Musica & Figura, 5, 2018

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Musica & Figura 5, 2015

ISSN 2284-032x

«Musica & Figura» propone studi di storia dell’arte e di storia della musica, frutto dell’attività di ricerca prodotta anzitutto nell’ambito del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova e sostenuta dalla Fondazione Ugo e Olga Levi di Venezia. La rivista, pur accogliendo contributi specifici dell’uno e dell’altro campo, intende, ove possibile, valorizzare le relazioni e i nessi che intercorrono tra le due discipline, che emergono dallo studio dei comuni modelli storiografici, dalla ricognizione di ambiti di committenza e condizioni sociali favorevoli, dall’analisi dei rispettivi linguaggi, il cui confronto ha prodotto nel tempo importanti modelli di riflessione metodica.

dipartimento dei beni culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica - universit di padova fondazione ugo e olga levi - venezia

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e 28,00

ISBN 978-88-9387-045-0

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Direttori Franco Bernabei, Paola Dessì Comitato scientifico e di redazione Xavier Barral-i-Altet, Xavier Bisaro (†), Lucia Boscolo Folegana Franco Colussi, Giuseppina Dal Canton, Iain Fenlon Cristina Guarnieri, Marta Nezzo, Dilva Princivalli, Vittoria Romani Matthias Schneider, Silvia Tessari, Diego Toigo, Giuliana Tomasella Andrea Tomezzoli, Anna Valentini, Giovanna Valenzano, Catherine Whistler I contributi pubblicati sulla rivista sono soggetti a peer review La rivista viene pubblicata con il contributo di Università degli Studi di Padova - Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica Fondazione Ugo e Olga Levi - Venezia


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periodicità: annuale sede della redazione c/o Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica 35139 Padova | Piazza Capitaniato, 7 tel. +39 049 8274673 | fax +39 049 8274670 www.beniculturali.unipd.it abbonamento Italia privati: e 30,00 (con aggiunta delle spese di spedizione) Italia istituzioni: e 40,00 (con aggiunta delle spese di spedizione) estero privati: e 40,00 (con aggiunta delle spese di spedizione) estero istituzioni: e 50,00 (con aggiunta delle spese di spedizione) le richieste di abbonamento possono essere inoltrate all’indirizzo ordini@poligrafo.it amministrazione Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova | via Cassan, 34 (piazza Eremitani) tel. 049 8360887 | fax 049 8360864 e-mail amministrazione@poligrafo.it direttore responsabile Andrea Tomezzoli autorizzazione del Tribunale di Padova n. 2474 del 25/2/2019

in copertina elaborazione da un disegno di Paul Klee, Pädagogisches Skizzenbuch, 1924 progetto grafico Il Poligrafo casa editrice copyright © dicembre 2018 Il Poligrafo casa editrice Fondazione Ugo e Olga Levi Università degli Studi di Padova Il Poligrafo casa editrice 35121 Padova - via Cassan, 34 (piazza Eremitani) tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it isbn 978-88-9387-061-0 issn 2284-032x


INDICE

9 La pittura a Treviso nel primo Quattrocento: le storie di san Giacomo, san Cristoforo e sant’Antonio abate dipinte nella chiesa di Santa Lucia Anna Pastro 41 The Stories of St. Lucy by Jacobello del Fiore, and Venetian folding reliquary altarpieces Cristina Guarnieri 57

«Io pre Gioseffo Zarlino da Chioza». Relazioni, contesti, cronologia Jonathan Pradella

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Un “a solo” per violino di Jean-Baptiste Lully in due tele con vanitas di Simon Renard de Saint-André Fabrizio Longo

123 Perdite e risarcimenti dei tessili sacri in area veneta tra salvaguardia, rinnovamento e tradizione Stefano Franzo 143 Roberto Longhi: una biografia intellettuale ad uso del neofita I. Gli anni della formazione Marta Nezzo 179 Radio as an art form in former Yugoslavia. Malo Večno Jezero by Valdan Radovanović at Radio Belgrade Electronic Studio Luca Cossettini


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Mathias Goeritz. Il processo di rinnovamento dell’arte nel Messico del XX secolo Mariana MÊndez-Gallado

225 Illustrazioni

273 Recensioni

287 Abstracts


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LA PITTURA A TREVISO NEL PRIMO QUATTROCENTO: LE STORIE DI SAN GIACOMO, SAN CRISTOFORO E SANT’ANTONIO ABATE DIPINTE NELLA CHIESA DI SANTA LUCIA Anna Pastro

In occasione del recente restauro e risanamento conservativo della chiesa trevigiana di Santa Lucia, sono ritornate a uno stato di discreta leggibilità nuove porzioni di pittura murale tre-quattrocentesca del suo apparato ornamentale interno, già compromesso dalla consunzione della pellicola pittorica e dalle ampie e diffuse lacune. L’intervento ha riportato alla luce numerosi dettagli che, nello specifico, mi hanno consentito di identificare con maggiore sicurezza i soggetti delle scene dei tre cicli dipinti nella chiesa, dedicati a san Giacomo apostolo, san Cristoforo e sant’Antonio abate (fig. 1). Come vedremo in seguito, per le storie di Cristoforo ho sostanzialmente avvalorato le ipotesi già formulate in precedenza dalla critica, fatta eccezione per l’episodio di San Cristoforo che arriva alla capanna presso il fiume (fig. 9). Per le storie di Giacomo e Antonio abate, invece, si è resa necessaria una rilettura più accurata e meticolosa di molte scene dipinte, poiché le analisi condotte fino a oggi risultavano parziali o incomplete. L’attento esame delle pitture e delle fonti agiografiche di riferimento, insieme al confronto con altri cicli dipinti con medesimo soggetto, hanno reso possibile l’identificazione di molti episodi ancora non riconosciuti o di integrare alcuni riquadri completamente perduti. Prima di passare all’analisi dettagliata dell’iconografia dei tre cicli dipinti, sarà utile soffermarci su alcune notizie tramandateci dalle fonti. Durante un pellegrinaggio a Santiago de Compostela, il notaio Daniele  Il restauro è stato condotto tra il novembre del 2011 e il novembre del 2012 dalla ditta “AR Arte e Restauro s.r.l.” di Padova, sotto la direzione dell’ing. Roberto Galeazzo e dell’arch. Maria Sole Crespi, sotto il controllo della Soprintendenza per le Belle Arti e il Paesaggio per le provincie di Venezia, Belluno, Padova e Treviso.


anna pastro

del fu Bartolomeo da Villorba acquistò un frammento dell’osso di una spalla di san Cristoforo cananeo e donò la venerata reliquia alla città di Treviso, intenzionato ad accrescere il prestigio della sua città natale. Si rese quindi necessario trovare una degna ubicazione per il resto sacro e, così com’è testimoniato nell’atto datato 1399, si incontrarono di fronte al vescovo Lotto Gambacorta il priore della chiesa di San Vito e i gastaldi delle congregazioni trevigiane di sant’Antonio abate e dei santi Giacomo e Cristoforo. In tale occasione fu concesso a questi ultimi uno spazio da adibire a cappella all’interno della chiesa di Santa Lucia e si dispose per la costruzione di due altari intitolati ai santi protettori delle confraternite. Non ci sono documenti che attestino l’inizio dei lavori, né tantomeno si

La notizia del viaggio non è riportata nel testamento del notaio, ma è trascritta nei documenti relativi all’atto del 1399, in cui si dispone per la creazione delle cappelle da dedicare a San Giacomo, Cristoforo e Antonio abate. Luigi Pesce ipotizza che il pellegrinaggio sia stato compiuto da Daniele da Villorba nel 1393 (L. Pesce, La chiesa di Treviso nel primo Quattrocento, 3 voll., Roma, Herder, 1987, I, p. 80). Giampaolo Cagnin suppone invece sia partito agli inizi del mese di febbraio, insieme a prete Alberto, rettore della chiesa di San Giovanni di Riva di Treviso, e nel suo libro ci fornisce anche alcune informazioni riguardo la biografia del notaio (G. Cagnin, Pellegrini e vie del pellegrinaggio a Treviso nel Medioevo. Secoli XII-XV, Sommacampagna, Cierre, 2000, pp. 84-85).  I documenti che riportano questa notizia sono quattro e sono conservati all’Archivio di Stato di Treviso (d’ora in poi ASTV). Due di essi riportano la data del 9 gennaio 1399: ASTV, Comunale, b. 291, fasc. 7a (cfr. ibid.; I. Sartor, Il Monte di Pietà di Treviso. Cinque secoli di storia, Treviso, Fondazione Cassamarca, 2000, p. 129) e ASTV, Scuole di Treviso, Santi Giacomo, b. 34, q. 6, c. 61r. (cfr. Pesce, La chiesa di Treviso, cit., I, pp. 184-185, II, pp. 498-500, doc. 13; Cagnin, Pellegrini e vie del pellegrinaggio, cit., pp. 84-85, 215-216; Sartor, Il Monte di Pietà, cit., pp. 129-130, n. 3). Mentre gli altri due sono datati 9 giugno 1399: ASTV, Notarile I, b. 150, Atti 1399-1400 (cfr. Cagnin, Pellegrini e vie del pellegrinaggio, cit., p. 104, n. 94) e ASTV, Ospedale S. Maria dei Battuti, Pergamene, b. 124, n. 18391 (cfr. V. Scoti, Tarvisinorum episcoporum series nec non veterum documentaria collectio, Biblioteca Civica di Treviso, doc. 277, pp. 521-525; A. Poloni, Le chiese di San Vito e di Santa Lucia in Treviso, Treviso, Tipografia Editrice Trevigiana, 1929, pp. 56-58).  La chiesa di Santa Lucia nasce per volere del doge Marco Zeno, primo podestà insediatosi a Treviso dopo il ritorno della città nel grembo della Serenissima, il quale nel 1389 dispose che venisse ampliata l’antica cappella di Santa Maria delle Carceri per ottenere una chiesa più spaziosa della precedente, con all’interno un altare da dedicare a Santa Lucia. Per un approfondimento della storia della chiesa, A. Poloni, Le chiese di San Vito e di Santa Lucia in Treviso, cit., pp. 49-99; A. Bellieni, L’immagine di Treviso nel Trecento, in Petrarca e l’umanesimo, Atti del convegno di studi (Treviso, 1-3 aprile 2004), a cura di G. Simionato, Treviso, Ateneo, 2006, pp. 255-256; Id., Il Palazzo dei Trecento e i palazzi comunali di Treviso. Origini ed evoluzione storica, architettonica, urbanistica, in Il Palazzo dei Trecento a Treviso. Storia, arte, conservazione, a cura di G. Delfini, F. Nassuato, Milano, Skira, 2008, pp. 31-58. 

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la pittura a treviso nel primo quattrocento

hanno informazioni specifiche riguardo la realizzazione degli affreschi su volte e pareti. Lo schema decorativo è complesso e va ben oltre le due campate d’altare, fino a dominare l’intera chiesa con un’elaborata opera narrativa dipinta: infatti, se le storie dedicate a sant’Antonio abate occupano le vele e le pareti est e nord della prima campata sinistra, i cicli dei santi Cristoforo e Giacomo si estendono in tutta la lunghezza della quarta campata, con alcune scene della vita dei martiri che dialogano al di sotto della medesima volta nella navata centrale (fig. 1). In nessuna fonte o documento si fa riferimento all’autore degli affreschi, ma osservando la modalità con cui è orchestrata la composizione, la scelta dei soggetti dipinti nei riquadri e le soluzioni stilistiche adottate, si riesce comunque a definire il profilo del pittore che lavorò nella chiesa di Santa Lucia agli inizi del XV secolo. Si tratta di un artista che, come vedremo, conosceva molto bene la cultura figurativa padovana di fine Trecento, in particolare le forme neogiottesche di Altichiero e Jacopo Avanzi, a cui si ispira non solo a livello iconografico, ma pure nelle soluzioni compositive e spaziali. Allo stesso tempo, nei suoi dipinti non traspaiono invece le novità e i caratteri del gotico internazionale che rinnovarono l’arte a Treviso nei primi decenni del Quattrocento, così com’è testimoniato dai frammenti d’affresco conservati nella chiesa di Santa Caterina, opera probabilmente del giovane Pisanello, dove la pittura di historia permea di sé ogni dettaglio, la luce cruda e tagliente dà teatralità all’episodio, gli incarnati si fanno rosei e le vesti morbide ed eleganti. Tuttavia, in alcuni atti testamentari sono annotate le disposizioni di defunti che lasciarono parte dei loro averi per la costruzione o il completamento dei lavori nella chiesa, come ex voto pro remedio animae. Il 29 settembre del 1399 un conciapelle lasciava 10 lire “ecclesie Sanctorum Iacobi et Christofori - nuper edificate penes Sanctam Mariam a Carceribus” (ASTV, Notarile II, b. 914, c. 76v; cfr. L. Giusberti, Da Santa Maria delle Carceri a Santa Lucia: vicende architettoniche, decorazione scultorea e pittorica di una chiesa trevigiana, tesi di laurea in Storia dell’arte medioevale, Università degli Studi di Udine, Facoltà di Lettere, a.a. 2001-2002, relatore A. De Marchi, pp. 123-124, doc. 8). Anche nel documento datato 8 giugno del 1400 Bartolomeo Callegaro lasciò 5 denari alle scuole di San Cristoforo e Giacomo «in auxilio construendi ecclesiam Sanctii Xpofori inceptam super platheam herbarum» (ASTV, Notarile II, b. 915, c. 193v; cfr. ivi, p. 125, doc. 10). Nelle fonti è utilizzato l’epiteto di ecclesia per indicare la cappella da poco edificata presso la chiesa di Santa Maria delle Carceri e dedicata ai santi Giacomo e Cristoforo, così come si evince dal testamento del notaio Leonardo da Volpago il quale specifica che l’ecclesia «est in capite plathee herborum in fabrica ipsius ecclesie» (ASTV, Notarile II, b. 915, c. 211v; Giusberti, Da Santa Maria delle carceri, cit., pp. 125-126, doc. 11).  R. Gibbs, Treviso, in La pittura nel Veneto: il Trecento, a cura di M. Lucco, Milano, Electa, 1992, pp. 178-246: 242.  Andrea De Marchi ha attribuito al giovane Pisanello gli affreschi con le Storie di san Cristoforo, dipinti sulla parete sinistra della chiesa di Santa Caterina a Treviso. Cfr. A. De Mar

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zione. Le storie di Antonio e Cristoforo seguono infatti un andamento chiaro e facilmente comprensibile, fatta eccezione per quelle dedicate a san Giacomo e raffigurate nelle volte, dove all’ordine topografico non sempre corrisponde quello temporale. Le estese abrasioni e le pesanti erosioni della pellicola pittorica hanno compromesso irrimediabilmente la possibilità di comprendere appieno i caratteri stilistici e formali che contraddistinguono il linguaggio del pittore dei cicli. Ma è indubbio che le storie di san Giacomo, san Cristoforo e sant’Antonio abate ricoprano un ruolo importante nel determinare il contesto artistico trevigiano a cavallo tra Tre-Quattrocento. Esse documentano infatti la presenza in città di un artista di evidente formazione padovana, ancora legato alla corrente neogiottesca di Altichiero e Jacopo Avanzi, che rielabora i modelli assimilati in chiave personale formulando composizioni sintetiche e vivacemente aneddotiche, ma che allo stesso tempo dimostra di non conoscere i nuovi caratteri del gotico internazionale, introdotti a Treviso agli inizi del XV secolo grazie alle opere di pittori più attenti al gusto cortese e ai nuovi formulari lessicali gentileschi. In conclusione, gli affreschi qui analizzati vanno considerati come gli ultimi esempi figurativi, ancora visibili a Treviso, frutto di un substrato culturale saldamente legato al linguaggio artistico di fine Trecento, e che precedono di pochi anni l’arrivo in città del nuovo clima cortese inaugurato da Gentile da Fabriano e Pisanello.

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THE STORIES OF ST. LUCY BY JACOBELLO DEL FIORE, AND VENETIAN FOLDING RELIQUARY ALTARPIECES Cristina Guarnieri

state of the art The Stories of St. Lucy constitute a fundamental work in the catalogue of Jacobello del Fiore, and a masterpiece of Italian late-Gothic art. Housed in the Pinacoteca Comunale since 1912, these panels were once located in the parish church of St. Lucy in Fermo (fig. 1), as documented by two eighteenth-century inventories, first published by Ileana Chiappini di Sorio, which mention them in the sacristy. At that point, the altar-

 L. Dania, La pittura a Fermo e nel suo circondario, Milano, Arti Grafiche Amilcare Pizzi, 1967, pp. 31-34; Id., La pittura a Fermo e nel Fermano nella prima metà del Quattrocento, in Vittore Crivelli e la pittura del suo tempo nel Fermano, edited by S. Papetti, Milano, Federico Motta Editore, 1997, pp. 27-30; S. Papetti, in Fioritura tardogotica nelle Marche, exhibition catalogue (Urbino, Palazzo Ducale, 25 July - 25 October 1998), edited by P. Dal Poggetto, Milano, Electa, 1998, pp. 211-212, cat. 74; L. Dania, in Il gotico internazionale a Fermo e nel Fermano, exhibition catalogue (Fermo, Palazzo dei Priori, 28 August - 31 October 1999), edited by G. Liberati, Livorno, Sillabe, 1999, pp. 86-90, cat. 7; A. Marchi, in Il Trecento adriatico. Paolo Veneziano e la pittura tra Oriente e Occidente, exhibition catalogue (Rimini, Castel Sismondo, 19 August - 29 December 2002), edited by F. Flores d’Arcais, G. Gentili, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2002, pp. 228-229, catt. 63-64; I. Chiappini di Sorio, in L’aquila e il leone. L’arte veneta a Fermo, Sant’Elpidio a Mare e nel Fermano. Jacobello, i Crivelli e Lotto, exhibition catalogue (Fermo-Sant’Elpidio a Mare, 24 March - 17 September 2006), edited by S. Papetti, Venezia, Marsilio, 2006, pp. 108-111, cat. 10; T. Franco, in Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento, exhibition catalogue (Fabriano, Spedale di Santa Maria del Buon Gesù, 21 April - 23 July 2006), edited by L. Laureati, L. Mochi Onori, Milano, Electa, 2006, pp. 168-169, cat. III.14; G. Capriotti, in Pinacoteca comunale di Fermo. Dipinti, arazzi, sculture, edited by F. Coltrinari, P. Dragoni, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2012, pp. 84-87, cat. 3.  I. Chiappini di Sorio, Per una datazione tarda della Madonna Correr di Jacobello del Fiore, «Bollettino dei musei civici veneziani», XIII, 1968, 4, pp. 10-25; Ead., in Restauri nelle Marche. Testimonianze, acquisti e recuperi, exhibition catalogue (Urbino, Palazzo Ducale, 28 June -

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piece had already been dismantled, removed from its original location, divided in eight independent paintings (suffering the partial loss of the original carpentry), and marginalized in a secondary place, thus being deprived of its original devotional function within the sacred space. The eight panels show outstanding episodes of the life of the martyr from Siracusa (Eutychia and Lucy at the Tomb of St. Agatha, Lucy distributes her goods to the poor, Lucy in front of the Judge Pascasio, Lucy dragged by the Oxes, St. Lucy burned at the stake, St. Lucy pierced by a knife, St. Lucy receives the holy Eucharist, The burial of St. Lucy). Their attribution was a matter of intense debate: some scholars ascribed the paintings to Umbria, or Florence, or Tuscany, linking them to Giottino or Gentile da Fabriano; others proposed a connection with an artist from Romagna, or Pietro di Domenico da Montepulciano. In 1927 Roberto Longhi was the first to identify more specific geographical references, by assigning the panels either to a painter from Veneto or to someone influenced by Venetian style. The attribution to Jacobello del Fiore was first proposed by Bernard Berenson in his lists of Italian Pictures of the Renaissance . After that, Longhi in his Viatico per cinque secoli di pittura veneziana confirmed the attribution to Jacobello, recognizing the panels as one of the masterpieces by the artist. More recently, on the occasion of the exhibition “Pittura Veneta nelle Marche”, eminent scholars have accepted and confirmed this attri30 September 1973), Urbino, Arti Grafiche Editoriali, 1973, pp. 117-122; Ead., in L’aquila e il leone, pp. 108-111, cat. 10.  G.B. Cavalcaselle, G. Morelli, Catalogo delle opere d’arte nelle Marche e nell’Umbria, in Le Gallerie Nazionali Italiane. Documenti storico-artistici, Roma, Ministero Pubblica Istruzione, 1896, II, p. 219.  F. Raffaelli, Guida artistica della città di Fermo, Fermo, Bacher, 1889, p. 58.  V. Curi, Guida storica ed artistica della città di Fermo, Fermo, Bacher, 1864, p. 63.  A. Colasanti, Un seguace di Gentile da Fabriano a Fermo, «Bollettino d’Arte», II, 1908, pp. 244-255.  A. Venturi, Storia dell’arte italiana, Milano, Hoepli, 1911, VII/I, pp. 186-189.  R. Van Marle, The Development of the Italian Schools of Painting, VIII, The Hague, Martinus Nijhoff, 1927, p. 270.  R. Longhi, Una “Coronazione della Vergine” di Pietro di Domenico da Montepulciano, «Vita Artistica», II, 1927, 1, pp. 18-20.  B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Oxford, The Clarendon Press, 1932, p. 270.  R. Longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, Firenze 1946, re-edited in Ricerche sulla pittura veneta, 1946-1969. Opere complete, X, Firenze, Sansoni, 1978, pp. 5-6, 45.  P. Zampetti, in Mostra della pittura veneta nelle Marche, exhibition catalogue (Ancona, Palazzo degli Anziani, 5 August - 30 September 1950), Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1950, pp. 16-17.

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the stories of st. lucy by jacobello del fiore

bution, but they have also imposed a biased perspective on the original function and typology of the altarpiece. Pasquale Rotondi pointed out that the reverse of the third and fourth episodes – Lucy in front of the Judge Pascasio (fig. 2) and Lucy dragged by the Oxes – show some images on a red background which can also be attributed to Jacobello. They present images of St. Lucy and St. Anthony the Abbot (figs. 3-5) which appear to have been painted upside down and continuously from one panel to the other. Rodolfo Pallucchini argued that Jacobello reused some older panels. He pointed out that the figure of Lucy resembled the Justice of the triptych painted in 1421 for the Magistrato del Proprio in Palazzo Ducale (now in the Gallerie dell’Accademia in Venice), and might have been a preparatory study for it. Similarly, St. Anthony the Abbot might have been a study for the figure of St. John the Baptist in the Triptych of Mary of Mercy, also in the Gallerie dell’Accademia. Such considerations, together with a hypothetic chronology towards the 1420s, implied a later dating for the Stories of St. Lucy, and triggered an intense critical debate with contrasting opinions. Longhi, for instance, dated the paintings around 1410, well before the Triptych of Justice. On the contrary, Carl Huter argued that they were painted later than the triptych, and Keith Christiansen proposed a chronology between 1410 and 1421. He also argued that the panels were originally arranged in two registers, with a central full-length painted or sculpted image of the saint, according to a popular Venetian model adopted, for instance, by Paolo Veneziano in his polyptych for the church of St. Lucy in Jurandvor, near Baska (Krk/Veglia, Croatia; figs. 6-7).  P. Rotondi, Studi e ricerche intorno a Lorenzo e Jacopo Salimbeni da Sanseverino, Pietro da Montepulciano e Giacomo da Recanati, Fabriano, Arti grafiche Gentile, 1936, pp. 107-108, tav. XXXIII, fig. 50.  R. Pallucchini, La pittura veneta del Quattrocento: il gotico internazionale e gli inizi del Rinascimento, Bologna, R. Pàtron, 1956, pp. 58-61.  Longhi, Viatico, cit., p. 45.  C. Huter, Jacobello del Fiore, Giambono and the St. Benedict Panels, «Arte Veneta», XXXII, 1978, pp. 31-38.  K. Christiansen, Gentile da Fabriano, London, Cornell University Press, 1982, p. 70; Id., La pittura a Venezia e nel Veneto nel primo Quattrocento, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, edited by F. Zeri, I, Milano, Electa, 1987, pp. 127-128.  Veglia (Krk), Vescovado, 146 × 170 cm. See: M. Muraro, Paolo da Venezia, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1969, pp. 141-142; P. Humfrey, The altarpiece in Renaissance Venice, New Haven, Yale University Press, 1993, pp. 165-166; M. Boskovits, Paolo Veneziano: riflessioni sul percorso (parte I), «Arte Cristiana», XCVII, 2009, 851, pp. 81, 87 note 12; I. Fiskovic’, in Stoljeće Gotike na Jadranu: slikarstvo u Ozračju Paola Veneziana (The Gotic century on the Adriatic: painting in the

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Jacobello died in the Autumn of that same year. The St. Peter altarpiece thus constitutes a sort of testament which, while reaffirming the influence that fourteenth-century art had on his painting, anticipates a new age in the atmospheric skies and in the landscapes as wide as the eye can see. In conclusion, only the close examination of the reverse of the panels in Denver and Kiev could confirm or deny this hypothesis. However, this is very difficult because the panels are kept in a modern frame. Nevertheless, this hypothesis, whether confirmed or not, sheds new light on the importance given to the exhibition of relics in small and medium parish churches of a peripheral town such as Fermo. Noticeably, Fermo looked at Venice not only to purchase complex and lavish panel paintings, but also to re-propose its rituals and the cult for the holy martyrs.

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«IO PRE GIOSEFFO ZARLINO DA CHIOZA». RELAZIONI, CONTESTI, CRONOLOGIA Jonathan Pradella

La letteratura di carattere biografico relativa a Gioseffo Zarlino è rilevante, anche se non abbondante come quella sugli aspetti teorici, acustici, musicali, matematici, teologici, letterari. In tempi recenti, si tratta per lo più di ottime sintesi introduttive o preziosi contributi su singoli aspetti della vita in pubblicazioni di più ampio respiro, mentre studi spe-

Il germe del presente contributo è stato presentato in forma sintetica al Convegno Internazionale per il Cinquecentenario della nascita di Zarlino (Venezia, Fondazione Ugo e Olga Levi, 29 novembre 2017) e leggermente ampliato in occasione della mostra “Musico perfetto. Gioseffo Zarlino (1517-1590). La teoria musicale a stampa nel Cinquecento”, Venezia, Libreria Sansoviniana, 24 gennaio 2018. Naturalmente nessuna ricerca sarebbe stata possibile senza il tempo che mi hanno dedicato, e la pazienza con cui mi hanno consigliato, Rodolfo Baroncini (Conservatorio di Adria), Martin Morell (New York), Giulio Vincoletto, Giulietta Voltolina e Giuliano Brugnotto (Facoltà di Diritto Canonico San Pio X, Venezia), Kenneth J. Pennington (Catholic University of America, Washington DC), Nejc Sukljan (Università di Lubiana), Sergio Piva (Archivio Diocesano di Chioggia), Davide Trivellato e Laura Levantino (Archivio Storico del Patriarcato di Venezia), Paola Benussi, Andrea Pelizza e Giovanni Caniato (Archivio di Stato di Venezia) e il personale della Fondazione Levi (in particolare Luisa Zanoncelli, che in qualità di presidente del Comitato scientifico mi ha affidato il tema): a tutti sono riconoscente.  Cfr. P. Da Col, Tradizione e scienza. Le Istitutioni harmoniche di Gioseffo Zarlino, in G. Zarlino, Le istitutioni harmoniche (Venezia, 1561), saggi introduttivi di I. Fenlon e P. Da Col, Sala Bolognese, Arnaldo Forni Editore, 1999, pp. 13-33; nello stesso volume I. Fenlon, Gioseffo Zarlino and Venetian Humanism, pp. 7-12; I. Fenlon, Gioseffo Zarlino and the Accademia Venetiana della Fama, in Id., Music and Culture in the Late Renaissance, Oxford, Oxford University Press, 2002, pp. 118-138; C. Collins Judd, Reading Renaissance Music Theory: Hearing with the Eyes, Cambridge, Cambridge University Press, 2000; G. Zarlino, Motets from 1549, edited by C. Collins Judd, 2 voll., Middleton (WI), A-R Editions, 2006; K. Schiltz, Gioseffo Zarlino and the “Miserere” Tradition: A Ferrarese Connection?, «Early Music History», 27, 2008, pp. 181-215; G. Zarlino, Motets from

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conclusioni Le celebrazioni per il Cinquecentenario zarliniano hanno offerto l’occasione per scandagliare nuovamente le fonti biografiche, recuperando dettagli sulle abitazioni nelle disponibilità di Zarlino e, intrecciata a questi, una trama di relazioni, anche rimontanti al periodo meno noto della vita del Chioggiotto. Si è potuto quindi tracciare uno schizzo del percorso che dalla sua città natale lo vide approdare a Venezia, prima presso l’Isola di Santo Spirito, dove non è ancora chiaro quali fossero le sue fonti di sostentamento, sebbene, mentre completava la sua formazione, probabilmente godesse ancora di rendite in Chioggia; quindi a San Benetto, dove la rettoria di Campolongo Maggiore, la mansionaria presso la Scuola Grande della Carità e probabilmente qualche attività di insegnamento gli consentirono di dedicarsi alla stesura della sua opera teorica più celebre, cercando contemporaneamente di raggiungere una posizione in qualche ragguardevole cappella musicale. La pur breve esperienza nell’Accademia della Fama lo vide a contatto con tutta la Venezia che conta, ma Zarlino si muoveva anche a Padova (con minor successo) e a Ferrara, con illustri frequentazioni. Decisivi per la sua definitiva consacrazione a maestro della cappella ducale furono i buoni auspici delle monache di San Lorenzo, che lo vollero alle loro dipendenze come cappellano di San Severo. Da quanto tratteggiato, è chiaro che gli archivi custodiscono quasi certamente altri documenti in grado di chiarire e ampliare il quadro biografico soprattutto dei cinque lustri tra Chioggia e San Marco: di primaria importanza sarà raccogliere quanto più possibile materiale epistolare a partire dalle numerosissime e complesse frequentazioni di un personaggio di primo piano nella storia della cultura e non solo musicale. Intanto si è partiti ab ovo: la catena delle argomentazioni a favore della data di nascita tradizionale (1517) poggia, in sintesi, sulla pretesa che sia impossibile ricevere il diaconato prima dei 22 anni, ergo i necrologi devono essere errati nel riportare l’età della morte, ergo Baldi deve aver inventato la data di nascita. Attraverso l’acquisizione di nuovi documenti, la rilettura di alcuni già noti e delle norme canoniche, si è verificata invece la debolezza della congettura sul 1517 e si sono valutate altre opzioni. Le due ipotesi alternative principali (bassa, 1510\11, e alta, 1519\20) non sono equiprobabili, ma emerge netta una concentrazione di indizi sul 1519\20. Con Nenci, e in maniera più blanda con il p. Davide da Portogruaro, sembra ci si possa ragionevolmente fidare del 31 gennaio 1520 di Baldi.

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UN “A SOLO” PER VIOLINO DI JEAN-BAPTISTE LULLY IN DUE TELE CON VANITAS DI SIMON RENARD DE SAINT-ANDRÉ Fabrizio Longo

a Luigi renard de saint-andr: breve profilo biografico Simon Renard (Parigi, 1614? - 1677), detto de Saint-André, fu un artista attivo a Parigi nella metà del Seicento, la cui carriera venne accompagnata da una considerevole fama; il successo, tuttavia, ne tutelò solo limitatamente la memoria, visto che oggi si conosce ben poco della sua esistenza. Tra le scarne informazioni si tramanda che fu allievo di Louis Beaubrun, che eccelse come lui nell’arte del ritratto e che fu membro dell’Accademia reale della pittura. Sappiamo, inoltre, che nel 1646 era già pittore ordinario della regina Anna d’Austria, di cui divenne valletto da camera. Nonostante non fosse sua abitudine firmare tutte le proprie opere, oggi si conoscono e si conservano parecchie delle sue tele tra cui emer-

 Si vedano: A. Félibien, Entretiens sur les vies et sur les ouvrages des plus excellens peintres anciens et modernes, Paris, Sebastien Mabre-Cramoisy, 1685, IV, p. 8, ed edizioni successive del medesimo autore: Entretiens sur les vies et sur les ouvrages des plus excellens peintres anciens et modernes, II, Paris, Louis Lucas, 1690, pp. 591-59; Entretiens sur les vies et sur le ouvrages des plus excellens peintres anciens et modernes avec la vie des architectes, III, Trévoux, Imprimerie de S.A.S., 1725, p. 317 e ivi, IV, pp. 336-337. Importante il contributo di L.F. Dubois de Saint-Gelais, [Notices lues à l’Académie royale de Peinture et de Sculpture], Ms. 56, 56 II: Notices lues à l’Académie le 1er décembre 1742 sur Messieurs de Saint-André, peintre, Statut Actuel Numéro d’entrée: Archives 69, Beaux-arts de Paris, l’école nationale supérieure. Notizie giungono anche dagli atti di stato civile degli archivi parigini; si veda: État civil de quelques artistes français, Extrait des registres des paroisses des ancient archives de La Ville de Paris, Paris, Librairie Pagnerre, 1873, p. 108. Una recente ed organica ricostruzione dell’esistenza dell’artista è contenuta in: N. Lallement, La musique dans les vanités de Simon Renard de Saint-André, 1. Simon Renard, peintre de vanités, «Musique-Images-Instruments», 2003, 5, pp. 166-174.

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fabrizio longo

gono, per qualità e ricercatezza, alcune nature morte con vanitas. In diverse tra queste figurano elementi che denotano una certa familiarità con il mondo della musica e, seppure non possediamo testimonianze su una personale attività musicale del pittore, è pur noto che de Saint-André ebbe assiduità di frequentazione con diversi musicisti, tra cui il cognato Claude de Vachin e vari membri della famiglia Beaubrun, tutti prossimi alla corte. le opere: nuove attribuzioni In questi ultimi anni, il sempre maggior interesse destato da de SaintAndré ha portato alla scoperta di altre sue opere e, per quanto riguarda le vanitates, si è giunti all’attribuzione nei suoi confronti di due quadri da tempo musealizzati (a Bourges e a Lione) e di altri due venduti a Milano e a Parigi. Questi si aggiungono agli otto che si conoscevano precedentemente, equamente ripartiti tra le collezioni pubbliche (troviamo sue opere nel museo Tavet di Pontoise, in quello di Lione e nei musei di Belle Arti di Marsiglia e di Strasburgo) e quelle private. Le tele oggetto di studio in questa sede, su cui non possediamo che stringate indicazioni provenienti dalle descrizioni di vendita, non sono comprese tra quelle pubblicate da Michel Faré e differiscono tra loro solo per le dimensioni e qualche dettaglio (figg. 1, 2). Osservando la composizione dei quadri, per posizione e dimensioni spicca un cranio umano cinto da una corona d’alloro rinsecchita e riverso su uno spartito; la mandibola, poggiata dritta sul tavolo, è staccata dal teschio ed è priva degli incisivi centrali, così come anche l’arcata dentale superiore. Alla sua sinistra vediamo due strumenti, sovrapposti in modo tale da ricordare la disposizione delle tibie nella figura del memento mori;

 «Le talent qu’il déploie dans l’arrangement des choses inanimées dépasse celui qu’il révèle dans ses personnages», cfr. M. Faré, Le grand siècle de la natura morte en France, Le XVII siècle, Friburg-Paris, Office du livre - Société Française du livre, 1970, p. 168. «Malgré l’utilisation d’un répertoire codifié, il se montre plus à l’aise et plus novateur dans ce genre que dans celui des portraits», cfr. Lallement, La musique dans les vanités de Simon, cit., p. 174.  Cfr. Lallement, La musique dans les vanités de Simon, cit., pp. 168-169.  Cfr. Faré, Le grand siècle de la natura morte, cit., pp. 169-179.  «L’image de la mort est néanmoins combattue par celle de l’espérance évoquée par l’immortelle couronne de laurier», cfr. Lallement, La musique dans les vanités de Simon, cit., p. 170.  Il teschio parzialmente sdentato è figura diffusissima; ricordo tra i tanti possibili: Et in Arcadia ego del 1613 del Guercino, con una chiara simbologia della caducità della vita, così come si evidenzia in F. Picinelli, Mondo simbolico formato d’imprese scelte, spiegate ed illustrate, Milano, Vigone, 1669, p. 131.

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due tele con vanitas di simon renard de saint-andr

tuttavia chi volesse vederne la tipica figura con teschio e tibie incrociate, dovrebbe osservare la composizione da sinistra. L’osservatore frontale, invece, vedrà la “x” sormontata da un candeliere con una candela spenta ma non del tutto consumata, immagine che può alludere sia alla morte che al «vellem non lucere» degli uomini giusti i quali, «trovandosi con qualche dignità [...] bramano privarsi di quella apparente chiarezza». I due strumenti poggiano su un manoscritto musicale e su una legatura in pelle morbida in cui si distingue il controsigillo della casa regnante francese, aspetto che induce a ipotizzare che vi sia contenuto un documento di grande importanza (figg. 3, 4). Entrambi gli strumenti, inoltre, sono decorati con fiocchi in tinte che richiamano il rosso ed il blu di Parigi e che ricordano figure antropomorfe o angeli serafini con le loro rispettive tre paia di ali. I nodi differiscono da quelli presenti in altre composizioni con vanitates di de SaintAndré e sembra quasi che il pittore abbia voluto utilizzarli per riproporre l’impostazione del controsigillo reale sostituendone i due angeli che sorreggono lo scudo con dei serafini, gerarchie angeliche note anche per le qualità musicali. Tutti gli oggetti sono poggiati su un drappo rosso, mentre alle spalle della composizione incombe un pesante tendaggio. I due strumenti musicali sono particolarmente legati alla vita mondana, sia il «grazioso» flageolet che la pochette, il violino da tasca che era particolarmente diffuso tra i maestri di danza e così chiamato per il luogo in cui poteva essere riposto durante le spiegazioni agli allievi. De Saint-André mostra molta cura per i dettagli e, nella riproduzione della pochette, si nota l’attacco alla cordiera delle due corde più acute, con un sistema utile per la risoluzione di vari problemi acustici dello strumento (fig. 5). Ivi, s.i.p., ma dopo la conclusione dell’avviso «Al lettore», [p. 6]. Cfr. Picinelli, Mondo simbolico..., cit., p. 64.  Cfr. Moulage du contre-sceau du grand sceau de Louis XIV, roi de France, Fond Sceaux; SC/D116bis, collection des Archives nationales dite Douët d’Arcq, Archives Nationales Fontainebleau - Paris - Pietrefitte - sur Seine.  J. Faure, L’arsenal de Paris, histoire et chroniques, Paris, L’Harmattan, Histoire de Paris, 2002, p. 35  Cfr. Isaia, 6.3.  «I quali [angeli] la Sapienza eterna distribuì in tre schiere. Nella prima pose i Serafini, i Cherubini, i Troni. Nell’altra le Dominationi, i Principati, le Potestà. Nella terza le Virtù, gli Arcangeli, e gli Angeli. I Serafini ardono nell’ardentissima fornace di carità, e d’amore appresso il suo Creatore Dio», cfr. P. Bozi, Tebaide sacra, Venezia, Santo e Matteo Grillo, 1621, p. 138[a].  Come già rilevato da Alberto Ausoni per un altro quadro del medesimo autore; cfr. A. Ausoni, La musica, Milano, Mondadori Electa, 2005, p. 58. 

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fabrizio longo

molto legato alla pochette ed al flageolet, fu coronato di gloria ed onori ed infine, nel 1672, ottenne privilegi attraverso i quali divenne il ricco protagonista assoluto e (quasi) indiscusso dell’attività musicale francese dell’epoca; proprio questi privilegi potrebbero essere rappresentati dal documento autorizzato con controsigillo reale, ma gli stessi elementi ricorrono anche in altre opere di de Saint-André; ciò che è certo è che il brano musicale ci offre un terminus post quem per entrambi i dipinti, la cui datazione non potrà essere compresa che tra il 1671 e il 1677, data di morte del pittore. Inoltre, possiamo affermare che gli acquirenti, o coloro che ricevettero in dono le tele, entrarono in possesso di opere in cui era rappresentata una composizione recente e già molto famosa, cosa non comunissima. Non è un azzardo, stavolta, immaginare che i proprietari appartennero a quella cerchia sociale vicina alla corte francese che, col sottofondo della musica della Psyché di Lully, aveva condiviso momenti di spensieratezza. Avranno avuto il nostalgico piacere di ricordarla anche attraverso un dipinto, tenendo presente che: Pour bien mourir, il ne faut que bien vivre, pour vivre bien, ta mort considerer.

 Relativamente all’impiego del recorder all’epoca di Lully, scrive Rowland-Jones: «The encouragement given by Lully, the dominant French composer of the later 17th century, to the redesigning of the recorder as a more gracious and responsive instrument, taken together with his early realization and later development [...] of its symbolic potentials, undoubtedly contributed to a revival of interest in the recorder at a time when decline had set in for other standard late Renaissance woodwinds such as the windcap families and the cornetts, familiar to Praetorius in 1619 and Mersenne in 1636»; cfr. Antony Rowland-Jones, Lully’s use of recorder symbolism, «Early Music», 37, 2009, 2, pp. 217-249: 246. In realtà capita anche di sovente, forse conseguenza dell’interesse mostrato da Lully in tal senso, che flauti a becco figurino in Vanitates di Simon Renard de St. André; cfr. ivi, p. 242. Si veda anche «The recorder magazine», 21, 2001, pp. 50, 96.  L’alloro è «pianta che evoca la gloria e l’immortalità. Ma le sue foglie secche richiamano la Prima lettera di san Pietro», osserva Ausoni proprio nel merito di un’opera di Simon Renard de Saint-André; cfr. Ausoni, La musica, cit., p. 58.  Per quanto riguarda la considerevole fortuna economica di Lully, si veda: E. Radet, Lully homme d’affaires, propriétaire et musicien, Paris, Librairie de l’art, 1891.  M. Moller (trad. di J. Combillon), Manuel de préparation à la mort, Berne, Sonnleitner, 1669, Huictain in Au lecteur, s.i.p.

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PERDITE E RISARCIMENTI DEI TESSILI SACRI IN AREA VENETA TRA SALVAGUARDIA, RINNOVAMENTO E TRADIZIONE Stefano Franzo

La conoscenza del patrimonio tessile ecclesiastico e la conservazione delle raccolte lagunari e della terraferma veneta, formatesi variamente a livello museale, non possono non tener conto delle operazioni d’urgenza attuate con l’approssimarsi del primo conflitto mondiale, a cui si sommano le questioni delle perdite e dei risarcimenti occorsi negli anni della guerra. L’attività di recupero dei paramenti rientrò infatti in un’ottica differente rispetto a quella dei beni mobili, prevedendo l’asportazione di quanto era considerato di maggior valore e ciò in un progressivo accentuarsi degli interventi ministeriali, che si intensificarono col progredire e l’aggravarsi degli eventi bellici e che inizialmente contemplavano un’azione limitata su Venezia e circoscritte attenzioni nell’entroterra veneto, come a Castelfranco, secondo quanto dettavano le precise disposizioni di Corrado Ricci, alla Direzione generale delle Belle Arti. I resoconti Il presente contributo riprende e amplia l’intervento al Convegno Internazionale di Studi “History, Production, Trade and Use of Venetian Textiles” (Venezia, Museo di Palazzo Mocenigo, Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume, 25-27 maggio 2016). Ringrazio il dott. Luca Majoli, la dott.ssa Lucia Pigozzo e la dott.ssa Debora Tosato della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso e la dott.ssa Marta Boscolo della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Venezia e dei comuni della Gronda lagunare.  G. Manieri Elia, Le iniziative per la protezione del patrimonio delle Gallerie dell’Accademia di Venezia durante il primo conflitto mondiale, in Venezia fra arte e guerra 1866-1918. Opere di difesa, patrimonio culturale, artisti, fotografi, catalogo della mostra (Venezia, Museo Correr - Biblioteca Marciana - Museo Storico Navale, 13 dicembre 2003 - 21 marzo 2004), a cura di G. Rossini, Milano, Mazzotta, 2003, pp. 169-172. Sulle problematiche connesse alle attività di salvaguardia e recupero M. Nezzo, Storia, memoria, identità. La prima guerra mondiale e la costruzione del ricordo attraverso le vicende del patrimonio artistico, in Arte come memoria. Il patrimonio artistico veneto e

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ROBERTO LONGHI: UNA BIOGRAFIA INTELLETTUALE AD USO DEL NEOFITA I. GLI ANNI DELLA FORMAZIONE Marta Nezzo

1. maestri e letture Roberto Longhi nasce ad Alba, in Piemonte, il 28 dicembre 1890, da una coppia di insegnanti elementari: Giovanni e Linda Battaglia. Cresce d’immagini e parole percorrendo vie differenti: legge De Amicis e Salgari; Manzoni, Pascoli e Carducci e, ancora, Livingstone e Schliemann; ma, avido di immagini, curiosa con piacere anche fra pubblicazioni popolari, appassionandosi alle diffuse tavole de «L’Illustrazione Italiana». Semplice scolaro, già è attratto da quella vena fantastica a creativa che diverrà cifra dei suoi studi. Fra figure, taccuini e pagine, frequenta il locale ginnasio e poi, a Torino, il liceo classico, ottenendo il diploma nel 1907.

Quest’articolo vuol essere il primo di una serie, destinata a comparire su rivista e strettamente dedicata al grande studioso novecentesco. Non si propone di svelare, su di lui e sul suo operato, speciali elementi di novità, quanto piuttosto di connettere la gran mole di studi precedenti in un percorso unitario e più facilmente praticabile dai giovani. La bibliografia topica sull’autore è sterminata (e verrà qui trattata selettivamente), mentre ancora manca un profilo che sfugga alle secche degli obituaires, usciti all’indomani della sua scomparsa. Le guide diacroniche migliori, ad oggi, rimangono i suoi Scritti; la Bibliografia di Roberto Longhi, a cura di A. Boschetto, Firenze, Sansoni, 1972 e, ovviamente, il seminale quanto affettuoso lavoro collettaneo offerto in L’arte di scrivere sull’arte.Roberto Longhi e la cultura del nostro tempo, a cura di G. Previtali, Roma, Ed. Riuniti, 1982. Tutt’intorno a questi, un proliferare di saggi fondamentali, dei quali si tenterà di dar conto nelle note.  G. Agosti, Altri materiali sulla giovinezza di Roberto Longhi. Qualche esempio e alcune prospettive di lavoro, in Studi in Onore del Kunsthistorisches Institut in Florenz per il suo centenario (1897-1997), «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», s. IV, Classe di Lettere e Filosofia, Quaderni, 1996, 1-2, pp. 475-484.

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marta nezzo

È nel capoluogo piemontese, dove divide una stanza con l’amico Ferruccio Parri, che inizia la sua straordinaria avventura culturale. Mentre iscrittosi a Lettere, roccaforte accademica del positivismo italiano, cerca motivazioni, sulla neonata cattedra di Storia dell’arte s’è insediato Pietro Toesca. Si tratta d’un medievista d’elezione, dal «magistero specialisticamente acerrimo», che ha ereditato il metodo di approccio diretto all’opera d’arte appartenuto a Cavalcaselle e Morelli, nonché al suo stesso maestro, Adolfo Venturi. Il giovane professore incardina saldamente ogni ipotesi all’intima conoscenza dei singoli oggetti e il suo motto «prima conoscitori, poi storici» è un imperativo all’appropriazione visiva dei contesti pittorici e scultorei, da cui Longhi resta affascinato. Né, d’ora innanzi, potrà o vorrà più sottrarvisi. Tanto più che scorrono, in quelle lezioni, le linfe della nuova storiografia europea e in particolare del formalismo austriaco. Mentre [...] Toesca – scriverà, nel ’50, l’ormai celebre allievo – paga il debito scotto alla grande tradizione degli “iconografi” francesi dal Brèhier al Mâle, sempre meglio appare che la sua ideale parentela di metodo è da cercarsi soprattutto nelle correnti d’indagine “stilistica” e di “sequenza formale” che avevano dato e davano le prove più brillanti nella scuola viennese dal Wickhoff al Riegl.

Un referente didattico ideale, dunque, che concentra in sé le più aggiornate risposte alle istanze di alfabetizzazione figurale del giovane apprendista. Ed effettivamente, a legare i due studiosi, restano le tracce di un formidabile imprinting: l’assoluta autonomia prospettiva e la singolarità del metodo di ogni storiografo, apertamente rivendicate da Toesca, saranno lievito per ogni eversiva proposta longhiana; e, ancora, l’ampiezza degli affreschi storici del primo è il punto di crisi che continuamente impegna e rilancia sul piano dei contesti le riduzioni monografiche, d’ascendenza crociana, del secondo. I suoi lavori, appena licenziati, sempre cercheranno autori, materie, problemi per aprire il racconto singolo al sistema della vicenda collettiva. E certo ancora dal Toesca – fra 1904 e 1912 impegnato nella sua monumentale Storia della pittura e miniatura lombarde – vengono a Longhi numerose curiosità per quell’area geografica padana, che gli varrà il Caravaggio. A. d’Orsi, La cultura a Torino tra le due guerre, Torino, Einaudi, 2000, p. 4. R. Longhi, Omaggio a Pietro Toesca, «Proporzioni», III (1950), pp. V-IX, ora in Id., Opere complete, Firenze, Sansoni, 1956-2000, vol. XIII, pp. 243-248: 246. L’edizione degli scritti longhiani sarà d’ora in avanti indicata come OC; nelle catene di citazioni il titolo originale di ogni testo verrà indicato soltanto al suo primo apparire.  

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roberto longhi: una biografia intellettuale ad uso del neofita

Ma, al di là del fascino del “suo” maestro, la carriera universitaria scelta dal giovane ha anche altre implicazioni importanti. Quello storico-artistico, infatti, è un percorso formativo di recente istituzione, che distingue, in Italia, le prime leve di studiosi con formazione specifica e dedicata. Soltanto nel 1896, infatti, Adolfo Venturi ha ottenuto di inserire la Storia dell’arte fra gli insegnamenti accademici. E che si tratti del tardivo riscatto d’una materia cadetta, lungamente criptata sotto insegnamenti di estetica, storia o letteratura, è evidente già dagli interventi dei suoi più calorosi sostenitori: Pasquale Villari ad esempio, nel perorarne la causa presso il Consiglio superiore della pubblica istruzione, deve insistere sull’impossibilità «di conoscere la Storia d’Italia senza uno studio abbastanza largo della Storia dell’arte». Per comprendere la novità dell’innesto, basti dire che l’organigramma politico-amministrativo e lo stesso tessuto critico delle arti – fra editoria e pubblicistica – era, sino ad allora, dominato da laureati in giurisprudenza, o, appunto, in filologia e letteratura. Una condizione ancora largamente diffusa negli anni universitari del giovane Longhi. Per fare un esempio, dall’ambito latamente classico erano giunti conservatori come Francesco Malaguzzi Valeri e Andrea Moschetti. Ciò, in effetti, garantiva alla Storia dell’arte un preciso inquadramento umanistico, attardandone tuttavia i metodi su modelli extra-visivi. Del resto lo stesso Toesca aveva avuto la sua prima formazione in ambito letterario studiando, con Arturo Graf, i trattati d’arte antichi. Significativamente l’altro bacino di operatori – parallelo e, se possibile, ancor più ricco – era fornito al ministero dalle aule di giurisprudenza: ranghi da cui erano usciti critici come Ugo Ojetti e persino il direttore generale delle Antichità e Belle Arti, Corrado Ricci. Per ciascuno di loro l’impegno e lo studio su pitture, sculture e architetture del presente (e soprattutto del passato), erano stati una germinazione culturale collaterale, se non accessoria, dovuta a inclinazioni personali o familiari, ma comunque – e sempre – coltivata entro un orizzonte scolare extra-istituzionale. Unica eccezione, invero non troppo diffusa, qualche frequentazione delle Accademie, in grado di arricchire le competenze con una sorta di partecipazione autoriale al sistema delle arti.

 G. Agosti, La nascita della storia dell’arte in Italia. Adolfo Venturi dal museo all’università (1880-1940), Venezia, Marsilio, 1996, p. 131.

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RADIO AS AN ART FORM IN FORMER YUGOSLAVIA. MALO VEČNO JEZERO BY VALDAN RADOVANOVIC’ AT RADIO BELGRADE ELECTRONIC STUDIO Luca Cossettini

introduction: avant-garde music in the socialist federal republic of yugoslavia The cultural and musical history of Yugoslavia after World War II can be divided into three main phases. 1) The 1950s were characterized by a politically controlled climate whose influence was felt also in musical production, encouraging neo-Classical or late-Romantic stylemes, in line with Zdanovist principles of Socialist Realism. The Yugoslav government, however, had been contrasting the Soviet Union’s policy already since 1948. During that period the idea of a new “socialist democracy” was its prime political aspiration, and at the same time its main difficulty: a democratic left that could go beyond the conservative social democracy of the West and the bureaucratised state socialism of the East. The idea was founded on a principle which had never been written down, although it was a tenet in the Yugoslav Communist Party’s policies: nothing should be banned unless it constituted a real danger. Musical production surveillance was thus not

 See I. Klemenčič, Glasba in totalitarna država na Slovenskem, «Nova Revija», 194, 1998, 17, pp. 219-229, K. Romanou, Serbian & Greek art music. A patch to western music history, Bristol-Chicago, Intellec, 2009, M. Veselinovic’-Hoffman, Историја Српске Музике, Belgrade, Zavod za udžbenike i nastavna sredstva, 2007 and M. Milin, J. Samson, Serbian Music: Yugoslav Contexts, Belgrade, Institute of Musicology of the Serbian Academy of Sciences and Arts, 2014.  M. Milin, Serbian Music of the Second Half of the 20th Century: From Socialist Realism to Postmodernism, in Serbian & Greek art music. A patch to western music history, a cura di K. Romanou, Bristol-Chicago, Intellec, 2009, pp. 86-96.  See I. Banac, The National Question in Yugoslavia: Origins, History, Politics, Ithaca, Cornell University Press, 1984.

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MATHIAS GOERITZ. IL PROCESSO DI RINNOVAMENTO DELL’ARTE NEL MESSICO DEL XX SECOLO Mariana Méndez-Gallado

introduzione A partire dall’anno 2015, in cui si è celebrato il centenario della nascita di Mathias Goeritz (Danzica, 1915 - Città del Messico, 1990), si è voluta dimostrare l’importanza di questo artista di origine tedesca, non solo nell’ambiente dell’arte e della cultura messicana – essendo residente in Messico dal 1949, egli sviluppa proprio in questa nazione la gran parte della sua opera e pensiero -, ma anche a livello internazionale, attraverso numerosi studi e ricerche che hanno portato a diverse pubblicazioni e mostre in varie parti del mondo. Con la sua opera Goeritz attraversa gli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta e ottanta, riuscendo non solo ad operare autonomamente, ma anche a evitare ogni tipo di storicizzazione. Che il “caso” Mathias Goeritz sia rimasto ancora “irrisolto” o “indefinito”, non tanto dal punto di vista del riconoscimento, ormai ampio, quanto da quello del suo inquadramento nella storia dell’arte del XX secolo e del ruolo complessivo esercitato nel contesto delle arti figurative e contemporanee, è forse dovuto al fatto che la sua opera è rimasta relegata in una sorta di terra di nessuno, a metà strada tra discipline diverse, poiché, come lui stesso dichiara, egli non è né un pittore, né uno scultore, né un architetto, né un designer, né, tantomeno, un pedagogo, ma è tutte queste cose insieme. Comunque sia, Mathias Goeritz è uno degli artisti chiave del rinnovamento dell’arte visiva in Messico, rivolto alla progettazione e alla didattica. Rileggere la sua opera e interrogarsi sull’esercizio del suo complesso e variegato “mestiere” artistico è fondamentale per capire il processo di rinnovamento dell’arte in Messico dopo il Muralismo. Il suo pensiero e le sue opere sono decisivi nella rottura con i precedenti 


mariana mndez-gallado

canoni visivi e contenutistici legati alla grande stagione del Muralismo, a favore invece di elementi plastico-formali concentrati sul proprio valore in sé, in quanto forme. In questa “rottura” possiamo, forse, capire che l’intenzione centrale della sua produzione è l’integrazione plastica, che si svolge attorno a una critica al Muralismo e al modo in cui quest’ultimo antepone la tematica all’uso del muro come spazio pubblico; mentre l’integrazione plastica mira a fondere insieme il tema della proporzione, della visibilità, della natura e dello stile nel contesto in cui l’opera viene eseguita. Nonostante la sua ampiezza e complessità, il lavoro di Goeritz rimane fermamente ancorato ad alcune tematiche che l’artista ripropone di volta in volta secondo diverse prospettive. Senza dubbio, ciò che meglio identifica l’artista tedesco-messicano è l’uso della scala monumentale, già evidente nelle colossali piazze pre-ispaniche, e il suo concetto spirituale dell’arte, basato sul pensiero dadaista di Hugo Ball e sull’idea della cattedrale di Gropius in seno alla Bauhaus. Noi proponiamo in questa analisi da una parte un filo conduttore che ci guidi nella comprensione della sua opera e pensiero, che ci permetta di situare nel modo più adeguato il lavoro teorico e artistico di Goeritz nel contesto internazionale; dall’altra, di studiare questioni, diventate quanto mai attuali, nel momento della loro prima formulazione storica, da parte di artisti che svolgono un ruolo chiave nella seconda metà del Novecento, tra Europa e America. Questo filo conduttore lo tessiamo attraverso la ricerca di tre concetti base: l’Educazione visiva (Educación visual), il Gesamtkunstwerk e l’Architettura emozionale (Arquitectura emocional). Tutti e tre vengono sempre legati, e più di una volta confusi, in ogni opera, manifesto e progetto di gestione artistica e culturale di Goeritz, tuttavia cercheremo di distinguerli e accentuarli nell’analisi di alcune delle sue opere e manifesti più rappresentativi. giustapposizione. il rinnovamento dell’arte e dell’architettura durante gli anni quaranta e cinquanta Il Muralismo ha avuto a che fare con l’emergere di altre proposte parallele e contrarie al suo contenuto e al suo concetto politico e sociale. Queste nuove tendenze procedevano da personalità isolate o da piccoli gruppi che avevano la sensazione di essere schiacciati dal Muralismo. Questi gruppi gradualmente crebbero e divennero più coesi, avvicinandosi, sia per la tecnica che per la tematica, alle avanguardie europee del primo Novecento.

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mathias goeritz. il rinnovamento dell’arte nel messico del xx secolo

Tuttavia, le arti plastiche in Messico erano ancora sotto il peso di pittori muralisti, di Diego Rivera in particolare, che hanno cercato di determinare i criteri formali dell’arte e di condannare qualsiasi deviazione contro-rivoluzionaria, decadente, anti-messicana e anche fascista – come sarebbe poi avvenuto nel caso di Mathias Goeritz. Al riguardo, è significativa la critica fatta da José Clemente Orozco all’“arte nuova” ispirata da elementi primitivi, preistorici: L’arte del Nuovo Mondo non può essere radicata nelle tradizioni del Vecchio Mondo né in quelle dei popoli indigeni. Sebbene l’arte di tutte le razze di tutti i tempi abbia un valore comune, umano, universale, ogni ciclo deve lavorare con indipendenza, deve creare, deve consegnare la propria produzione, la sua partecipazione al bene comune. Contare sull’arte dei popoli aborigeni, di quelli del passato come di quelli di oggi, non è altro che una vera indicazione di impotenza e di viltà, o anche di frode.

In contrapposizione con questo, nel 1945 un gruppo di personaggi famosi della politica, dell’economia e della società messicana fonda la Società di Arte Moderna per promuovere mostre e per acquisire opere d’arte. Così, il mercato dell’arte diventa una realtà nel Messico degli anni Cinquanta e sessanta, potendo contare su un numero sempre maggiore di gallerie. Un tema che preoccupa profondamente gli artisti e gli architetti di quel periodo è, senza dubbio, quello dell’integrazione plastica. La fonte di ispirazione, sia per il loro lavoro costruttivo che dei suoi elementi pittorici, proviene dall’antichità preispanica con le sue tendenze alle forme piramidali, all’uso del basalto vulcanico, ma anche per la scultura alle forme più elementari, adottando una nuova estetica legata all’Astrattismo, che permetterebbe all’uomo di avvicinarsi alla natura, di difendere quindi la sua qualità spirituale. Allo stesso tempo, ci sarà il recupero di una tradizione estetica popolare, dove l’architettura dei principali elementi della strada, ad esempio, il mattone di creta, le note di colore acuto, il blu “añil” (blu indaco e azzurro ciano), il rosso terra, il giallo prima Così scrive Orozco nella Collezione di autoritratti di pittori pubblicata per l’Instituto Nacional de Bellas Artes nel 1947 (A. Luna Arroyo, Las Artes plásticas, in México. Cincuenta años de Revolución, a cura di H. Romero, J. E. Iturriaga, A. Luna Arroyo, E. Cataño Orozco, 4 voll., Ciudad de México, Fondo de Cultura Económica, 1962, p. 255, trad. it. dell’autrice).  È importante notare, per esempio, il grande impatto di quest’attività sulla promozione della fotografia, in particolare di Manuel Álvarez Bravo e di Gabriel Figueroa. Il primo darà un’altra lettura agli oggetti trovati per dar vita alla poetica del “messicano” (il quotidiano, i suoi oggetti e personaggi costituiscono il tema centrale della sua opera). Nel caso di Figueroa, egli diventerà un cameraman noto nel cinema internazionale e girerà film come Los olvidados (I figli della violenza, 1950) di Luis Buñuel.

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mariana mndez-gallado

stallazioni ambiente. Erano tutte espressioni di un’arte che cercava di far emergere una nuova sensibilità e di prestare attenzione al contesto in cui sarebbe stata collocato. Così, possiamo concludere che tanto l’opera di Goeritz, quanto il suo pensiero parteciparono al cambiamento e al rinnovamento culturale del Messico della seconda metà del Novecento, quando il concetto di spazio ha acquisito un ruolo molto importante per ripensare che cosa è l’uomo nella società contemporanea.

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ILLUSTRAZIONI


anna pastro

8. San Cristoforo e santo eremita, Treviso, chiesa di Santa Lucia, Storie di san Cristoforo, navata sinistra, quarta campata, vela sud

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la pittura a treviso nel primo quattrocento

9. San Cristoforo arriva alla capanna, Treviso, chiesa di Santa Lucia, Storie di san Cristoforo, navata sinistra, quarta campata, vela ovest

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cristina guarnieri

1. Jacobello del Fiore, St. Lucy Altarpiece, Fermo, Pinacoteca Comunale

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the stories of st. lucy by jacobello del fiore

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jonathan pradella

1. I-Vas, Censo stabile, Mappe napoleoniche, comune censuario I, Venezia, f. XX 2. Venezia, Casa in Campo s. Severo, angolo Calle dei Preti (foto Jonathan Pradella) 3. Necrologio di Zarlino nei registri canonici (partic.), I-Vasp, Parr. S. Severo, Reg. Mort. u. 1 (1576-1627) (4 febb. 1590, m.v. 1589) 4. Necrologio di Zarlino nei registri dei Provveditori alla Sanità (partic.), I-Vas, Provv. alla sanità, b. 821 (5 febb. 1590, m.v. 1589) 5. Specimen della grafia di G.M. Asola (partic.), I-Vasp, Parr. di S. Severo, Reg. batt. u. 1, reg. alfabetico sub litt. “L” (31 lug. 1589)

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«io pre gioseffo zarlino da chioza»

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fabrizio longo

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due tele con vanitas di simon renard de saint-andr

1. Simon Renard de Saint-André, Vanitas con strumenti musicali, olio su tela, cm 38,1 × 47,3, collezione privata, venduto dalla casa d’aste Sotheby’s, December 11, 2003, London, lotto 211 2. Simon Renard de Saint-André, Vanitas con strumenti musicali, orologio e rose, olio su tela, cm 61,4 × 77,3, collezione privata, venduto dalla casa d’aste Sotheby’s, December 8, 2005, London, lotto 341 3. Simon Renard de Saint-André, Vanitas con strumenti musicali, dettaglio del controsigillo 4. Moulage du contre-sceau du grand sceau de Louis XIV, roi de France, Fond sceaux; SC/D116bis, collection des Archives nationales dite Douët d’Arcq, Archives Nationales Fontainebleau - Paris - Pietrefitte - sur Seine 5. Simon Renard de Saint-André, Vanitas con strumenti musicali, dettaglio dell’attacco alla cordiera delle due corde più acute 6. Simon Renard de Saint-André, Vanitas con strumento musicale, clessidra, candeliere, spartito, carte da gioco e dadi, collezione privata, Francia, dettaglio dell’attacco alla cordiera della corda più grave

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stefano franzo

1. Polpet (Belluno), chiesa di Santa Maria di Vedoia, pizzo, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Archivio Fotografico, fondo Ugo Ojetti, SD OJ 17 1 2. Polpet (Belluno), chiesa di Santa Maria di Vedoia, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Archivio Fotografico, fondo Ugo Ojetti, SD OJ 17 2

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perdite e risarcimenti dei tessili sacri in area veneta

3. Valle di Cadore, chiesa di San Martino, pianeta, verso (da A. Moschetti, I danni ai monumenti e alle opere d’arte delle Venezie nella guerra mondiale MCMXV-MCMXVIII, Venezia 1932)

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recensioni

contemporaneità rispetto al repertorio trattato. L’aver messo in relazione tale pratica con la musica delle confraternite diffuse nelle periferie sarde risulta essere un’interessante intuizione che mette in risalto una connessione, fino a questo saggio, poco studiata. Lo scopo dichiarato dell’autore sta nel compiere, inoltre, una necessaria riflessione sull’interazione fra oralità e cultura scritta nella musica moderna, tentando di capire quali pratiche sono sopravvissute lungo gli anni. Quello che oggi è cambiato è la sfera di azione di questi canti, i quali hanno annullato l’ancestrale divisione fra sacro e profano, divenendo una sorta di passatempo da condividere in varie occasioni, «including the peculiar rituality of sharing a glass of wine». L’ultimo capitolo, a firma del colombiano Egberto Bermùdez, analizza con acume critico ed esperta abilità archivistica, l’universo sonoro formatosi intorno alle missioni evangelizzatrici in America Latina nell’intorno di tempo che va dal 1525 al 1575, in un periodo caratterizzato quindi da importanti trasformazioni culturali e transizioni geografiche zenitali, confermandosi così come contributo critico particolarmente prezioso. Attraverso il metodo di analisi – consueto per questo volume – che guarda alla multidisciplinarietà, l’autore prende in considerazione strumenti derivanti dall’iconografia e dalla trattatistica, avvalendosi spesso di testimonianze e di materiale cronachistico e documentale di varia natura, attestanti gli usi di numerose prassi esecutive musicali che costruiscono un nuovo paesaggio sonoro. Attraverso una corrispondenza fittamente comparata fra esponenti di varie congregazioni religiose, ma soprattutto attraverso una puntuale e precisa descrizione dei protagonisti e dei luoghi dell’indagine, l’autore ci descrive una realtà che appare sempre più variegata e sempre più influenzata da caratteristiche extra-musicali, come istanze antropologiche, politiche, culturali. In ultima analisi non ci si può esimere dal considerare questo volume come essenziale nel panorama scientifico internazionale, e per la mancanza, fino alla sua uscita, di una miscellanea o di un testo che trattasse con così precisione e allo stesso tempo con una certa duttilità temi diversi della stessa epoca, che avessero come fattore comune l’aspetto in primo luogo musicale, e per il metodo utilizzato incentrato su una storia a lungo respiro, e votato a una multidisciplinarietà non dispersiva, ma anzi essenziale per inquadrare i fenomeni nel loro complesso divenire storico. Considerato il peso degli autori e la qualità scientifica dei contributi contenuti al suo interno, questo volume si pone come strumento ineludibile per qualsiasi studioso che voglia approfondire lo studio della storia del cattolicesimo moderno in prospettiva musicologica nell’arco temporale che va dal XV al XVII secolo. giorgio peloso zantaforni

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ABSTRACTS

Anna Pastro La pittura a Treviso nel primo Quattrocento:le storie di san Giacomo, san Cristoforo e sant’Antonio abate dipinte nella chiesa di Santa Lucia The stories of St. James, St. Christopher and St. Anthony the Abbot, decorating the vaults of the fourteenth-century church of Santa Lucia in Treviso, are a precious testimony of the figurative vocabulary between the fourteenth and fifteenth centuries, before the arrival in the city of the new characters of late Gothic. Due to the terrible conditions of the frescoes, an accurate analysis of the painted scenes had never been conducted; for this reason, following the recent conservative restoration, a new identification of the episodes was necessary with the consequent redefinition of the entire iconographic program of the three cycles. The article also outlines the artistic context in which the painter of Saint Lucia worked, who adopts formal solutions closely linked to the Paduan art of Altichiero and Avanzi, not yet knowing the new late-gothic lexical forms by Gentile da Fabriano introduced in Treviso by artists more attentive to courtly taste, like Pisanello. Le storie di san Giacomo, san Cristoforo e sant’Antonio abate, che decorano le volte della trecentesca chiesa di Santa Lucia a Treviso, sono una preziosa testimonianza di quale fosse il lessico figurativo trevigiano tra Tre e Quattrocento, prima dell’arrivo in città dei nuovi caratteri del tardogotico. A causa del pessimo stato i cui versavano le pitture murali, non era mai stata condotta un’accurata analisi delle scene dipinte; per questo, a seguito del recente restauro conservativo, si è resa necessaria una nuova identificazione degli episodi con la conseguente ridefinizione dell’intero programma iconografico dei tre cicli. L’articolo delinea anche il contesto artistico in cui lavorò il pittore di Santa Lucia, il quale adotta soluzioni formali strettamente legate all’arte padovana di Altichiero ed Avanzi, non conoscendo ancora i nuovi formulari lessicali tardogotici di Gentile da Fabriano introdotti a Treviso da artisti più attenti al gusto cortese, come Pisanello. 


abstracts

Cristina Guarnieri The Stories of St. Lucy by Jacobello del Fiore, and Venetian folding reliquary altarpieces The Stories of St. Lucy by Jacobello del Fiore are one of the masterpieces of Italian Late Gothic painting. The eight panels have until now been considered as fragments of a dossale or of a dismembered altarpiece once bearing the painted or sculpted image of the Saint at the center. Two of these panels are also painted on the back with the inverted figures of St. Lucy and of St. Anthony Abbot realized on a red background. The presence of these two figures has been explained by considering the possibility that Jacobello subsequently re-used the wooden support in order to paint two of the stories of the altarpiece of Saint Lucy. It’s rather likely that the painter intended from the beginning to paint the figures upside down on the reverse of the panels. Thus the eight little scenes were conceived as the two hinged folding panels of a reliquary altarpiece, a very special artifact, widespread in Venice, whose function was to conceal or expose to the veneration the relics of the holy martyrs. This paper therefore intends to highlight the real function of this fundamental work of Jacobello’s career, while at the same time suggesting that in the Venetian territory many other objects of this kind were circulating. Le Storie di Santa Lucia di Jacobello del Fiore sono uno dei capolavori della pittura tardo gotica italiana. Gli otto pannelli sono stati finora considerati come frammenti di un dossale o di una pala d’altare smembrata che porta al centro l’immagine dipinta o scolpita del santo. Due di questi pannelli sono dipinti anche sul retro con le figure capovolte di Santa Lucia e di Sant’Antonio Abate realizzate su fondo rosso. La presenza di queste due figure è stata spiegata considerando la possibilità che Jacobello abbia successivamente riutilizzato il supporto in legno per dipingere due delle storie della pala d’altare di Santa Lucia. È piuttosto probabile che il pittore abbia inteso fin dall’inizio dipingere le figure capovolte sul retro dei pannelli. Così le otto piccole scene furono concepite come i due pannelli pieghevoli di una pala d’altare-reliquiario, un manufatto molto particolare, diffuso a Venezia, la cui funzione era quella di celare o esporre alla venerazione le reliquie dei santi martiri. Questo scritto intende quindi mettere in luce la funzione reale di questa fondamentale opera della carriera di Jacobello, mentre allo stesso tempo suggerisce come nel territorio veneto circolassero molti altri oggetti di questo tipo.

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abstracts

Jonathan Pradella «Io pre Gioseffo Zarlino da Chioza». Relazioni, contesti, cronologia The celebrations of the Fifth Centenary of Zarlino’s birth offered the chance to re-examine the biographical sources, retrieving or recontextualising some details about dwellings resided in by the “Chioggiotto”. These details are interwoven with relationships dating back to the lesser known period of his life between his first arrival in Venice and his appointment as maestro di cappella at St. Mark’s Basilica. Moreover, the arguments supporting the traditional year of his birth have been shown to rest largely on the claim that, at the time, it would have been impossible to be ordained deacon before 22 years of age. The discovery of new documents and the rereading of others and of Canon Laws have revealed the weakness of the conjecture about his birth in 1517; therefore, other options have been tested, and January 31, 1520 stands out as the least improbable birth date. Le celebrazioni per il Cinquecentenario zarliniano hanno offerto l’occasione per scandagliare nuovamente le fonti biografiche, recuperando o ricontestualizzando alcuni dettagli sulle abitazioni nelle disponibilità di Zarlino e, intrecciata a questi, una trama di relazioni, anche rimontanti al periodo meno noto della vita del Chioggiotto, tra il primo arrivo a Venezia e l’incarico di maestro di cappella in San Marco. È emerso inoltre che la catena delle argomentazioni a favore della data di nascita tradizionale (1517) poggia sostanzialmente sulla pretesa che sia impossibile ricevere il diaconato prima dei 22 anni: attraverso l’acquisizione di nuovi documenti, la rilettura di alcuni già noti e delle norme canoniche, si è verificata la debolezza della congettura sul 1517 e si sono valutate altre opzioni, tra le quali emerge come meno improbabile il 31 gennaio 1520. Fabrizio Longo Un “a solo” per violino di Jean-Baptiste Lully in due tele con vanitas di Simon Renard de Saint-André The article focuses on the identification of a musical composition depicted in two vanitas still lifes by Renard de Saint-André (Paris, 1614?-1677), then a mature painter prominent in the French court. The artist’s pictorial production is unique and reveals a particular connection with music through the presence of musical instruments and the depiction of scores and manuscripts most often drawn from compositions from a distant past. However, the canvases examined here differ from the artist’s usual choices. In fact, he depicts a solo for violin taken from an opera by the contemporary composer Jean-Baptiste Lully, the most prominent figure in French music at the time. The identification of this composition represents the terminus post quem in the dating of both paintings.

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Il focus dell’articolo verte sul riconoscimento di un brano musicale raffigurato in due nature morte con vanitas di Simon Renard de Saint-André (Parigi, 1614?-1677), all’epoca pittore ormai maturo e figura di spicco nel contesto della corte francese. La produzione pittorica dell’artista è inconfondibile e rivela un particolare legame con la musica, sia per la presenza di strumenti musicali sia per le riproduzioni di spartiti e manoscritti che sono tratti, il più delle volte, da composizioni di un passato non prossimo. Le tele prese qui in esame, invece, differiscono dalle scelte consuete dell’artista. Egli, infatti, vi raffigura un solo per violino tratto da un’opera del coevo Jean-Baptiste Lully, protagonista assoluto nel panorama della musica francese dell’epoca. L’identificazione del brano musicale, inoltre, si offre quale terminus post quem per la datazione di entrambi i dipinti. Stefano Franzo Perdite e risarcimenti dei tessili sacri in area veneta tra salvaguardia, rinnovamento e tradizione The knowledge of the ecclesiastical textile heritage and the conservation of the Lagoon and mainland collections cannot but take into account the emergency operations carried out with the approach of the First World War, to which are added the losses and the reparations that occurred during the war years. The damage suffered by the churches on the front line and in the area of ​​the Piave involved the sacred textiles in a decisive manner, showing in the report by Andrea Moschetti some fortunate case of survival. At the same time, the various committees set up in several parts of Italy sent sacred objects from the different regions to corrispond to the needs and urgencies of the rites. It is therefore necessary to evaluate as in the first post-war period, in this set of displacements, losses and restitutions, the return of the goods posed problems of identification and conservation, while in the framework of the critic debate is important to understand how the need for compensation arose, oriented towards a renewal of sacred vestments in the wake of local tradition. La conoscenza del patrimonio tessile ecclesiastico e la conservazione delle raccolte lagunari e di terraferma non possono non tener conto delle operazioni d’urgenza attuate con l’approssimarsi del primo conflitto mondiale, a cui si sommano le questioni delle perdite e dei risarcimenti occorsi negli anni della guerra. I danni subiti dalle chiese sulla linea del fronte e nella zona del Piave dovettero coinvolgere in maniera decisa i tessili sacri di uso e di pregio, mostrando nel resoconto di Andrea Moschetti qualche fortunoso caso di sopravvivenza. I vari comitati costituitisi in più parti d’Italia colmarono nel contempo, con la spedizione di oggetti sacri raccolti in diverse regioni, le esigenze e le urgenze dei riti. È stato quindi necessario valutare, nell’ambito di una ricerca d’archivio sostanzialmente inedita, come nel primo dopoguerra, in tale insieme di sposta-

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menti, perdite e restituzioni, il rientro dei beni abbia posto problemi anzitutto identificativi e conservativi, mentre nel quadro del dibattito critico si è inteso comprendere come si sia configurata la necessità di un risarcimento, orientato verso un rinnovamento delle vesti sacre attuato non secondariamente nel solco della tradizione locale. Marta Nezzo Roberto Longhi: una biografia intellettuale ad uso del neofita I. Gli anni della formazione The text traces the years of Roberto Longhi’s training, starting from his studies at the University of Turin, with Pietro Toesca, and from the Specialization Course in History of Art in Rome, with Adolfo Venturi, up to the teaching at the “Visconti” and “Tasso” Roman high schools. Special attention is devoted to the difficult relationship with Bernard Berenson and to the unrealized translation of his Italian Painters of the Renaissance, as well as to the many cultural influences to which the young man is exposed: from the Benedetto Croce’s philosophy up to Hildebrand’s visual theory and to formalist methodology. Alongside his collaborations with «La Voce» and «L’Arte», his interest in Futurism and more generally in contemporary art is emphasized, with the aim of rendering the complexity of an integral historical-critical experience, revolutionary example of the new education planned for modern scholars in History of Art. Il testo ripercorre gli anni della formazione di Roberto Longhi, a partire dagli studi all’Università di Torino, con Pietro Toesca, e dal Perfezionamento romano in Storia dell’arte, con Adolfo Venturi, per giungere all’insegnamento presso i licei romani Visconti e Tasso. Speciale attenzione è dedicata al difficile rapporto con Bernard Berenson e alla mancata traduzione del suo Italian Painters of the Renaissance, così come alle molteplici influenze culturali cui il giovane si espone: dalla filosofia crociana alle proposizioni purovisibiliste e formaliste. Accanto alle collaborazioni con «La Voce» e «L’Arte», si rilegge il suo interesse per il Futurismo e più in generale per l’arte contemporanea, nell’intento di rendere la complessità di un’esperienza storico-critica integrale, rivoluzionario esempio della nuova educazione prevista per i moderni studiosi di Storia dell’arte. Luca Cossettini Radio as an art form in former Yugoslavia. Malo Vecno Jezero by Valdan Radovanovic at Radio Belgrade Electronic Studio This paper analyses the role of the Radio Belgrade Electronic Studio on the development of experimental music in former Yugoslavia. After an overview on

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the musical situation in the Socialist Federal Republic of Yugoslavia, it focuses on the role the composer Vladan Radovanović had had on the foundation of the Studio and on the birth of a new and authentic Yugoslavian radiophonic music. Finally, the composition Malo Večno Jezero (The Eternal Lake) – winner of the Franco Zafrani Prize at the Prix Italia International Radio-broadcasting and Television Award in 1984 – is analysed in detail: it offers a clear example of the impact of the radiophonic medium on musical composition practices. L’articolo analizza l’influenza dello Studio di Musica Elettronica di Radio Belgrado sullo sviluppo della musica sperimentale in ex Yugoslavia. Dopo una panoramica sulla situazione musicale nella Repubblica Socialista Federale di Iugoslavia, si concentra sul ruolo rivestito dal compositore e artista Vladan Radovanović nella fondazione dello Studio e nella nascita di una nuova e autentica musica radiofonica iugoslava. Infine, viene analizzata nel dettaglio la composizione Malo Večno Jezero (The Eternal Lake) – vincitrice del Premio Franco Zafrani al Prix Italia, International Radio-Broadcasting and Television Award, nel 1984 – in quanto esempio emblematico dell’impatto del mezzo radiofonico sulle prassi di composizione musicale. Mariana Méndez-Gallado Mathias Goeritz. Il processo di rinnovamento dell’arte nel Messico del XX secolo Mathias Goeritz is one of the key-artists in the revival of visual art in Mexico during the 20th century. Rereading his work and asking ourself questions about the exercise of his complex and varied artistic “craft”, it is fundamental to understand the process of renewal of art in Mexico after Muralism. In this article we intend, first of all, to understand the thought and work of Goeritz, in order to adequately situate his theoretical and artistic work in the international context. Secondly, the aim is to focus on the issues at the time of their first historical formulation by artists who played an important role in the second half of the twentieth-century, between Europe and America. All this, through the search for the three concepts that are at the basis of the theoretical formulation and operating practice of this German artist residing in Mexico: Visual Education (Educación visual), Gesamtkunstwerk and Emotional Architecture (Arquitectura emocional). Mathias Goeritz è uno degli artisti-chiave del rinnovamento dell’arte visiva in Messico durante il XX secolo. Rileggere la sua opera e interrogarsi sull’esercizio del suo complesso e variegato “mestiere” artistico, è fondamentale per capire il processo di rinnovamento dell’arte in Messico dopo il Muralismo. In questo articolo ci si propone, prima di tutto, di comprendere il pensiero e l’opera di Goeritz, in modo da poter situare adeguatamente il suo lavoro teorico e artistico nel contesto internazionale. In secondo luogo, si mira a mettere a fuoco le questioni nel momento della loro prima formulazione storica da parte di artisti che 


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hanno svolto un ruolo importante nella seconda metà del Novecento, tra Europa e America. Tutto questo, attraverso la ricerca di tre concetti che stanno alla base della formulazione teorica e della prassi operativa di questo artista tedesco residente in Messico: l’Educazione visiva (Educación visual), il Gesamtkunstwerk e l’Architettura emozionale (Arquitectura emocional).

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