s p or t Torniamo alle… origini. Com’era nata la scelta di praticare questo sport? “Sono nato e cresciuto ad Ascona e negli Anni ’50, a parte l’hockey su ghiaccio non vi erano praticamente altre attività, se non il calcio, ma a Locarno. Così, avevo nove anni, una volta ho seguito mio fratello Fabio, che già praticava la ginnastica artistica, nella palestra dell’Unione Sportiva Ascona (USA). Ho trovato un ambiente carino e ho continuato”. A quattordici anni il giovanissimo Michele entra nei quadri della Nazionale e negli Anni ’70, con la squadra dell’USA primeggia in ambito nazionale e alle Feste Federali; e poi partecipazioni a campionati mondiali, europei e universiadi... Entriamo nel dettaglio della disciplina che comprende sei attrezzi chiedendo a Michele Arnaboldi di commentarli. “Corpo libero: ho iniziato giovanissimo, ai campionati svizzeri di squadra; in pedana (un quadrato di 12 x 12 metri, circondato da un metro di sicurezza, ndr) mi sono subito trovato a mio agio; Cavallo con maniglie: un attrezzo ‘tosto’, non tra i miei preferiti, su questo attrezzo è molto facile sbagliare; Anelli: contrariamente a quello che si pensa, non occorre tanta forza ma molta tecnica per creare un bel movimento; Volteggio: con questo attrezzo negli ultimi anni ho ottenuto i risultati più importanti grazie a un preparatore di origini giapponesi che mi aveva insegnato lo “Tsukahara” (un salto inventato dal ginnasta giapponese Mitsuo Tsukahara, da cui prende il nome, ndr). In Europa ero uno dei migliori a praticarlo;
SCHEDA
biografica
Nome e cognome: Michele Arnaboldi Data di nascita: 1 luglio 1953 Stato civile: coniugato, tre figli Domicilio: Minusio Professione: architetto, professore universitario Attività sportiva: ginnastica artistica
30
ILLUSTRAZIONE TICINESE 04-15
Parallele simmetriche: un bell’attrezzo, di respiro; Sbarra: con questo attrezzo ho sempre incontrato delle difficoltà, poiché da giovane non mi ero costruito una buona base tecnica. Per quanto riguardava le competizioni internazionali, esse erano suddivise in due giornate; il primo giorno era dedicato agli esercizi obbligatori, il secondo agli esercizi liberi. Per giungere pronto alle gare, mi allenavo 5-6 ore al giorno con esercizi che vertevano su una rotazione di tutti gli attrezzi”.
«Ho imparato
a vincere, ma soprattutto a perdere»
Come caratterizzerebbe il suo periodo vissuto con dedizione completa allo sport? “È stata una bella lezione di vita, la ginnastica artistica richiede disciplina e organizzazione. Ho imparato a vincere, ma soprattutto a perdere e a essere versatile”. Come detto, lo sport ha poi lasciato spazio alla carriera professionale. Come è arrivato all’architettura? “Ho scelto di studiare architettura per… esclusione. Ricordo che in occasione di un evento dedicato alla presentazione delle diverse materie che si sarebbero potute studiare all’Università, l’unica a non essere stata proposta era stata proprio l’architettura; incuriosito, ho reso visita alla facoltà presso il Politecnico federale di Zurigo che mi ha colpito e convinto a scegliere questo ciclo di studi”.