Le immagini delle pp. 80-82 sono state elaborate da Emanuele Garbin e provengono da CNR, Target Venezia - Progetto Arsenale, elaborato da LAR-IUAV 2000-2002 Dove non altrimenti specificato le immagini sono di Valeriano Pastor

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Finito di stampare nel mese di marzo 2017 per conto della casa editrice Il Poligrafo presso la Papergraf di Piazzola sul Brenta (Padova)



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