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DANTINI PER SEMPRE, PROGETTO ED ELABORATI

Dantini per sempre

Il giorno 31 maggio 2022 si è svolta la premiazione del PREMIO LETTERARIO “Dantini per sempre” indetto per ricordare Teresa Gradi Falsini, avvocato, madre di due allieve del liceo, anch’ella ex allieva del liceo classico Dante, che ha sempre vivacemente preso parte alla vita della scuola, assumendo ruoli nella componente genitori e promuovendo con grande slancio tutte le attività, prima fra tutte l’orientamento in entrata.

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Erano presenti i docenti della Commissione giudicatrice, la famiglia Falsini e Gradi, i concorrenti e tanti alunni e genitori, legati dal ricordo dell’amica. In un clima intimo, dopo la lettura della poesia di Franco Fortini , 27 aprile 1935, che richiama fra i ricordi il giardino del Liceo, si è svolta la premiazione che ha visto al primo posto Gaia Pazzi della classe IIIA Classico, al secondo Giovanni Baroncelli della classe VA classico, al terzo Adriano Marcondes Godoy, della classe VA classico. Ai vincitori la famiglia Falsini ha offerto buoni libro. Menzionati anche Alessandro Palma ( VA Classico) e Martina Marra( 3E Artistico)

Riservato agli studenti regolarmente iscritti presso il triennio dei Licei dell’IIS Alberti Dante di Firenze, il premio si è proposto di valorizzare e promuovere le capacità critiche e stilistiche legate all’espressione scritta, offrendo l’opportunità di entrare in contatto diretto con uno scrittore. Ad un autore, infatti, è stata richiesta la traccia di un saggio breve, che è stato poi sviluppato dagli alunni.

La traccia da svolgere è stata fornita dallo scrittore e giornalista Aldo Cazzullo°

Aldo Cazzullo, ( Alba , 17 settembre 1966 ) è un giornalista e scrittore italiano. Ha lavorato a La Stampa ed attualmente lavora al Corriere della Sera, come inviato speciale ed editorialista. E’ autore di numerosi saggi di grande successo. Nel 2020 ha pubblicato A riveder le stelle. Dante, il poeta che inventò l’Italia

La traccia proposta invitava e riflettere sulle figure femminili e sul ruolo della donna nella Comedia di Dante. Di seguito, alcuni dei testi che hanno partecipato al concorso.

“Ricorditi di me, che son la Pia; Siena mi fé, disfecemi Maremma: salsi colui che ‘nnanellata pria disposando m’avea con la sua gemma”.

Termina così il canto V del Purgatorio dantesco, con la flebile voce di una donna che si introduce nel dialogo con il poeta Vate, al fine di accennare alla propria tragica fine. È Pia de’ Tolomei, tradita e uccisa dal proprio marito. Vengono condensati in laconici e lapidari versi l’amore di una donna per un uomo che non la merita, il rimpianto per un matrimonio spezzato, la violenza perpetrata e la sofferenza causata da parte del proprio coniuge. Tutto ciò appare però ammantato da un’aura di dolcezza, capace di rievocare la nostalgia del gesto gioioso di adornarsi con l’anello, sacro vincolo di amore eterno, lasciando così la vergogna e il vituperio esclusivamente alla figura del marito. Una dolcezza ed una dirittura morale femminile che il lettore nota anche in Suor Piccarda Donati e Costanza d’Altavilla, poste in Paradiso, quali ulteriori celeberrimi esempi di donne vittime del veemente controllo coercitivo maschile, entro i confini di una società convintamente androcratica. Una società in cui, però, gli uomini necessitano ad ogni costo di una presenza femminile, come guida al loro fianco. È per questa motivazione che Manfredi si affida alle preghiere della figlia Costanza, Nino Visconti a Giovanna, Papa Adriano V alla nipote Alagia; figure femminili che, seppur inserite nel consueto immaginario di pie protettrici degli affetti all’interno del focolare domestico, testimoniano l’ossequiosa venerazione di un erudito uomo medievale nei confronti della donna. Appare pleonastico ricordare gli influssi stilnovistici sulla raffigurazione letteraria della donna come angelica creatura virtuosa, tuttavia è innegabile asserire che nell’economia generale della Commedia le donne assurgano ad uno status di consapevole rilevanza, che supera tòpoi e clichét. E forse questo è il punto: nella società contemporanea riconosciamo quotidianamente, nella teoria e nella prassi, il ruolo femminile con rispetto e dignità? Certo è che spesso non ci indigniamo più dinanzi ad un femminicidio, il quale sembra non toccare mai fino in fondo le nostre personali esperienze, poiché ci appare sovente come mero fatto di cronaca da quarta pagina di giornale, che leggiamo con superficialità, quasi fossimo avvezzi ad una pratica che rasenta la peggiore forma di brutalità: l’uccisione in nome dell’”amore”. Così, limitandoci ad uno sterile compianto per la violenza subita da qualcun altro, iniziamo piuttosto a domandarci se magari quell’uomo, marito o partner, avesse potuto avere una qualche motivazione, di qualsivoglia natura, tale da permettere un simile gesto. Entriamo in questo modo nella logica assurda e vorticosa di un mondo indegno di definirsi appartenente al terzo millennio. Ci sbizzarriamo pertanto a trovare motivazioni laddove le questioni sono invece cristalline: l’uomo percepisce la donna come oggetto in suo possesso, e anche i più miti compagni di vita sono capaci, in determinate circostanze, di sfoderare non solo le armi della mascolinità quali la percossa, la ferita, lo spargimento di sangue, ma anche, talvolta, di utilizzare la potenza, insidiosa e strisciante, del condizionamento psicologico, della

sottomissione alla propria volontà, tanto perniciosa da essere capace di soffocare e stringere più di una stretta mortale. È lo stesso principio che ci porta talvolta a posare più l’attenzione sugli abiti indossati da una ragazza a seguito di uno stupro, piuttosto che sull’atto dello stupro in sé ad opera di un uomo. Esso appare un circolo vizioso, donde è arduo sfuggire. Eppure non vi è nulla di cui stupirsi. Una società che elogia la legge della relazione usa e getta, che pone le proprie fondamenta su di un egoismo utilitarista focalizzato sulla ricerca del proprio esclusivo piacere, è certamente in grado di far passare come normale l’immagineprototipo di una donna ‘cosificata’, il cui corpo può essere mercificato, sopraffatto, picchiato e, per ultimo, privato della vita, nei casi, tutt’altro che rari, di omicidio. Omicidio che certo risulta particolarmente distruttivo e contraddittorio, poiché si dirige verso un attentato al cuore della donna, al grembo materno, santuario di fertilità che dà la vita e riproduce, su scala ridotta, l’attività creatrice, certamente qualificabile come intrinsecamente divina. Forse che certi uomini, o per meglio dire ‘omuncoli’, si sentano gelosi per questa facoltà generatrice che non appartiene loro, giacché percepiscono, in pectore, di doversi imporre ed avere tutto sotto il proprio dominio? Non è possibile asserire con certezza a proposito delle aberrazioni della psiche umana, ma certamente è impossibile trascurare un avito retaggio, pervenuto sino a noi, fortemente misogino e certamente spietato. Il genere femminile, “ambiguo malanno”

Malinconia o Pia de' Tolomei, Eliseo Sala 1846 dell’umanità, è stato sin dal Medioevo ellenico oggetto di discriminazione, ostracismo dalla vita politica, relegazione nell’ambiente domestico, ove madri, mogli, figlie, rimanevano soggiogate alla volontà maschile, senza possibilità di riscatto. Le donne nell’antichità erano elogiate per la loro virginea purezza, la devozione alla famiglia, il ripudio della libido sfrenata, l’integerrima moralità, non certo per il loro coraggio ardimentoso, l’intelletto fine o l’anelito alla libertà. Un’eredità culturale, questa, che si è ben adattata all’impianto della antica cristianità, perno di tradizione, costume e storia della nostra contemporaneità. Certamente sovvengono alla mente di tutti le tristi storie dei processi per stregoneria, le pagine buie di alcuni Padri della Chiesa, le interpretazioni erronee conferite all’eziologia metastorica del libro veterotestamentario della Genesi. Eppure nel mondo occidentale, a seguito degli sconvolgimenti, in primis bellici, che hanno dominato l’Europa otto- novecentesca, pure la Chiesa, che è prima di tutto madre universale, si è adattata a certe novità ed ha alzato la voce in innumerevoli occasioni, a partire da Leone XIII. Degne di essere citate sono le parole di Papa Roncalli nell’enciclica ‘Pacem in Terris’, ove si legge: “Nella donna diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica”. Ad alcuni, tali parole possono apparire scontate, eppure, ancora oggi, le donne sono non solo, come già detto, vittime di soprusi e violenze da

stigmatizzare con risolutezza, ma spesso, in certe aree geografiche, private di ogni dignità, libertà di scelta, di azione, di pensiero. Ne sono un esempio generale la condizione femminile sotto il regime talebano afghano, e più in particolare il caso della pakistana Saman Abbas, torturata e uccisa dagli stessi parenti per aver rifiutato un matrimonio combinato. In un tale scenario scandaloso ed inaccettabile, l’unica cosa da fare può essere davvero solo quella di tacere? No, non credo. Non si può assistere, ancora oggi, a simili scempi. San Paolo, nelle Lettere ai Galati, sosteneva che “non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo né libero; non c’è uomo né donna, poiché voi siete uno in Cristo Gesù”. Ciò Dante lo aveva assimilato a tal punto che, pur in un contesto medievale innegabilmente reazionario, nel canto XXX del Purgatorio, non solo rende Beatrice una guida che erudisce e conduce un uomo, ma la paragona addirittura ad un ‘ammiraglio’, figura quanto mai virile, imperioso e saldo circa l’agire proprio ed altrui. Veramente, dunque, oggi, qualcuno può ipotizzare che uomo e donna, con le loro inevitabili differenze biologiche, siano individui tra i quali è possibile evidenziare un sesso debole ed uno forte? Virginia Woolf, nel suo capolavoro ‘Orlando’ scriveva che “i sessi sono diversi; eppure si confondono”; nel suo essere sia uomo sia donna, Orlando, ci ha insegnato che “le donne non sono né obbedienti, né caste, né profumate, né squisitamente acconciate, per natura”, abbandonando così secoli di pregiudizi sociali accumulati ed insinuando l’idea, a tratti platonica, che noi siamo anime, anime androgine, la cui sessualità appare solo come categoria accessoria. Notevoli passi, senza dubbio, sono stati fatti nell’ultimo secolo in favore della parità di genere, per quanto riguarda la carriera lavorativa, la stabilità finanziaria, il diritto di voto e di sostegno a favore delle donne. Le quali tuttavia non possono né devono rientrare nella categoria di ‘specie sociali’ protette o vulnerabili, alla stregua di animali in cattività, bensì rimangono libere anime che, con il sostegno degli uomini in ‘social catena’, possono lottare, in sinergia, per i loro diritti, per la loro auto-affermazione, scevre da gioghi e timori. La mia personale esortazione è quella di proseguire su questa linea, migliorando però noi stessi, uomini in primis, affinché non rimanga solamente una farisaica retorica di buonismo ed una distillata parità, che celano pregiudizi odiosi e ritengono anche le peggiori nefandezze ed ingiustizie come radici di una tradizione millenaria, impossibili da estirpare. Sforziamoci, piuttosto, di agire concretamente nell’interesse della donna, certi di farlo nell’interesse della nostra e delle prossime generazioni, in modo tale da non far conoscere ai nostri figli l’abominevole termine ‘femminicidio’. Intanto, nell’immediato, con atteggiamento rivolto alla bellezza delle arti, consiglio di contemplare la ‘Giuditta e Oloferne’ di Artemisia Gentileschi, pittrice della scuola caravaggesca, vittima di stupro e violenza per mano di Agostino Tassi. Ciò allo scopo di ricordare, grazie alla forza icastica ed eroica che l’opera è in grado di trasmettere, che, come poetava Guido Cavalcanti, “non si poria contar la piangenza” di una donna “ch’a le’ s’inchin’ ogni gentil vertute, e la beltate per sua dea la mostra”. Concludo rivolgendo alle donne le parole veraci ma, a mio parere, profonde, della cantante Mia Martini: “Donna che non sente dolore quando il freddo le arriva al cuore, quello ormai non ha più tempo e se n’è andato soffiando il vento. Donna come acqua di mare, chi si bagna vuole anche il sole, chi la vuole per una notte e c’è chi invece la prende a botte. Donna, donna come un mazzo di fiori, quando è sola ti fanno fuori. Donna cosa succederà quando a casa non tornerai?” G.B. VA

La Divina Commedia fa parte del nostro patrimonio artistico e culturale, è radicata nella nostra educazione e nel nostro immaginario collettivo. E non possiamo certo trattare della Divina Commedia senza citare Beatrice, figura della donna amata per eccellenza, simbolo di un amore ai nostri occhi classico ma allo stesso tempo innovativo rispetto alla tradizione letteraria precedente: dall'amore tipico della lirica cortese, che sfocia dalla bellezza, spesso adultero e in contrasto con l'amore per Dio; al sentimento stilnovistico che porta alla nobiltà d'animo tramite la vista, si passa infine a un amore del tutto disinteressato, sciolto da ogni manifestazione materiale, espresso nei confronti di una donna che è la rappresentazione della bellezza divina. La donna stilnovistica e dantesca non tenta l'uomo conducendolo al peccato; al contrario lo eleva e lo purifica, in contrapposizione con alcune tradizioni medievali che la vedevano nelle vesti di tentatrice e guida verso il profondo abisso dei peccati. Dante nobilita le donne gentili citandole anche come allegorie di alti saperi, quali la teologia e la filosofia, oltre che come maestre d'amore, cui la figura femminile è indissolubilmente legata, nel bene e nel male; non a caso è nel cerchio dei lussuriosi dell'inferno che troviamo il maggior numero di donne tra i dannati, in una mescolanza di personaggi mitici e storici: dalla regina Semiramide a Didone, da Elena di Troia a Cleopatra; figure celebri per la loro passione amorosa o per essere morte in relazione ad essa. La particolare reverenza di Dante nei confronti delle donne deriva in parte da una realtà sociale che le vede escluse dalla sfera decisionale, in ambito politico e civile così come in quello domestico, il che implica anche una minore sete di potere e una propensione a corruzione e avarizia inferiore rispetto all'uomo. Una figura quindi per certi aspetti pura, conservatrice di un'innocenza originaria, ma allo stesso tempo umana e vicina, oltre che fondamentale nella società. L'esclusione da alcuni aspetti della vita civile legati alla contemporaneità dell’epoca danno della figura femminile un'idea prettamente connessa alle relazioni e quindi alla bellezza e all'amore, rievocando la concezione della donna nelle corti medievali cui si ispirava la lirica in lingua volgare francese. Identificare sempre e comunque la donna con la purezza potrebbe però risultare contraddittorio, data la presenza di figure femminili nell'Inferno e nel Purgatorio. Dante infatti non fa della donna un soggetto univoco e idealizzato; ce lo dimostrano, tra gli altri, i personaggi di Francesca da Rimini e Pia de' Tolomei, che rappresentano, in maniera diversa, i drammi della loro epoca, i peccati della società medievale che anche la figura femminile incarna. In particolare, la prima rappresenta i lussuriosi e la loro impetuosa passione che sfocia dall'attrazione fisica. È tramite gli occhi e la voce della donna che ripercorriamo la vicenda amorosa di Paolo e Francesca, nei travolgenti versi del V canto dell'Inferno. La loro storia è un parallelismo con la relazione tra Ginevra e Lancillotto, amore del romanzo cavalleresco cortese che qui viene condannato: siamo costretti a scegliere tra esso e l'amore per Dio e, prediligendo l'uno, escludiamo l'altro. La narrazione da parte del personaggio femminile è una svolta in quanto la donna viene presentata come soggetto, non solamente oggetto, della passione amorosa: quello di Paolo e Francesca è un rapporto alla pari, molto moderno per certi aspetti, il cui realismo descrittivo ci fa sentire vicini ai due personaggi, destinati a condividere in eterno la stessa pena, uniti dopo la morte dalla stessa passione per la quale è stata sottratta loro la vita. Altra rappresentativa figura femminile è quella di Pia de' Tolomei, incontrata da Dante nell'Antipurgatorio, tra i tardi a pentirsi perché morti per forza. Pia, infatti, è stata uccisa dal marito. I versi in cui viene riportato il dialogo tra lei e il poeta sono pochi ma significativi: risulta una figura pacata e gentile, per la quale Dante sembra provare una tenera simpatia e compassione. La donna, su cui abbiamo poche notizie biografiche, racconta più di un’offuscata vicenda personale: racconta il dramma della violenza e del

femminicidio, spesso scaturiti dalla gelosia, all'interno del matrimonio. Una gelosia malata e ossessiva, che nella storia ha accecato l'umanità davanti all'amore e alla ragione. Sia ciò che spinge all'uccisione, gelosia o altroché, giustificato o meno, il femminicidio priva l'uomo dell'elevazione spirituale che la donna, nella visione stilnovistica e dantesca, reca a colui che la ama. Non è solo un atto atroce di fronte all'umanità, ma di fronte a Dio. Uccidere una donna, per di più se si è legati ad essa mediante un vincolo di fedeltà e amore, equivale a uccidere la propria spiritualità, il proprio legame con il divino e la possibilità di elevarsi fino ad esso. L'amore a cui gli uomini come Gianciotto Malatesta e Nello de' Pannocchieschi , mariti rispettiva mente di Francesca da Rimini e Pia de’ Tolomei, voltano le spalle con odio e inaudita violenza, non sempre è abbandonato anche dalla vittima: Pia non esprime rancore nei confronti di colui che l'ha uccisa, forse per comprensione delle ragioni del marito, oppure perché continua ad amarlo anche dopo la morte causata proprio da quelle mani, macchiate di sangue come la sua anima è macchiata indelebilmente dal peccato e segregata nella Caina gelida come il cuore di tutti i traditori. La gentildonna uccisa dal marito in Maremma potrebbe rappresentare in senso più ampio la violenza coniugale, a cui la donna spesso non ha i mezzi per sottrarsi; consapevole di ciò, il poeta riserva ai personaggi femminili maggiore comprensione anche tra i dannati, forse per la natura relativamente poco grave del peccato da esse commesso, forse per la consapevolezza delle sofferenze che le loro anime hanno dovuto subire in vita. In una società dove spesso non è il vero sentimento amoroso a trionfare, ma un matrimonio concordato o con alla base poca conoscenza, l'amore puro e imperituro nella storia e nella letteratura spicca tra le convenzioni matrimoniali e i semplici legami affettivi: si tratta di un sentimento distante da ogni desiderio di natura fisica e sensuale, genuino e devoto come può essere concepito l'amore per Dio. Dante era sposato con un'altra donna, ma nonostante ciò non condanna il proprio amore per Beatrice, puro, sincero e spirituale, che non conduce alla rovina ma, al contrario, salva da essa: è Beatrice a soccorrere Dante, servendosi di Virgilio, nella selva oscura, all'inizio del viaggio del poeta ritrovatosi sulla via del peccato. Si tratta di una decisione che proviene dall'alto, dalla vergine Maria stessa che si rivolge a Santa Lucia e a Beatrice. Una triade che rappresenta appieno la bellezza e la misericordia divina, l'unica, nella visione del poeta, a poter sollevare l'uomo dallo stato di miseria in cui si trova. In conclusione possiamo dedurne che per Dante la donna rappresenti, pur essendo molto più di un semplice mezzo, un tramite di Dio, in un'idea condizionata anche dalla concezione finalistica della natura e della vita radicata nella mentalità medievale grazie all'influenza aristotelica: c'è la necessità di intravedere dietro ogni cosa uno scopo comune che, in una società religiosa come quella del tempo, giustifichi una devozione verso un essere mortale pari a quella che si sente di dover avere per Dio. Inoltre la concezione medievale dell'uomo non conferisce ad esso una notevole libertà: è soggetto al volere che viene dall'alto e la volontà individuale ha potere fino a un certo punto; questo aspetto condiziona ogni esperienza di vita, riconducendola inevitabilmente alla sfera religiosa. L'attraversamento del mondo ultraterreno è costantemente segnato dalla presenza di donne, dall'Inferno al Purgatorio fino al Paradiso, in un climax crescente dove la figura più alta è rappresentata dalla vergine Maria, per eccellenza tramite di Dio, che si presenta sulla terra a partire dal suo grembo. Nel contesto di una spiritualità forte e accentuata come quella medievale, riconoscere la donna come mediatrice tra l'umano e il divino è la maggiore considerazione che si possa dimostrare di avere nei confronti di questa.

LA DONNA NEL XIII SECOLO

Henry Holiday, l'incontro immaginario fra Dante e Beatrice (con il vestito bianco) accompagnata dall'amica Vanna (con il vestito rosso), sul Ponte

INTRODUZIONE

Se si pensa alla Divina Commedia, una delle prime figure che viene alla mente è Beatrice, la donna amata da Dante in vita e in morte suo angelo custode, seguita da un’altra memorabile figura femminile come Francesca da Rimini, a cui vengono fatti pronunciare alcuni tra i più bei (e sicuramente i più famosi) versi sull’amore; oppure ancora Piccarda, costretta ad abbandonare l’abito monacale con la forza, o Costanza d’Altavilla, moglie e madre di Sacri Romani Imperatori, o la dolcissima Pia de’ Tolomei e altre ancora. Tutto ciò testimonia un’attenzione e una sensibilità non comune nei riguardi della donna e del suo ruolo; una rivalutazione degli schemi di pensiero della sua epoca. La Divina Commedia, infatti, era un manifesto di lotta e di pensiero, un richiamo politico e ideologico, un sentiero per il quale accedere ad un rinnovamento spirituale: lo dichiara Dante stesso, nel XVII canto del Paradiso, dopo la triste profezia che, sul suo futuro, fa Cacciaguida. Un’opera totale, quindi, che toccò molti aspetti della vita pubblica e privata, interiore e esteriore, per poter raggiungere l’obbiettivo proposto di rinnovare gli orizzonti mentali (a dire il vero piuttosto ristretti) dell’Uomo medievale. In questa organica costruzione, nella quale nulla, nella sua lunga gestazione e stesura, è stato lasciato al caso, è altamente lecito supporre che nemmeno la particolare (almeno per il tempo) figura della donna che ne emerge sia casuale. Ovviamente, per i nostri canoni di moderni, lo sforzo di Dante può sembrare ingenuo e insufficiente, ma occorre considerare lo spirito dei tempi per capire che questo suo nuovo approccio ha dello straordinario, e che sfiora le vette dell’unicità: nel XIII secolo, infatti, la condizione della donna era molto ristretta.

STATUS GIURIDICO

Il Medioevo non fu certamente il periodo più progressista in fatto di diritti (e consuetudini, che all’epoca avevano a tutti gli effetti valore di legge) riguardanti la figura della donna, che non esisteva come entità in sé, ma solo in rapporto ad altre figure, maschili. Si partiva infatti dall’assunto che le donne fossero costitutivamente inferiori all’uomo, fisicamente e spiritualmente, e che avessero perciò bisogno di guida e protezione.

Ne derivavano una serie di pesanti limitazioni alla sua libertà ed ai suoi diritti: in famiglia era sottoposta alla potestà della figura maschile di più stretta parentela, come il padre, il marito, il fratello, il figlio, o il parente più prossimo in mancanza di tutti questi ultimi; sempre in ambito privato, la donna non godeva di alcuna voce in capitolo sugli affari di famiglia, era anzi relegata a casa, a mansioni come il ricamo, il rammendo, la supervisione dei servi (le donne del popolo erano in questo più “libere”, ma ai fini letterari questo non ha rilevanza: sarebbe passato ancora molto tempo prima che entrassero nei libri anche loro). Anche per quanto riguarda il patrimonio la donna era mantenuta in uno status di inferiorità, per cui non poteva ereditare direttamente le sostanze di famiglia, se non dietro assegnazione di un tutore o comunque una figura di garante; al contrario, la donna rappresentava generalmente un peso per la famiglia, in quanto, oltre a non poter lavorare, essa aveva bisogno che le venisse assegnata una dote per renderla appetibile a buoni partiti.

In un contesto giuridico e politico non nettamente definito, in cui i vari poteri si sovrapponevano e scontravano, le alleanze familiari erano di importanza capitale, per cui a dote più ricca corrispondeva un matrimonio più importante, e quindi un’alleanza più utile e proficua. Nella vita pubblica, invece, la donna aveva ancora meno spazi: non poteva ricoprire cariche pubbliche o qualsivoglia ruolo ufficiale, e inoltre le erano preclusi spazi reali, come ad esempio il matroneo nelle chiese, separato ed elevato dal resto dei fedeli.

LA DONNA COME SANTA E COME DIAVOLO

A differenza del mondo giuridico, per il quale la donna era pressoché inesistente (o meglio, insussistente, cioè non considerabile di per sé), la Chiesa e dunque la religione, all’epoca ancora strettamente Cattolico- Romana, le dovevano pur riservare qualche ruolo: una delle figure femminili più importanti di tutti i tempi (per chi ci crede, ovviamente) è stata la Vergine Maria, madre di Dio; una donna scelta da Dio stesso per portare in grembo il redentore del genere umano. Non potevano nemmeno essere ignorate le numerose figure di sante (e sante martiri) che avevano costellato la storia del Cattolicesimo, e che erano parte integrante e fondamentale della dottrina e della fede. D’altra parte, la tradizione biblica tramandava anche una figura di donna tentatrice, corrotta, responsabile della cacciata dell’Uomo dal Paradiso Terrestre: Eva. Queste due figure erano inconciliabili, per cui anche le due visioni della donna furono inconciliabili: da una parte la donna santa e virtuosa, pura, casta, consacrata a Dio (“sposa” in Cristo, e al tempo il matrimonio e il marito erano, per la donna, estremamente vincolanti); dall’altra la donna tentatrice, schiava della carne, che con la sua malizia attenta alla salvezza eterna degli uomini, ministro in terra del volere luciferino.

DA UN ESTREMO ALL’ALTRO

La religione era per il Medioevo un fatto di estrema importanza, pertanto era inevitabile che il mondo della cultura e della letteratura vi gravitasse attorno (nel senso che al cuore della letteratura medioevale c’era invariabilmente una riflessione teologica o morale riconducibile alla religione, che plasmava di sé il componimento); ed ecco quindi che anche in letteratura ritroviamo la stessa ambiguità vista prima: basta considerare ad esempio i poeti stilnovisti e una lunghissima tradizione di letteratura misogina che mi

piacerebbe simboleggiare con la novella Calandrino e l’Elitropia (nonostante il Boccaccio non fu, almeno nel Decameron, un misogino). Nei primi (tra i quali ci fu lo stesso Dante, agli esordi della sua carriera poetica, con la “Vita Nova”) si ha la famosa donna-angelo, un essere di sovrannaturale bellezza e leggiadria, distante dalle cose terrene, simbolo (reale, nel senso di mondano, del mondo) della bontà di Dio, angelo disceso in terra per la salvezza spirituale dell’Uomo. D’altra parte abbiamo citato una famosa novella del Decameron di Boccaccio (di poco posteriore a Dante), poiché in essa è possibile vedere la donna disprezzata e avvilita: Calandrino, convinto dagli amici che i ciottoli d’Arno possano rendere invisibili, se ne riempie le tasche, andando poi in giro per la città; ritornato a casa tardi, rimproverato dalla moglie che ovviamente riesce benissimo a vederlo, Calandrino la picchia senza pietà, convinto che essa, proprio in quanto donna, abbia vanificato le proprietà magiche delle pietre (era infatti credenza diffusa che il tocco di una donna potesse annullare i poteri di pozioni e amuleti).

RIFLESSIONI SULLA DONNA IN DANTE

Come abbiamo visto, il mondo in cui Dante si muoveva non era generoso con le donne: pregiudizi radicati assai a fondo nella cultura medievale ne facevano o angeli scollegati dalla realtà o diavolesse tentatrici e malvagie. Il grande merito di Dante a questo riguardo è che egli riuscì a rappresentare la donna come degna di rispetto e di comprensione, come un essere che, al pari dell’uomo, si rallegra per le gioie e soffre per le ingiustizie, un miscuglio di pregi e difetti: insomma, Dante tracciò la fisionomia di una donna reale. Francesca da Rimini è sì un’adultera, ma il fatto che all’epoca il matrimonio non si contraesse per amore ma per convenienza (e soprattutto perché le donne non venivano consultate per la scelta del loro proprio marito), agli occhi sensibili di Dante la scagiona e la redime, rendendola degna di parlare di un sentimento così nobile e sacro come l’amore. Pia de’ Tolomei si pentì affidandosi a Dio solo negli ultimi istanti, ma comunque il pentimento la rende degna del Purgatorio, e quindi, in seguito, del Paradiso; la gentilezza con cui si rivolge a Dante (“Deh, quando tu sarai tornato al mondo e riposato de la lunga via[...] ricorditi di me, che son la Pia”) è un unicum nella Commedia, ed è testimonio del rispetto e della stima del poeta. Piccarda e Costanza d’Altavilla sono nel cielo più basso del Paradiso, il cielo della Luna, perché mancarono ai voti monacali: ma Dante scusa anche loro, perché furono strappate a forza dal chiostro e costrette a sposarsi dai membri maschi della loro famiglia; l’accusa di Beatrice, che porta, in contrapposizione alle due, come esempi di perseveranza, le vicende di Muzio Scevola e di San Lorenzo, assume caratteri puramente dottrinali e teologici e non oscura certo l’empatia di Dante per queste figure, vittime di un mondo maschilista e violento. Come emerge da tutto quello che si è detto, pur con tutti i suoi (umani) difetti, la donna è per Dante una creatura degna di rispetto e di affetto, interamente immersa nello stesso mondo degli uomini, e pertanto senza nessuna caratteristica angelica o luciferina, o meglio, con un miscuglio di queste due caratteristiche che rendono l’Uomo ciò che è; essa, come l’uomo, deve poter esercitare il proprio arbitrio, e con i suoi pensieri e le sue opere meritarsi l’Inferno o guadagnarsi il Paradiso.

LA DONNA, IL FEMMINICIDIO E DANTE

Nel bel mezzo della quotidiana vita scolastica dello studente, molte volte si dimentica il motivo che spinge gli Italiani ad avere un particolare interesse verso la Divina Commedia. Sicuramente è una tra le opere più monumentali della nostra letteratura, che riassume la maggior parte del pensiero teologico, filosofico e culturale dell’Italia di quel periodo. Eppure, una parte che sfugge allo studente - e sicuramente una delle accuse che più si rivolgono a quest’opera è proprio quella di essere così fuori dalle tematiche del nostro tempo presente da non capirne l’utilità del suo studio - è il modo in cui l’opera di Dante possa interpretare anche i problemi della nostra società, possa gettare delle basi per sempre nuove riflessioni. Questo pregio, ovviamente riconosciuto da Aldo Cazzullo, si appresta anche ad una tematica che, nonostante se ne parli dall’inizio del misterioso rapporto uomo-donna e donna-società, ci sembra quasi esclusiva dei nostri tempi, a causa di una maggiore consapevolezza da parte della massa, il femminicidio. Le vittime in questione nella Divina Commedia, Francesca e Pia, sono due donne che hanno avuto una storia diversa e sentimenti diversi di fronte ai loro omicidi. Francesca, simbolicamente unita al suo amante nel V Canto dell’Inferno, si fa portavoce di un modo di concepire l’amore disinteressato, fuori dalle logiche di dominanza sia da parte dell’uomo, sia da parte del potere, sia da parte del denaro, partecipe nelle stipulazioni matrimoniali di quel periodo. È l’emblema della libertà della donna verso l’amore affettivo e per la sua autonomia nella scelta dell’amante (è significativo il fatto che sia lei, nella coppia, la persona che parla con Dante, mentre Paolo prende la parola solo per quattro versi). Analizzando questo aspetto, proprio qui troviamo la novità del pensiero dantesco: Dante si pone in antitesi verso il concetto di femminicidio, sulle cui basi infatti poggia la volontà di sottomettere la libertà dell’altro. Francesca è offesa dalla maniera in cui Gianciotto abbia dovuto mostrare la sua presunta superiorità, in quanto uomo. Con questo racconto, Dante esce dalla visione, sua contemporanea, per capovolgere e criticare l’amore cortese, così incentrato nella distinzione tra superiorità ed inferiorità, signora e vassallo, sensualità ed irraggiungibilità. Francesca risulta una donna più che umana, che non stabilisce la sua superiorità e che contrappone a quest’ultima il libero arbitrio, la libertà di scegliere il proprio partner non in base a valori esterni, ma solo in base a quel valore col quale le relazioni dovrebbero essere instaurate, l’amore, in una fusione - e non una “fagocitosi” da parte di uno o dell’altro membro - equa. Ma non è solo un rifiuto

verso quel concetto di amore; accoglie infatti l’aspetto più costruttivo della relazione amorosa: il miglioramento, la nobilitazione dell’anima grazie alla potenza dell’amore. Dante dunque, davanti alla dimostrazione di femminicidio, non solo compatisce e solidarizza con le vittime, ma pianta sani dubbi anche nella mente del lettore: Era rispettata la concezione dell’amore cortese, per non parlare della volontà della donna? Dall'altra parte, nel V Canto del Purgatorio, c’è Pia de’ Tolomei, la quale sicuramente ha un modo diverso di concepire la violenza. Rispetto al gretto e schietto sdegno che Francesca rovescia sul suo uccisore (“Caina attende chi a vita ci spense”), nelle parole di Pia traspare, se non gentilezza, sicuramente rammarico verso quell’amore, che sembrava promettere così bene alla vista della dolcezza delle immagini nuziali, l’aspetto che più colpisce la stessa Pia. Un amore che però si presenta come tale solo nella formalità (la cerimonia dell’inanellaggio), ma non nell’essenza. Un amore che dovrebbe trattare la donna come un essere consenziente ed autonomo, ma che alla fine svanisce (come sembra alludere al v. 134 quel “disfecemi”) davanti alla gelosia del marito. Queste vittime non restano invendicate: ad attendere gli uccisori c’è la Caina, la prima zona del Cocito, “tristo buco sovra ‘l qual pontan tutte l’altre rocce” dove sono puniti i traditori dei parenti, immersi in un lago di ghiaccio, dal quale emerge solo la loro testa, rivolta verso il basso. Dante contrappone il tradizionale fuoco infernale alla nuova forma che assume l’odio, soprattutto quello intestino: una rigida e gelida crudeltà, incurante del valore che le persone assumono nella vita dell’uccisore. Il ghiaccio non solo quindi evidenzia il modo in cui l’odio - che li acceca, come le lacrime gelano gli occhi di Napoleone ed Alessandro Alberti nel XXII dell’Inferno - viene esternato, ma anche la fragilità degli uomini che la compiono. Dunque Dante tratteggia le donne: donne che possono essere ribelli, gentili, pie, che nella Commedia non seguono alcuno stereotipo dettato dalla letteratura precedente, che hanno personalità piuttosto forti sia nel bene (come nel caso di Pia de’ Tolomei) che nel male (parlando di Francesca da Polenta). Il ruolo della donna si fa fortemente simbolico: la donna si fa veicolo del messaggio divino, e incarna - in questo senso, Dante è molto tradizionalista - una gamma di valori già conosciuti dai suoi contemporanei. Questi valori contraddistinguono altri due spiriti, Sapìa e Cunizza, rispettivamente nel XIII canto del Purgatorio e nel IX canto del Paradiso, con la loro austerità e la perseveranza nel migliorare la propria condizione, nonostante i peccati commessi nell’arco dell’esistenza. Anche in questo caso assistiamo alla comparsa sulla scena di donne che hanno come scopo quello di sottolineare l’importanza della nobilitazione d’animo da parte degli uomini. Queste due figure incarnano l’indipendenza e l’autonomia della figura femminile, che però - e non raramente - si scontra con la volontà degli uomini. L’incomprensione la volontà della donna e quella

dell’uomo è il tema di fondo del colloquio tra Dante di Costanza d’Altavilla e Piccarda Donati, nel III canto del Paradiso, le quali fuggirono entrambe, ancora giovani, dal loro mondo per vestire la tonaca monacale, per poi rompere i sacri voti, costrette a forza da uomini “a mal più ch’a bene usi” (v. 106). Un’altra figura che compare nella Commedia è Santa Lucia, in qualità di Grazia Illuminante, che ha lo scopo di traghettare Dante tra la valletta dei principi e la Porta del Purgatorio; inoltre, il suo fine è allegorico: è il mezzo dell’umanità per la salvezza eterna, è la guida che sorregge l’uomo Dante e Matilda nel suo incerto cammino verso la visione della Trinità. La scelta che ricade proprio su Santa Lucia è in Dante anche un elemento autobiografico: nei suoi anni giovanili, a causa delle prolungate letture, aveva sofferto di una pericolosa e dolorosa malattia, da cui poi è guarito proprio per intercessione di Santa Lucia. Oppure, sempre restando nel Purgatorio, ma spostandoci ai canti XXVIII-XXIX-XXX, possiamo trovare Matelda, la custode del fiume che lava le anime del Purgatorio, descritta come Proserpina, una fanciulla di una bellezza innocente e virginale, eppure che sfoggia la sua vasta conoscenza teologica e storica, molte volte insegnando a Dante nuovi concetti e dialogando a pari merito con Stazio. Dante è sperimentale anche in questo senso: una nuova visione della donna, che si discosta dalla donna stilnovista, una donna angelica, irraggiungibile, che anzi fa proprio del contatto con l’uomo, o per meglio dire con l’essere umano in generale, la sua identità, per quanto questo rapporto con il sesso altrui sia vario e specifico (si può passare dalle opere di carità, come il lavoro di assistenza ai bisognosi dato da Cunizza, alle scene di cruda violenza accennate da Francesca). Il “gentil sesso” si fa interprete del volere divino, è la rappresentazione della sua volontà, incarnata nella forma finale che è Beatrice, maestra (sono molte le volte in cui lei riprende severamente Dante per le sue conoscenze approssimative e per la sua ignoranza in certi campi), amata e guida di vita e di spirito per il poeta. Si può pensare dunque, leggendo superficialmente la Commedia, che sia una storia sola, quella di Dante in un cammino di redenzione ed apprendimento. Invece è un excursus vasto, anzi vastissimo, sull’uomo e sulla donna, e tutte le tematiche dei loro mondi. Dante scomoda imperatrici, monache o semplici ragazze, asserendo chiaramente che queste emozioni, queste riflessioni, queste esperienze coinvolgono tutti noi e non ci devono sfuggire per la loro importanza universale. In un periodo pieno di confusione, di dissidi e di guerre, il grido dell’individuo, privato della facoltà di scegliere e di scegliersi, sarebbe stato dimenticato. Invece Dante ci testimonia un caso attuale, moderno, che ci fa capire come il rapporto uomo-donna sia più longevo di quanto noi stessi pensiamo. Non bisogna dimenticare il messaggio che si cela dietro la pietà, la curiosità e la contemplazione di Dante: al pari dell’uomo, la donna è un essere che non può essere schematizzato o chiuso in certe gabbie concettuali e stereotipate, la cui riflessione non può andar perduta. Dante trasmette un grido, il grido di vittime che si ribellano alla tirannia dell’oppressore, in nome dell’amore, una forza che “move il sole e l’altre stelle”. A.M.G.; V A classico

“IL MOMENTO CAFFÈ”

“Mi scusi, le ho chiesto due caffè da portar via”, ribadì nuovamente con tono quasi minaccioso la signora dal viso premuroso che si presentava ogni giorno nel mio bar alle 7 e 30 del mattino. Mi sono sempre domandata con chi condividesse quella bevanda bollente dal sapore amaro, ma da qualche punto di vista anche dolce. Ho sempre associato il momento del caffè preso in compagnia alla parola “insieme” prendere un caffè insieme somiglia un po’; alla frase “Lasciamo che questo momento renda dolce il caffè amaro che stiamo bevendo entrambi”. È un qualcosa di talmente intenso che si connette con l’aroma bruciante del caffè, una contrapposizione alquanto emozionante, ma complessa allo stesso tempo. Allora, intanto che la macchinetta terminasse, decisi di domandarglielo. La signora alla mia domanda alzò lo sguardo, e mi osservò dritta negli occhi, quasi come se l’avessi innervosita e dalla sua bocca non uscì altro se non queste parole “La morte può essere crudele, ingiusta, traditrice…ma solo la vita può essere oscena, indegna, umiliante.” Non dissi più alcuna parola, perché in realtà non sapevo come si rispondesse ad una frase di questo tipo. Quindi rimasi in silenzio e dato l’imbarazzo, ritornai a eseguire il mio

compito. Coprii le tazzine di carta con un coperchio e le posi in un sacchetto, facendo attenzione a non rovesciare il caffè caldo. La signora a quel punto prese la busta, lasciò i soldi sul bancone e senza dire niente uscì dal bar. Riflettei tutta la mattina su quelle parole. Mi avevano causato grande inquietudine, ma allo stesso tempo un’estenuante curiosità. Le domande che mi posi erano innumerevoli, ma ciò che mi aveva attratto di più era il perché avesse dato una risposta così velata. Fortunatamente verso mezzogiorno arrivò Dan, sempre di corsa e come al suo solito con qualche minuto di ritardo. Pose la sua roba e in breve tempo prese il mio posto, così che io potessi iniziare la mia pausa pranzo. Nonostante Dan non fosse un uomo di molte parole, il mio desiderio di voler raccontare l’accaduto di stamattina mi spinse a rivelargli tutto. Come d’abitudine non sapevo nemmeno se mi stesse ascoltando, continuava a servire caffè e pasticcini, con la sua costante faccia totalmente assente. Dan è sempre stato una persona tranquilla, non lavora qui da tanto, infatti non conosco molto di lui. Non so cosa gli piace fare nel tempo libero, se ha una famiglia o quale sia la sua città natale. Non racconta mai di sé, preferisce rimanere concentrato nel suo lavoro. Di lui so solo che abita a pochi minuti da qui; perciò, non ho mai compreso i suoi continui ritardi. Dato che Dan non era molto di compagnia terminai il mio pranzo in silenzio col sottofondo della televisione che tenevano quasi sempre accesa. Sono di nuovo le 7 e 30 del mattino e come ogni giorno aspetto l’aggraziata signora dei caffè. La vedo avvicinarsi da lontano con passo molto rapido. Era vestita in maniera insolita, data la stagione estiva. Mi domandavo se non provasse caldo col foulard intorno al collo e con indosso quel giaccone a prima vista molto pesante. Cercavo di incontrare il suo sguardo, ma teneva la testa china e quasi sottovoce mi chiese i soliti due caffè. Non le dissi niente perché avevo compreso il suo imbarazzo. Era come se avesse paura che i miei occhi incrociassero i suoi, come in cerca di un rifugio nel pavimento o di un improbabile via di fuga. Cercavo di trattenere il bisogno che avevo di conoscere la verità, ma per non essere scortese, le consegnai la busta senza dire una parola e lei se ne andò via tenendo sempre lo sguardo basso. Sono di nuovo le 7 e 30 del mattino, ma oggi la signora dei caffè non si è presentata. Potrei pensare che sia in ritardo, ma non lo prendo in considerazione data la sua precisissima puntualità. Non credo al destino, ma non credo nemmeno sia una coincidenza, si è assentata proprio oggi che avevo deciso di parlarle. La aspettai altri minuti, ma nessuna signora dal viso angelico si presentò. Passarono ore e ancora niente, quindi decisi di rassegnarmi. Si fece mezzogiorno e di Dan non vedevo nemmeno l’ombra. Per non sentire troppo la solitudine accesi la tv, nella speranza di vederlo arrivare presto, data la fame che si faceva sentire. Speravo che la televisione mi potesse sollevare il morale, invece ciò che proiettava era la crudele morte di una bellissima donna uccisa dal marito violento Daniel Robinson. Nonostante il nome mi sembrasse familiare, non gli diedi molta importanza, storie così si sentono tutti i giorni ormai. Ma appena finii di servire l’ultimo pasticcino alla frutta della giornata, rivolsi lo sguardo verso la televisione che pronunciava testuali parole: “La donna lasciò sul letto un foglio con su scritto: “La morte può essere crudele, ingiusta, traditrice…ma solo la vita può essere oscena, indegna, umiliante”. Il piattino mi cadde dalle mani e nello stesso momento entrò Dan. Ci guardammo negli occhi, i nostri sguardi non riuscivano a staccarsi e in quell’istante capii che il momento del caffè era in realtà un imbroglio.