Il «Palagio traforato». La Ca’ d’Oro nella Venezia tra Otto e Novecento, di E. Concina

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biblioteca di architettura 21



Elisabetta Concina

IL «PALAGIO TRAFORATO» La Ca’ d’Oro nella Venezia tra Otto e Novecento

presentazioni di Guido Zucconi, Claudia Cremonini

ilpoligrafo


progetto grafico e redazione Il Poligrafo casa editrice redazione Alessandro Lise copyright Š novembre 2019 Il Poligrafo casa editrice Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISSN 2612-2893 ISBN 978-88-9387-076-4


indice

7 Ben oltre la facciata Guido Zucconi

9 Nuovi studi su Ca’ d’Oro Claudia Cremonini

17 Introduzione

25 i. la fortuna critica della ca’ d’oro tra otto e novecento 30 Da bizzarra mole a monumento esemplare 40 Tra critica e prosa 47 ii. provvedimenti e limiti della tutela del patrimonio privato 47 Il palazzo e il censimento dei monumenti tra il 1851 e il 1905 51 Pietro Selvatico e il nuovo regolamento della Commissione all’Ornato 55 Dopo l’Unità

61 iii. i restauri del palazzo (1845-1927) 64 Restauro e ammodernamento nel progetto di Giambattista Meduna 70 Il sogno del barone. Giorgio Franchetti e il ripristino dell’edificio 82 Da palazzo privato a galleria pubblica

95 iv. nostalgia e progetto 95 La questione della ridoratura della facciata 97 La Ca’ d’Oro modello per l’architettura veneziana

apparati

103 i restauri. schede tematiche 103 1. La modifica e il ripristino della facciata e della riva d’approdo sul Canal Grande


114 2. 121 3. 124 4.

L’atrio terreno e il mosaico pavimentale La scala esterna della corte I progetti e gli interventi di Ferdinando Forlati per la musealizzazione della Ca’ d’Oro

129 fonti a stampa e bibliografia

149 Indice dei nomi


ben oltre la facciata Guido Zucconi

“Un altro libro sulla Ca’ d’Oro?”, verrebbe da domandarsi, di primo acchito, davanti al libro di Elisabetta Concina. Ma, a questa prima inconsulta reazione, fa seguito una più meditata risposta che prende atto di quanto ci ha finora offerto la straripante letteratura sull’argomento. Insieme al palazzo Ducale, alla basilica di San Marco, al ponte di Rialto e a quello dei Sospiri, la Ca’ d’Oro è entrata a fare parte stabilmente dello stereotipo veneziano: a partire da una lunga galleria di ritratti e di riproduzioni in guide, cartoline e souvenir, alla splendida magione è stato infatti chiesto di riassumere l’idea di Venezia in una sola immagine; quella stessa che il turista frettoloso affida all’istantanea ripresa dal vaporetto in movimento. Con il suo carattere favoloso, il “palazzo traforato” evoca atmosfere in perfetta sintonia con tutti i più abusati e amati cliché costruiti attorno a una città che tende a non essere considerata nella sua essenza reale. L’immagine del “palazzo traforato” ci è stata proposta in mille occasioni, fino a darci un vago senso di nausea: con la sua aurea fiabesca, l’edificio ci è stato descritto non soltanto da schiere di letterati e poeti, di pittori e storici dell’arte, ma è stato anche chiamato in causa da una folta e variegata compagine formata da venditori di profumi, da mercanti di pellicce, da ideatori di souvenir, da spacciatori di miti e da fabbricatori di stereotipi. Pur nella loro radicale differenza di approccio, tutti condividono un dato o meglio un unico punto di vista che rimanda al solo, per quanto straordinario, prospetto affacciato sul Canal Grande. Poco si è detto e scritto dell’edificio nella sua interezza: questo vale sia per l’impianto architettonico e planimetrico sia per le vicende che si svolgono a partire dall’annessione all’Italia fino agli anni Venti del Novecento. A questo proposito possiamo affermare che non si è finora indagato sufficientemente attorno alla sequenza di eventi e di decisioni che hanno consentito di trasformare la sede di una collezione privata in un museo nazionale. A motivare questo passaggio interverranno non soltanto la generosità e la lungimiranza del barone Giorgio Franchetti, ma anche una concomitante serie di fattori e di figure di spicco, collocate soprattutto nell’ultima parte della storia descritta nelle pagine del libro: tra queste, troviamo Gabriele D’Annunzio e Pompeo Gherardo Molmenti.


guido zucconi

Anche grazie al ritrovamento di una serie di planimetrie e di altri documenti, il lavoro di Elisabetta Concina riesce dunque ad oltrepassare quella cortina che ha finora diviso una percezione epidermica da una conoscenza approfondita del monumento. Ben al di là della consueta “visione frontale”, le pagine del libro restituiscono al complesso tutto il suo “spessore planimetrico” e ne ricostruiscono in dettaglio la vicenda, in particolare per quello che riguarda la fase compresa tra il 1847 e il 1927: si tratta di ottant’anni che si riveleranno decisivi per modellare la Ca’ d’Oro nella sua attuale configurazione e per indirizzarla verso la sua corrente destinazione di galleria pubblica. A questo proposito, sarà determinante il periodo compreso tra il 1910 e la fine del Prima Guerra mondiale: è nel corso di quel decennio, infatti, che il barone Giorgio Franchetti approda alla decisione di trasformare il suo palazzo e le collezioni annesse in un museo pubblico. Nato come tesi di dottorato, questo studio ci ha dunque restituito il “palazzo traforato” nella sua totalità: per una volta assunta nelle due dimensioni reali e non in quella della sua sola facciata, la Ca’ d’Oro si rivela ben più di una semplice, per quanto fiabesca, icona di Venezia. Prima di trasformarsi nel libro che ora abbiamo di fronte, i meriti di questo studio sono stati sanciti dal Premio “La Calcina - John Ruskin”, che gli ha riconosciuto, a pari merito, il titolo di miglior saggio sull’architettura.


nuovi studi su ca’ d’oro Claudia Cremonini

La genesi di questo libro, frutto delle lunghe e meritorie ricerche di Elisabetta Concina sul palazzo della Ca’ d’Oro, si è opportunamente intrecciata con gli studi promossi dalla Galleria sulla figura di Giorgio Franchetti e sulla nascita del museo, avviati già a partire dalla mostra del 2013 incentrata sul mecenatismo e il collezionismo della famiglia Franchetti. Si trattava, anche in quel caso, di riprendere in mano una storia in fondo poco nota – quella della trasformazione del palazzo in museo pubblico – che richiedeva nuove riflessioni. E si trattava anche, sul fronte della valorizzazione, di bilanciare e ricucire nell’immaginario collettivo lo stretto nesso tra contenitore e contenuto che la fama del sontuoso sipario traforato sul Canal Grande continuava a relegare in secondo piano. L’intento era quello di promuovere, in parallelo, un rilancio identitario della Galleria, la cui conoscenza resta ancor oggi sovrastata, nella ricezione del pubblico, dalla celebrità dell’edificio monumentale che la ospita. La messa a fuoco delle vicende storiche che determinarono la musealizzazione del sito e il risarcimento della memoria del grande «sogno di bellezza e arte» concepito da Giorgio Franchetti, fondatore della Galleria, dovevano costituire inoltre, nelle intenzioni di chi scrive, la prima tappa di un progetto globale di revisione degli allestimenti e di riordino delle raccolte divenuto ormai improrogabile. I due successivi convegni del 2015 e del 2017 tenutisi presso il museo – “La Ca’ d’Oro di Giorgio Franchetti. Collezionismo e museografia” e “Ca’ d’Oro. Il Palazzo, il Museo, gli allestimenti” – hanno gettato le premesse per un ripensamento generale dell’odierno assetto degli spazi espositivi e dei servizi annessi, ponendosi nel contempo come occasione per rendere omaggio alla memoria del generoso lascito di Franchetti allo Stato (1916) e per intraprendere nuovi studi sulle vicende della complessa storia museale di Ca’ d’Oro, avviatasi nel 1927 e tuttora in corso. Su un binario convergente e parallelo si muove questo libro, che magistralmente ripercorre le tappe salienti di tale lungo percorso. Lo fa partendo dallo snodo cruciale che si verificò a metà Ottocento, punto di innesco storiografico – in coincidenza con l’intensificarsi di una fama letteraria e di una fortuna iconografica del palazzo di crescente respiro internazionale – di almeno due assi tematici portanti che si intrecciano negli studi recenti attorno al monumento: quello del dibattito sulla tutela (di Venezia, come di altre importanti città storiche italiane) che


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claudia cremonini

accompagnò i restauri e quello dell’identità museografica della “nuova” Ca’ d’Oro, frutto di un patto d’onore tra pubblico e privato che troverà, nel secolo a venire, la sua realizzazione entro un contesto istituzionale di forte coesione nazionale. Due vicende strettamente collegate che vengono per la prima volta rilette entro un quadro critico di esemplare compiutezza, con apporti alla nostra conoscenza dei protagonisti e chiarimenti riguardo la cronologia dei lavori di grande interesse e, in taluni casi, di inaspettata novità. L’idea stessa del barone Franchetti di donare l’edificio allo Stato si rivela molto più precoce di quel che si riteneva. Risale infatti già al 1895 una lettera inedita di Adolfo Venturi, rinvenuta dalla studiosa, inviata al direttore generale delle Antichità e Belle Arti, Giuseppe Costetti, dove si attesta come già a quella data si fosse profilata l’ipotesi di una sinergia con istituzioni governative preposte alla tutela per la risistemazione del palazzo e per la creazione di un museo nazionale; una prospettiva che avrebbe trovato la sua attuazione effettiva solo negli anni della Prima Guerra mondiale. A un solo anno di distanza dall’acquisto dell’antica domus magna di Marino Contarini, il barone chiedeva infatti aiuti al governo per il restauro di Ca’ d’Oro, da lui iniziato «con raro amore e intelletto d’arte», offrendo in cambio la proprietà «del meraviglioso palazzo, compresavi la sua collezione artistica» che fra altre «bellissime opere» annoverava «un Mantegna, e un Van Dyck stupendi». Una testimonianza, quest’ultima, che si rivela importante anche sul piano delle ricerche storico artistiche promosse di recente dal museo, apportando contributi ulteriori alla ricostruzione (ancor oggi frammentaria) della vicenda collezionistica che fa da sfondo al nucleo fondativo delle raccolte museali ed evidenziando contatti precoci di Franchetti con esponenti di spicco della storiografia artistica dell’epoca. La mole consistente di documenti vagliati dall’autrice nel corso delle ricerche confluite in questo libro offre non soltanto la possibilità di delineare una puntuale cronologia dei lavori che interessarono il palazzo nell’arco di tempo che va dal criticato restauro diretto da Giambattista Meduna, tra il 1845 e il 1849, all’inaugurazione della Galleria nel 1927, ma getta anche un fascio di luce nuova sull’operato di Giorgio Franchetti e sull’immagine stessa della tormentata impresa “solitaria” che vide nascere la nuova Ca’ d’Oro: una impresa che sarà oggetto di incondizionata ammirazione della stampa coeva e della bibliografia di stampo guidistico a seguire. Assieme al più nitido rilievo che assumono figure istituzionali che affiancarono il barone nel suo sogno di armonizzazione globale di spazi monumentali e raccolte d’arte – da Domenico Rupolo, a Gino Fogolari a Ferdinando Forlati – è specialmente la personalità di Franchetti ad arricchirsi di nuove sfaccettature. Al di là dell’immagine ombrosa e sfuggente tramandataci dai profili biografici dei contemporanei e della stretta vicinanza al coté estetizzante dannunziano che permeò il gusto raffinatissimo del barone, facendo del binomio arte-vita di matrice decadentista una delle ragioni primarie di ogni sua creazione artistica, emerge dalle pagine di questo libro un Franchetti meno ostinatamente recluso nel suo


nuovi studi su ca’ d’oro

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privato cantiere, meno isolato nella modellazione ideale della nuova Ca’ d’Oro da riconsegnare ai posteri, più impegnato pubblicamente. Lo testimoniano, ad esempio, la sua adesione alla sezione veneziana della Società per l’Arte pubblica e il suo coinvolgimento nelle vicende del restauro del pavimento musivo della Basilica marciana, che vengono a confermare un impegno diretto sui temi della tutela già attestato – secondo quanto emerso nei recenti convegni scientifici – in relazione all’ambiente fiorentino frequentato negli anni giovanili. Oggi, che si stanno intensificando gli sforzi del museo sul fronte del restauro dell’insieme architettonico, a partire da quella straordinaria opera d’arte che è il mosaico pavimentale dell’atrio, e che ci si appresta a intervenire con lavori di manutenzione della corte interna che presto coinvolgeranno il portale lapideo, i dettagliati affondi storiografici e gli approfondimenti tematici che questo testo offre nelle schede conclusive si rivelano quanto mai preziosi per orientare gli interventi. È dunque particolarmente benvenuto questo libro che esce a stampa a poca distanza dalle celebrazioni per il Centenario della donazione, in occasione delle quali la stessa autrice è stata coinvolta in alcune delle iniziative scientifiche promosse dal Museo. Esso conferma, ancora una volta, come soltanto la ricerca documentaria approfondita, la conoscenza dei contesti e dei modelli di riferimento e la rilettura in chiave storica della discussione culturale maturata nel tempo, possono dare sostanza vera alla progettualità futura. E possono portare, anche dal punto di vista gestionale e operativo, a soluzioni nuove, di ampio respiro progettuale, capaci di raccordarsi con consapevolezza alle radici identitarie del Museo e alla storia del complesso monumentale ad esso destinato.



IL «PALAGIO TRAFORATO»


Abbreviazioni ACS, MPI, DGABA

Archivio Centrale dello Stato, Roma. Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Antichità e Belle Arti

ACV

Archivio Comunale di Venezia

ANB

Archivio Naya-Böhm, Venezia

ANDV

Archivio Notarile Distrettuale, Venezia

ASABAP-VE-LAG-SD

Archivio della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna, Sezione Disegni

ASPMV

Archivio della Soprintendenza Speciale Polo Museale del Veneto

ASSABAP-VE-LAG

Archivio Storico della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna

ASV

Archivio di Stato di Venezia

BCR

Biblioteca Classense, Ravenna

BMC

Biblioteca del Museo Correr, Venezia

ILM

Istituto Lombardo, Accademia di Scienze e Lettere, Milano

IUAV, AP, FFT

Università Iuav di Venezia, Archivio Progetti, Fondo Forlati Tamaro

MAP

Médiathèque de l’Architecture et du Patrimoine, Parigi


introduzione

La Ca’ d’Oro è tra i più noti monumenti veneziani. Il «palagio traforato» – come suggestivamente la chiamò Gabriele D’Annunzio – affaccia sul Canal Grande, a Santa Sofia, sulla sponda opposta del mercato realtino, non lontano dal Ponte e dal fondaco dei Tedeschi. La sua costruzione è avviata nel 1421 dal nobile mercante Marino Contarini, probabilmente con una fase preliminare di reperimento dei materiali lapidei; si concluderà una quindicina d’anni dopo, quando è già terminata anche la decorazione pittorica policroma e dorata della facciata. Nel cantiere sono coinvolti i tagliapietre delle botteghe di Matteo Raverti e di Giovanni Bon, con il figlio Bartolomeo, autore, tra l’altro, del puteale della corte. Nonostante siano conservati molti dei contratti e delle note contabili dei lavori commissionati da Marino, non tutti gli aspetti della vicenda costruttiva risultano chiariti, a partire dalla questione delle preesistenze. La Ca’ d’Oro, infatti, sorge sull’area della precedente Ca’ Zeno, già di proprietà dei suoceri di Marino. Questa sarebbe stata demolita o, piuttosto, secondo ipotesi più recenti, inglobata nel palazzo quattrocentesco. Certo, alcuni elementi architettonici e decorativi vengono qui reimpiegati, quali capitelli e colonne al piano terreno e i fregi scultorei ricollocati

Si danno qui i principali riferimenti bibliografici sulla storia dell’edificio: B. Cecchetti, La facciata della Ca’ d’Oro dello scalpello di Giovanni e Bartolomeo Buono, «Archivio Veneto», n.s., XXXI, 1886, pp. 201-204 e Id., Nomi di pittori e lapicidi antichi, «Archivio Veneto», n.s., XXXIII, 1887, pp. 43-65; G. Boni, La Ca’ d’Oro e le sue decorazioni policrome, «Archivio Veneto», n.s., XXXIV, 1887, pp. 115-132; P. Paoletti, L’architettura e la scultura del Rinascimento in Venezia, 3 voll., Venezia, Ongania-Naya, 1893-1897, I, Parte prima. Periodo di transizione, Venezia, Ongania-Naya, 1893, pp. 20-28; Id., La Ca’ d’Oro, in Venezia. Studi di arte e storia, a cura della direzione del Museo Civico Correr, I, Milano-Roma, Alfieri-Lacroix, 1920, pp. 89-139; E. Arslan, Venezia gotica, L’architettura civile gotica veneziana, Milano, Electa, 1970, pp. 225-235; R.J. Goy, The House of Gold. Building a Palace in Medieval Venice, Cambridge, Cambridge University Press, 1992; Id., recensione di J. Schulz: «Annali di architettura», 6, 1994, pp. 165-170; Id., La fabbrica della Ca’ d’Oro, in Dal Medioevo al tardo Rinascimento. Ricerche di storia del costruire a Venezia, «Ricerche venete», 2, 1993, pp. 93-147; P. Maretto, La casa veneziana nella storia della città dalle origini all’Ottocento, Venezia, Marsilio, 1986; J.-C. Rössler, I palazzi veneziani. Storia, architettura, restauri. Il Trecento e il Quattrocento, Venezia-Trento-Verona, Fondazione Giorgio Cini - Scripta Edizioni, 2010; M. Schuller, Le facciate dei palazzi medioevali di Venezia. Ricerche su singoli esempi architettonici, in L’architettura gotica veneziana, atti del convegno internazionale di studio (Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 27-29 settembre 1996), a cura di F. Valcanover, W. Wolters, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2000, pp. 281-345.


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introduzione

sul prospetto. L’edificio si qualificava come una delle case-fondaco, la dimora dei grandi mercanti veneziani visibile nella destinazione ad abitazione dei piani superiori (organizzati ai lati del cosiddetto portego, ossia l’ambiente di rappresentanza) e a luogo di deposito delle mercanzie e di gestione degli affari del pianterreno (magazzini e mezzanini). Ripartita in due sezioni verticali, l’una pressoché del tutto “vuota”, l’altra “piena”, idealmente unite però dalla fascia a clipei e dai tre merli più alti del coronamento, la facciata è interamente rivestita di marmi e ornati scultorei, un tempo arricchiti dai vivaci colori dell’oro, del blu oltremarino e del rosso. L’esito, particolarmente sontuoso, si colloca significativamente nel medesimo periodo della fabbrica quattrocentesca del palazzo Ducale e delle altre «architetture auree», tra le quali «la gran fenestra indorada del maggior consiglio» e «la porta aurea», ossia la porta della Carta. Agli inizi dell’Ottocento, il nostro palazzo era tuttavia percepito come “bizzarro”, dall’incerta attribuzione temporale, addirittura incompiuto per via dell’asimmetrico prospetto. È a partire dalla metà del secolo che una rinnovata attenzione critica, pur non privandolo del fascino a tratti fiabesco, ne promuove una più fondata lettura storica: attraverso gli studi condotti sull’edificio, poi grazie anche alle carte del committente quattrocentesco, rinvenute nel 1886. A questi studi hanno dato impulso inoltre le opere di conservazione, di modifica e di ripristino del monumento eseguite tra la metà dell’Ottocento e il primo trentennio del Novecento, ossia il periodo nel quale l’edificio ha sostanzialmente assunto la facies attuale. Le vicende architettoniche di questo arco di tempo sinora non sono state affrontate in maniera sistematica; ripercorrerne la storia ha richiesto di ricostruire la sequenza materiale, accertardone i protagonisti ma anche interrogandosi sui motivi delle scelte e sulle fonti che le hanno indirizzate. Per far questo, un punto di osservazione è stato dunque quello della ricezione del palazzo nella storiografia architettonica come nella letteratura non specialistica che, pure, gli ha riservato ampio spazio. Vi si correla la questione della conservazione: se da un lato l’analisi storica indirizza gli enti di tutela nel censimento dei monumenti, dall’altro li guida nei pareri e nelle prescrizioni sui restauri. Un’effettiva tutela del patrimonio privato era tuttavia problematica. Prima dell’unificazione del

 Su questo aspetto si vedano M. Agazzi, Fregi a tralcio abitato nell’edilizia civile veneziana, in Medioevo: i modelli, atti del convegno internazionale di studi (Parma, Centro studi medievali, Università degli studi di Parma, 27 settembre - 1 ottobre 1999), a cura di A.C. Quintavalle, Milano, Electa, 2002, pp. 405-412 e W. Dorigo, Venezia romanica. La formazione della città medioevale fino alla città gotica, 2 voll., Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, I, 2003, passim.  En. Concina, Dal Medioevo al primo Rinascimento: l’architettura, in Storia di Venezia, 14 voll., Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1991-2007, V. Il Rinascimento: società ed economia, a cura di A. Tenenti, 1996, pp. 165-306 e Id., Tempo novo. Venezia e il Quattrocento, Venezia, Marsilio, 2006, in part. pp. 215-228, cui si rimanda per una lettura del palazzo nell’ambito della cultura e dell’architettura tardogotica veneziana.


introduzione

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Paese per la scarsa efficacia dell’azione svolta dalla Commissione all’Ornato municipale che, del resto, poteva esercitare la propria competenza solo sulle parti architettoniche esposte alla pubblica vista. Dopo l’Unità, per il prolungarsi del dibattito legislativo che, com’è noto, condurrà alla promulgazione della legge per la conservazione dei Monumenti e degli Oggetti di Antichità e d’Arte non prima del 1902. Si è rivelato utile quindi adottare questo secondo punto di vista per verificare gli strumenti e i limiti della tutela in tale ambito e, sotto questa luce, leggere anche gli interventi eseguiti alla Ca’ d’Oro, nei quali si possono riconoscere tre fasi principali. La prima è quella dell’intervento diretto dall’architetto Giambattista Meduna tra il 1845 e il 1849. Le modifiche da lui apportate sono l’aspetto più criticato dei lavori; non si accordano infatti, nel giudizio dei contemporanei, con lo stile della fabbrica. La demolizione della scala esterna nella corte e la sostituzione dei rivestimenti lapidei della facciata vengono stigmatizzate e su di lui, sino almeno agli inizi del Novecento, pesa l’opinione negativa espressa, tra gli altri, da John Ruskin. Grazie al riesame delle fonti e allo studio delle piante del 1850, recentemente rintracciate, è possibile una lettura meno parziale di questo intervento che ha contribuito in modo decisivo alla conservazione del palazzo. Una seconda fase si identifica con l’impegno personale del barone Giorgio Franchetti e si chiude con la donazione del palazzo allo Stato (1894-1916). È a questo lungo periodo che dobbiamo il ripristino del prospetto sul Canal Grande e l’assetto generale della distribuzione interna dell’edificio; l’apertura dell’atrio terreno, il pavimento musivo e la ricostruzione della scala nella corte. A questi anni, tra il 1895 e il 1896, diversamente da quanto sinora si riteneva, risale anche l’idea di fare della Ca’ d’Oro una galleria, riportandola alla condizione di isolamento precedente la costruzione del settecentesco palazzo Coletti, poi Duodo Giusti, che le si affianca. Relativamente alla lunga impresa del barone, collezionista, musicista e dilettante di architettura, è emerso, inoltre, un quesito, sinora non avanzato: se, cioè, un professionista l’abbia assistito nei lavori prima del 1916. Molto probabilmente fu l’architetto Domenico Rupolo a occuparsi della loro esecuzione. Nel 1927, con l’apertura al pubblico della “Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro” si realizza concretamente la volontà del barone, con l’ausilio di Ferdinando Forlati. Acquisiti dallo Stato il palazzo Duodo Giusti e altre proprietà, Forlati può progettare e dirigere i lavori di restauro e musealizzazione dei due edifici. Il percorso della visita, allora definito, non si discosta di molto da quello attuale, anche se la Galleria si presenta oggi nel riallestimento risalente agli anni Ottanta del Novecento. L’ultimo capitolo rappresenta anche un epilogo, con la nostalgica proposta di ridorare la facciata del palazzo: insieme omaggio a Giorgio Franchetti e conseguenza della sua volontà di ripristinare l’immagine quattrocentesca. Il tutto rimanda invece a come la stessa immagine abbia agito nei confronti della città, contribuendo alla costruzione della nuova Pescheria e divenendo modello per l’architettura “nostalgica” del Novecento.


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introduzione

Alla considerazione dei criteri, dei motivi e delle fonti degli interventi affrontati nel testo, si affianca, negli apparati, l’analisi e l’approfondimento di alcuni nodi problematici: il restauro della facciata sul Canal Grande, la creazione dell’atrio al piano terreno con il mosaico pavimentale e la ricostruzione della scala esterna. Vengono discusse, infine, le opere di restauro, di adattamento e di decorazione della Ca’ d’Oro e degli edifici adiacenti eseguite in funzione della destinazione museale del complesso. Rassegna storico-critica Nella letteratura compresa tra la metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, i giudizi prevalgono sull’analisi puntuale delle opere: le notizie si condensano spesso in poche righe. Alla metà del secolo, oltre alla nota testimonianza sulla demolizione della scala esterna, John Ruskin lamenta quella di parte del rivestimento lapideo della facciata. Pietro Selvatico Estense e Oscar Mothes si distinguono per un commento tecnico delle modifiche dirette da Meduna. Qualche decennio dopo, lo storico dell’arte Pietro Paoletti compie il primo tentativo per una compiuta storia della fabbrica: “carte alla mano”, per così dire, egli verifica sul luogo le trasformazioni. Nel suo volume del 1893 il capitolo dedicato al nostro edificio rimane tuttora fondamentale per la comprensione della prima fase della vicenda. Un successivo contributo dello studioso aggiunge qualche aggiornamento sui ripristini voluti da Franchetti. Si tratta, per la verità, di pochi cenni. Del resto, in questa sede, l’autore riserva uno spazio minore al commento dei restauri. Preferisce lasciare la parola ai documenti, parzialmente trascritti in appendice, i quali si riferiscono all’intervento di metà Ottocento. Qualche ulteriore, rilevante notizia in proposito è contenuta in un articolo del 1933 di Giacomo Boschieri. Per un resoconto di massima sugli anni compresi tra il 1894 e il 1927, la sede privilegiata è quella della stampa periodica: in particolare gli articoli usciti in occasione della donazione del palazzo e dell’inaugurazione del museo. Va ricordato, 

J. Ruskin, The Stones of Venice, III, Venetian Index, in The Works of John Ruskin, 39 voll., 19031912, eds E. T. Cook, A. Wedderburn, London, Allen, XI, 1904, pp. 370-371.  P. Selvatico, Sulla architettura e sulla scultura in Venezia dal medio Evo sino ai nostri giorni. Studi di P. Selvatico per servire di guida estetica, Venezia, Ripamonti Carpano, 1847, pp. 112-113; O. Mothes, Geschichte der Baukunst und Bildhauerei Venedigs, 2 voll., Leipzig, Voigt, 1859-1860, I, 1859, pp. 231-235.  P. Paoletti, L’architettura e la scultura del Rinascimento in Venezia. Parte prima. Periodo di transizione, cit., pp. 20-29.  P. Paoletti, La Ca’ d’Oro, in Venezia. Studi di arte e storia, cit., pp. 89-139.  G. Boschieri, Le vicende storiche della Ca’ d’Oro nel V Centenario del suo compimento, «Rivista di Venezia», a. XII, 9, 1933, pp. 415-432.  Tra gli altri: A. Centelli, La Ca’ d’Oro ristaurata da Giorgio Franchetti, «L’Illustrazione italiana», 23, 31, 2 agosto 1896, p. 67; P. Molmenti, La Ca’ d’Oro, «Nuova Antologia», s. 6, CLXXXIV, 16 agosto 1916, pp. 385-390; A. Colasanti, Doni di Monumenti e di Opere d’Arte allo Stato, «La Lettura», 1 agosto 1916, pp. 721-730; C. Ricci, Doni artistici allo stato, «Cronaca delle Belle Arti» supplemento al «Bollettino d’Arte», VII-VIII, 1916, pp. 49-51; C. Gamba, La Ca’ d’Oro e la collezione Franchetti, «Bollettino d’Arte», XI-XII, 1916, pp. 321-344; G. Fogolari, Inaugurazione della R. Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro,


introduzione

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tuttavia, anche il breve e preciso riepilogo dell’operato del barone fatto da Pompeo Gherardo Molmenti nel 1909; a questi si aggiunge il contributo del 1923 di Ugo Nebbia su «Emporium». Gino Damerini espone poi in tono romanzato i lavori voluti da Franchetti ne Il san Sebastiano di Mantegna nel sogno della Ca’ d’Oro. I diversi racconti ci consentono di ripercorrere le principali tappe del lungo iter della vicenda, nonostante il tono celebrativo nei confronti del munifico barone; tutti prediligono un approccio tematico senza restituire una rigorosa cronologia degli interventi. Anche le guide della Galleria forniscono dati utili; fra queste, la prima, scritta da Gino Fogolari, Ugo Nebbia e Vittorio Moschini, rimane ancora fondamentale. Direttamente coinvolto nell’ultima fase della vicenda in qualità di Soprintendente alle Gallerie, ai musei e agli oggetti d’arte di Venezia, Fogolari introduce il catalogo con un testo che intreccia la biografia del barone con i lavori al palazzo e con il contesto familiare e veneziano: sono belle pagine, ricche di spunti interpretativi. Per il periodo compreso tra il 1894 e il 1901, ricaviamo notizie puntuali dalle Relazioni dell’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti del Veneto, curate da Federico Berchet, mentre sul periodo successivo alla donazione del palazzo, riferisce il «Bollettino d’Arte», anche se in maniera scarna. Nella bibliografia più recente, le trasformazioni del palazzo sono in genere poco più che accennate e affrontate in maniera distinta. Qualche notizia sui lavori ottocenteschi compare nei volumi Venezia gotica di Edoardo Arslan, Venezia Ottocento di Giandomenico Romanelli e nel testo di Manfred Schuller, oltre che in quelli già citati di Richard J. Goy. Nel 2010, nell’ambito di una rassegna più am-

«Cronaca delle Belle Arti», supplemento al «Bollettino d’Arte», VIII, 1927, pp. 378-383; U. Nebbia, La Raccolta Franchetti e la Ca’ d’Oro, «Emporium», LXV, 387, 1927, pp. 169-184; E. Zorzi, La Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro in Venezia, «Le Vie d’Italia», 3, 1927, pp. 249-259; G. Fogolari, U. Nebbia, La Ca’ d’Oro. Breve guida storica ed illustrativa per il visitatore della Ca’ d’Oro, Venezia, Fantoni, 1927.  P. Molmenti, Cà d’oro o Cà Doro?, «Arte e Storia», s. 4, 2, 1909, pp. 33-36.  U. Nebbia, Cronache veneziane. Il barone Franchetti e la Ca’ d’Oro, «Emporium», LVII, 338, 1923, pp. 126-131.  G. Damerini, Amor di Venezia, Bologna, Zanichelli, 1920, pp. 73-82. Com’è noto ne scriverà ancora nel 1943: G. Damerini, D’Annunzio e Venezia, postfazione di G. Paladini, Venezia, Albrizzi, 1992.  G. Fogolari, U. Nebbia, V. Moschini, La R. Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro. GuidaCatalogo, Venezia, Ferrari, 1929.  Qualche indicazione è contenuta anche nel Notiziario artistico veneziano 1914-1919, in Venezia. Studi di arte e storia, a cura della direzione del Museo Civico Correr, I, Milano-Roma, Alfieri-Lacroix, 1920, pp. 273-306.  E. Arslan, Venezia gotica. L’architettura civile gotica veneziana, cit.  G. Romanelli, Venezia Ottocento. Materiali per una storia architettonica e urbanistica della città nel secolo XIX, Roma, Officina, 1977, in part. pp. 300-301; G. Romanelli, Venezia Ottocento: l’architettura, l’urbanistica, Venezia, Albrizzi, 1988, pp. 299-301.  M. Schuller, Le facciate dei palazzi medioevali di Venezia. Ricerche su singoli esempi architettonici, in L’architettura gotica veneziana, cit.


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introduzione

pia, Jan-Christoph Rössler ha offerto una prima ricostruzione dei lavori eseguiti dal barone e di taluni aspetti dell’intervento meduniano. Altri autori affrontano i restauri più recenti, come nel caso di Giovanna Nepi Scirè che si è interessata del periodo compreso tra il 1922 e il 1995 e di Giovanna De Apollonia che ha chiarito la vicenda della vendita a Isabella Stewart Gardner delle balaustrate lapidee dei balconi – messe in opera durante l’intervento meduniano e sostituite dal barone Franchetti – reimpiegate nel museo di Boston. Le iniziative sulla figura di Ferdinando Forlati, svoltesi a Venezia nel 2017, sono state inoltre occasione per un’analisi delle innovazioni tecniche da lui introdotte nel consolidamento del palazzo da parte di Greta Bruschi, Alberto Lionello e Luca Scappin. La vicenda della musealizzazione della Ca’ d’Oro è delineata in un contributo di Valter Curzi del 2005. Si veda il catalogo della mostra tenutasi nel 2013 e dedicata al barone, curato da Claudia Cremonini e Flavio Fergonzi; benché il punto di vista privilegiato sia quello della storia della collezione e della famiglia, al suo interno si accenna anche al restauro del palazzo. Questi temi sono stati 

J.-C. Rössler, I palazzi veneziani. Storia, architettura, restauri. Il Trecento e il Quattrocento, cit. G. Nepi Scirè, Restauri della Ca’ d’Oro, in Zwischen den Welten. Beiträge zur Kunstgeschichte für Jürg Meyer zur Capellen, hrsg. D. Dombrowski, Weimar, VDG, 2001, pp. 22-27.  G. De Apollonia, A Venetian Courtyard in Boston, in Gondola Days. Isabella Stewart Gardner and the Palazzo Barbaro circle, catalogo della mostra (Boston, Isabella Stewart Gardner Museum, 21 aprile 15 agosto 2004; Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, 7 ottobre - 20 dicembre 2004), eds A. Chong, R. Lingner, R. Mamoli Zorzi, E.A. McCauley, Boston, Isabella Stewart Gardner Museum 2004, pp. 177-189.  G. Bruschi, Il calcestruzzo armato nei restauri tra le due guerre, pp. 283-292; A. Lionello, Innovazione tecnologica e conservazione negli interventi di restauro, pp. 293-300; L. Scappin, Ferdinando Forlati e l’impiego dell’acciaio come forma di collaborazione non visibile e di minima invasività, pp. 301-310, in Le stagioni dell’ingegnere Ferdinando Forlati. Un protagonista del restauro nelle Venezie del Novecento, a cura di S. Sorteni, Padova, Il Poligrafo, 2017. Nello stesso volume compare una mia sintesi sui primi lavori da lui diretti al palazzo: Il «riordinamento» della Ca’ d’Oro (1918-1927), pp. 31-36. L’Ordine e il Collegio degli Ingegneri e l’Ordine degli Architetti della Provincia di Venezia in collaborazione con l’Ateneo Veneto e l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia hanno organizzato una giornata di studi all’Ateneo Veneto, una mostra di disegni e progetti di Forlati del fondo depositato dagli eredi presso l’Archivio Progetti dello Iuav e il volume monografico citato. In argomento, cfr. anche L. Scappin, L’innovazione “discreta” nella tradizione dei collegamenti strutturali: i restauri veneziani della “prima stagione di Ferdinando Forlati, in L’opera di Ferdinando Forlati nelle Venezie del Novecento, atti del convegno (Venezia, Ateneo Veneto, 4 maggio 2017), a cura di G. Zucconi, «Ateneo Veneto», s. III, CCIV, 16/I, 2017, pp. 137-146; L. Scappin, Ca’ d’Oro. Venezia 1921-1926, 1929-1936, in Ferdinando Forlati nella ricostruzione postbellica e nel restauro del Novecento/post-war reconstruction and twentieth-century restoration work. Indagine sui materiali all’Archivio Progetti dell’Università Iuav di Venezia, catalogo della mostra (Venezia, Università Iuav, Tolentini, 4 maggio - 15 giugno 2017), a cura di S. Di Resta, L. Scappin, E. Sorbo, Venezia, Università Iuav di Venezia, Archivio Progetti, 2018, pp. 76-79.  V. Curzi, Musei e collezioni a Venezia nella prima metà del Novecento. La Ca’ d’Oro, le Gallerie dell’Accademia e la collezione Donà delle Rose, in Venezia: la tutela per immagini, a cura di P. Calegari, V. Curzi, Bologna, Bononia University Press, 2005, pp. 185-198.  C. Cremonini, Giorgio Franchetti collezionista e la Ca’ d’Oro, in Da Giorgio Franchetti a Giorgio Franchetti. Collezionismi alla Ca’ d’Oro, catalogo della mostra (Venezia, Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro, 30 maggio - 24 novembre 2013), a cura di C. Cremonini, F. Fergonzi, [s.l.], MondoMostre, 2013, pp. 17-27 con appendice documentaria. Si vedano anche F. Valcanover, Introduzione, pp. 1-8 e A. Augusti, 


introduzione



oggetto di riflessione anche delle giornate di studio intitolate a “La Ca’ d’Oro di Giorgio Franchetti. Collezionismo e museografia”, svoltesi nel gennaio 2015 presso la Galleria stessa. Tre contributi sono stati poi pubblicati sul pavimento musivo del palazzo.

La Galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro dal progetto del Barone al museo di oggi, in Museografia italiana negli anni Venti: il museo di ambientazione, atti del convegno (Feltre, Galleria d’arte moderna Carlo Rizzarda, 2001), a cura di F. Lanza, Feltre, Comune di Feltre, 2003, pp. 45-55 (“Quaderno della Galleria d’arte moderna Carlo Rizzarda”, 2).  “La Ca’ d’Oro di Giorgio Franchetti. Collezionismo e museografia”, giornate di studio (30-31 gennaio 2015, Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro). Nel novembre 2017, presso la Galleria, si è inoltre svolto il convegno “Ca’ d’Oro. Il Palazzo, il Museo, gli allestimenti”, organizzato dall’Università Ca’ Foscari di Venezia e dal Polo Museale del Veneto, di cui a breve saranno pubblicati gli atti.  M. Grasso, A. Paribeni, «Glauca notte rutilante d’oro»: cultura del mosaico in età dannunziana tra gusto del pastiche, culto dell’autenticità e senso del pittoresco, in Atti del 17° colloquio dell’Associazione italiana per lo studio e la conservazione del mosaico (Teramo, Palazzo Melatino, 10-12 marzo 2011), a cura di F. Guidobaldi, G. Tozzi, Tivoli, Scripta Manent, 2012, pp. 645-656; G. Zaccariotto, «Frammenti di porfido e serpentino». Giacomo Boni e Giorgio Franchetti: contrasti per il reimpiego di marmi antichi a Venezia tra Otto e Novecento, «MDCCC», 4, 2015, pp. 115-122. C. Cremonini, Guido Strazza e Venezia. Le pietre di Ca’ d’Oro, in Memoria e progetto. Guido Strazza per Ca’ d’Oro, catalogo della mostra (Venezia, Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro, 10 dicembre 2017 - 8 aprile 2018), a cura di C. Cremonini, D. Ferrara, Crocetta del Montello, Antiga Edizioni, 2017, pp. 13-36.



i. la fortuna critica della ca’ d’oro tra otto e novecento

L’interesse suscitato dal palazzo nella letteratura dell’Ottocento e del primo Novecento è costante e spiccato, in Italia come all’estero. Guide turistiche, resoconti e ricordi di viaggio, storie dell’architettura, repertori ed enciclopedie, racconti; non si tralascia occasione per parlarne. In tale vastissima produzione la storia si intreccia con la poesia, con la cronaca mondana e il pettegolezzo. A tutto questo, va aggiunta l’altrettanto forte eco che hanno avuto le sue vicende sulla stampa e la grandissima fortuna della sua immagine, ininterrottamente riprodotta non solo in queste pubblicazioni, ma anche in dipinti, fotografie e cartoline. È anzitutto il nome ad accendere la fantasia, nel ricordo di un passato fulgore che contrasta con l’attualità e che sarà idealmente rinnovato dal barone Franchetti. Ma conviene anticipare sin da subito alcune considerazioni circa la ricezione del palazzo nel corso del secolo. Si possono individuare tre periodi nei quali distinguerla, pur riscontrando alcune persistenze dall’uno all’altro. Una fase attraversa la prima metà dell’Ottocento, culminando nel giudizio che il marchese Pietro Selvatico darà dell’edificio nel 1847. Un secondo periodo si protrae sino al rinvenimento nel 1886, da parte di Bartolomeo Cecchetti, delle carte quattrocentesche relative ai lavori voluti da Marino Contarini; con la loro pubblicazione inizia un’ulteriore fase. In questo percorso, la Ca’ d’Oro da architettura “bizzarra”, paradossalmente armoniosa nella commistione di tutti gli stili, incertamente datata, diventa un’“icona” delle facciate veneziane per essere infine ricondotta a un preciso momento temporale grazie alle carte della sua costruzione, ove opere e materiali, maestranze e committenza vengono storicamente accertati. Sino alla metà del secolo, l’interpretazione del palazzo è sostanzialmente quella espressa ne Le Fabbriche più cospicue di Venezia dallo storico dell’arte Leopoldo Cicognara, allora presidente dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, che ritiene l’edificio coevo alla ricostruzione trecentesca di Palazzo Ducale, attribuita al lapicida Filippo Calendario. Lo considera, peraltro, incompiuto, tanto è vero che l’incisione corrispondente propone il prospetto completo dell’ala mancante (fig. 1).

 Si fa qui riferimento a P. Selvatico, Sulla architettura e sulla scultura in Venezia, cit.; B. Cecchetti, La facciata della Ca’ d’Oro dello scalpello di Giovanni e Bartolomeo Buono, cit.; Id., Nomi di pittori e lapicidi antichi, cit.


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capitolo primo

Non interamente compito è il prospetto del Palazzo, che volgarmente si denomina la Casa d’oro, forse dal costume che avevasi anticamente d’indorare molta parte degli ornamenti esterni degli edifizii, del quale ne resta anche qualche traccia nei piccoli leoncini posti agli angoli del tetto: noi abbiamo però qui presentato il Prospetto tutto intero, aggiungendo un’ala a sinistra simile alla destra, secondo la mente del costruttore, impedito nell’opera sua probabilmente o da mancanza di mezzi o da contenziosa discussione coi vicini. Tutti gli stili si veggono qui riuniti, ed ogni forma di archi, di colonne, di capitelli, di ornati; il gusto però che domina è l’arabo. I grandi spazii, i meandri, gli arabeschi, la merlatura del tetto e i cordoni che corrono al vivo degli angoli, sono interamente proprii dello stile antico orientale, non meno che certe quadrature grandiose nelle forme d’ornato là dove i quadrilunghi avrebbero più adequatamente ricoperti i vani tra le finestre. Bello è l’effetto di richiamare sull’angolo la gran finestra, che trovasi in simmetria colle altre verso il mezzo della Facciata, sebbene ivi sembra che le aperture possano affievolire ove il bisogno della solidità è più dimostrato. Non sembra possibile che nelle parti, le quali aver dovrebbero il ritmo più esatto, possa riunirsi maggior varietà di dimensioni di quello che vedesi praticato in questa Facciata, e nulla meno risulta una singolare e magica armonia del totale, che non sarebbe certamente da imitarsi, ma che ci manca il coraggio di biasimare.

La lunga citazione, utile per il confronto con le posteriori letture del palazzo, è giustificata anche dal fatto che l’analisi di Cicognara – in questa «importantissima, applauditissima e costosissima opera, venduta in molta parte fuori d’Italia» – continuerà a essere divulgata, da una parte, dalle guide e dagli itinerari turistici, dall’altra dalle edizioni successive dell’opera stessa e da importanti pubblicazioni. 

Le Fabbriche più cospicue di Venezia misurate, illustrate, ed intagliate dai membri della Veneta R. Accademia di Belle Arti, 2 voll., Venezia, Alvisopoli, 1815, I, c. 136. Nell’opera, scritta con Antonio Diedo e Giannantonio Selva, due tavole, disegnate da Francesco Lazzari e incise da G. Terrazzoni, accompagnano il testo: Parte degli Ordini del Palazzo detto della Ca’ d’Oro e Palazzo detto volgarmente della Ca’ d’Oro a S. Sofia sul Canal Grande, ossia il prospetto. Alla prima uscita del 1815/1820, seguono due riedizioni nel 1838/40 e nel 1858 curate da Francesco Zanotto. Lo stesso Zanotto afferma che Cicognara poco prima della morte pensava a una seconda edizione: F. Zanotto, Cicognara Leopoldo, in Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo XVIII e de’ contemporanei compilata da letterati italiani di ogni provincia e pubblicata per cura del professor Emilio De Tipaldo, 10 voll., 1834-1845, Venezia, Cecchini, X, 1845, pp. 35-52: 51. Sulle Fabbriche e sulla fortuna dell’opera rimane fondamentale il saggio di Vincenzo Fontana «Le Fabbriche più cospicue di Venezia...» di Leopoldo Cicognara, Antonio Diedo e Gian Antonio Selva, in Studi in onore di Elena Bassi, Venezia, Arsenale, 1998, pp. 195-202. In proposito si vedano anche N. Vianello, La tipografia di Alvisopoli e gli annali delle sue pubblicazioni, Firenze, Olschki, 1967, pp. 17-18; A. Dorigato, L. Cicognara - A. Diedo - A. Selva, Le Fabbriche di Venezia..., in Venezia nell’età di Canova (1780-1830), catalogo della mostra (Venezia, Museo Correr, ottobre-dicembre 1978), a cura di E. Bassi, A. Dorigato, G. Mariacher, G. Pavanello, G. Romanelli, Venezia, Alfieri, 1978, scheda 332, pp. 246-247; I. Collavizza, L’editoria d’arte a Venezia nella prima metà dell’Ottocento. Leopoldo Cicognara e Antonio Diedo, in Canova, Hayez, Cicognara. L’ultima gloria di Venezia, catalogo della mostra (Venezia, Gallerie dell’Accademia, 29 settembre 2017 - 8 luglio 2018), a cura di F. Mazzocca, P. Marini, R. De Feo, Venezia-Milano, Marsilio-Electa, 2017, pp. 136-153, in part. pp. 140-143.  A. Zanetti, Leopoldo Cicognara. Cenni puramente biografici. Estratti dal volume II del Giornale di Belle Arti, Venezia, Paolo Lampato, 1834, p. 34.  Antonio Quadri auspica addirittura «che a compimento di questo insigne palazzo, venga costrutta anche la sua ala destra di cui è tuttora mancante», Descrizione topografica di Venezia e delle adiacenti lagune, 2 voll., Venezia, Cecchini, 1844-1849, rist. anast. Bologna, Forni, 1986, p. 267. A titolo d’esempio, oltre che


la fortuna critica della ca’ d’oro tra otto e novecento



Come è stato rilevato, infatti, con Le Fabbriche «l’Accademia di Belle Arti veneziana consegna alla città e al mondo una rassegna di edifici civili e religiosi misurati in pianta e in alzato accompagnati ciascuno da un saggio storico descrittivo perché siano studiati, meditati e copiati». Iniziando da quest’ultimo aspetto, quanto al nostro palazzo, si riscontra in effetti una singolare e duratura fortuna dell’immagine della facciata idealmente ricostruita. La ritroviamo in alcuni manuali di grande diffusione, quali The Illustrated Handbook of Architecture del 1855 e A History of Architecture in All Countries from the Earliest Times to the Present Day, quest’ultima uscita in tre volumi tra il 1862 e il 1867, dello scozzese James Fergusson, ove è riprodotta con il riferimento a Cicognara. In A History of Architecture on the Comparative Method, data alle stampe per la prima volta dall’architetto e storico inglese Banister Flight Fletcher insieme con il padre, nel 1896 e ripubblicata più volte nel Novecento, viene invece ridisegnata e proposta tra gli esempi di architettura gotica dell’Italia settentrionale. Ancora nell’edizione del 1961, nell’illustrazione del nostro palazzo è tratteggiata l’ala sinistra con il commento che l’edificio pare mancante di un’ala, «projected extension» che nell’edizione del 1905 veniva definita «portion not completed».

dal medesimo autore in Otto giorni a Venezia, Venezia, Andreola, 1821-1822, p. 56, l’idea dell’incompiutezza dell’edificio è riportata anche nella Nuovissima Guida dei viaggiatori in Italia, Milano, Artaria, 5a ed. 1839, p. 135: «La Cà d’Oro, edificio del XIV secolo non compiuto, e composto di molti stili, fra i quali domina l’arabo saraceno», mediata proprio dall’edizione del 1830 di Otto giorni a Venezia; in E. Paoletti, Il Fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed il costume veneziani rappresentati in incisioni eseguite da abili artisti ed illustrate da Ermolao Paoletti, 4 voll., Venezia, Fontana, 1837-1842, III, 1840, pp. 198-199; nel Manuale ad uso del forestiere in Venezia compilato dal nob. Gianjacopo Fontana Venezia, Cecchini, 1847, p. 216: «Sarebbe uno de’ più grandiosi [palazzi] sul gran canale se non difettasse dell’ala destra»; ancora nella decima edizione, del 1852, della Nuovissima Guida del viaggiatore in Italia edita da Artaria, p. 166: «La CASA D’ORO, edificio greco arabo del XIV secolo, non è ancora terminata»; in G. Lecomte, Venezia o colpo d’occhio letterario, artistico, storico, poetico e pittoresco sui monumenti e curiosità di questa città (1844), Venezia, Cecchini, 1848, p. 271; in E. Renaudin, Nouveau guide générale du voyageur en Italie, Paris, Garnier frères, 1864, p. 380: «CA’ D’ORO (Casa Doro), inachevé, et mélange des styles arabe et sarrasin». Sull’argomento si veda anche G. Guilcher, Naissance et développement du guide de voyage imprimé: du guide unique à la serie, une stratégie de conquête des lecteurs?, in Les guides imprimés du XVI e au XIX e siècle. Villes, paysages, voyages, textes réunis et publiés par G. Chabaud, E. Cohen, N. Coquery, J. Penez, Paris, Belin, 2000, pp. 81-93.  V. Fontana, «Le Fabbriche più cospicue di Venezia...» di Leopoldo Cicognara, Antonio Diedo e Gian Antonio Selva, in Studi in onore di Elena Bassi, cit., pp. 195-202: 195.  J. Fergusson, The Illustrated Handbook of Architecture, 2 voll., London, John Murray, 1855, II, Ca’ d’Oro, Venice. From Cicognara, tav. 649, p. 798; la medesima tavola con lo stesso testo è pubblicata anche in A History of Architecture in All Countries from the Earliest Times to the Present Day, 3 voll., London, John Murray, 1862-1867, II, 1867, tav. 760, p. 237. Su tali opere si veda J.S. Curl, A Dictionary of Architecture and Landscape Architecture (1999), Oxford, Oxford University Press, 2006, pp. 277-278. Sullo scrittore d’architettura scozzese si veda, inoltre, N. Pevsner, Some Architectural Writers of the Nineteenth Century, Oxford, Clarendon Press, 1972, pp. 238-251.  B. Fletcher, A History of Architecture on the Comparative Method, Seventeenth Edition, revised by R.A. Cordingley, London, Athlone Press, 1961, Palazzo Ca’ d’Oro: Venice, tav. C, p. 612; B. Fletcher, B.F. Fletcher, A History of Architecture on the Comparative Method for the Student, Craftsman, and




capitolo terzo

bre Fogolari comunica alla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti di aver fissato con il barone Carlo la data dell’inaugurazione della galleria al 18 gennaio seguente, anniversario della nascita di Giorgio Franchetti. A pochi giorni dall’evento, il Soprintendente commenta così il lungo e collettivo impegno: Tutto l’adattamento della Ca’ d’oro giusta il progetto concordato con gli eredi Franchetti e che ha portato al quasi completo isolamento della Ca’ d’oro dalla parte del Palazzo Duodo e alla costituzione di una speciale entrata per i visitatori sulla Calle Ca’ d’oro precedente al portone monumentale e alla erezione della scala di disobbligo che sale a tutti i due piani è stato compiuto con molto buon gusto ed ottima riuscita dal nostro architetto Forlati, e specialmente il nuovo cortiletto riesce, e sarà ancor più in primavera, delizioso.

L’apertura della Galleria nel 1927 segna dunque la conclusione della storia ottocentesca della Ca’ d’Oro. Come si è visto, il barone manifesta il proposito di donare l’edificio allo Stato sin dallo scorcio del diciannovesimo secolo, non già attorno al 1916. L’intento di farne la sede della sua collezione attraversa i lunghi anni durante i quali egli si dedica al ripristino e alla decorazione dell’architettura, alla creazione della sua, personale, opera d’arte. La realizzazione dei desideri di Franchetti, affidata a Forlati, prosegue negli anni successivi negli ulteriori interventi richiesti dall’edificio. Il principio che continuerà a guidare l’opera dell’architetto, che si autodefinirà, ancora molto tempo dopo, «l’antico restauratore della Ca’ d’Oro» è il rispetto della sua volontà. Il concetto è ribadito anche nella brevissima relazione conservata nel Fondo Forlati, ora presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Purtroppo, è l’unica testimonianza scritta relativa al palazzo (in forma dattiloscritta e priva di data) che tuttavia si deve pensare idealmente inserita nel complesso delle relazioni elaborate nel corso dei lavori, come pare suggerire lo stesso Forlati: Si crede inutile anche ricordare i restauri e il paziente lavoro eseguito da anni, giorno per giorno con il munifico donatore, il barone Giorgio Franchetti, nella cui anima geniale era sempre vivo e profondo l’intimo tormento che l’opera di ricomposizione non fosse degna di quel miracolo d’arte. Basta qui accennare ai larghi rifacimenti murari eseguiti al piano terra e ai piani superiori; ai legamenti eseguiti per unire saldamente quella sottile ed aerea architettura; ai lavori di adattamento non sempre semplici e facili, come forse può apparire, di magnifici soffitti dorati o dipinti, che provengono da altri palazzi; ai ripetuti tentativi di decorazione la quale, non dovendo essere una riproduzione di motivi antichi là esistenti e che affatto non conosciamo perchè totalmente distrutti, dovevano mantenere l’onestà di un’opera moderna, sia pure armonizzante con il mirabile ambiente.



Lettera di Fogolari del 13 gennaio 1927 al Ministero della Pubblica istruzione, ACS, MPI, DGABA, Div. II, 1925-1928, b. 225, fasc. 6 Venezia, Palazzo detto Ca’ d’Oro. Lavori - Commissione.


i restauri del palazzo (1845-1927)



È da ricordare il restauro di tutto il fianco verso la corte Pali, dopo la demolizione parziale di Ca’ Duodo, come anche la soluzione adottata per il nuovo ingresso che con scala in pietra collega e disimpegna tutti i piani della Ca’ d’Oro.

Nel 1929 vengono aperte al pubblico, nel palazzo Duodo Giusti, ulteriori sale comunicanti con il loggiato al secondo piano della Ca’ d’Oro, per esporvi dipinti di scuola fiamminga e olandese, bronzi e terrecotte. Oltre che nell’arricchimento della collezione, con opere provenienti dalle Gallerie dell’Accademia e dal Museo Archeologico, negli anni successivi si prosegue anche con i lavori all’edificio. Tra questi il più importante e innovativo quanto a materiali e tecnologia impiegati, è rappresentato dal consolidamento statico della facciata, negli anni precendenti «sempre tenuta in attenta osservazione», come si accennava. Predisposte le opere provvisionali e il cassero per poter intervenire sulle fondazioni tra il 1929 e il 1930, vengono quindi sostituite le basi di due colonne della loggia terrena e praticate alcune cerchiature interne nei fusti. Dal 1934 i lavori proseguono ai piani superiori sino alla merlatura di coronamento. Finalmente, nel giugno 1936, Forlati poteva annunciare che «il restauro della facciata della Ca’ d’Oro è oramai del tutto compiuto: così quella mirabile architettura, libera di tutte le opere di presidio che per tanto tempo ebbero a nasconderla, e – soprattutto – ben solida nella sua esile ossatura, è restituita alla generale ammirazione».

 IUAV, AP FFT, Cartella 66847, si veda infra, scheda 4.  V. Moschini, Nuove sale annesse alla Ca’ d’Oro, «Bollettino

d’Arte», IV, 1929, pp. 172-180. Al riguardo si vedano i seguenti contributi: G. Bruschi, Il calcestruzzo armato nei restauri tra le due guerre; A. Lionello, Innovazione tecnologica e conservazione negli interventi di restauro; L. Scappin, Ferdinando Forlati e l’impiego dell’acciaio come forma di collaborazione non visibile e di minima invasività, tutti in Le stagioni dell’ingegnere Ferdinando Forlati. Un protagonista del restauro nelle Venezie del Novecento, cit.; L. Scappin, L’innovazione “discreta” nella tradizione dei collegamenti strutturali: i restauri veneziani della “prima stagione di Ferdinando Forlati, in L’opera di Ferdinando Forlati nelle Venezie del Novecento, cit.; L. Scappin, Ca’ d’Oro. Venezia 1921-1926, 1929-1936, in Ferdinando Forlati nella ricostruzione postbellica e nel restauro del Novecento/post-war reconstruction and twentieth-century restoration work. Indagine sui materiali all’Archivio Progetti dell’Università Iuav di Venezia, cit.  Lettera di Ferdinando Forlati alla Direzione Generale Antichità e Belle Arti del 1 giugno 1936. La ricostruzione della cronologia e della consistenza degli interventi qui sintetizzata si basa sulla documentazione conservata in ACS, MPI, DGABA, Uff. Cons. Mon., 1952-1959, b. 346, fasc. Venezia, Ca’ d’Oro. Il plastico della facciata della Ca’ d’Oro durante i lavori venne esposto alla mostra del restauro dei monumenti tenutasi a Roma nel 1938: Mostra del restauro dei monumenti nell’era fascista, catalogo della mostra (Roma, Mercati Traianei, ottobre 1938), Roma, Colombo, 1938, p. 8 e fotografia del plastico Venezia La «Ca’ d’Oro» durante i lavori di consolidamento, tav. fuori testo. 



iv. nostalgia e progetto

La questione della ridoratura della facciata Nel primo anniversario della morte del barone Franchetti, il 17 dicembre 1923, le sue ceneri vengono riposte all’interno di un’urna romana sotto il pavimento musivo, assecondando un desiderio espresso dallo stesso Franchetti. Si sceglie di rendergli omaggio così, anziché ripristinando la policromia e la doratura della facciata, come l’architetto Duilio Torres aveva proposto in una lettera pubblicata su la «Gazzetta di Venezia» a distanza di due giorni dalla morte del barone. Alla sua, altre lettere facevano seguito, decisamente contrarie all’idea. Per inciso, si può ipotizzare che la pubblicazione di poco precedente, da parte di Paoletti, di una tavola in tricromia riproducente le decorazioni pittoriche quattrocentesche di parte della facciata, abbia indotto a ritenere possibile tale rifacimento. Sulla carta, l’uso moderato dell’oro e del colore poteva anzi parere stemperato dal rosa aranciato del calcare veronese, mentre l’aumento dell’intensità cromatica dei marmi e dei calcari, nell’immagine, rendeva più equilibrato l’accostamento (fig. 39). Il successivo intervento di Gabriele D’Annunzio suscita un dibattito sulla stampa. D’Annunzio aderisce inizialmente all’iniziativa, ma considera che sarebbe stato necessario conferire alla decorazione pittorica la patina del tempo. Plaude, tuttavia, al pensiero di voler «rendere visibile lo splendore spirituale» dell’amico defunto. Anche Pompeo Gherardo Molmenti esprime la sua opinione, scrivendo  G. Damerini, D’Annunzio e Venezia, cit., pp. 78-79; D. Torres, Ridorare la Ca’ d’Oro in omaggio al Barone Franchetti, «Gazzetta di Venezia», 19 dicembre 1922, quotidiano di cui Damerini era allora direttore.  La decorazione policromica della Ca’ d’Oro nel secolo XV, tavola fuori testo, in P. Paoletti, La Ca’ d’Oro, in Venezia. Studi di arte e storia, cit. Per una ricostruzione della decorazione della facciata basata su recenti studi e interventi conservativi si vedano: M. Schuller, Le facciate dei palazzi medioevali di Venezia. Ricerche su singoli esempi architettonici, in L’architettura gotica veneziana, cit., pp. 304-319 con elaborati grafici e G. Bacovich, S. Biondi, D. Cecchi, Il restauro della facciata della Ca’ d’Oro e V. Fassina, Studio dello stato di conservazione dei materiali della facciata di Ca’ d’Oro in relazione al degrado di origine naturale e antropica, entrambi in Restauri a Venezia 1987-1998, Milano, Electa, 2001, rispettivamente alle pp. 304-312 e 313-325 (“Quaderni della Soprintendenza per il Patrimonio Artistico e Storico e Demoetnoantropologico di Venezia”, 22).  Una lettera di Gabriele D’Annunzio in onore di Giorgio Franchetti, «Gazzetta di Venezia», 27 dicembre 1922.




capitolo quarto

al poeta il 2 gennaio del 1923. Egli è contrario alla proposta e argomenta il rifiuto ritenendo fuori luogo, in una città non più policroma, quell’antico «carnevale di tinte» già un tempo «di cattivo gusto». Contrario si dimostra anche Giacomo Boni, di cui si è visto il costante interessamento nei confronti del monumento. Pubblica articoli e scrive, nel frattempo, al Sottosegretario per le Antichità e le Belle Arti, Luigi Siciliani, due lettere, tra il dicembre 1922 e il marzo 1923. Con parole forti, condanna «l’idea di imbellettare gli edifici medioevali autentici», indice del «basso livello a cui è scesa la sovrana delle arti». Afferma, con decisione, che «quella dei ripristini è un’idea sbagliata». Nel caso specifico, ritiene profondamente errato rinnovare la policromia del prospetto: Le decorazioni policrome servivano ad armonizzare le nuove costruzioni agli sfondi naturali, in attesa che l’universale armonizzatrice stendesse sull’opera umana la patina del tempo, velo di bellezza e diploma di autenticità assai più prezioso dell’oro e dell’oltremarino.

Non può dunque che essere lapidaria la sua sentenza finale: «La Cà d’Oro meriterebbe di venir lasciata in pace». Si conclude così la questione del ripristino della policromia della facciata, posta e rimandata fin dal 1894 e auspicata, ritengo, qualche anno dopo dall’architetto Alfredo Melani: La Ca’ d’Oro – Questo celebre palazzo di Venezia da qualche tempo è in restauro, per merito del giovine signore, che lo possiede. Non abbiamo bisogno di rammentare ai nostri lettori, che la Ca’ d’Oro, anche se non si chiamò così per l’oro che vi fu profuso, aveva la facciata tutta dorata; e l’oro si trovava sui fogliami, sulle sagome in rilievo e altrove; e i fondi e le sagome rientranti erano colorite d’azzurro e di scarlatto. Speriamo dunque che gli artisti, i quali hanno l’incarico del restauro, ricomporranno la facciata della Ca’ d’Oro nel modo richiesto dalle traccie delle pietre e dei documenti.

 G. Damerini, D’Annunzio e Venezia, cit., pp. 78-79. La lettera è integralmente pubblicata in G. Zorzanello, D’Annunzio e Molmenti (con lettere inedite di G. D’Annunzio, P. Molmenti, E. Scarfoglio, E. Duse, F. P. Michetti), cit., pp. 151-152.  G. Boni, La nave di Nelson, il ponte di Londra e la Ca’ d’oro di Venezia, «La Lettura», 1° dicembre 1923, pp. 945-947: 947; minute di lettere di Giacomo Boni all’onorevole Siciliani del 25 dicembre 1922 e 7 marzo 1923, ILM, Fondo Boni, CIX, Nave di Nelson - Ca’ d’Oro.  G. Boni, Ca’ d’Oro, «Architettura e Arti Decorative», 11-12, 1924-1925, pp. 481-490: 490.  Nella rubrica Notizie, «Arte Italiana decorativa e industriale», VII, 3, 1898, p. 28, qui senza firma ma solitamente curata da Melani, il quale, peraltro, in un contributo precedente, Il colore nelle arti decorative, lamentando che «l’abbandono del colore è uno dei gravi guai delle nostre arti decorative» avrebbe desiderato si colorassero le facciate delle case, citando in proposito anche lo splendore cinquecentesco degli edifici prospicienti il Canal Grande: «Arte Italiana decorativa e industriale», a. II, 11, 1893, pp. 90-92.


nostalgia e progetto



La Ca’ d’Oro modello per l’architettura veneziana Questo quanto alla nostalgia; più interessante, però, è quanto avviene nell’ambito dell’architettura contemporanea. Come si accennava, infatti, il nostro palazzo ha effettivamente costituito il modello per un edificio veneziano destinato ad abitazione privata, il palazzo Genovese, situato nel sestiere di Dorsoduro, nei pressi dell’ex Abbazia di San Gregorio e della basilica di Santa Maria della Salute. Nella descrizione del progetto che accompagna i disegni – presentati per l’autorizzazione nel 1892 e nella variante del 1893 – l’ingegnere architetto Edoardo Trigomi Mattei afferma che la sua composizione è basata sui migliori monumenti gotici cittadini. Tra questi, oltre a Ca’ Foscari ed altri, spicca il riferimento alla Ca’ d’Oro. Tali monumenti, però, non sono citati solamente quali modelli ideali. Un dato interessante emerso è proprio quello che riguarda il metodo progettuale che, per gli elementi architettonici e ornamentali, ha contemplato l’impiego di calchi. Per quanto attiene al nostro caso, in particolare, Trigomi Mattei chiarisce che nella nuova, imponente facciata sul Canal Grande del palazzo Genovese Le basi, i capitelli e gli archivolti delle tre arcate alla riva saranno eseguiti come quelle del piano terra della Ca’ Doro. Le membrature degli archi delle finestre del piano terra, le basi e gli stipiti saranno tratte dalla Ca’ Doro. [...] Gli archivolti della sestifora del poggiuolo e delle finestre del primo piano, saranno eseguiti sui modelli di quelli di ca’ Foscari, palazzo Cavalli e Ca’ Doro. Pei capitelli delle colonne serviranno per modelli quelli ricavati dalla Ca’ Doro, dall’Abazia di S. Gregorio, palazzo Cavalli e da quelli che esistono nella scuola d’Ornato del R. Istituto di Belle Arti.

In effetti, le fonti ricordano come si fosse temuto si volesse trarre il calco dell’intera facciata della Ca’ d’Oro, nel 1892; questo non era avvenuto, ma viene appurato che sia stato eseguito il calco di «alcuni fregi dalla ca’ d’Oro, per servire di 

Si veda supra, pp. 40-41. Edoardo Trigomi Mattei, è professore incaricato per l’insegnamento dell’Architettura, geometria e prospettiva dal 1880 al 1917 presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, membro della Commissione all’Ornato e poi della Commissione conservatrice dei monumenti per la provincia di Venezia dal 1893 al 1895 e dal 1910 al 1915: C.A. Levi, Le collezioni veneziane d’arte e d’antichità dal secolo XIV ai nostri giorni, Venezia, Ongania, 1900, p. CCLXXVI; M. Bonanomi, L. Marchese, Corpo docente (1900-2012), in L’accademia di Belle Arti di Venezia. Il Novecento, 2 tt., II, Documenti, a cura di M. Bonanomi e L. Marchese, Crocetta del Montello, Antiga, 2016, pp. 161-164; Regesto degli Operatori, in M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, Monumenti e istituzioni. Parte seconda. Il decollo e la riforma del servizio di tutela dei monumenti in Italia. 1880-1915, cit., pp. 325-351. Sulla sua attività progettuale si veda: S. Schrammel, Architektur und Farbe in Venedig. 1866-1914, cit., pp. 194-198, ove sono citate anche le fonti; P. Maretto, La casa veneziana nella storia della città dalle origini all’Ottocento, cit., pp. 500-502; sul palazzo Genovese: L. Riva, Il nuovo palazzo sul Canal Grande presso la chiesa della Salute in Venezia, «L’edilizia moderna», VII, 6, 1898, pp. 39-41; qualche notizia la si ricava anche dalle Relazioni annuali curate da Federico Berchet. Gli altri palazzi menzionati sono palazzo Cavalli Franchetti, palazzo Sanudo van Axel, palazzo Sagredo e il palazzetto Contarini Fasan, la cosiddetta casa di Desdemona.  Istanza di autorizzazione di Edoardo Trigomi Mattei dell’11 luglio 1892, ACV, IX, 2, 6, 1921-1925, b. 1317. 


3. Anonimo detto “il francese”, Venice. The Grand Canal. The Casa d’Oro under restoration, Penrith Collection, inv. P79. Il dagherrotipo, appartenuto a John Ruskin, ritrae il palazzo nel 1845, all’inizio dei lavori diretti dall’architetto Giambattista Meduna, ai quali lo studioso ha in parte assistito. In particolare, testimonia delle opere preliminari al restauro e della formazione del cassero per i lavori di consolidamento statico e dell’avvio delle opere murarie. Si notano le due arcate della loggia terrena chiuse, la corrispondente patera mancante, i trafori dei loggiati superiori parzialmente tamponati, gli archetti sotto il coronamento quasi completamente occultati da uno strato di intonaco.

4. Venedig. Einfarht in den Canal Regio; St. Marcus Platz; Eingang in das Arsenale; Seufzer brücke; der Molo; Porta della Carta; Palast Foscari; Eisenbahn brücke; Palast Ca’ Doro (Imboccatura del Canal Regio; Piazza di S. Marco; Ingresso dell’Arsenale; Ponte dei sospiri; il Molo; Porta della Carta; Palazzo Foscari; Ponte sulla laguna o della strada ferrata; Palazzo Ca’ Doro), da «Illustrirtes Familienbuch des österreichischen Lloyd», I, 1, 1851, tav. fuori testo. Alcuni tra i principali monumenti cittadini e il ponte ferroviario inaugurato nel 1846. 5. Entrance-Hall, Casa d’Oro, da W.F. Lake Price, Interiors and exteriors in Venice, London, 1843, tav. XIII. L’incisione ritrae la riva d’approdo sul Canal Grande dall’interno del palazzo. Sulla destra si nota la parete che delimita i locali ricavati nel loggiato, corrispondenti alle due arcate tamponate in facciata. A questa immagine Giorgio Franchetti fa riferimento quando presenta il progetto di ripristino della gradinata (su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Biblioteca Nazionale Marciana, divieto di riproduzione).



6, 7. Aymar Verdier, disegno di rilievo del piano terreno della Ca’ d’Oro, MAP, n. dessin 0080/112/2006, 65771. Il rilievo, pubblicato nel 1857 in Architecture civile et domestique au Moyen Age et à la Renaissance (riprodotto a destra) attesta lo stato dell’edificio nel 1852, con le modifiche introdotte dall’architetto Giambattista Meduna all’angolo sud-est e una scala interna costruita in sostituzione della scala della corte già demolita. Nel volume, la pianta è proposta come esemplare della distribuzione interna dei palazzi veneziani posteriori al XII secolo (2019 © Biblioteca Correr - Fondazione Musei Civici di Venezia).


8. Le piante del primo piano e del piano terreno della Ca’ d’Oro, disegnate nel 1851 da O. Mothes e pubblicate nel 1859 nella sua Geschichte der Baukunst und Bildhauerei Venedigs.



9. Le Grand Canal (5ème vue), da Album vénitien composé de douze vues litographiées par W. Wyld et E. Lessore, Venise, J. Kier, 1837, tav. 8. Nella descrizione della raccolta di litografie, si legge «A droite la Ca’ d’oro, architecture du 14 siècle, l’un des monuments les plus anciens et les mieux conservés de ce style». L’immagine, come la successiva, rappresenta anche una significativa testimonianza dell’aspetto del palazzo precedente il restauro di metà Ottocento (2019 © Biblioteca Correr - Fondazione Musei Civici di Venezia). 10. Palais Ça-Doro à Venise, da N.-M. Paymal Lerebours, Excursions Daguerriennes, II, Paris, 1844, tav.44, Archivio Carlo Montanaro, Venezia. L’incisione, tratta da un dagherrotipo del 1840 circa, rappresenta l’edificio allo stato precedente gli interventi diretti dall’architetto Giambattista Meduna.

11. Carlo Ponti, carte de visite, 1865 ca, Archivio Carlo Montanaro Venezia. L’immagine ritrae il palazzo dopo la conclusione degli interventi iniziati dall’architetto Meduna nel 1845 e lasciati interrotti nel 1849. Al pianterreno, spicca il davanzale traforato con le quattro finestre, l’esito maggiormente criticato del restauro. Si possono notare inoltre l’avvenuta apertura delle logge e la messa in opera delle balaustre lapidee nei poggioli.


19. Il palazzo durante il restauro diretto dall’architetto Giambattista Meduna, BMC, Fondo Dolcetti 42. Si notano gli interventi eseguiti al piano terreno: la riapertura delle arcate tamponate della loggia e la parete di fondo con il traforo gotico in opera; sulla destra, la doppia bifora aperta per illuminare l’appartamento ricavato in luogo del piano ammezzato. Al primo piano i poggioli lapidei hanno sostituito quelli metallici. Si tratta probabilmente di una ripresa dell’edificio al momento dell’abbandono dei lavori da parte dell’architetto (2019 © Biblioteca Correr - Fondazione Musei Civici di Venezia).

20. Ricordo di Venezia, Venezia, Ongania succ. Münster, 1865 ca, Archivio Carlo Montanaro Venezia. Nell’immagine, sulla sinistra, si notano gli archetti parzialmente conservati al di sotto del coronamento merlato. 21. Il prospetto della Ca’ d’Oro nell’immagine presentata dal barone Franchetti per l’autorizzazione ai lavori, ACV, IX,7,3, 1895-1899, fotografia G.




E

F

D

C

39. La decorazione policromica della Ca’ d’Oro nel secolo XV, da P. Paoletti, La Ca’ d’Oro, in Venezia. Studi di arte e storia, Milano Roma, 1920, tavola fuori testo. Nel 1923 si avanzò la proposta, poi non realizzata, di ridorare la facciata in onore di Giorgio Franchetti. 40. Il palazzo Genovese nell’album ricordo di F. Ongania, Il Canalazzo a Venezia. Album dei palazzi celebri, Venezia, Ongania, 1897, p. 11.

41. La nuova Pescheria sul Canal Grande di Venezia. Progetto Laurenti-Rupolo, da «L’edilizia moderna», X, 4, 1901, tav. XVII. 42. La tavola evidenzia le zone della sommità del prospetto corrispondenti alle fotografie E, F, D e C conservate presso l’Archivio del Comune di Venezia.


59. La scala del palazzo Contarini dalla Porta di Ferro nell’immagine pubblicata da P. Paoletti, L’architettura e la scultura del Rinascimento in Venezia. Parte prima. Periodo di transizione, Venezia, Ongania-Naya, 1893, tav. 9.

60. Un dettaglio della scala esterna della corte. 61. Tre gradini della prima rampa della scala con la foglia scolpita in due varianti (su concessione del Ministero per i Beni e le AttivitĂ Culturali Biblioteca Nazionale Marciana, divieto di riproduzione).



62-63. Due delle teste che decorano la balaustra della scala.


64. L’atrio terreno verso il Canal Grande. Sulla sinistra si notano le due porte aperte per accedere al magazzino e al piano ammezzato ripristinato durante i lavori progettati e diretti dall’ingegnere Ferdinando Forlati.



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