Un dialogo ininterrotto. Studi su Flora Ruchat-Roncati, a cura di Serena Maffioletti, Nicola Navone

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cultura politecnica e costruzione del territorio in svizzera Ilaria Valente

Nell’aprile del 2013, presso la Scuola di architettura del Politecnico di Milano, si è tenuta una giornata di studi accompagnata da una piccola mostra sull’opera di Flora Ruchat-Roncati. L’iniziativa è stata concepita da Serena Maffioletti e da me stessa, con Carlo Toson e Carmen Andriani. Nell’anno precedente alla scomparsa di Flora, Serena e io avevamo tenuto un corso di Architettura delle infrastrutture e in quell’occasione avevamo condiviso il nostro interesse per il lavoro di Flora, invitandola a tenere una lezione. Qualche tempo prima avevo chiesto a Flora un intervento nel Dottorato di ricerca in Progettazione architettonica e urbana,1 nel corso del quale aveva tracciato un’interessante descrizione del suo approccio al progetto e alla composizione, con ampi riferimenti al suo insegnamento e al nesso tra la sua ricerca e alcune sperimentazioni nel campo dell’arte. L’invito era seguito a due conversazioni intrattenute con lei a Riva San Vitale, perché volevo scrivere sul suo lavoro, che m’interessava da tempo. Non la conoscevo ancora personalmente e ho incontrato la sua grande disponibilità a illustrare la sua ricerca progettuale e a discuterne a lungo, anche in modo molto informale davanti a una tazza di caffè nella cucina della sua bella casa, oltre che davanti ai disegni e alle fotografie. Ero rimasta molto colpita dalla sua intelligenza, dalla sua passione e dalla sua attenzione: avevamo rivisto insieme più volte il testo del dialogo sul progetto AlpTransit,2 progetto che, allora, non era ancora stato pubblicato se non parzialmente. I contributi della giornata di studi sono raccolti in questo volume e descrivono bene lo spessore della figura di architetto e di professore, la passione civile e la grande umanità di Flora Ruchat-Roncati. Gli interventi dei colleghi e degli amici invitati hanno ripercorso i temi e i luoghi dove ha esercitato l’attività di progettista. L’intreccio è illuminante, perché chiarisce i punti fermi di una pratica progettuale che si è precisata nel tempo attraverso l’interazione e l’assimilazione di esperienze anche molto diverse: dal Canton Ticino, a Roma, a Taranto, al Friuli, ai paesaggi delle infrastrutture elvetiche; dall’abitare alle infrastrutture, le case e i ponti; dalla passione giovanile per Le Corbusier che, accanto a quella per le arti, ha informato in filigrana la fondamentale plasticità della sua architettura. Fin dall’inizio mi hanno colpito la forza e la competenza con cui Flora RuchatRoncati si era cimentata sul terreno e nel confronto con l’ingegneria, il che ha un significato particolare in Svizzera. È noto che dalla metà dell’Ottocento, la figura dell’ingegnere, così come il Genio civile e il Genio militare, acquistano un ruolo centrale nella costruzione della Confederazione. Già dalla metà del Settecento gli ingegneri svizzeri, come Grubenmann, poi Dufour, Ritter, fino a Maillart, sono grandi


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