autocritica marzo 2010

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il manifesto autocritica

I

n famiglia è successo una volta, cinquant'anni fa. Kiichiro Toyoda, figlio del fondatore della Toyota e padre del ramo automobilistico del gruppo, si dimette nel 1950 dopo un lungo sciopero degli operai. Un gesto per assumersi le responsabilità del crollo delle vendite alla fine dell'anno precedente, seguito da licenziamenti di massa. Akio Toyoda, oggi sul ponte di comando del primo produttore di veicoli al mondo e pronipote del fondatore Sakichi, “il re degli inventori”, ricorda proprio quell'infausto evento familiare il giorno del suo insediamento, il 25 giugno 2009. Senza sapere che da lì a poco una domanda di dimissioni avrebbe aleggiato su di lui, a causa di 8,5 milioni di auto Toyota richiamate nel mondo per difetti al pedale dell'acceleratore e al sistema frenante. Ma Akio ha deciso di non seguire le orme di Kiichiro. Dopo un tira e molla, la settimana scorsa è stato costretto a presentarsi davanti a una commissione del Congresso a Washington per spiegare che cosa la Toyota ha fatto sui difetti riscontrati sui suoi modelli. Aggiungendo di non essere lui stesso “perfetto”, come le sue auto. È giusto che non si dimetta? Essendo al volante da nove mesi, le sue scelte non possono avere nulla a che fare con quanto sta succedendo e dunque da buon capitano non lascia il timone della nave in tempesta. Se invece si considera la sua gestione della comunicazione di crisi, sia nei rapporti con l'ente federale per la sicurezza dei trasporti statunitense che con l'opinione pubblica mondiale, le dimissioni non avrebbero stupito nessuno. Perché la vicenda è piena di ritardi e di omissioni, come gli hanno rimproverato i congressmen e buona parte della stampa mondiale, che ha avuto gioco facile a picchiare duro, con punte di malignità: il presidente della Toyota - è stato anche scritto - si è recato al Congresso a bordo di un grande Suv, un Highlander oggetto “di richiamo ma riparato”. ***** L'auto con zero difetti non esiste. Soltanto negli ultimi tre anni, l'Nhtsa, l'autorità americana che si occupa di questi casi, ha effettuato 524 richiami coinvolgendo 23,5 milioni di automobili di marchi diversi. Nell'ufficio più bollente dell'ente per la sicurezza stradale lavorano solo 57 impiegati, che esaminano circa 35.000 richieste di intervento all'anno. Vita dura, ma il caso Toyota li ha esposti senza nessuna pietà a critiche da parte del Congresso. Dieci anni fa, Katsuhiko Kawasoe, numero uno della Mitsubishi Motors, lascia dopo essere stato costretto ad ammette-

L’indicibile difetto

diun’automobile re pubblicamente dai nuovi soci Daimler che per quasi trent'anni l'azienda ha nascosto all'opinione pubblica i difetti delle proprie macchine. Sempre nel 2000, Masatoshi Ono, presidente della Firestone Usa (controllata dalla giapponese Bridgestone) saluta dopo essersi scusato a Washington davanti al Congresso e in televisione per difetti ai pneumatici Firestone. Poco prima, il 9 agosto, l'Nhtsa ordina il ritiro dal mercato di 6,5 milioni di gomme dell'azienda. Perché uccidono, come è capitato a diversi proprietari di Ford Explorer, Suv allora in gran voga benché con

FRANCESCO PATERNO’

qualche problema di bilanciamento dei pesi, su cui sono montati quei pneumatici. La storiaccia coinvolge le più nobili famiglie di Detroit. L'erede dei Ford, Bill, è il presidente del gruppo e sua madre si chiama Martha Firestone, insomma in tribunale finisce il novecento americano a quattro ruote. I richiami non sono una specialità giapponese. Sole nelle ultime settimane, a richiamare vetture nel mondo per motivi diversi sono state – oltre alla Toyota - Honda, Ford, Peugeot, Citroen, Volkswagen, Maruti, Hyundai. Basta andare sul sito dell'Nhtsa come su quello italia-

no istituito nel 2000 dall'allora ministro dei trasporti Pierluigi Bersani, per imbattersi in un bollettino di guerra, con morti e feriti di tutte le nazionalità. Piuttosto, la specialità giapponese è proprio l'invenzione della qualità totale, firmata da Toyota. Per chi ne volesse sapere di più o l'avesse perso, è più che mai attuale il libro di tre ricercatori statunitensi, The Machine That Changed The World (La macchina che ha cambiato il mondo, Rizzoli). Che è anche un modo per non sparare sulla Toyota a caso, o per motivi che nulla hanno a che fare con il problema vero dei consumatori.


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