Il Chimico italiano - 5

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ANNO XXX DICEMBRE 2020

PERIODICO DI INFORMAZIONE DEI CHIMICI E DEI FISICI ITALIANI

GUARDARE AL FUTURO PARTENDO DAL PRESENTE


Il Chimico

Italiano

PERIODICO DI INFORMAZIONE DEI CHIMICI E DEI FISICI ITALIANI

Editore Federazione Nazionale degli Ordini dei Chimici e dei Fisici Direzione, redazione e amministrazione P.zza S. Bernardo, 106 - 00187 Roma Tel. 06 47883819 - Fax 06 47885904 segreteria@chimicifisici.it - www.chimicifisici.it Direttore responsabile Dott. Chim. Nausicaa Orlandi Comitato editoriale Dott. Chim. Daniela Maurizi Dott. Chim. Renato Soma HERO Stampa Grafica Ripoli - Villa Adriana (RM) Gli articoli e le note firmate esprimono soltanto l’opinione dell’autore e non impegnano la Federazione Nazionale degli Ordini dei Chimici e dei Fisici né il Comitato Editoriale. L’accettazione per la stampa dei contributi originali di interesse scientifico e professionale nel campo della chimica è subordinata all’approvazione del CdR. Concessionaria di Pubblicità Federazione Nazionale degli Ordini dei Chimici e dei Fisici Autorizzazione del tribunale di Roma n. 0032 del 18 gennaio 1990 NUMERO CHIUSO IN REDAZIONE 23 - 05 12 - 2018 2020 IL 10

ASSOCIATO ALL’USPI UNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

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SOMMARIO 4

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L’editoriale Excursus della professione dal 2018 ad oggi

Eventi e congressi

18 20 24 26 32 34 38 40 44 48

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La Federazione in cifre

54 58 60 64 66 70

Quale futuro La FNCF e la formazione professionale con la legge 3/2018 Chimica, oltre il luogo comune! Con la chimica proteggiamo i nostri giovani: cosmetici e tattoo Il ruolo del laboratorio di prevenzione nel servizio sanitario Il ruolo del chimico e del fisico nella protezione dei lavoratori Il ruolo del professionista chimico e fisico La chimica Ada Bolaffi e i “mali oscuri” del xx secolo La norma UNI EN ISO 17025:2018 e l’analisi di rischio: l’esperienza di un laboratorio pubblico Le sfide dei nuovi materiali Breve storia della radioprotezione, della fisica medica e dell’uso del nucleare in Sardegna La chimica aiuta l’industria alimentare e protegge la salute La sostenibilità non può essere solo uno slogan Sviluppi della chimica tossicologica nel terzo millennio Ti racconto “la” storia: quando la materia parla utilizzando la voce del diagnosta I libri di chimica

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L’editoriale

Excursus della professione dal 2018 ad oggi DI NAUSICAA ORLANDI Presidente FNCF Care colleghe, cari colleghi, in chiusura di un anno particolare, che a causa dell’emergenza sanitaria ed economica, in un modo o nell’altro, ha segnato la vita di tutti noi, desideriamo proporre con questo numero unico della rivista de “Il chimico italiano” una serie di riflessioni su alcune tra le numerose attività svolte da Chimici e Fisici, e su come questi ultimi tre anni abbiano portato con sé trasformazioni ed evoluzioni importanti per le nostre categorie. Il 2018 è indubbiamente l’anno del cambiamento, dove le previsioni e le attività poste in essere in continuità con i precedenti Consigli Nazionali dei Chimici, prendono forma all’interno della Legge n.3 del 11 gennaio 2018 che annovera tra le professioni sanitarie quella di Chimico e Fisico. A distanza di 90 anni dall’istituzione della professione di Chimico si assiste all’accorpamento con i fisici ed il passaggio dalla vigilanza del Ministero della Giustizia a quella del Ministero della Salute, dalla professione tecnica alla professione sanitaria: una svolta che conferma il ruolo sociale della chimica e della fisica per la salute. Le trasformazioni legate all’applicazione della Legge 3/2018 a livello organizzativo, regolamentare ed istituzionale vedono impegnati sin da subito la Federazione Nazionale e gli Ordini territoriali, che operano in sinergia al fine di permettere in tempi brevi la completa attuazione normativa. Il lavoro intenso, svolto insieme a Ordini ed Associazioni di riferimento, porterà a ricevere da parte del Ministero della Salute, ad ottobre 2019, conferma dell’aggiornamento delle competenze del Chimico e della definizione di quelle del Fisico. Un passo importante nel percorso che vedrà nel prossimo anno l’avvio delle consultazioni e dei confronti per la modifica del D.P.R. 328/01. Arrivano le prime conferme del ruolo di Chimici e Fisici con la firma a marzo 2019 dell’Accordo tra

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Consiglio Superiore della Magistratura, Consiglio Nazionale Forense e la Federazione Nazionale per l’armonizzazione dei criteri e delle procedure di formazione degli Albi dei Periti e dei Consulenti Tecnici ex art.15, Legge 8 marzo 2017 n. 24, e del Protocollo d’intesa Salute e Ambiente tra la Conferenza delle Regioni e la Federazione Nazionale. Quest’ultimo istituisce un tavolo di confronto permanente al fine di affrontare congiuntamente le tematiche di maggiore rilevanza nel settore sanitario ed ambientale, tra cui ruolo e sviluppo professionale, fabbisogno formativo e del personale. Il 2019 è anche l’anno del recepimento delle istanze della Federazione con il riconoscimento di Chimici e Fisici quali esperti di diagnostica e scienze e tecnologia applicate ai beni culturali con il Decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali n.244 del 20 maggio 2019. La Federazione rafforza le collaborazioni con le altre professioni sanitarie ed il Ministero della Salute con la creazione presso lo stesso di tavoli permanenti e commissioni dedicate, tra cui quella per le specializzazioni di area non medica. Il tema delle specializzazioni spesso oggetto di discussioni e dibattito è stato portato all’attenzione del Governo e del Ministero in più occasioni, non da ultimo anche nelle recenti audizioni 2020 della Federazione agli Stati Generali dell’Economia con il Presidente del Consiglio dei Ministri Prof. Giuseppe Conte, e nell’incontro con l’On. Roberto Speranza, Ministro della Salute. Le scuole di specializzazione soprattutto per i Chimici sono strettamente correlate all’accesso occupazionale dei giovani ed alla necessità di garantire il giusto ricambio negli Enti a salvaguardia delle competenze specifiche dei nostri professionisti. In sinergia e collaborazione con quattro Università Italiane, la Federazione intraprende il percorso atto a realizzare una scuola triennale di specializzazione


in valutazione del rischio chimico per la salute e l’ambiente, modulata sull’attuale scuola biennale, e nel contempo opera nella commissione per individuare percorsi formativi di crescita professionale aderenti alle attività dei nostri professionisti e che tengano conto dell’evoluzione tecnologica e sociale attualmente in corso soprattutto in ambito alimentare, nutrizionale, ambientale e di rischio. Prosegue la presenza della Federazione Nazionale nella Rete delle Professioni Tecniche, che rappresenta ad oggi circa 600.000 professionisti appartenenti alle professioni di Chimici, Fisici, Ingegneri, Architetti e Paesaggisti, Agronomi e Forestali, Geologi, Periti Industriali, Geometri, Periti Agrari, RPT all’interno della quale la FNCF è segretario/tesoriere. Insieme alle altre professioni sono stati promossi interventi costanti e pressanti per chiedere con forza l’applicazione dell’equo compenso, tutelare i professionisti tutti e dare loro sostegno economico, finanziario e opportunità, soprattutto anche in questa emergenza sanitaria. Il 4 giugno 2020, dopo l’incontro a maggio con il Ministro del Lavoro On.le Catalfo, alla presenza di vari rappresentanti del Governo e con la partecipazione unita delle professioni appartenenti a RPT, CUP e non solo, vengono convocati gli Stati Generali delle Professioni e viene presentato il “Manifesto delle professioni per la rinascita dell’Italia”. Un Manifesto che in dieci punti evidenza il contributo del mondo professionale alla definizione di programmi di investimento in infrastrutture, innovazione, salute, sicurezza sul lavoro, tutela dell’ambiente, lavoro e welfare. La Federazione diventa in questi anni conosciuta a livello parlamentare, dove vede prendere forma proposte emendative e richieste di interventi legislativi, ed ha la possibilità di illustrare la propria

posizione tramite audizioni e pareri. Tra questi ricordiamo le recenti audizioni per la proposta di modifica della Legge 08.03.2017 n.24 e art. 590 sexties C.P. in materia di responsabilità professionale, per l’inserimento delle specificità dei Chimici e dei Fisici in fase di recepimento della Direttiva (UE) 2018/958 relativa al test di proporzionalità, modifica della AS1474 a tutela dei liberi professionisti nell’ambito del DDL che prevede la sospensione della decorrenza di termini relativi ad adempimenti a carico del libero professionista in caso di malattia o di infortunio, gli incontri presso Ministero della Salute e Ministero dell’Ambiente volti ad intervenire a tutela della professione del Chimico sul D.Lgs. 101/20, e le proposte di modifica agli emendamenti alla C.2790 Legge di Bilancio 2021 a tutela ed in favore di Chimici e Fisici. Il 2020 vede due momenti importanti. A gennaio vi è l’istituzione e l’insediamento della Consulta Permanente delle Professioni sanitarie e socio-sanitarie, con la presenza della Federazione a rappresentanza e a tutela di Chimici e Fisici, Consulta che diviene subito parte attiva permettendo di raggiungere insieme alle altre professioni sanitarie misure comuni di sostegno e tutela della professione, anche in occasione dell’emergenza sanitaria stessa. Segue poi ad ottobre l’istituzione e l’insediamento, anche su sollecito della nostra Federazione, – come da Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero della Salute - del Gruppo di lavoro consultivo interministeriale sulle istruttorie di cui alla Legge 4/2013, gruppo in cui la Federazione sarà parte attiva per vigilare e tutelare le nostre competenze a fronte di professioni non regolamentate. La comunicazione a tutti gli iscritti delle attività istituzionali e del valore della professione prosegue dunque, affiancando - per la prima volta - alla newsletter un servizio di rassegna stampa settimanale, ristrutturando il sito istituzionale www. chimicifisici.it ed acquisendo sempre più visibilità nei social. La pagina facebook istituzionale mantiene aggiornati circa un terzo degli iscritti e viene seguita da diverse associazioni e gruppi, arrivando ad una copertura di quasi 20.000 utenti per alcuni post. Questi nuovi canali di comunicazione aprono la possibilità di maggiori interazioni con gli iscritti, con i giovani in particolare e costituiscono potenziali veicoli informativi atti a contrastare soprattutto fake news. I social sono stati e sono un canale per informare sull’evoluzione della emergenza sanitaria, emergenza che ha visto la Federazione farsi parte IL CHIMICO ITALIANO

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Ente Previdenziale EPAP Nel corso dell’anno 2020 per il quinquennio 2020-2025 sono stati rinnovati, gli organi dell’Ente Previdenziale EPAP. Nel Consiglio di Amministrazione è stato rinominato Claudio Torrisi e nel Consiglio di Indirizzo Generale Fabrizio Martinelli ed Elio Calabrese, neo eletti Loretta Barbieri e Armando Zingales. Nel Comitato dei Delegati riconfermata Patrizia Verduchi, neo eletti Elena Alberton e Andrea Comini. Fabrizio Martinelli e Patrizia Verduchi ricoprono rispettivamente il ruolo di Coordinatore CIG e Coordinatore CDD. attiva, a partire dai primi DPCM, in cui è stata ribadita ed ottenuta la necessità della prosecuzione delle attività lavorative dei nostri professionisti, e nei Decreti Legge con cui sono stati definiti ristori e sostegni, incremento di organico per emergenza, e la garanzia ai nostri specializzandi della possibilità di partecipare a procedure concorsuali. Sono stati tre anni dunque di attività costante della Federazione con molteplici interlocutori istituzionali, ma anche tre anni che hanno visto consolidare la presenza dei Fisici nel Consiglio Direttivo con l’Ordine dei Chimici e dei Fisici di Siracusa (2019) e con l’Ordine Regionale dei Chimici e Fisici della Campania (2020.) Un periodo di grandi cambiamenti che ha coinvolto anche il nostro Ente di previdenza EPAP, con l’inserimento dei Fisici e con un costante lavoro propositivo e positivo al fianco dei liberi professionisti, grazie alla collaborazione fattiva tra categorie

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professionali presenti nell’Ente. Il recente rinnovo degli organi dell’Ente nel segno della continuità, grazie all’attività dei nostri colleghi presenti, saprà sicuramente assicurare un sostegno ed un supporto fattivo nei prossimi mesi di auspicato rientro alla normalità, e proseguire nella direzione tracciata di rendere l’Ente sempre più moderno e a misura e servizio degli iscritti. Proprio la costante attenzione alle esigenze degli iscritti ha portato all’acquisto da parte della Federazione - con il supporto ed il contributo degli Ordini - di quote sociali in UNI al fine di realizzare un accordo di collaborazione che ha permesso nel 2018 la stipula della convenzione con UNI per la consultazione della normativa tecnica, convenzione successivamente sottoscritta per il 2020 e 2021 con l’opportunità di acquisire la normativa tecnica ad un importo molto agevolato. A tutela in particolare dei liberi professionisti, la


Federazione sigla già nel 2018 il protocollo di intesa con A&C per permettere l’erogazione dei servizi di ParcellaSicura ® ai propri iscritti a tariffe calmierate. In ambito assicurativo, parimenti, al termine di gara pubblica, nel corso degli anni 2019 e 2020 la Federazione ha stipulato tre convenzioni, una per una polizza assicurativa RC Colpa Grave Sanità per i colleghi che operano in strutture sanitarie pubbliche e private, una per RC Professionale per coloro che esercitano attività libero professionale, ed una RC Colpa Grave e tutela legale per dipendenti della pubblica amministrazione. Non solo convenzioni ma anche attività di formazione professionale continua per gli iscritti perlopiù a titolo gratuito. Infatti la Federazione già dal 2019 si accredita quale provider per eventi residenziali RES, e successivamente nel 2020 per eventi anche in FAD sincrona (webinar). Il 2018 vede nel Congresso Nazionale “NEXT” il primo evento con rilascio crediti ECM, e poi a seguire - organizzati dalla Federazione anche in collaborazione con Ordini territoriali - numerosi eventi formativi, di tipo residenziale nel 2019 e FAD sincrona gratuita nel 2020, arrivando così a coinvolgere complessivamente più di 7000 partecipanti. Il 2021 vedrà completare il percorso dell’accreditamento anche in modalità FAD asincrona e l’organizzazione di eventi formativi in tutte le modalità in aula e da remoto in modo da

ampliare l’offerta formativa non solo in termini di contenuti ma anche di fruibilità. Infatti con la conferma della professione sanitaria anche l’obbligo formativo è mutato e conseguentemente la Federazione si è attivata per dare un supporto concreto e fattivo nella fase di transizione dai CFP agli ECM. Molte sono state le proposte presentate e recepite a livello di Commissione Nazionale per la Formazione Continua (CNFC) per integrare le nostre specificità: dalla revisione degli obiettivi formativi all’inserimento di alcune specificità nel Manuale del Professionista sanitario approvato poi il 06.12.2018, dalla richiesta di considerare la formazione CFP pregressa alla gestione del periodo di transizione con la conversione dei crediti CFP in ECM per l’anno 2019. Sempre presente ed attiva nella CNFC, la Federazione si è fatta promotrice della necessità di adeguare l’attuale sistema formativo alle esigenze dei professionisti, considerando non solo l’evoluzione tecnologica, ma anche le specificità della stessa. Parimenti si è occupata di monitorare le attività inerenti il portale gestito da Co.Ge.A.P.S., sollecitando le necessarie modifiche atte a rendere fruibile e consultabile il portale da parte di tutti gli iscritti per pervenire a dati certi che consentano la certificabilità dell’assolvimento dell’obbligo formativo ai sensi dell’art.21 dell’Accordo Stato Regioni del 02.02.2017. L’impegno è proseguito anche in occasione dell’emergenza sanitaria del 2020, con l’ottenimento del riconoscimento per chimici e fisici confermato dalla Legge 77 del 17 luglio 2020 - della riduzione del credito formativo in ragione di un terzo e con la delibera della CNFC a conferma della possibilità di conseguire crediti formativi valevoli per il triennio 2017-2020 entro il 31 dicembre 2021. Inoltre sono state presentate dalla Federazione ulteriori proposte per migliorare e rendere più aderente anche alle nostre esigenze l’attuale manuale del professionista sanitario, proposte poi reiterate direttamente alla CNFC in termini di esoneri ed esenzioni. Molta strada è stata percorsa e molte sono state le iniziative su molteplici fronti. Il nostro impegno è stato quello di interpretare al meglio la sfida tracciata dal rinnovamento nella continuità, aprendo le porte a quel futuro salvaguardando però le proprie radici, e che ci attende con un 2021 professionalmente intenso con le iniziative avviate, con il rinnovo degli organi della maggior parte degli Ordini Territoriali, con gli eventi formativi previsti, con la prospettiva di arrivare a definire l’aggiornamento delle competenze ed il completamento dell’attuazione dei decreti attuativi derivanti dalla Legge n.11 gennaio 2018, n.3.

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FEDERAZIONE NAZIONALE DEGLI ORDINI DEI CHIMICI E DEI FISICI Presidente: Nausicaa Orlandi Vicepresidente: Damiano A.P. Manigrassi Segretario: Daniela Maurizi Tesoriere: Mauro Bocciarelli Consiglieri: Daniela Maria Aita Ilan Boscarato Emiliano Celso Rodolfo Miriani Giuseppe Salvatore Panzera Renato Antonio Presilla Mariano Pudda Francesco Salvo Renato Soma Roberta Giacometti 8

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EVENTI E CONGRESSI DI DANIELA MAURIZI Segretario FNCF In una società che combatte contro le fake news per una corretta informazione scientifica, la comunicazione da parte degli addetti ai lavori è fondamentale per avvicinare la società civile ai grandi temi della conoscenza scientifica e spingere le nuove generazioni verso queste professioni, con ricadute positive in termini di benessere sociale e salute pubblica. La Federazione ha attivato canali di comunicazione al servizio di professionisti e cittadini, creando momenti di aggregazione come congressi, eventi, convegni e giornate formative, per la promozione del dibattito scientifico tra professionisti e la sensibilizzazione di società, industria ed istituzioni relativa ai temi della chimica ed al ruolo del chimico.

Il professionista al centro Con il 18° Congresso Nazionale dei Chimici a Bologna, la Federazione ha voluto coniugare formazione professionale, dibattito sui grandi temi della chimica, e posizione professionale del chimico con tavole rotonde dedicate agli aspetti ambientali, di salute e sicurezza, ed ai temi aperti su ruolo sociale e professionale, immagine, e tutela del chimico. L’evento ha rappresentato un momento importante per stimolare confronti scientifici di livello e comunicare la costante attenzione che la Federazione dà alle esigenze dei professionisti dell’ordine.

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La Federazione e le istituzioni La prima giornata nazionale del chimico e del fisico, tenutasi al Senato lo scorso anno, ha rappresentato un momento importante per un dibattito sulla stretta correlazione tra professione, etica e deontologia. Nel corso dell’evento è stata ribadita l’importanza della sensibilizzazione sull’importanza di queste discipline, che sono fondamentali ed alla base della nostra vita quotidiana sebbene, purtroppo ancora troppo spesso, siano erroneamente associate, dall’opinione pubblica, a fattori negativi per l’ambiente e la salute. Uno sguardo al futuro La sensibilizzazione dei giovani sull’importanza della chimica è lo strumento che li aiuterà ad avvicinarsi a questa professione e che garantirà un futuro migliore per la società. La Federazione ha celebrato il 150esimo anniversario della tavola periodica degli elementi con il convegno “La sinfonia degli elementi” a Roma nel 2019. Con questo ed altri eventi, la Federazione ha voluto mostrare come la chimica sia costantemente presente nella vita quotidiana e quanto ciò la renda affascinante. La chimica al femminile Nel corso delle celebrazioni per l’anniversario della tavola periodica degli elementi, con l’evento “Gli elementi amici donne” la Federazione ha affrontato il tema dell’uguaglianza di genere attraverso l’apposito panel “Industria chimica: sostenibilità e pari opportunità”. Il contributo delle donne per la scienza è fondamentale: e proprio quest’anno i premi Nobel Doudna e Charpentier per il Crispr/Cas9 ce lo ricordano. La Federazione premia le eccellenze Nel 2019, in occasione dell’evento “Remediation Technology” a Ferrara, la Federazione ha conferito il premio “Francesco Dondi” ad una tesi di laurea sull’analisi degli IPA in aerosol atmosferico mediante separazione SPE su polimeri molecolare. Queste iniziative sono fondamentali per ribadire il valore della ricerca chimica e stimolare la ricerca dell’eccellenza che, in questo settore, ha immediati risvolti sul benessere sociale e la salute pubblica, ed aiuta a combattere le grandi minacce del futuro come gli effetti del particolato.

screening frequenti, delle misure di prevenzione delle malattie, delle corrette abitudini e di un sano stile di vita.

Chimica e sostenibilità La Federazione ha partecipato, con uno stand, ad Ecomondo 2016 per ribadire la centralità della chimica per l’innovazione industriale e l’economia circolare. I professionisti partecipano, con le loro competenze, al Green new deal e contribuiscono alla ricerca su materiali a basso impatto ambientale e trasformazione dei rifiuti in risorsa, per intensificare processi circolari virtuosi che sostituiscano il sistema, ormai insostenibile, di produzione lineare. Chimica verde La 6th International IUPAC Conference on green chemistry è stata un’occasione di discussione e dibattito per la Federazione che, con la sua partecipazione, ha contribuito ai lavori per stimolare riflessioni e sensibilizzare la società sul ruolo della chimica. La chimica verde scriverà il futuro del mondo in chiave sostenibile. Le battaglie La Federazione ha combattuto al fianco dei professionisti nella battaglia per l’equo compenso dando il suo contributo alla manifestazione nazionale del 2017. Grazie alla campagna di comunicazione sposata dalla Federazione, è stato approvato un emendamento al decreto fiscale che introduce l’equo compenso per tutti i professionisti. Questa battaglia ha rappresentato un’inversione di tendenza rispetto al processo di mercificazione e svalutazione di professioni ad altissimo valore aggiunto, come quella del chimico. Nell’ambito dell’evento di presentazione del “Manifesto delle professioni per la rinascita dell’Italia”, la Federazione ha contribuito per lanciare un messaggio forte e chiaro sull’importanza della professione del chimico per la definizione del futuro del paese, con particolare riferimento a sicurezza, salute, sostenibilità, innovazione.

Chimica e salute Con la partecipazione ai lavori della terza Giornata nazionale della salute della donna, la Federazione ha ribadito l’importanza della chimica per la salute. La conoscenza scientifica, se opportunamente divulgata, è uno strumento di prevenzione sociale importante. La Federazione ha contribuito alla sensibilizzazione delle donne sull’importanza degli IL CHIMICO ITALIANO

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LA FEDERAZIONE IN CIFRE DI MAURO BOCCIARELLI Tesoriere FNCF

Con l’entrata in vigore della Legge 11/01/2018, n. 3, delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute, meglio nota come Legge Lorenzin, l’ex Consiglio nazionale dei chimici ha assunto la denominazione di Federazione Nazionale degli Ordini dei Chimici e dei Fisici dando vita ad un unico albo degli iscritti delle due professioni sanitarie. Il costante decremento dei chimici iscritti negli anni all’ex CNC, ha subito una positiva inversione di tendenza che ha portato il numero totale degli iscritti ai valori del 2010 come si evince dal grafico sotto riportato: ANDAMENTO ISCRITTI 12000

10000

NUMERO ISCRITTI

8000

6000

4000

2000

0 2009

2010

2011

2012

2013

2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020

2021

ANNI Chimici

Fisici

Il calo maggiore degli iscritti, negli anni, si è avuto fra gli uomini rispetto alle donne come si riscontra dal relativo grafico anche se percentualmente i chimici maschi sono in numero maggiore (61%) rispetto alle donne (39%). Mentre nel settore dei Fisici tale rapporto è quasi paritario (53% uomini e 47 % donne). In Tabella 1 si riportano i valori di dettaglio.

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ANDAMENTO ISCRITTI - CHIMICI 12000

10000

NUMERO ISCRITTI

8000

6000

4000

2000

0 2009

2010

2011

2012

2013

2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020

2021

ANNI Totale iscritti

Uomini

Donne

TABELLA N°1 Anni

2010

2011

2012

2013

2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020

%

Chimici

10031

10047

9849

9618

9372

9189

8972

8624

8403

8660

8543

83,2

766

1610

1729

16,8

Fisici TOTALE

10031

10047

9849

9618

9372

9189

8972

8624

9169

10270 10272

Chimici uomini

6573

6522

6368

6179

6003

5862

5683

5444

5279

5328

5227

61,2

Chimici donne

3458

3525

3481

3439

3369

3327

3289

3180

3124

3332

3316

38,8

Fisici uomini

828

910

52,6

Fisici donne

782

819

47,4

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Interessante risulta altresì, per future riflessioni sulle prospettive delle due professioni, mettere a confronto le fasce di età degli attuali iscritti; infatti emergono sostanziali differenze fra i professionisti chimici e fisici in particolare nella fascia under 35 (vedi Tabella 2). TABELLA 2 - FASCE DI ETÀ; DATI 2020 CHIMICI

FISICI

%

%

Fino a 35 anni

759

8,9

221

12,8

36 - 65 anni

6461

75,6

1380

79,8

65 anni e oltre

1323

15,5

128

7,4

TOTALE

8543

100

1729

100

Nel grafico sotto riportato si è provveduto a rappresentare la suddivisione dei Chimici e dei Fisici per aree geografiche: SUDDIVISIONE PER AREE GEOGRAFICHE (%)

NORD

12,7

47,9

CENTRO

16,4 SUD

23,0

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ISOLE


Valutazioni economiche Passando alle valutazioni economico finanziarie si evidenzia che, come previsto dal Regolamento di contabilità della Federazione che si attiene alla norma di riferimento per gli enti pubblici non economici (D.P.R. 27/02/2003, n. 97 e successive integrazioni), il Consiglio approva il bilancio di previsione entro il mese di novembre e successivamente entro il mese di marzo delibera il bilancio consuntivo dell’anno precedente. Inoltre per tenere sotto controllo sia le entrate che le uscite, regolarmente si predispone un bilancio assestato di metà anno. Tutti i bilanci sopra riportati sono sottoposti all’approvazione del Collegio dei Revisori dei Conti costituito da un Presidente, iscritto al rispettivo albo, e da due iscritti all’albo dei chimici e dei fisici. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile, esercitato in fase preventiva e in fase successiva, è finalizzato a garantire la legittimità, la regolarità e la correttezza dell’attività amministrativa e contabile della Federazione ed a tutela degli iscritti. La Federazione da sempre opera con la massima trasparenza e correttezza amministrativa attenendosi alle vigenti normative comprese le procedure per gli acquisti, assunzione di personale, privacy, anticorruzione, etc. Nella tabella N°3 sotto riportata si evidenziano le principali voci di costo e di entrata della Federazione suddivisi per anno. Si evidenzia che nel 2015 si è registrato l’aumento della quota di iscrizione all’Albo. TABELLA N°3 - DATI FINANZIARI DI SINTESI ANNI

2013

2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020 ASSESTATO 30/08

DATI FINANZIARI PRINCIPALI VOCI DI ENTRATA CAT. 1 - CONTIBUTI A CARICO DEGLI ISCRITTI

633.051,00 €

662.289,00 €

649.390,00 €

814.675,00 €

785.200,00 €

842.010,00 €

933.815,00 €

912.439,00 €

CAT. 5 - DIRITTI DI SEGRETERIA

48.689,00 €

52.841,00 €

58.443,10 €

120.111,14 €

108.705,80 €

107.379,57 €

103.960,00 €

101.631,00 €

CAT. 6 - ENTRATE DIVERSE

36.175,08 €

46.673,96 €

126.169,01 €

89.374,16 €

70.316,27 €

140.541,02 €

20.403,22 €

17.800,00 €

TOTALE ENTRATE

837.637,18 €

907.693,69 €

1.039.643,99 €

1.164.233,80 €

1.122.590,52 €

1.405.219,02 €

1.247.118,88 €

1.200.760,00 €

CAT. 1 - SPESE PER ORGANI

216.436,29 €

196.315,82 €

186.640,62 €

274.491,84 €

259.058,19 €

297.791,62 €

292.443,07 €

198.500,00 €

CAT. 2 - ONERI PER IL PERSONALE IN ATTIVITÀ DI SERVIZIO

140.848,62 €

141.141,44 €

155.720,34 €

163.547,10 €

166.255,14 €

172.368,20 €

172.975,45 €

188.592,00 €

CAT. 4 - SPESE PER L’ACQUISTO DI BENI DI CONSUMO E SERVIZI

148.285,87 €

185.139,45 €

158.753,81 €

156.988,41 €

112.692,52 €

92.803,17 €

108.513,57 €

154.697,04 €

CAT. 5 - SPESE PER PRESTAZIONI ISTITUZIONALI

109.745,79 €

164.989,78 €

182.733,28 €

11.413,66 €

186.208,54 €

135.965,50 €

187.042,13 €

204.300,00 €

9.169,92 €

35.400,10 €

41.392,62 €

8.558,75 €

41.264,22 €

5.263,00 €

4.292,07 €

21.500,00 €

43.644,75 €

132.693,26 €

110.342,11 €

116.630,99 €

29.452,01 €

42.179,23 €

34.869, 29 €

75.000,00 €

831.264,83 €

1.036.539,82 €

1.080.347,34 €

1.055.067,64 €

979.237,09 €

1.242.192,55 €

1.063.912,82 €

1.200.760,00 €

6.372,35 €

-128.846,13 €

- 40.703,35 €

109.166,16 €

143.353,43 €

163.026,47 €

183.209,06 €

PRINCIPALI VOCI DI USCITA

CAT. 6 - TUTELA DELLA PROFESSIONE CAT.11 - SPESE EDITORIALI E MULTIMEDIALI TOTALE USCITE

AVANZO/DISAVANZO DI GESTIONE

IL CHIMICO ITALIANO

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Nel seguente grafico si riportano alcuni significativi dati economici: DATI ECONOMICI DI SINTESI 1.600.000,00

1.400.000,00

1.200.000,00

1.000.000,00

800.000,00

600.000,00

400.000,00

200.000,00

0,00

- 200.000,00

- 400.000,00 2013

2014

AVANZO/DISAVANZO DI GESTIONE

2015

2016

2017

TOTALE ENTRATE

2018

2019

2020

TOTALE USCITE

La Federazione Nazionale ha deliberato in sede di approvazione del bilancio di previsione per l’anno 2021 ed inserito nel proprio piano triennale, di procedere all’acquisto, mediante procedure pubbliche, di un immobile da individuarsi nel centro di Roma, da adibire a nuova sede al fine di rispondere al meglio alle mutate esigenze di spazi e delle attività gestionali della Federazione.

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IL CHIMICO ITALIANO


Per l’acquisto si procederà utilizzando le riserve accantonate negli ultimi anni di gestione e per la quota rimanente, si accenderà un mutuo con istituto bancario visti i tassi di interesse sui mutui praticati dal mercato ai minimi storici. Per completezza si riporta di seguito la situazione dei principali valori relativi agli ultimi 7 anni per quanto attengono le entrate e gli accantonamenti disponibili deliberati:

ANNO

ENTRATE €

TOTALE ACCANTONAMENTI PARTE DISPONIBILE €

2013

749.715,08

128.172,73

2014

794.583,96

41.667,12

2015

921.960,56

12.692,48

2016

1.067.825,58

98.343,57

2017

1.001.704,44

40.347,02

2018

1.013.712,71

187.980,03

2019

1.091.470,92

369.131,13

In conclusione si riporta anche l’organigramma della Federazione ed il piano triennale del fabbisogno del personale 2020/2022. Area Funzionale

Profilo Dirigente

Posti previsti

Posti occupati al 01.01.2020

entro 31.12.202

2021

2022

0

0

0

0

C

Amministrativo/ Legislativo

2

2

2

2

B

Amministrativo

0

1

1

2

A

Amministrativo

1

0

0

0

Ricordo Nel corso di questi ultimi anni ci hanno lasciati alcuni colleghi che ci hanno rappresentato in periodi diversi nel Consiglio Nazionale. Sergio Facchetti nato il 5 dicembre del 1931, si laureò in chimica nell’Università di Pavia. Chimico analitico e grande esperto di spettrometria di massa, è stato responsabile di una divisione scientifica della C.E.E. presso il centro di ricerche di Ispra dal 1961 al 1997. Docente presso le Università di Pavia e di Milano, del Politecnico milanese, fu vicepresidente della Società Chimica Italiana nel triennio 1996-98, componente il consiglio direttivo dell’Ordine Interprovinciale della Lombardia dal 1993 al 1998 anno in cui venne eletto membro del Consiglio Nazionale, incarico che mantenne sino al 2016. Fu rappresentante del CNC in Euchems e nel 2014 nominato membro dell’Accademia delle Scienze di Russia. È morto il 30 marzo del 2019. Gian Carlo Gatti nato il 3 agosto 1935, si è laureato in Chimica nel 1961 presso l’Università degli Studi di Modena, imprenditore, fondatore nel 1975 di una società di servizi nel campo analitico a supporto delle aziende. Dal 1989 al 2005 membro del Consiglio Nazionale dei Chimici con l’incarico di vicepresidente dal 2001. È morto a Modena l’8 di ottobre del 2019. Giuseppe Geda nato il 6 febbraio del 1947, si è laureato in Chimica nel 1973 presso l’Università degli studi di Torino, ottenendo nel 1997 la designazione Chimico Europeo. Da libero professionista, titolare di uno laboratorio a Biella, ha da sempre partecipato da protagonista alla vita dell’Ordine dei Chimici del Piemonte e della Valle d’Aosta, nel 1997 viene nominato tesoriere e dal 1999 assume l’incarico di presidente sino al 2016, quando viene eletto nel Consiglio Nazionale dei Chimici. Professore a contratto presso l’Università di Torino dal 2004 e del Comitato Unitario delle Professioni del Piemonte. È stato inoltre nel Consiglio di Indirizzo Generale dell’ente previdenziale dal 2001 al 2010 quando poi viene eletto nel Consiglio di Amministrazione dello stesso sino al 2015. È morto il 30 gennaio 2020.

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QUALE FUTURO DI RENATO SOMA Consigliere FNCF

Come ho avuto modo di ricordare nel libro “I professionisti Chimici” 1 durante tutto il Novecento la scienza e l’industria chimica, correlate al mondo economico, sono state protagoniste dei progressi che hanno contribuito a migliorare la qualità della nostra vita e di tutta la società. Anche in Italia l’azione di consulenza del professionista chimico come anche quello fisico è stata determinante nella ricerca, nell’insegnamento, nell’industria e nel sapersi rapportare con i vari livelli istituzionali e con gli organismi della società. Se nel secolo scorso la chimica ha rivoluzionato molti aspetti della vita, con l’inizio di questo secolo, una profonda trasformazione nel fare scienza ha avuto un ulteriore e fortissimo impatto sulla società nel suo complesso. Internet, poderose capacità di calcolo, grandi strumentazioni chimicofisiche hanno creato un rinnovato e formidabile ambiente di ricerca, la bellezza conoscitiva della chimica sono state alla base della nascita della chimica computazionale, dello sviluppo ulteriore della chimica biologica, della chimica verde, dell’astrochimica, di nuovi materiali, di nuove tecniche analitiche e hanno permesso di sviluppare campi come la proteomica, la metabolomica e la nutraceutica. Tutto ciò però non ci esime dal fare anche autocritica, dobbiamo sempre ricordare, soprattutto nei momenti difficili come quello

che stiamo attraversando, che la ricerca della conoscenza, dello sviluppo non può impattare negativamente sulla natura, sulle sue risorse, l’innovazione rimarrà sempre il motore dello sviluppo e della crescita ma con un cambio di paradigma, non più governati dal consumismo ma dalla sostenibilità e dall’equità sociale. Le risorse di cui disponiamo sono limitate, accanto a questo abbiamo la collocazione dei rifiuti, le notevoli quantità di anidride carbonica riversate nell’atmosfera, i cambiamenti climatici. In questo quadro è evidente che nella politica, nell’economia come nella scienza stessa, molte cose devono cambiare. La chimica, i chimici, hanno il dovere di contribuire a risolvere i problemi urgenti, quali il cambiamento climatico, l’inquinamento, l’utilizzo di energie rinnovabili, il recupero dei materiali, nuovi farmaci, favorire la transizione dalla economia lineare a circolare, reinventare i processi industriali prevedendo l’utilizzo di materiali più disponibili.

Salvaguardare l’ambiente significa salvaguardare anche la salute e il benessere dei cittadini. L’OMS nel presentare il primo rapporto sull’impatto delle condizioni ambientali sulla salute2, ricorda che un terzo delle malattie potrebbero essere prevenute con miglioramenti ambientali e che nella Regione dell’OMS Europea, fino al 20% delle morti totali potrebbero essere evitate con decisi interventi ambientali. In questo scenario come si pone il professionista chimico o fisico, quale ruolo può avere, considerando che oggi è riconosciuto come professione sanitaria, quale ruolo le istituzioni vogliono attribuire ai professionisti in genere. Certamente è giunto il momento di ripensare il nostro ruolo in una prospettiva di valorizzazione della nostra attività anche come servizi per la salute nel campo della prevenzione (ambientesalute) e della sicurezza (negli ambienti di vita, alimenti, sul lavoro, sicurezza chimica, dei prodotti a largo consumo acque

Soma “I professionisti chimici cronaca di 90 anni di attività del Consiglio Nazionale e degli Ordini dei Chimici Italiani,” Mimesis Editore 2019. 2 OMS “Country profiles of the environmental burden of disease”, 8 aprile 2020. 1 Renato

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potabili). Dobbiamo parlare di integrazioni tra professionisti, in diverse situazioni occorrerà passare dal lavoro individuale al lavoro in team. L’interdisciplinarità è la grande sfida del futuro, la condivisione delle conoscenze specie nell’area tecnico-sanitaria assume oggi particolare rilevanza. Dobbiamo anche, di fronte ai nuovi mezzi di comunicazione e di lavoro, trovare comportamenti eticamente adeguati, vedere nella innovazione digitale uno strumento di sviluppo e capace di generare valore, e per stare al passo con i tempi dare sempre più valore alla formazione professionale che favorisca la qualità, migliori la nostra capacità e prestare consulenze alla propria clientela di alto livello. Dobbiamo però difendere anche il valore civile della nostra professione, riconosciuto anche a livello istituzionale attraverso il principio della sussidiarietà, pronti ad intervenire in quei settori dove il nostro sapere può essere utile sia per i cittadini che per le istituzioni assumendo maggiori compiti e maggiori responsabilità. Si tratta quindi di avviarsi verso un nuovo approccio culturale, di saper cogliere i cambiamenti, superare le resistenze e le titubanze, mettere la professione del chimico e del fisico al servizio della società, nella tutela della salute, nella prevenzione e nei diversi settori produttivi dove l’azione delle nostre professioni garantisce un valore aggiunto per una migliore qualità della vita.

Specializzazioni a che punto siamo? Certamente il periodo che stiamo attraversando non favorisce gli incontri con le Istituzioni, ma nonostante ciò la Federazione non demorde. Recentemente con i coordinatori dei corsi di specializzazione sul rischio chimico, abbiamo inviato una nota al Ministro della Ricerca e dell’Università prof. Manfredi, sollecitandolo a prendere in considerazione la proposta, che già era stata formulata due anni fa, di trasformare il corso di specializzazione sul rischio chimico da biennale a triennale con 180 crediti CFU e riservato alle classi di laurea delle professioni sanitarie. Tale proposta si inserisce nel contesto più ampio che lo stesso Ministro sta proponendo, delle lauree abilitanti per facilitare le assunzioni del personale sanitario. Si sta valutando inoltre di proporre, in accordo con qualche Università e colleghi chimici universitari, la possibilità di attivare una nuova scuola, previa autorizzazione ministeriale.

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LA FNCF E LA FORMAZIONE PROFESSIONALE CON LA LEGGE 3/2018 DI FRANCESCO SALVO Consigliere FNCF Con l’entrata in vigore della Legge 11 gennaio 2018 n. 3, recante disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie, i chimici e i fisici sono considerati professionisti sanitari e come tali assoggettati all’assolvimento dell’obbligo formativo ECM. Il professionista sanitario, come ormai è ben noto, ha il dovere deontologico di curare la propria formazione e competenza professionale nell’interesse della salute individuale e collettiva. L’aggiornamento professionale deve rappresentare una importante opportunità di crescita ed uno strumento di sviluppo del percorso lavorativo per stare al passo con la rapida evoluzione delle conoscenze e la frenetica innovazione tecnologica. La partecipazione alle attività di formazione continua costituisce, ai sensi dell’art. 16-quater del D. Lgs. n.

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502 del 1992, requisito indispensabile per svolgere attività professionale in qualità di dipendente o libero professionista. Se da un lato la formazione è un dovere, scegliere come farla è un diritto e soprattutto è un diritto poter disporre di una offerta formativa corrispondente alle reali necessità professionali di ognuno, che tuttavia non devono essere in contrasto con i dettami AGENAS relativi all’obbligo formativo dei professionisti sanitari. Formazione di qualità e su misura che consente di scegliere obiettivi specifici suddivisi per tre tipologie: obiettivi tecnico professionali, di processo e di sistema, andando incontro alle esigenze del singolo, del gruppo e del sistema salute. Ci si è resi immediatamente conto che, mentre prima dell’entrata in vigore della Legge


3, al chimico e al fisico si proponeva una vasta offerta formativa dedicata, con gli ECM si sono subito evidenziati reali situazioni di criticità, basti pensare ai colleghi chimici e fisici che svolgono la loro attività professionale in ambiti non prettamente sanitari che non riescono a trovare sul mercato della formazione eventi accreditati rispondenti alle loro effettive occorrenze. Per attenuare queste evidenti difficoltà, avendone fatto richiesta, la FNCF in data 25.07.2019 è stata accreditata provider provvisorio ECM per la formazione residenziale. Inoltre, secondo quanto previsto all’art. 5 della delibera della Commissione Nazionale Formazione Continua (CNFC) del 25.10.2018, la FNCF in qualità di soggetto precedentemente autorizzato a svolgere attività formativa continua professionale (CFP), avendo presentato istanza di accreditamento come provider provvisorio ECM, ha ottenuto, per i corsi di formazione precedentemente erogati come CFP, che i crediti acquisiti in tali corsi di formazione siano stati considerati equivalenti ai crediti ECM. La FNCF, nel sottolineare l’importanza della partecipazione degli iscritti a corsi di formazione professionale come definito dal “Manuale sulla formazione continua del professionista sanitario”, e per valutare la possibilità di organizzare appositi eventi rispondenti alle reali esigenze, ma individuati tra i 38 obiettivi formativi indicati nel manuale del professionista sanitario, nel mese di ottobre 2019 ha chiesto, tramite questionario, a tutti i circa 10000 iscritti chimici e fisici, di indicare, nel pieno rispetto della normativa sulla privacy ed in completo anonimato, quali temi ritenevano maggiormente importanti nella loro attività professionale per una predisposizione del programma 2020. Hanno risposto soltanto 1546 iscritti.

Lauree abilitanti La Federazione ha aperto un tavolo di confronto con la Società Chimica Italiana e in prospettiva anche con la Società Fisica Italiana, per verificarne i contenuti e nell’ottica di un coinvolgimento anche di carattere formativo oltre che di partecipazione alla commissione di esame, da parte della Federazione e degli Ordini Territoriali stessi. Confronto che è già iniziato anche con gli O.T. a cui è stata inviata una comunicazione in merito per acquisire un loro parere, confronto che continuerà in relazione anche all’evoluzione degli eventi.

Categoria professionale 1.546 risposte

20,1

Chimico Fisico

79,9

Stato occupazionale 1.546 risposte Autonomo libero professionista

33,6

37,1

Dipendente pubblico Dipendente privato 25,6

Non occupato Pensionato

Età 1.546 risposte

12,7 18,8 68,5

< 40 anni tra i 40 e i 60 anni > 60 anni

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Dalla data di accreditamento come provider, la FNCF valutate anche le indicazioni evidenziate dall’analisi dei risultati del questionario, ha realizzato corsi di formazione esclusivamente ECM oltre a promuovere e concedere il patrocinio a numerosi eventi organizzati da altri soggetti formatori. Eventi erogati dalla FNCF nel 2019 secondo quanto previsto all’art. 5 della delibera della CNFC del 25.10.2018 (crediti CFP=ECM) 1. GLI ELEMENTI AMICI DELLE DONNE 25/05/2019 - Reggio Emilia 2. I GIORNATA NAZIONALE DEL CHIMICO E DEL FISICO - 07/06/2019 - Roma 3. VI CONGRESSO NAZIONALE MICOTOSSINE E TOSSINE VEGETALI NELLA FILIERA AGROALIMENTARE - 12/06/2019 Roma 4. I CHIMICI E I FISICI: PROFESSIONISTI SANITARI E FORMAZIONE ECM - 05/07/2019 - Catania 5. CIS 2019 - CHEMISTRY MEETS INDUSTRY AND SOCIETY - 28/08/2019 - Salerno 6. LA CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI DOPO L’ENTRATA IN VIGORE DEL REGOLAMENTO (UE) 2017/997 APPLICAZIONE DEL QUADRO NORMATIVO VIGENTE ATTRAVERSO LA BUONA PRASSI E LE INDICAZIONI DI FONTE EUROPEA E NAZIONALE - 13/09/2019 Genova 7. LA VALUTAZIONE DEL DATO ANALITICO NELLE PROCEDURE DI BONIFICA AMBIENTALE - 20/09/2019 - Ferrara 8. LA STIMA DELL’INCERTEZZA DI MISURA PER LE PROVE CHIMICHE - 12/10/2019 Genova 9. LA SINFONIA DEGLI ELEMENTI - 18/10/2019 - Roma   Eventi ECM erogati dalla FNCF in modalità residenziale nel 2019 1. WORKSHOP PALERMO PERIODIC TABLE 15/11/2019 - Palermo 2. LE RADIAZIONI ELETTROMAGNETICHE NELL’USO QUOTIDIANO ED IN AMBITO SANITARIO - 15/11/2019 - Palmanova (UD) 3. CHIMICI E FISICI SI INCONTRANO INTORNO ALLA TAVOLA PERIODICA - 05/12/2019 Sesto Fiorentino (FI) 4. RIFIUTI: AGGIORNAMENTI NORMATIVI E TECNICI PER UNA CORRETTA GESTIONE 06/12/2019 - Bari 5. LA FORMA DELL’ACQUA - 13/12/2019 Ancona.

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6. GARANZIA PUBBLICA E PRIVATA: LA NUOVA ERA DEI PROFESSIONISTI CHIMICI E FISICI NELLA SOCIETÀ MODERNA 17/12/2019 - Trieste Dal mese di giugno 2020, la FNCF è stata successivamente accreditata anche per eventi FAD sincrona (webinar) ed ha iniziato ad effettuare per gli iscritti, a titolo gratuito, anche per supportare gli Ordini Territoriali nell’attività formativa, eventi su tematiche afferenti la professione del chimico e del fisico. L’auspicio è che si possa completare l’accreditamento anche con la FAD asincrona per i primi mesi del 2021, in modo da erogare in tutte le modalità possibili (residenziale, webinar, FAD asincrona) ulteriori eventi già programmati. In un momento critico come quello che stiamo vivendo, la gestione delle risorse umane richiede una rivisitazione importante dei suoi processi tipici. Con l’esplodere della pandemia di Covid 19, si sta rivoluzionando oltre la vita sociale, affettiva e lavorativa della collettività, anche la modalità di accesso alla formazione professionale. Per soddisfare le richieste di aggiornamento dei professionisti sanitari, la formazione a distanza (FAD) rappresenta una risposta idonea alle emergenti esigenze del mondo del lavoro e soprattutto dei nuovi sistemi formativi innescati dallo sviluppo della digitalizzazione. La FAD è la forma più vicina alle lezioni frontali classiche e viene veicolata attraverso i webinar. Essa consiste in una lezione frontale, anche registrata, trasmessa nello stesso momento attraverso il web. Utenti e docenti, devono trovarsi connessi nello stesso momento. Eventi ECM erogati/da erogare dalla FNCF in modalità FAD nel 2020 1. FOOD FRAUD E FOOD DEFENCE 24/06/2020 - webinar 2. PULIZIA, DISINFEZIONE E SANIFICAZIONE: MODALITÀ OPERATIVE CORRELATE ALL’AMBIENTE DI LAVORO - 26/06/2020 webinar 3. TRA SANIFICANTI E IGIENIZZANTI IL RUOLO DEL PROFESSIONISTA - 09/07/2020 webinar 4. IL PROFESSIONISTA CHIMICO E FISICO NELL’AMBITO DEGLI INTERVENTI RICHIESTI DAL TESTO UNICO AMBIENTALE - 24/07/2020 - webinar 5. FOOD FRAUD E FOOD DEFENCE 31/07/2020 - webinar 6. LA NORMATIVA ANTI-CORRUZIONE E TRASPARENZA NELL’AMBITO DEGLI ORDINI

PROFESSIONALI - 13/11/2020 - webinar 7. GREEN CHEMISTRY - 19/11/2020 - webinar 8. INTELLIGENZA ARTIFICIALE PER LA SALUTE - 25/11/2020 - webinar 9. IL RUOLO DEL PROFESSIONISTA NELL’AMBITO DEL PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE - 03/12/2020 - webinar 10. DEONTOLOGIA E NORMATIVA DEL PROFESSIONISTA SANITARIO - 09/12/2020 webinar 11. CONTROLLI DI QUALITÀ DEL DATO ANALITICO E INCERTEZZA DI MISURA 03/12/2020 - webinar Tutto ciò ha consentito alla FNCF di confrontarsi ed offrire un adeguato aggiornamento per garantire la qualità della proposta formativa, fornendo ai partecipanti per le loro attività professionali reali indicazioni a favore del miglioramento della conoscenza scientifico-tecnica-normativa. I feedback sono stati sempre molto positivi e le partecipazioni elevate, tenuto conto del contesto dei professionisti chimici e fisici. Qualche corso è stato o sarà riproposto, considerato l’alto numero di domande di partecipazione che non ha consentito a tutti i richiedenti di essere ammessi (la modalità webinar per aspetti tecnici prevedeva un limite di presenza per un massimo di 500 partecipanti, dal mese di dicembre 2020 elevato a 2000) è anche da tener presente che almeno il 15% degli iscritti non ha poi partecipato effettivamente all’evento programmato, provocando l’esclusione di quanti avrebbero sicuramente aderito. Dall’analisi dei dati fin qui emersi, più del 70% dei partecipanti ha ritenuto soddisfacente la rilevanza degli argomenti trattati rispetto alle necessità di aggiornamento e utile la partecipazione agli eventi proposti per la formazione professionale, mentre più del 75% ha valutato di livello adeguato se non superiore, la qualità educativa di quanto proposto. La FNCF, sentiti gli iscritti e gli Ordini territoriali, recependo le richieste di quanti intendono approfondire le tematiche connesse alla professione, continuerà a contribuire per mantenere alto l’aggiornamento professionale nel nostro vasto e composito panorama lavorativo, consentendo anche e soprattutto ai giovani colleghi di orientarsi nella professione svolgendola al meglio delle loro potenzialità.

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CHIMICA, OLTRE IL LUOGO COMUNE! DI LUIGI CAMPANELLA Sapienza Università di Roma Dip.to Chimica Uninettuno University Società Chimica Italiana Chimica Verde Bionet Accademia Kronos La Chimica da sempre considerata un indicatore economico e di mercato vive oggi una fase difficile, ma anche positiva in quanto le generali difficoltà dell’economia mondiale l’hanno colpita in misura minore rispetto ad altri settori e filiere. Le difficoltà derivano dalla contingenza negativa mondiale e dalla forbice fra gli elevati costi dell’energia e della manodopera che agevolano la competitività di mercato della concorrenza medio-ed estremoorientale. La nostra forza è invece nel capitale umano e nel patrimonio intellettuale che ha consentito sbocchi impensabili alla chimica del nostro tempo, la green chemistry. Abbiamo assistito alla rivoluzione industriale del 21° secolo, la cosiddetta Industria 4.0, alla rivoluzione digitale. alla nascita dell’era dei Big Data: ebbene senza tracciabilità dei dati tutto frana e la Chimica ha ripetuto l’impresa degli anni 70. Allora, attraverso la referenziazione analitica, fu creato un campo di regole per garantire la qualità della misura e quindi del dato. Nacque in quegli anni il primo catalogo dei Materiali e Processi di Riferimento: poche pagine che in un decennio sono divenute centinaia e centinaia a significare l’importanza del nuovo settore. Oggi analogamente la disciplina si è assunta la responsabilità di mettere in guardia da misure, che in ogni caso costano, ma che, non essendo tracciabili, forniscono dati incerti. Storicamente la Chimica è oscillata fra il carattere di Scienza autonoma e quello di Scienza di servizio. Come Scienza autonoma ha rischiato di perdere la sua identità a causa della crescente superspecializzazione della disciplina, del mancato bagaglio di conoscenza chimica da parte dei giovani, della lunga trascorsa dicotomia fra problemi della vita di tutti i giorni e innovazione chimica. Come Scienza di servizio ha purtroppo rinunciato ad alcuni sviluppi scientifici in favore della permeazione degli altri settori. Questa dilemmatica posizione è

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IL CHIMICO ITALIANO

probabilmente il prodotto di una storia ancora più antica. In fondo ben considerando dalle origini e per molto tempo la chimica fu fortemente analitica impegnata nell’acquisizione di conoscenze prima sul mondo minerale poi su quello organico, sulla composizione della materia e sulla sua struttura, infine sui processi che si determinano nei sistemi indagati, in particolare negli ecosistemi, includendo gli organismi viventi. Quando il bagaglio di conoscenze fu corrispondente alla richiesta di un’economia in crescita e di una società in esplosiva trasformazione, con ricadute in termini di boom economico, nuove e più qualificate merci, occupazione progressiva dei mercati, allora il ruolo euristico trasmigrò in quello di tutore: come mantenere i vantaggi acquisiti, ma al tempo stesso risanare l’ambiente, abbattere le malattie professionali e le morti bianche, consumare alimenti sempre più sani e sicuri? Per rispondere a questa domanda la Chimica si appoggiò alla creatività dei suoi professionisti e ricercatori, alla flessibilità dei principi istituzionali delle sue strutture, comprese quelle industriali, al carattere della sua conoscenza con l’irrinunciabile preminente ruolo della componente induttiva basata sulla sperimentazione diretta. Ci sono voluti molti anni, decenni, per comprendere che il valore aggiunto di un’esperienza nuova non è certo inferiore a quello di una teoria elaborata sulla base di principi e leggi generali ed universali o di esperienze eseguite da altri in tempi passati. Grazie a queste essenziali proprietà la Chimica oggi è la sentinella della nostra vita: in una visione errata e distorta si parla sempre di rischio chimico, di inquinamento chimico, di armi chimiche, che pure esistono a causa dell’impiego colpevole delle risorse chimiche da parte dell’uomo, dimenticando questo ruolo di geniere, sentinella, questa continua attività di vigilanza che pure la chimica copre. Si dimentica che


limitare il rischio al rischio chimico è da un lato punitivo nei confronti della chimica e dall’altro limitativo. Il concetto di rischio è assai più ampio e generale, sottoponendoci nel nostro vivere quotidiano a rischi termici, elettromagnetici, meccanici, fisici. Negli anni 70 si parlò da parte del prof. Luciano Caglioti dei due volti della Chimica, vista come Giano Bifronte: si tratta di un’immagine forse già superata, in quanto i traguardi conseguiti anche in tempi relativamente recenti in termini di protezione ambientale, igienicosanitaria, alimentare sono stati tali e tanti da relegare ad episodi e solo a comportamenti delittuosi il volto negativo della Chimica. Sembra quasi ripetitivo e scontato, ma come non ricordare quanto la chimica fa oggi per nuovi farmaci, nuove tecnologie pulite, alimenti genuini, ambienti di lavoro più sicuri, materiali più riciclabili, stazioni di monitoraggio sempre più sensibili ed accurate, strumentazioni miniaturizzate ed automatizzate estese alle analisi in situ, esigenza di campioni sempre più piccoli, sensori sempre più

eco-e bio-compatibili! In questa preziosa attività di protezione la chimica si è dovuta confrontare con la medicina che però utilizza come sensore l’uomo attraverso non le cause, ma gli effetti. Competere significa mettere a punto metodi sempre più sensibili, sotto la spinta di una società sempre più garantista dal punto di vista normativo, con limiti di tolleranza richiesti sempre più bassi. Quanto si fa credo debba essere ancor di più apprezzato se riferito all’atteggiamento industriale che nell’ultima fase della congiuntura sempre più si concentra su iniziative con sbocchi commerciali a breve termine, visto che, anche per ritardi burocratici, il rientro economico viene dilatato nel tempo. Il chimico quindi nel suo progresso scientifico deve valorizzare al massimo l’esistente in tema di materiali e metodi scegliendo, ove manchi la soluzione ideale, quella fra le disponibili che più l’avvicina in termini di risultato finale.

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CON LA CHIMICA PROTEGGIAMO I NOSTRI GIOVANI: COSMETICI E TATTOO DI ROSA DRAISCI, ROBERTA LAVALLE, LUCA PALLESCHI Centro Nazionale Sostanze Chimiche, Prodotti Cosmetici e Protezione del Consumatore Istituto Superiore di Sanità

I cosmetici rappresentano una delle categorie di prodotti a più ampia diffusione e largo consumo il cui utilizzo, abitualmente, non viene percepito come fonte di rischio per la salute. I cosmetici, in realtà, sono costituiti da una varietà di sostanze chimiche di origine naturale e sintetica che possono causare l’insorgenza di molteplici fenomeni, primi tra tutti quelli allergici e quelli sinergici derivanti da reattività crociata. I rischi associati al loro impiego infatti, possono derivare dalla presenza di contaminanti, di sostanze in tracce potenzialmente pericolose introdotte durante i diversi processi di lavorazione oppure dall’alterazione chimica del prodotto non correttamente conservato o utilizzato. Proprio per questo motivo, con il Regolamento (CE) n.1223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio

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(Regolamento Cosmetici) entrato in vigore l’11 luglio 2013 in sostituzione della precedente normativa (la Direttiva 76/768/CEE del Consiglio del 27 luglio 1976) sono state dettate le regole, armonizzate a livello europeo, per la produzione, il confezionamento, la distribuzione e la vendita dei prodotti cosmetici a tutela dei consumatori, attraverso l’immissione in commercio di prodotti sicuri e controllati. All’art.2 del suddetto Regolamento, viene fornita la definizione di cosmetico come “[…] qualsiasi sostanza o miscela, destinata ad essere applicata sulle superfici esterne del corpo umano (epidermide, sistema pilifero e capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo, esclusivamente o prevalentemente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli,


mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei […]”. Ecco che subito emerge la notevole quantità di prodotti cosmetici che quotidianamente andiamo ad utilizzare nella nostra routine senza alcuna percezione. Ogni qualvolta si intenda immettere sul mercato europeo un prodotto cosmetico, per ciascuno di essi viene individuata una Persona Responsabile che si assicuri che questo sia stato realizzato conformemente a quanto previsto dalle buone pratiche di fabbricazione (art.8) e che sia stato sottoposto alla valutazione della sicurezza sulla base delle informazioni pertinenti a norma dell’allegato I (art.10). Inoltre, la persona responsabile, prima di immettere in commercio il cosmetico in questione, deve segnalarlo sul portale di notifica dei prodotti cosmetici (CPNP-Cosmetic Products Notification Portal) (art.13) e deve predisporre la documentazione informativa sul prodotto finito (PIF-Product

tipologia tramite pubblicità, passaparola sul web o tra coetanei. L’atteggiamento volto ad esaltare la propria personalità senza focalizzare l’attenzione all’analisi del proprio tipo di pelle porta la stragrande maggioranza dei ragazzi a fare uso di creme antirughe molto aggressive già in età adolescenziale, ad utilizzare il più comune sapone per le mani al posto del latte detergente per rimuovere i residui del trucco o ad ignorare l’efficacia delle creme solari con alti fattori di protezione sostituendole con attivatori dell’abbronzatura perché l’importante è abbronzarsi tanto ed in fretta, trascurando i gravissimi rischi cui si va incontro. Saper leggere l’etichetta di un prodotto cosmetico ed essere consapevoli della sua importanza deve essere fondamentale. Gli ingredienti presenti in un prodotto cosmetico devono essere dichiarati alla voce “Ingredienti”, in ordine decrescente di peso (tranne quelli in concentrazione <1% elencati

Information File) a norma dell’allegato I contenente, tra l’altro, composizione quali/quantitativa, caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche, oltre che gli usi normali o ragionevolmente prevedibili del prodotto (art. 11). La naturale evoluzione della società verso l’acquisto “consapevole” sta spingendo sempre più i consumatori a prestare particolare attenzione agli ingredienti contenuti nei prodotti cosmetici e agli imballaggi che li contengono. Se, da una parte, ci sono giovani che si fanno promotori di questa “svolta ecologica” fortemente legata all’idea di “benessere” e “sostenibilità”, d’altra parte ci sono quelli protagonisti della disinformazione che, invece, valutano i prodotti cosmetici per costo, marca e

in ordine sparso) utilizzando la nomenclatura internazionale per i cosmetici (INCI); i composti odoranti e aromatizzanti sono indicati con il termine “parfum” o “aroma”. In etichetta inoltre, devono essere anche necessariamente riportati: i) il nome o la ragione sociale e l’indirizzo della persona responsabile; ii) il contenuto nominale al momento del confezionamento; iii) le avvertenze e le modalità d’impiego; iv) il tempo di validità dopo l’apertura in condizioni di stoccaggio adeguate; v) la funzione del prodotto (art.19). I prodotti cosmetici, come riportato all’art.14 del Regolamento, non possono contenere sostanze vietate, sottoposte a restrizione, coloranti, conservanti e filtri UV diversi da quelli consentiti e riportati negli

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specifici allegati e solo nelle specifiche condizioni indicate. L’elenco di queste sostanze è costantemente aggiornato alla luce dei nuovi dati forniti dal Comitato Scientifico per la Sicurezza dei Consumatori (SCCS) che opera a livello europeo in risposta al progresso tecnologico e a particolari ingredienti la cui presenza, nei prodotti cosmetici, suscita preoccupazioni per la sicurezza degli stessi. Ecco quindi che, per evitare di incorrere nell’acquisto di prodotti contraffatti, ingannevoli e cheap, come spesso tra i giovanissimi accade, particolare importanza è rivestita dalle operazioni di sorveglianza eseguite dagli organi preposti (Capo VII) e dalle attività analitiche svolte dai laboratori. A tale proposito, il Centro Nazionale Sostanze Chimiche, Prodotti Cosmetici e Protezione del Consumatore (CNSC), quale Laboratorio Nazionale di Riferimento per i prodotti chimici,

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in assenza di metodi di riferimento per la verifica della conformità ai criteri del Regolamento Cosmetici, opera per sviluppare e validare nuovi metodi di prova finalizzati alla ricerca di sostanze chimiche negli stessi e, inoltre, su richiesta delle Autorità nell’ambito di controlli ufficiali o da parte degli Organi di Polizia Giudiziaria, esprime pareri in merito ai possibili rischi connessi ad alcune sostanze eventualmente presenti come contaminanti e alla conformità dei prodotti cosmetici. Un aspetto significativo da segnalare per attualità e rilevanza sanitaria è quello relativo all’impatto che ha avuto, anche nel settore dei cosmetici, la pandemia di Covid19 infatti, la necessità di reperire con urgenza prodotti per contrastare l’attività virale ha indotto molte aziende di questo settore a convertire la propria produzione, il che ha generato, soprattutto nella prima fase della emergenza sanitaria, non poca

confusione tra i consumatori. I prodotti che vantano un’azione disinfettante battericida, fungicida, virucida o una qualsiasi altra azione volta a distruggere, eliminare o rendere innocui i microrganismi attraverso processi chimici/biologici e non mediante la loro azione fisica o meccanica ricadono in distinti processi normativi: quello dei Presidi Medico-Chirurgici (PMC) e quello dei biocidi. In entrambi i casi i prodotti, prima della loro immissione in commercio, devono essere autorizzati a livello nazionale o europeo e devono obbligatoriamente riportare in etichetta il n. di registrazione/ autorizzazione, oltre al claim di disinfezione. I prodotti privi di tale numero ma che, tuttavia, riportano in etichetta altre diciture, segni, pittogrammi ed immagini che riconducono ad una attività igienizzante/di rimozione di germi e batteri non sono da considerarsi prodotti


con proprietà disinfettanti/biocida bensì sono igienizzanti (cosmetici se per la cute) o detergenti (se per l’ambiente/superfici) per i quali non è specificata e/o dimostrata l’efficacia prima dell’immissione in commercio. I prodotti cosmetici infatti, non possono vantare proprietà o funzioni al di fuori di quelle descritte nella loro definizione all’art.2 pertanto, gel lavamani (che dichiarano esclusivamente un’attività di detersione senza risciacquo) così come lozioni purificanti per le mani o gel, lozioni e spray igienizzanti e salviette o panetti di sapone per le mani, anche quando venduti in farmacia o parafarmacia, si classificano come prodotti cosmetici e devono seguire le disposizioni del Regolamento (CE) 1223/2009. In quanto cosmetici quindi, questi possono essere immessi in commercio come prodotti di libera vendita che non hanno subito il processo di valutazione ed autorizzazione dei PMC/ Biocidi (es. disinfettanti) e non garantiscono alcuna disinfezione. Se, da una parte, i Cosmetici sono da tempo al centro dell’attenzione per la tutela della salute del consumatore, altrettanto non si può dire per i tatuaggi per i quali, di recente, sono state intraprese azioni per la valutazione dei rischi connessi, fra l’altro, alle sostanze presenti negli inchiostri per l’adozione di normative armonizzate di settore. L’inizio della diffusione della pratica del tatuaggio nel mondo occidentale avviene nei primi anni ’70 del XX secolo, coinvolgendo sia le donne che gli uomini e in particolar modo i giovani, senza alcuna distinzione di classe sociale. Il tatuaggio è tuttora applicato per ragioni di natura estetica, quale segno di appartenenza a un gruppo, a una classe di età, a un’etnia o per segnare differenze di status e prestigio. Qualunque sia la sua funzione, il tatuaggio

si presenta come una forma d’arte o di comunicazione, non dissimile dall’abbigliamento o da altre decorazioni del corpo. Nella cultura giovanile dell’Occidente, ad esempio, la pratica del tatuaggio ha rappresentato inizialmente un segno di protesta per divenire in seguito una vera e propria moda, riproducendo modelli stereotipati. A seguito di un’indagine svolta nel 2015 dall’Istituto Superiore di Sanità, è emerso che in Italia vi sono 6,9 milioni di persone tatuate, pari al 12,8% della popolazione. Il primo tatuaggio viene effettuato mediamente all’età di 25 anni. La fascia di età più rappresentata è quella tra i 35 e i 44 anni (23,9%) e tra i minorenni la percentuale di tatuati

è del 7,7% (12-17 anni), mentre tra gli studenti tale percentuale è del 14%. Dall’indagine è emerso inoltre che il 13,4% delle persone tatuate lo ha fatto al di fuori dei centri specializzati. L’applicazione del tatuaggio richiede l’iniezione di inchiostri colorati nel derma e può comportare rischi di infezioni batteriche e/o virali anche gravi, oltre a complicanze di tipo dermatologico, quali dermatiti allergiche da ipersensibilità ai componenti degli inchiostri. Particolare rilevanza assumono anche i fattori di rischio associati alla possibilità di trasmissione della malattia respiratoria causata dal nuovo coronavirus SARSCoV-2 durante le attività di tatuaggio. Il contenimento di tale

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tipologia di rischio può essere operato mediante rimodulazione degli spazi di lavoro mirata al distanziamento interpersonale, con accessi contingentati e controllati per la rilevazione della temperatura corporea, utilizzo di idonei dispositivi di protezione individuale, igiene delle mani, pulizia della biancheria e degli indumenti di lavoro, pulizia e disinfezione delle aree di lavoro, delle attrezzature e degli strumenti di lavoro. A causa della prolungata permanenza degli inchiostri colorati nel derma, particolare attenzione va posta anche ai rischi associati all’esposizione a lungo termine a composti chimici costituenti i pigmenti e ai loro prodotti di degradazione potenzialmente pericolosi, alcuni dei quali sono classificati in relazione a pericoli di cancerogenicità, mutagenicità sulle cellule germinali e tossicità per la riproduzione. Va inoltre sottolineata un’ulteriore criticità

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di rilievo, nota agli Organi di controllo e recentemente ribadita dalla EADV (European Academy of Dermatology and Venereology) (EADV, 2018), concernente il fatto che in molti casi ingredienti e inchiostri per tatuaggi non sono chiaramente etichettati e possono essere disponibili sul mercato prodotti illegali e contraffatti di cattiva qualità, facilmente acquistabili on line, solitamente più convenienti economicamente rispetto ai prodotti originali e per questo più appetibili per i giovani, senza tuttavia offrire alcuna garanzia di qualità o di sicurezza. Risulta pertanto evidente come al crescente interesse per i tatuaggi da parte della popolazione, si assista anche al crescente interesse da parte delle autorità sanitarie per la tutela della salute pubblica. Va tuttavia evidenziato che, ad oggi, non esistono norme europee che regolamentino la produzione e la composizione

degli inchiostri per tatuaggi e trucco permanente (PMU). La mancanza di un quadro normativo armonizzato a livello europeo ha indotto la Commissione Europea a chiedere all’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (European Chemicals Agency, ECHA) la valutazione dei rischi per la salute umana connessi alle sostanze contenute negli inchiostri per tatuaggi, finalizzata alla preparazione di una proposta di restrizione sull’uso (di prossima emanazione in Allegato XVII al Regolamento (CE) 1907/2006, noto come REACH (Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals) che ha visto l’Italia tra i principali Paesi coinvolti. Questa misura restrittiva comporterà, una volta pubblicata, l’obbligo per gli operatori del settore di utilizzare prodotti conformi a tale Regolamento. Precedentemente, nel febbraio del 2008, il Consiglio d’Europa aveva emanato una Risoluzione


(ResAP(2008)1) sui requisiti e i criteri per la valutazione della sicurezza dei tatuaggi e del PMU, allo scopo di disciplinare diversi aspetti, quali l’etichettatura e la composizione degli inchiostri, i potenziali rischi associati all’uso delle sostanze utilizzate nella loro composizione, le condizioni igieniche necessarie per la pratica del tatuaggio e del PMU e l’obbligo di divulgazione dei rischi per la salute umana. La ResAP (2008)1 include negli allegati una lista di sostanze chimiche vietate nella formulazione degli inchiostri per tatuaggio e PMU (tra cui ad esempio n.27 ammine aromatiche e sostanze classificate come cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione di categoria 1A, 1B e 2 in accordo al Regolamento (CE) 1272/2008, noto come CLP: Classification, Labelling and Packaging) e una lista di sostanze con associate le concentrazioni massime e indicazioni sui limiti consentiti.

La ResAP(2008)1 non costituisce tuttavia uno strumento legislativo cogente, e pertanto al fine di rendere obbligatorie le disposizioni ivi contenute, gli Stati Membri dovrebbero recepirne il contenuto nelle normative nazionali. L’Italia, allo scopo di disciplinare alcuni aspetti della materia, fa riferimento al Codice del Consumo che, con il D.Lvo 206/2005, rende in qualche modo cogente la risoluzione, prevedendone l’applicazione su tutto il territorio nazionale. Inoltre, nell’ambito del Progetto “Sviluppo e validazione di metodi analitici per la determinazione di sostanze pericolose negli inchiostri per tatuaggi e trucco permanente”, stipulato tra Ministero della Salute, ISS, Arpa Piemonte e APPA BZ, è stata presentata la linea guida “Prescrizioni in materia di sicurezza delle pratiche di tatuaggio, trucco permanente e altre pratiche di decorazioni corporee” (2019), che fornisce le prescrizioni generali,

strutturali, procedurali e igienico sanitarie, finalizzate a garantire che le attività di tatuaggio e PMU si svolgano in sicurezza sia per gli operatori che per gli utenti. Dal breve quadro generale sin qui esposto risulta come la pratica del tatuaggio richieda di fatto una maggiore consapevolezza da parte degli operatori e degli utenti, e in particolare dei giovani che praticano il tatuaggio, in merito ai possibili rischi correlati all’esposizione a sostanze pericolose. Ad oggi infatti, le indagini epidemiologiche in Italia dimostrano che, a fronte di una grande diffusione del tatuaggio, le conoscenze relative sono scarse e inadeguate, pertanto l’ISS opera da tempo per informare utenti e operatori ma, soprattutto, tutelare i consumatori.

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IL RUOLO DEL LABORATORIO DI PREVENZIONE NEL SERVIZIO SANITARIO DI SONIA VITALITI Direttore del Laboratorio di Prevenzione ATS città di Milano Spesso mi accorgo che le persone non sanno dell’esistenza dei Laboratori di Prevenzione. In effetti lavorano “nell’ombra”, al completo ed esclusivo servizio delle autorità competenti in materia di tutela della salute. Per questo il cittadino non sa che esistiamo e di cosa ci occupiamo. Il nostro compito è quello di tutelare la salute umana offrendo un servizio finalizzato alle analisi destinate a scopi preventivi.

Qual è la nostra storia In Lombardia con le Leggi Regionali 64/81 e 67/85 vennero istituiti i Presidi Multizonali di Igiene e Prevenzione (PMIP) con il compito istituzionale di supportare le attività di vigilanza e prevenzione in materia di igiene e sanità pubblica e per la tutela della salute nei luoghi di lavoro. Ereditarono inizialmente i compiti che erano già stati dei Laboratori Provinciali di Igiene e Prevenzione (LPIP), per quanto atteneva

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il controllo di alimenti, acque, matrici ambientali e malattie infettive e diffusive, nonché di enti disciolti con l’entrata in vigore della legge di riforma sanitaria n. 833/78 quali l’ENPI e l’ANCC, competenti in materia di verifiche su impianti ed apparecchiature di sollevamento e a pressione. Successivamente con la Legge Regionale 16/99 venne costituita l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (ARPA), supporto tecnico-scientifico in materia di tutela dell’ambiente, lasciando nelle ASL i Laboratori di Sanità Pubblica (LSP), oggi Laboratori di Prevenzione, che la riforma regionale introdotta dalla LR 23/2015 vede attualmente collocati nelle Agenzie di Tutela della Salute (ATS) lombarde all’interno dei Dipartimenti di Igiene e Prevenzione Sanitaria (DIPS). Attualmente i Laboratori di Prevenzione lombardi sono 7, presenti in tutte le ATS ad eccezione di Pavia, sono organizzati in rete secondo il dettato


della d.g.r. IX/4441 del 28/11/2012 e successive modifiche. La rete consente di potenziare l’offerta analitica di prevenzione, limitandone le ridondanze così da consentire nel tempo l’implementazione di nuove metodiche o di nuovi ambiti di competenza regionali in tema di salute, che via via vanno delineandosi nel panorama legislativo italiano ma soprattutto europeo. Il Laboratorio di Prevenzione dell’ATS Città Metropolitana di Milano è il più grande della rete, consta di circa 60 persone distribuite su 3 macro aree disciplinari (chimica, microbiologica e biologia molecolare, screening preventivi di popolazione) e sulle attività trasversali a supporto dell’azione analitica; dispone di strumentazione ad alte prestazioni (LC/MSMS, GC/MS, GC/MSMS, ICP/MS, DRX) ed è laboratorio di riferimento regionale per molte determinazioni accreditate di microcontaminanti su matrice alimentare, in particolare di origine non animale, e per gli alimenti irradiati; partecipa inoltre con prove specifiche alla rete nazionale dei laboratori pubblici impegnati nell’attività connessa al Regolamento REACH.

Quali sono i compiti istituzionali dei Laboratori di Prevenzione I Laboratori di Prevenzione supportano l’azione degli organi di vigilanza che svolgono attività di prevenzione a tutela della salute pubblica. Hanno il compito istituzionale di eseguire, sia su base programmata che a fronte di emergenze, misurazioni ufficiali e di valenza probatoria su tutte le merci e le matrici implicate dalle attività produttive o presenti negli ambienti di vita e di lavoro. Il controllo e le misurazioni sono volti a determinare tutti quegli analiti che, se presenti, possono svolgere un’azione nociva nei confronti delle persone che a vario titolo vi fossero esposte in modo efficace a permettere la comparsa di patologie loro riferibili. Per far questo i Laboratori di Prevenzione devono disporre delle competenze professionali e specialistiche necessarie per affrontare con la sufficiente qualificazione queste esigenze operative, possedere una organizzazione atta a garantire flessibilità ed efficienza nonché, al bisogno, il rispetto delle regole relative al diritto alla difesa del soggetto controllato; devono inoltre assicurare la qualità dei propri processi e i livelli di performance delle proprie prestazioni analitiche secondo gli standard previsti dalle norme vigenti nei vari campi di intervento e nel pieno rispetto dell’impianto documentale descritto dalla norma UNI EN ISO 17025. Infine devono possedere l’hardware idoneo, inteso come tipo di strumentazione, efficiente ed accessibile, così da consentire l’esecuzione delle prestazioni nei tempi ed ai livelli di sensibilità e specificità di volta in

volta necessari per dirimere i quesiti alla base delle richieste formulate dalla committenza istituzionale. L’area chimica in particolare deve possedere hardware ad alta tecnologia e, dunque, intrinsecamente costoso, soggetto purtroppo a volte a relativamente rapida obsolescenza e richiedente, per un corretto utilizzo, un elevato grado di esperienza e specializzazione, nonché disporre di un parco strumenti sufficientemente differenziato per consentire l’esecuzione di metodi di prova in riferimento sia ad una ampia gamma di sostanze sia a matrici molto diverse tra loro. A ciò si aggiungono, come esigenze non secondarie che devono essere garantite, a fini funzionali e gestionali, una rapida e pressoché costante disponibilità ad accettare e valutare campioni non programmati (emergenze) e il mantenimento dell’accreditamento in campo flessibile nella più ampia accezione del termine. Si uniscano a queste considerazioni le ragioni etiche e giuridiche di fondo, per le quali i laboratori del controllo ufficiale non possono vedere il loro ruolo confliggere con una posizione di mercato a supporto delle imprese controllate garantendo la massima assenza di conflitto di interessi. In questo senso, se da un lato è chiara la non sostituibilità di queste strutture con altre, dall’altro si impone a maggior ragione la ricerca di una loro ottimale economia di esercizio, da intendersi inevitabilmente come sintesi di un bilancio tra contenimento delle risorse messe in campo e loro adeguatezza alla missione assegnata ai fini della tutela sanitaria della comunità. In una rete territoriale di servizio, ciò si traduce in un bilancio volto a contemperare il numero di sedi operative da gestire e l’articolazione delle attività sulle stesse, sia in termini di routine che emergenziali o sperimentali. IL CHIMICO ITALIANO

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IL RUOLO DEL CHIMICO E DEL FISICO NELLA PROTEZIONE DEI LAVORATORI DI NAUSICAA ORLANDI Presidente FNCF

La tematica della salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro vede oggi presenti numerosi Chimici e Fisici in grado di dare con la loro professionalità un apporto concreto alla valutazione di esposizione a rischi, individuazione ed adozione di misure di prevenzione e protezione, controllo operativo e gestione delle emergenze. Il D.Lgs. 81/08 e s.m.i. dedica in particolare il titolo IX “sostanze pericolose” alla protezione da agenti chimici, anche cancerogeni e mutageni. Determina dunque i “requisiti minimi per la protezione dei lavoratori” contro i rischi per la salute e la sicurezza che derivano, o possono derivare, dagli effetti di agenti chimici presenti sui luoghi di lavoro o come risultato di ogni attività lavorativa che preveda la presenza, l’impiego, la formazione, il trasporto di agenti chimici, ed anche il loro smaltimento come rifiuti. Appare evidente l’importanza del professionista in grado di affiancare il datore di lavoro

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nell’individuazione e valutazione dei rischi di esposizione, nel monitoraggio ambientale, nella scelta di impianti di trattamento ed abbattimento, nella gestione dei rifiuti, finanche nelle scelte produttive legate a materie prime, intermedi e prodotti finali. Proprio le competenze in ambito chimico, combinate all’ambito giuridico-normativo, possono infatti supportare un’evoluzione tecnologica volta a migliorare processo e prodotto e ad individuare agenti chimici con minor impatto per la salute e l’ambiente. In questo contesto è opportuno evidenziare che accanto al D.Lgs. 81/08 e le relative norme nazionali richiamate, tra cui il R.D. 147 del 09.01.1927 sui gas tossici e la normativa ambientale, il professionista è tenuto a considerare nelle scelte e valutazioni anche normative comunitarie quali il Regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH), Regolamento (CE) n.1272/2008 (CLP), Regolamento (CE) n.2015/830 (SDS), Regolamento (CE) n. 2006/42 (Direttiva Macchine), Regolamento (CE) n. 305/11 (Prodotti


da costruzione) e gli Accordi sul trasporto di merci pericolose. In uno scenario in continua evoluzione a livello nazionale ed internazionale, relativamente all’impiego e restrizione di agenti chimici il professionista è punto di riferimento per le imprese in ambito di sicurezza sul lavoro e sicurezza di prodotto. Non basta infatti - una mera valutazione del rischio basata sulle schede di sicurezza del singolo agente chimico, ma una visione di insieme che analizzi il ciclo produttivo, pianifichi i monitoraggi ambientali da effettuare, e consideri l’esposizione anche combinata a più agenti chimici. A supporto delle valutazioni di esposizione a rischio chimico è evidente l’importanza delle analisi di laboratorio volte a determinare la presenza di inquinanti derivanti da processi produttivi e monitorare la qualità dell’aria in ambiente indoor.

ultrasuoni, gli infrasuoni, le vibrazioni meccaniche, i campi elettromagnetici, le radiazioni ottiche, di origine artificiale, il microclima e le atmosfere iperbariche che possono comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. I vari Capi del Titolo VIII trattano in maniera esaustiva le modalità di valutazione dei rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici in modo da adottare opportune misure di prevenzione e protezione, che tengano conto anche delle migliori tecnologie disponibili (Best Advanced Technology). Vengono pertanto definiti valori limite di esposizione, da non superare anche per il tramite di opportune ed immediate misure messe in atto dal datore di lavoro al fine di riportare i valori a livelli inferiori e gestire l’eventuale rischio residuo. L’art. 181 del D.Lgs. 81/08 ribadisce inoltre l’importanza non solo di un aggiornamento costante

La competenza in ambito chimico è dunque fondamentale non solo per la formulazione di prodotti chimici, ma anche per la salute del lavoratore, del consumatore ed utilizzatore del prodotto realizzato dall’azienda. L’evoluzione normativa e del mercato richiede di valutare a priori, anche a livello analitico, la presenza di talune sostanze chimiche per le quali sono previste restrizioni e/o limitazioni per determinate categorie di prodotti al fine di garantire la salute del consumatore. Tali restrizioni variano notevolmente in funzione della tipologia di prodotto immesso sul mercato (giocattolo, abbigliamento, arredo, metalmeccanico, etc), delle prestazioni richieste dallo stesso (ad esempio, prodotti ignifughi) e del Paese in cui viene commercializzato (ad esempio, Proposition_65 per la California). Parimenti importanti sono gli agenti fisici a cui il D.Lgs. 81/08 dedica il Titolo VIII, ovvero il rumore, gli

della valutazione dei rischi, e comunque almeno quadriennale, ma anche della necessaria presenza di “personale qualificato nell’ambito del servizio di prevenzione e protezione in possesso di specifiche conoscenze in materia”, tra cui evidentemente i nostri professionisti. Con il supporto di professionisti interni ed esterni alle aziende, si è dunque assistito negli anni ad una riduzione dell’esposizione dei lavoratori a taluni agenti fisici (ad esempio rumore e vibrazioni meccaniche) proprio perché l’impianto, il macchinario o l’attrezzatura sono stati concepiti in ottica di una prestazione ed efficienza produttiva che garantisca anche la protezione del lavoratore, protezione che non è solo un mero rispetto dei limiti previsti, ma una riduzione dei livelli anche in ottica di un benessere lavorativo che parte proprio da una sensazione di sicurezza del lavoratore. Lo stesso Regolamento (CE) n. 2006/42 attuato con

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Decreto Legislativo 27 gennaio 2010, n. 17 prevede nell’ambito della progettazione e costruzione di una macchina un’analisi dei pericoli e valutazione dei rischi, con adozioni di misure che tengano conto dei principi di integrazione della sicurezza, al fine di soddisfare i requisiti essenziali di sicurezza (RES), tra i quali troviamo l’esposizione ad agenti fisici. Il professionista assume pertanto un ruolo fondamentale dalla progettazione di una macchina alla misurazione e valutazione dei rischi di esposizione dei lavoratori, così come nella gestione operativa e manutenzione in sicurezza. È il caso -ad esempiodel Tecnico per la Sicurezza Laser, la cui figura è richiesta nelle aziende dove si utilizzano laser in classe 3B o 4, ma anche con laser in classe 1M e 2M che producano fasci sufficientemente collimati tali da costituire un rischio se osservati attraverso strumenti ottici anche a distanza dal sistema laser stesso. In realtà produttive e non solo, il ruolo di Addetto al Servizio di Prevenzione e Protezione dai rischi (ASPP) o di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dai rischi (RSPP) è ricoperto da professionisti Chimici e Fisici in quanto in possesso di adeguate competenze. La gestione della salute e sicurezza sul lavoro vede in particolare il RSPP come una figura di riferimento, di coordinamento e

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di individuazione di misure di prevenzione da rischi. Il datore di lavoro effettua, infatti, la valutazione ed elabora il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 81/08, in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione, il medico competente, previa consultazione con il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Un ruolo chiave quello del RSPP che si esprime con maggior forza nelle aziende in cui si attua un sistema o modello di gestione ed organizzazione della salute e sicurezza sul lavoro, come previsto dall’art.30 del D.Lgs. 81/08, sistema conforme a Linee Guida UNIINAIL, o a norme internazionali quali la UNI EN ISO 45001:2018. Modelli organizzativi ed i sistemi di gestione integrati vedono protagonisti nostri professionisti che esprimono in questo modo le proprie competenze non solo in ambito di salute e sicurezza sul lavoro, ma anche energetico, ambientale, alimentare e di qualità di prodotto. La gestione delle emergenze è fattore comune nei sistemi integrati proprio per le conseguenze di un’emergenza sulla salute, sulla sicurezza e sull’ambiente. Viene immediato pensare alla tematica della prevenzione incendi con attività di tipo progettuale ed autorizzativo, alla valutazione del rischio antincendio e ad una corretta implementazione


di procedure di gestione dell’emergenza. Merita ricordare che il Chimico è tra le figure professionali abilitate a rilasciare attestazioni in materia di prevenzione incendi, come previsto dall’art. 3 del D.M. 5 agosto 2011 recante “Procedure e requisiti per l’autorizzazione e l’iscrizione dei professionisti negli elenchi del Ministero dell’Interno di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 8 marzo 2006 n.139”. Ciò nonostante, sono ancora pochi i colleghi a livello nazionale che si occupano di questa tematica attuale e che richiede un costante aggiornamento non solo normativo ma anche in campo di materiali, attrezzature ed impiantistica. Tale aggiornamento è richiesto anche per i nostri professionisti che operano nella prevenzione e protezione contro le esplosioni (Titolo XI del DLgs. 81/08). È infatti prevista la valutazione dei rischi da atmosfere potenzialmente esplosive nelle attività in cui siano presenti sostanze in grado di formare un’atmosfera esplosiva, ovvero “una miscela con l’aria, a condizioni atmosferiche, di sostanze infiammabili allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri in cui, dopo accensione, la combustione si propaga all’insieme della miscela incombusta”. Il professionista è parte attiva nell’individuare le sorgenti di emissione, nel classificare le zone, a norma dell’allegato XLIX, in cui possono formarsi

atmosfere esplosive, e nell’individuare misure di prevenzione e protezione da adottare. Tra le potenziali situazioni di rischio vi sono sicuramente oltre a lavorazioni specifiche anche serbatoi, impianti di trasporto o stoccaggio (ad esempio silos con polveri) e di aspirazione (ad esempio sottostazioni filtranti). È palese dunque la competenza specifica richiesta al professionista non solo nelle valutazioni di rischio ma soprattutto nella progettazione a priori di impianti, attrezzature e serbatoi. Questo breve excursus fa comprendere la complessità e l’ampiezza della tematica della salute e sicurezza sul lavoro, che richiede costante attività di controllo e monitoraggio per raggiungere l’obiettivo del benessere lavorativo e della tutela della salute del lavoratore. In questo ambito entrano in gioco anche i nostri professionisti che si occupano di ispezione, vigilanza e controllo finalizzato a prevenire gli infortuni e le malattie causate e correlate al lavoro. Il 2020 li ha visti in prima linea anche nel vigilare nell’adozione dei protocolli e misure per il contrasto ed il contenimento della diffusione del virus SarsCoV-2 negli ambienti di lavoro. La ricerca scientifica anche nel settore della salute e sicurezza sul lavoro prosegue con la collaborazione dei nostri colleghi che svolgono tale attività all’interno di Enti preposti alla ricerca e sviluppo, Enti che si occupano di prevenzione dei rischi lavorativi, di informazione, di formazione e assistenza in materia. Infine, quella della salute e sicurezza è sicuramente una questione socialmente rilevante, anche alla luce di un mondo del lavoro in continua trasformazione grazie ad un’innovazione tecnologica e sostenibile di processo e prodotto. Gli stessi lavoratori vedono ridisegnarsi nuove mansioni e nuovi percorsi alla luce delle mutate esigenze e dei cambiamenti in atto con l’impresa 4.0. Il concetto di sostenibilità e tutela ambientale diventa sempre più un’esigenza per i consumatori così come per le imprese, chiamate ad avvalersi di professionisti in grado di poterle sostenere e guidare nelle scelte. Ecco dunque come questi aspetti legati alla tecnologia ed alla sostenibilità chiamano in causa il Chimico ed il Fisico, quali ideali candidati a un ruolo che potremmo definire non solo tecnico e sanitario ma anche “sociale” nell’accezione di qualcosa fatto nell’interesse della comunità e non solo dei lavoratori. Il Chimico ed il Fisico sono chiamati – a seconda dell’ambito di attività – a fornire la propria competenza e professionalità per trovare soluzioni reali e concrete capaci di coniugare le esigenze della produttività, la sicurezza dei lavoratori e la tutela dell’ambiente, garantite anche da costante formazione continua in ambito normativo, giuridico, tecnologico e scientifico.

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IL RUOLO DEL PROFESSIONISTA CHIMICO E FISICO DI RENATO SOMA Consigliere FNCF Negli ultimi anni abbiamo assistito ad uno sviluppo considerevole di studi scientifici sulle interazioni tra ambiente e salute, c’è consapevolezza sul legame tra la tutela dell’ambiente e la difesa della salute, in particolare sugli effetti potenzialmente dannosi e sulle ricadute a lungo termine. L’OMS stima che nel mondo 1 caso di morte su 4 sia attribuibile a fattori ambientali che contribuiscono a un ampio spettro di malattie con maggiori effetti sulla popolazione più fragile. La strategia globale messa in campo per la salute, l’ambiente e i cambiamenti climatici dovrebbe prevedere un approccio multisettoriale e convergente al fine di assicurare ambienti sicuri e accessibili secondo principi di sostenibilità ed equità. Il Ministero della Salute nell’ultimo documento Piano Nazionale della Prevenzione 2018 afferma nel capitolo “Ridurre le esposizioni ambientali potenzialmente dannose per la salute” che la tutela del suolo, delle acque dell’aria, le politiche di prevenzione della produzione e di smaltimento dei rifiuti, la prevenzione da esposizione a rumori, alle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, le politiche sulla sicurezza chimica, il contrasto agli inquinanti e alle produzioni climalteranti, la qualità degli interventi in edilizia costituiscono opportunità di sviluppo delle

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politiche intersettoriali e di possibile integrazione tra gli obiettivi di salute e la green economy.” In questa logica diventa prioritario, anche considerando le istanze che sempre più provengono dalla popolazione sul tema, il miglioramento della capacità di prevenzione e gestione delle tematiche inerenti l’ambiente e la salute. Ma per fare questo non si può prescindere da un approccio multidisciplinare tra le diverse figure professionali sanitarie che oggi dovrebbero essere presenti accanto ai Medici nei Dipartimenti di Prevenzione delle ASL, mi riferisco in particolare ai Chimici, Biologi, Fisici, Tecnici della prevenzione. Sappiamo che oggi non è così, in questi anni abbiamo assistito ad un graduale depauperamento delle risorse in Sanità, rese evidenti oggi dalla pandemia. Nel rapporto del Ministero della Salute del 2019 sul tema “Salute e ambiente un curriculum formativo omogeneo per il servizio sanitario nazionale, il sistema di protezione ambientale, la medicina generale e la formazione universitaria” si evidenzia che tra le criticità esistenti vi è quella della figura professionale dell’esperto nella valutazione dell’impatto sanitario delle esposizioni ambientali. Occorre quindi proporre una formazione adeguata, la


qualificazione della conoscenza sui temi salute ambiente, la diffusione dell’innovazione tecnologica diventano sempre più istanze fondamentali in questo contesto, la risposta non può che essere quella dell’aggiornamento dei programmi dei corsi di laurea di tutte le professioni sanitarie e delle relative scuole di specializzazione. Una prima proposta operativa concreta la troviamo nel documento stesso del Ministero della Salute che ipotizza l’istituzione di scuole di specializzazione di area non medica: Biologi, Chimici, Fisici in Environment and Health, creando così professionisti in grado di pensare nell’ottica dello sviluppo sostenibile, della green economy, per il risk assessment. Come Federazione da anni, in collaborazione con alcune Università, cerchiamo di porre all’attenzione dei Ministeri competenti, della Conferenza StatoRegioni queste problematiche, della necessità di allargare le scuole di specializzazione di area non medica con l’istituzione di nuove scuole rispondenti maggiormente alle nuove problematiche emergenti nel campo della prevenzione e della tutela della salute, speriamo che sia la volta buona visto che non solo il Ministero della Salute, ma anche il Ministero della Ricerca e dell’Università hanno messo nelle loro agenda la questioni delle professioni sanitarie.

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LA CHIMICA ADA BOLAFFI E I “MALI OSCURI” DEL XX SECOLO DI MARCO FONTANI E MARIAGRAZIA COSTA Dipartimento di Chimica “Ugo Schiff”, Università degli Studi di Firenze E MARY VIRGINIA ORNA College of New Rochelle, New Rochelle, New York, USA L’enorme diffusione dei tumori fece sì che, agli inizi del secolo scorso, molti stati creassero degli Istituti per studiare e combattere questa malattia. Prima della nascita dell’ingegneria genetica l’unica via di indagine per comprendere lo sviluppo dei tumori fu ricercata nei processi biochimici nonché nella “decrittazione” della struttura chimica delle più svariate macromolecole biologiche. La ricerca era indirizzata alla possibile differenziazione qualitativa o quantitativa di queste molecole all’interno di tessuti sani e malati. In Italia una pietra miliare alla lotta contro il cancro, coincise con la creazione dell’Istituto Nazionale Vittorio Emanuele III di Milano (poi Istituto Tumori) diretto sin dal 12 aprile 1928, dal professor Gaetano Fichera (1880-1935) e presieduto da Luigi Mangiagalli (1849-1928). Appena tre mesi dopo l’inaugurazione, il 3 luglio 1928, moriva improvvisamente il Presidente, stroncato da un ictus dopo un pranzo al Rotary club di Milano [1]. Il noto politico milanese fu sostituito con Carlo Radice Fossati (1876-1940), personalmente segnalato da Mussolini. L’Istituto largamente dotato di mezzi era diviso in varie sezioni, ospedaliere e di ricerca. Una di queste ultime era la sezione di biologia guidata dal professor Pietro Rondoni (18821956), poi successore di Fichera alla testa dell’intera struttura. La gerarchia dell’Istituto e le professionalità più elevate erano tutte al maschile. Tra il personale subalterno, al contrario erano più numerose le donne. Tra queste si annoveravano: infermiere, inservienti, cuoche e suore. Altre figure presenti, sebbene in numero modestissimo, erano le dottoresse. Nei primi anni si ritrovano solo due figure: una come assistente alla Sezione di Medicina e l’altra impiegata nel

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Laboratorio Biochimico. Una persona che si staglia tra tutte è quella della dottoressa Ada Bolaffi, nata a Firenze il 30 dicembre 1900. Arrivò a Milano fresca di laurea in chimica, conseguita presso la neonata Università di Firenze. Si era laureata con molta probabilità sotto la guida di Angelo Angeli (18641931), accademico di chiara fama nonché docente di chimica organica. Dopo sei anni di permanenza presso l’Istituto Vittorio Emanuele III di Milano, feconda di scoperte e di numerose pubblicazioni scientifiche, Ada Bolaffi ottenne il titolo di “libera docente” in chimica biologica. Era il 1934 e quel titolo era l’indispensabile lasciapassare per intraprendere una brillante carriera accademica. Nella relazione annuale dell’attività dell’Istituto Gaetano Fichera parlò in modo entusiastico della dottoressa Bolaffi e menzionò la sua meritata promozione. Le ricerche in campo biochimico presso l’Istituto di Milano rivelano forti reminiscenze fiorentine: Lo studio dei componenti azotati quali la colina [2]. È un lavoro esteso e di ampio respiro il quale si getta nell’indagine sulla costituzione “lipoidale” dell’adenocarcinoma di ratto [3]. Lo studio dei contenuti lipidici dei tumori agli inizi degli anni trenta è veramente ancora poco nota [4]. La scarsa conoscenza in questo campo è dovuta alla scarsa quantità di materiale disponibile per le analisi e nella difficoltà tecnica nel purificarlo; ostacoli che Ada Bolaffi supera ingegnosamente adattando vecchi protocolli con nuove tecniche di microanalisi. In questo studio la ricercatrice pone in rilievo il netto squilibrio lipoidale nel tessuto malato. Il concetto di “squilibrio oncogeno” era stato avanzato dal Direttore; era una teoria fallace, che Fichera aveva enunciato pochi anni prima. Inoltre, la


rivista “Tumori” sulla quale la Bolaffi spesso pubblica i suoi risultati era sorta nel 1911 per desiderio dello stesso Fichera. Nel suo lavoro l’autrice ripeté più volte la parola “squilibrio” al posto di una più calzante “differenza”, forse più per deferente rispetto verso il Maestro che per fiducia nella nebulosa teoria dell’illustre primario. In termini chimici nulla cambia. La dottoressa Bolaffi osservò differenze nei grassi neutri e nei fosfatidi, nelle basi azotate e nella frazione lipoidale contenente zolfo e fosforo, le quali aumentavano nel tessuto neoplastico. Successivamente Ada Bolaffi allargò il raggio della sua indagine e, confrontando il contenuto lipidico anche nei tessuti cancerosi umani, osservò un tenore solfo-fosforato maggiore che nei tessuti sani. In un altro studio Ida Bolaffi rinvenne che nei tessuti patologici umani il tasso di colesterina, in massima parte libera, era superiore normale [5]. A metà degli anni trenta Ada Bolaffi pubblicò un ampio studio, corredato da dati sperimentali eccezionalmente

abbondanti, sulle nucleoproteine di cavie nelle quali era stato indotto il cancro. L’autrice aveva compiuto un vasto studio comprendente una grande serie di frazioni proteiche estratte da diversissimi animali (cavie, cavalli, polli, ecc.). Lo studio comparato tra le varie frazioni, di organi differenti di specie animali differenti, sia sani che malati, le permise di costruire una griglia di dati dalla quale riuscì a scorgere prima alcune differenze analitiche nella separazione, successivamente caratteristiche relative alle varie frazioni degli organi studiati da mettere in correlazione con le corrispettive frazioni tumorali ed in particolare con l’adenocarcinoma di ratto che era stato il suo iniziale argomento di ricerca [6]. Forse il lavoro più originale, e geniale al tempo stesso, fu quello relativo alla metilazione degli amminoacidi; uno studio meccanicistico condotto contrapponendo scrupolosamente il punto di vista chimico (sintetico) e quello biologico (in vivo). Sempre in vivo l’autrice osservò che la metilazione di alcuni amminoacidi IL CHIMICO ITALIANO

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avrebbe portato alla formazione di betaine per opera dell’aldeide formica e acetica. La formazione di betaine sarebbe stata consentita dalla presenza di ormoni tiroidei. Ada Bolaffi ipotizzò una possibile sintesi in vivo della colina a partire della serina (sempre in presenza di ormoni tiroidei) e la successiva decarbossilazione del “derivato betainico” [7]. Le sue scoperte suggerirono interessanti considerazioni: l’importanza della funzione tiroidea per i fenomeni di metilazione nell’organismo e nella sintesi della colina, pietra costruttiva dei fosfatidi (fosfolipidi). Inoltre Ada Bolaffi intravide un legame con il metabolismo lipidico e con il comportamento della colina nel sangue e nei tessuti. Avendo osservato un largo rimaneggiamento nella costituzione lipidica della cellula neoplastica ed anche modificazioni del metabolismo lipidico negli animali portatori di tumori, l’autrice avanzò l’ipotesi secondo la quale il comportamento della colina potesse essere correlabile al metabolismo lipidico. Di conseguenza, aumentando i lipidi nei tessuti neoplastici Ada Bolaffi ipotizzò che la colina si potesse formare assai diffusamente nei tumori (e per questo sviluppò un metodo analitico per la sua determinazione) e giocare un ruolo importante nella biochimica dei tumori. Ada Bolaffi si propose di studiare i prodotti metilati e verificare se essi potessero raggiungere livelli abnormi a conferma della sua ipotesi. Per fare ciò si ripropose di esaminare il metabolismo dei carboidrati nelle cavie affette da tumori; la verosimile formazione di acetaldeide in eccesso, intesa come agente metilante, avrebbe confermato la sua ipotesi. Come vedremo, la scelta del Consiglio di Amministrazione prima e le scellerate leggi raziali poi, non permisero ad Ada di verificare la sua ipotesi. Ada era la secondogenita di Isaac Icilio Bolaffi (1868-1913) e Adriana Finzi (1876-1962) [8]. La sorella maggiore era Lucia (1899-1993), la quale sopravvisse alla numerosa schiera di fratelli e sorelle. Ad Ada seguì Giorgia (1902-1948) la quale sopravvissuta alla seconda guerra mondiale e trasferitasi nel mandato britannico di Palestina morì in seguito all’esplosione di una bomba il 17 maggio durante la guerra di indipendenza dello stato di Israele. Dopo le tre femmine la coppia ebbe due figli maschi: Raimondo morto a Newcastle upon Tyne nel dicembre 1942 e l’ultimogenito, Filippo (19101931), deceduto poco più che ragazzo. Ada, appena un anno dopo aver conseguito la libera docenza, fu costretta a rassegnare le proprie dimissioni in quanto laureata in chimica. Infatti con scarsa lungimiranza, o peggio con incomprensibile stolidità, il Consiglio di Amministrazione dell’Istituto Vittorio Emanuele III aveva deliberato che tutto il personale della Sezione Biologica fosse di formazione medica. Ada gravitò ancora un poco intorno all’Istituto, ma con la

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promulgazione delle leggi raziali nel 1938 fu costretta, in quanto di religione ebraica, ad emigrare negli Stati Uniti e dopo la guerra in Israele dove morì nel 1980 poco prima di compiere ottanta anni. La vicenda umana di Ada Bolaffi si dipana su un duplice aspro sentiero: essere una figura femminile nella scienza, inconsueta per gli anni venti in Italia, in un campo nuovo come l’oncologia, il così detto Male Oscuro. L’altro aspetto, anch’esso doloroso, è quello di aver vissuto sulla propria persona quell’antisemitismo voluto da Mussolini nell’assurda ottica di scimmiottare le peggiori nefandezze della Germania nazista. Sfortunatamente dopo la Shoà e a termine della Seconda Guerra Mondiale, Ada Bolaffi non rientrò in seno all’Accademia; concluse la sua attività lavorativa in campo farmaceutico. Fu quasi certamente uno smacco personale, ma anche una cesura definitiva con il Paese che le aveva dato i natali e che successivamente l’aveva perseguitata. Otre a questo, il suo ritiro fu una perdita profonda per una scienza nazionale, la nostra, molto fragile, minata da storture ataviche, di genere, corporativistiche e talvolta compromessa con un nepotistico traffico di cattedre. La giovane ed originale ricercatrice lottò contro i due mali oscuri del secolo scorso: il cancro da un lato e il razzismo dall’altro. Se il primo non è ancora sconfitto, il secondo, altrettanto pericoloso, ci si augura, grazie anche a persone come Ada Bolaffi, sia stato debellato per sempre.

BIBLIOGRAFIA: [1] P. Placucci, Dal male oscuro alla malattia curabile, 1995, Ed. Laterza. [2] A. Bolaffi Biochimica e Terapia Sperimentale, 1935, 22, 205. [3] A. Bolaffi, Tumori, 1929, XV, 2. [4] A. Bolaffi, Biochimica e Terapia Sperimentale, 1931, 18, 77. [5] A. Bolaffi, Biochimica e Terapia Sperimentale, 1931, 18, 372. [6] A. Bolaffi, Biochimica e Terapia Sperimentale, 1933, 20, 133. [7] A. Bolaffi, Biochimica e Terapia Sperimentale, 1935, 22, 107. [8] https://www.geni.com/people/Isaac-IcilioBolaffi/6000000001483026209; voce Isaac Icilio Bolaffi e pagine relative agli altri membri della famiglia Bolaffi. Ultimo accesso 30 Novembre 2020.

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LA NORMA UNI EN ISO 17025:2018 E L’ANALISI DI RISCHIO: L’ESPERIENZA DI UN LABORATORIO PUBBLICO DI PIERLUISA DELLAVEDOVA Direttore Settore Laboratori, ARPA Lombardia E VALERIA FRATTINI Responsabile Unità Organizzativa Accreditamento e Sviluppo Tecnico Scientifico, Settore Laboratori, ARPA Lombardia CONTESTO La norma UNI EN ISO 17025:2018 ha adottato il concetto di analisi di rischio alla base delle azioni pianificate e attuate dal laboratorio. Il paragrafo introduttivo della norma recita: “… Il presente documento richiede ai laboratori di pianificare e mettere in atto azioni per affrontare rischi e opportunità. Affrontare sia i rischi che le opportunità costituisce una base per incrementare l’efficacia del sistema di gestione, per ottenere risultati migliori e per prevenire effetti negativi. La responsabilità di decidere quali rischi e opportunità sia necessario affrontare è del laboratorio...” Il laboratorio deve quindi prendere in considerazione i rischi associati alle proprie attività per determinare quali fattori possono influire sui processi facendoli deviare dai risultati attesi; ciò consente di avviare per tempo controlli preventivi in grado di minimizzare gli effetti negativi potenziali e di

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sfruttare al meglio le opportunità che si presentano. Anche quando si verifica una non conformità, oltre ad intraprendere tutte le azioni necessarie a tenerla sotto controllo, a correggerla e ad eliminarne la causa, il laboratorio deve valutarne l’impatto sul sistema in termini di rischi ed opportunità aggiornando, se necessario, la valutazione dei rischi già individuati. La norma afferma inoltre il principio di proporzionalità secondo il quale le azioni intraprese per affrontare i rischi e le opportunità devono essere proporzionate ai potenziali impatti sulla validità dei risultati del laboratorio. Oltre a pianificare le azioni per affrontare rischi e opportunità, il laboratorio deve prevedere le modalità con cui verificare l’efficacia di tali azioni.


L’APPLICAZIONE NEI LABORATORI DI ARPA LOMBARDIA Alla pubblicazione della norma, il Settore Laboratori di ARPA Lombardia ha subito affrontato l’analisi di rischio associata ai processi gestiti e le competenze necessarie sono state sviluppate attraverso azioni formative mirate. I laboratori sono unità produttive che, attraverso l’utilizzo di risorse diverse, trasformano gli elementi di ingresso in prestazioni fruibili dai clienti. Il rischio principale per il laboratorio è quello di fornire all’esterno risultati non validi. È necessario quindi valutare tutti i fattori che possono avere influenza sulla possibilità di tale accadimento. A tal fine è stato adottato un approccio di tipo FMEA (Failure Modes and Effects Analysis) semplificato, definendo in maniera sistematica indice, effetto e valore dei parametri che concorrono alla

definizione dell’Indice di Rischio, in funzione delle casistiche tipiche delle attività delle strutture e del contesto in cui i laboratori operano. Si tratta di un’attività “in progress” che a partire da una prima valutazione dei temi, si svilupperà e affinerà, anche nell’ottica del miglioramento continuo. Allo scopo di effettuare la mappatura di tutti i processi dei laboratori si è costituito un gruppo di lavoro composto da diverse professionalità e ruoli presenti nei laboratori, garantendo così sia la più ampia visione delle casistiche

sia un approccio quanto più possibile libero da pregiudizi organizzativi. L’attenzione è stata focalizzata sui processi “core” dei laboratori quali: • processo analitico, • processo di gestione delle apparecchiature e materiali di riferimento, • processo di gestione delle competenze e delle qualifiche del personale, • processo di verifica e validazione dei metodi • processo di comunicazione con l’esterno (gestione del cliente). Ogni processo individuato è stato scomposto in sotto-processi con la descrizione delle singole attività e gli output attesi. Si è quindi proceduto a individuare gli eventi critici correlati e potenzialmente riscontrabili. Il gruppo di lavoro ha condiviso le valutazioni con il personale dei laboratori, per potere confermare le casistiche sulla base dell’esperienza quotidiana. Per ogni evento critico è stato valutato: • l’effetto potenziale che può causare, con l’attribuzione di un indice di gravità, • l’analisi delle cause che portano all’accadimento dell’evento stesso o dell’inadeguatezza degli esiti relativi, con attribuzione di un indice di probabilità di accadimento, • le modalità e la facilità di rilevazione dell’evento critico, con attribuzione di un indice di rilevabilità.

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Gli indici di rischio definiti con la modalità descritta sono soggetti a rivalutazione periodica, anche in relazione alle variazioni del contesto interno ed esterno. In particolare, nel 2020, due eventi hanno contribuito significativamente alla rivalutazione: • la riorganizzazione di alcune strutture dell’Agenzia e le nomine di nuovi Direttori e Responsabili di Unità Organizzativa, • l’emergenza sanitaria per la pandemia da Covid-19, • Il secondo punto ha avuto un notevole impatto specificamente sulle attività del laboratorio, a causa del rallentamento delle attività e delle forniture. COME USARE LE INFORMAZIONI? I dati ottenuti devono essere analizzati e valutati criticamente per trarne informazioni utili per il miglioramento. Molte attività individuate nei vari processi sono risultate associate a rischio basso, sia per le caratteristiche delle attività stesse, sia per l’organizzazione in essere, che ne minimizza le criticità. L’attenzione è stata indirizzata pertanto,

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Livello di rischio intrinseco

Probabilità

Livello di rischio intrinseco

Rilevabilità

Probabilità

Gravità

Risultati raggiunti Livello di rischio intrinseco

Rilevabilità

Probabilità

Gravità

Risultati raggiunti

Rilevabilità

rilevabilità; l’indice di gravità non viene modificato trattandosi di una caratteristica intrinseca. In ultimo, sono state definite ulteriori azioni di mitigazione per tutte quelle attività che sono risultate avere un Indice di rischio alto o medio-alto, individuando responsabili e tempi di realizzazione. Ogni evento critico o azione intrapresa sono stati valutati anche in termini di opportunità che ne possono scaturire. La procedura è stata standardizzata mediante l’utilizzo di apposite schede, che si sono rivelate essere un utile e dinamico strumento di lavoro. Si riportano di seguito i format applicabili, che costituiscono la guida per l’analisi di rischio da condurre per ognuno dei processi individuati.

Gravità

Gli indici di gravità, probabilità e rilevabilità sono stati attributi sulla base di criteri, definiti a priori, ai quali sono stati assegnati valori numerici. La moltiplicazione dei valori attribuiti ai tre indici fornisce un risultato numerico che costituisce l’indice di rischio intrinseco dell’attività. È stato deciso di associare un livello di rischio “alto” a tutte le attività risultanti avere Indice di Rischio > 100, “medio-alto” alle attività associabili a indici compresi tra 8 e 100 e “basso” nei casi per cui l’indice sia < 80. Sono stati successivamente esaminati i controlli preventivi di processo già attuati e come questi vadano a modificare e minimizzare i rischi, consentendo di rivalutare gli indici di probabilità e

prioritariamente, verso quelle attività che presentano un indice di rischio alto o medio-alto. Le principali casistiche che hanno richiesto interventi nel breve termine sono: 1) approvvigionamenti (sia di materiali di consumo sia di apparecchiature): i vincoli normativi in tema di acquisti a cui gli enti pubblici devono sottostare sono sempre più rigidi, con conseguente difficoltà a seguire in tempi brevi l’evolvere del mercato o le necessità emergenti; le criticità connesse incidono sul processo analitico, sul processo di verifica e di validazione metodi, sul processo di gestione apparecchiature e gestione materiali di riferimento. Azioni messe in atto: il laboratorio ha attivato tutte le azioni possibili, con attenta pianificazione delle attività da svolgere in relazione alle tempistiche delle acquisizioni delle risorse, su scala pluriennale. Il rischio residuo è legato al contesto esterno (normativa e vincoli procedurali sulle acquisizioni) e quindi non si ritiene di poterlo ulteriormente ridurre; è stato pertanto attivato un attento monitoraggio delle varie fasi con il coinvolgimento di tutti gli attori interessati al processo, per prevenire eventuali deviazioni. 2) Attività connesse alla gestione dei fornitori


(contratti di fornitura di materiali e di manutenzione strumentale): incidono sui processi di gestione apparecchiature e di gestione materiali di riferimento, sul processo analitico e sul processo di verifica e di validazione metodi. Azioni messe in atto: il personale viene costantemente sensibilizzato alla supervisione e alla puntuale e tempestiva segnalazione di inadempienze o di tempistiche dilatate. 3) Errori conseguenti ad attività manuali di trascrizione e registrazioni: incidono sul processo analitico Azioni messe in atto: sono stati sviluppati strumenti informatici per ridurre al minimo la necessità di trascrizione dati (software applicativi) ed è stato implementato l’utilizzo di fogli di calcolo validati. Inoltre, per minimizzare ulteriormente il rischio, sono stati attivati monitoraggi specifici al fine di intercettare i potenziali errori in modo tempestivo. Le valutazioni e la verifica dell’efficacia delle azioni intraprese e del risultato ottenuto vengono convalidate e discusse in sede di riesame annuale della direzione e comunque aggiornate ogni qual volta necessario (es. in caso di novità normative, emergenze, variazione del contesto).

Le verifiche periodiche effettuate sui casi descritti ai punti 1) e 2) hanno evidenziato come il sistema sia sotto controllo e quindi le misure adottate possano essere ritenute adeguate. Per il caso descritto al punto 3), dai primi risultati ottenuti a seguito del monitoraggio effettuato, risulta un basso tasso di errore, evidenziando una possibile sovrastima della valutazione circa la probabilità di accadimento, indotta forse da eccessiva cautela. La conferma dei risultati consentirà di rivalutare, nel prossimo riesame dei processi, l’indice di rischio di tale attività.

BIBLIOGRAFIA: - UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2018: Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e taratura - ORGANIZZARE PER PROCESSI UN LABORATORIO DI PROVA - Documento Tecnico Redatto Dalla Commissione UNICHIM - “QUALITA’ NEI LABORATORI DI PROVA”

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LE SFIDE DEI NUOVI MATERIALI DI LIBERATO MANNA Senior Scientist e Deputy Director di IITper i domini di Ricerca “Materiali e Nanotecnologie”

Viviamo in un mondo iperconnesso e globalizzato, un mondo al tempo stesso afflitto da problematiche legate ai cambiamenti climatici, alle pandemie che impongono nuovi modelli di comunicazione, di formazione, di organizzazione del lavoro e di convivenza, allo sfruttamento delle materie prime, al sovraffollamento, all’invecchiamento, ai conflitti geopolici che spesso nascono da diatribe sulla gestione e l’accaparramento di risorse naturali. Le sfide che ci attendono sono molteplici e variegate, e ciascuno di noi è chiamato a dare una risposta e a proporre delle soluzioni. Dal mio punto di vista, come chimico dei materiali, queste problematiche impongono la ricerca di nuove soluzioni tecnologiche, che, in ultima analisi, si traducono nella ricerca di nuovi materiali o di nuovi modi di lavorare e/o di sfruttare i materiali che già conosciamo. Qui di seguito darò degli esempi concreti, presi dal mio ambito di

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ricerca. Partiamo, quasi per caso, dal settore delle comunicazioni. I continui sviluppi in questo settore, ad esempio nelle tecnologie 5G e, nel futuro prossimo, in quelle del 6G, impongono agli operatori una serie di richieste in continua crescita: in sostanza, la velocità delle comunicazioni deve raddoppiare ogni due anni, mantenendo i costi costanti, e allo stesso tempo ogni nuova tecnologia deve limitare il proprio impatto ambientale. Le tecnologie attuali, basate sui semiconduttori tradizionali, non ce la faranno a stare al passo con queste richieste, per limitazioni intrinseche dei materiali. Il grafene, ed i materiali bidimensionali in genere, ovvero a forma di foglietti dello spessore di uno o due atomi, giocheranno un ruolo fondamentale in questa sfida (in termini di velocità di trasporto dati, miniaturizzazione, consumi, ecc.), anche perché è possibile integrarli direttamente sulle piattaforme fotoniche esistenti.

Quest’ultimo è un aspetto fondamentale per le aziende che fabbricano la componentistica, le quali non dovranno modificare radicalmente le proprie linee di produzione. Un altro settore delle telecomunicazioni in cui i nuovi materiali potranno trovare notevoli applicazioni è quello del cosiddetto “Internet delle cose” (in Inglese, Internet of things, IOT). Non è troppo distante un futuro in cui la maggior parte degli oggetti con cui interagiamo, dalle auto e gli elettrodomestici, ai lampioni e alla segnaletica stradale, ai i vari sensori indossabili, ai cibi, e così via, saranno tutti connessi in rete e comunicanti tra di loro. In questa rete enorme e pervasiva, una grande percentuale di questi dispositivi si troverà in zone in cui l’unico tipo di comunicazione sarà di tipo wireless, e al tempo stesso i disposivi dovranno essere autoalimentati. Dato l’enorme numero di componenti che sarà necessario fabbricare, dovremo pensare a circuiti


basati su plastiche innovative, stampabili, a bassissimo costo, in grado di condurre elettricità, e con transistor anch’essi plastici (per abbattere la dipendenza dai metalli e da elementi rari in genere) che possano operare a delle frequenze di centinaia di MHz tali da permettere le comunicazioni wireless. Dall’altro questi dispositivi dovranno essere dotati di micro-generatori (celle solari, oppure generatori termoelettrici o piezoelettrici) in grado di ricavare dall’ambiente circostante quei pochi milliwatt di energia necessari al loro funzionamento. Sarà anche necessario dotarli di pile super-efficienti e ricaricabili a lunga durata. La sfida dei materiali qui è molteplice: avremo bisogno di materiali plastici con un comportamento sempre più simile a quello dei metalli in alcuni casi, ed a quello dei semiconduttori in altri. Inoltre, oltre ad ottimizzare i materiali già esistenti, ci servirà scoprire nuovi materiali, nanoe micro-strutturarli, per poter fabbricare dei microgeneratori e dei sistemi di immagazzinamento dell’energia efficienti e robusti, il tutto nel rispetto dell’ambiente e quindi della sostenibilità. La ricerca di sistemi efficienti e stabili per l’immagazzinamento dell’energia è d’altro canto un problema ben noto. Basti pensare alle auto elettriche, dove è necessario disporre di batterie con una notevole densità energetica (per garantire una maggiore autonomia) e al tempo stesso con una maggiore IL CHIMICO ITALIANO

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velocità di carica, o ai sistemi di immagazzinamento di corrente, che devono essere affiancati alle fonti intermittenti di energia, quali ad esempio gli impianti fotovoltaci o quelli eolici. La ricerca di nuovi materiali per batterie, o comunque di soluzioni ingegneristiche che sfruttino al meglio le potenzialità dei materiali già esistenti e ne allevinio i limiti e le problematiche, è un settore di ricerca estremamente attivo. Una sfida importante in questa direzione è quella di individuare materiali meno tossici di quelli attualmente in uso e basati su elementi abbondanti nella crosta terrestre. Le enormi sfide energetiche della nostra società, la necessità di allentare sempre di più la nostra dipendenza dai combustibili fossili e al tempo stesso di porre un freno sempre più forte alle nostre emissionioni di anidride carbonica, si traducono in fin dei conti anch’esse in sfide sui materiali. Nel settore del fotovoltaico, ad esempio, in molti abbiamo sentito parlare delle perovskiti come di una classe di materiali con efficienze di conversione che di anno in anno battono un record (ora siamo ad oltre il 25%). Questi materiali però hanno ancora dei problemi di stabilità da un lato e di tossicità dall’altro, dato che i risultati migliori sono ottenuti con pervoskiti che nella loro formulazione contengono del piombo e pertanto non sono ancora pronti per il mercato. Tuttavia, si stanno facendo notevoli passi avanti, anche nella ricerca di perovskiti “alternative”, ed è molto probabile che la soluzione vincente sia quella “ibrida”, ovvero di celle solari “accoppiate” (tandem), in cui sia il silicio che le perovskiti lavorano insieme per un pannello solare più efficiente di quello a semplice silicio. In questa direzione, le attuali efficienze hanno ormai superato il 29%.

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Sempre nel settore fotovoltaico, uno sviluppo molto interessante è rappresentato dai concentratori solari luminescenti. Si tratta in questo caso di pannelli plastici trasparenti, un po’ come i vetri delle nostre finestre, che contengono al loro interno dei materiali innovativi, come i nanocristalli fluorescenti di semiconduttori, in grado di assorbire una parte consistente della radiazione solare e riemetterla un intervallo di energie ristretto, ad esempio nel vicino infrarosso, e di convogliare questa radiazione ai bordi laterali della finestra, dove sono posizionate delle piccole celle solari molto efficienti nel trasformare questo tipo di radiazione in elettricità. Possiamo a questo punto immaginare che ogni singola finestra di un intero edicio possa agire come un collettorre di energia. Altri prototipi di finestre “intelligenti” sono i cosiddetti vetri elettrocromici: essi sono essenzialmente dei vetri contenenti loro interno materiali altamente ingegnerizzati (in genere ossidi metallici drogati), il cui spettro di assorbimento può essere modificato dinamicamente, tramite l’applicazione di un potenziale. In tal modo si può decidere che il vetro blocchi una parte della luce visible e la maggior parte di quella infrarossa, e quindi la trasmissione di calore dall’ambiente esterno a quello interno (una soluzione particolarmente utile in estate), oppure che lasci passare entrambe le componenti in inverno. Tutte queste innovazioni tecnologiche vanno nella direzione degli “edifici a consumo energetico quasi zero”. Al momento esistono solo dei prototipi in bassa scala di queste finestre (sia per i concentratori che per i vetri elettrocromici), e le sfide ancora da superare riguardano la stabilità dei materiali, la loro efficienza e la capacità di ottenere buoni risultati su grandi aree. Non vi è dubbio che uno dei più importanti vettori energetici del

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futuro sarà l’idrogeno. Ma non possiamo pensare di produrlo con processi costosi e impattanti dal punto di vista ambientale (come il reforming del metano). Dobbiamo trovare metodi sempre più efficienti di elettrolisi dell’acqua. E qui entrano in gioco i catalizzatori, ed in ultima analisi i nuovi materiali. Questi catalizzatori spesso utilizzano metalli nobili, costosi e rari, e quindi varie direzioni di ricerca puntano all’individuazione di materiali alternativi, oppure ad un uso sempre più intelligente dei metalli nobili, in modo da ridurne la quantità necessaria. Una possibile soluzione è quella di miniaturizzare sempre di più questi catalizzatori, così da aumentarne l’area superficiale, fino al limite, già attualmente esplorato, di avere singoli atomi “incastonati” su una superficie e allo stesso tempo esposti all’ambiente circostante, agenti come una sorta di supercatalizzatori. Un’altra direzione è quella di capire quali sono le tipologie

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superficiali di questi catalizzatori che meglio funzionano nel promuovere la reazione, e quindi fabbricare particelle con forme opportune, che espongano una superficie ottimale. Ovviamente le sfide in questa direzione sono molteplici: bisogna impedire che gli atomi di catalizzatore, durante il processo di catalisi, se ne vadano a spasso sul substrato e si aggreghino, o che le particelle cambino forma o si trasformino in altro, e così via. In alternativa, si può pensare di progettare nanoparticelle “transformers” che poi si rimodellano nella forma più attiva proprio durante il processo catalitico. L’idrogeno a sua volta presenta enormi problemi di sicurezza per quanto riguarda lo stoccaggio e la distribuzione, e una soluzione è quella di convertirlo in qualcosa di più facilmente maneggevole, come il metano o l’ammoniaca, e anche qui i materiali possono giocare un ruolo fondamentale, sia per la catalisi che per lo stoccaggio e la

distribuzione. Il mondo della catalisi non riguarda solo l’idrogeno, ma tantissimi altri settori. Si pensi ad esempio alla conversione dell’anidride carbonica (CO2) in prodotti “di valore”. Noi siamo abituati a pensare alla CO2 come ad un gas di scarto, ma con l’utilizzo di oppportuni catalizzatori, questa può essere trasformata in composti chimici molto utili, come ad esempio il monossido di carbonio (precursore per tantissimi altri composti) o gli idrocarburi, oppure ancora i composti di base per la formulazione di farmaci e di concimi per l’agricoltura. Questo è un settore in enorme espansione nell’ambito della scienza dei materiali odierna. Una sfida importante in questo campo è quella di scoprire catalizzatori stabili ed efficienti e che siano allo stesso tempo selettivi nei confronti della reazione di riduzione della CO2. Un discorso simile può essere fatto per il metano. Ad oggi le riserve mondiali di metano


stimate sono ingenti (sebbene non infinite!), e nuovi giacimenti e relativi metodi di estrazione vengono scoperti di continuo. Processi catalitici efficienti ed energeticamente economici che trasformino il metano in altri composti chimici, magari liquidi o liquefattibili, e quindi più facilmente trasportabili su lunghe distanze (metanolo, idrocarburi più pesanti del metano, ecc), richiedono lo sviluppo di nuovi catalizzatori, ovvero, di nuovi materiali. Infine, vari gruppi di ricerca, anche in Italia, stanno lavorando all’idea di combinare l’assorbimento della luce e la catalisi in un unico dispositivo, creando così una sorta di “foglia artificiale”. In questo caso, studiare come i materiali di diversa natura comunicano tra di loro è un punto cruciale. I nuovi materiali giocheranno un ruolo importante anche nel ridurre il nostro fabbisogno energetico, ad esempio tramite la fabbricazione di dispositivi emettitori di luce sempre più

efficienti, come i nanocristalli emettitori (i cosiddetti “quantum dots”), o nella fabbricazione di display con una gamma di colori sempre più ricca, come quella offerta dalle perovskiti, per applicazioni che vanno dal mondo dell’intrattenimento a quello dell’imaging medico. I nuovi materiali saranno sempre più utilizzati nella diagnostica medica, ad esempio come migliori mezzi di contrasto per le analisi di risonanza magnetica, o per fabbricare rivelatori di radiazione ionizzante (raggi X, gamma, ecc), sempre più efficienti e veloci. In quest’ultimo caso, le applicazioni sono molteplici. Con rivelatori di questo tipo potremo fare analisi mediche tridimensionali ad elevata precisione, potremo tracciare con maggiore rapidità e sensibilità eventuali carichi di materiale nucleare illegale alle frontiere, e saremo in grado di condurre esperimenti di fisica delle particelle sempre più complessi e affascinanti, per

poter penetrare sempre di più nei misteri del nostro mondo. Infine, le plastiche. Dobbiamo pensare in maniera radicale ad una economia che produca materiali plastici sempre più sostenibili e biodegradabili, e al tempo stesso a dei processi di degradazione delle plastiche già esistenti che, se smaltite inefficacemente, hanno un forte impatto ambientale. Qui c’è in gioco l’intero ecosistema e soprattutto i nostri mari. La sostenibilità sarà quindi un aspetto sempre più incisivo nello sviluppo dei materiali. Dobbiamo metterci nell’ottica che, ogni oggetto che produciamo oggi, dovrà avere un impatto nullo sull’ambiente nel momento in cui decideremo di dismetterlo, e pertanto dobbiamo progettarlo in modo che sia facile ed economicamente sostenibile disassemblarlo.

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BREVE STORIA DELLA RADIOPROTEZIONE, DELLA FISICA MEDICA E DELL’USO DEL NUCLEARE IN SARDEGNA DI PAOLO RANDACCIO Professore associato di Fisica Applicata e Direttore della Scuola di Specializzazione in Fisica Medica presso l’Università di Cagliari Sono stato testimone della nascita, della evoluzione, delle avventure e disavventure della Fisica Medica e della Radioprotezione in Italia e in particolare in Sardegna. L’inizio dell’interesse formale per queste due discipline può essere fatto coincidere con l’arrivo nel 1970 all’Università di Cagliari del prof. Mario Ladu come docente di Fisica nella Facoltà di Medicina. Il prof. Ladu è stato il primo ordinario di Fisica in una Facoltà di Medicina in Italia in una epoca in cui l’interesse della popolazione per i problemi relativi alla radioattività e per la tecnologia delle apparecchiature di diagnostica medicale erano ancora di là da venire. Mario Ladu, classe 1917, era stato il responsabile della protezione dalle radiazioni nel laboratorio CNEN di Frascati dove nella metà degli anni ’50 era stato costruito il primo elettrosincrotrone italiano che all’epoca era il secondo a livello mondiale come energia massima delle particelle accelerate. In realtà, all’Università di Cagliari, esistevano già esperienze relative allo studio dei raggi cosmici, all’uso di radiazioni ionizzanti per la ricerca e persino alla produzione di radioisotopi artificiali mediante attivazione neutronica tramite reattore nucleare. Infatti, nel 1958, il chimico prof. Mario Alberto Rollier costruì e mise in funzione un piccolo reattore nucleare da utilizzare per attività di ricerca; era un reattore subcritico denominato SM1 (Struttura Moltiplicante 1) in cui la reazione a catena era attivata e controllata da una sorgente di neutroni al radio-berillio.

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Nel 1960 il prof. Rollier vinse il concorso per la cattedra di chimica generale e inorganica all’Università di Pavia dove trasferì il reattore SM1 e, con due dei suoi assistenti che lo seguirono, la prof.ssa Maxia e il prof. Meloni, costituì il laboratorio LENA (Laboratorio di Energia Nucleare Applicata). Pochi anni dopo l’arrivo a Pavia, il gruppo di Rollier riuscì ad avere i finanziamenti per acquistare un reattore nucleare di potenza maggiore denominato TRIGA e ancora presente e in funzione al LENA. È interessante il significato dell’acronimo TRIGA che corrisponde alle parole inglesi Training, Research, Isotopes, General Atomics (le ultime due parole sono il nome del costruttore). Con il TRIGA negli anni 2000 sono stati effettuati i primi tentativi di terapia dei tumori con i neutroni usando la tecnica BNCT (Boron Neutron Capture Therapy) alla cui realizzazione hanno contribuito, oltre ai principali promotori che sono stati i radioterapisti dell’ospedale San Matteo di Pavia, molte figure professionali tra cui Chimici, Fisici e Ingegneri. Negli anni ’50 e nella prima metà degli anni ’60 era possibile infatti realizzare in proprio dei reattori nucleari perché la normativa sulla radioprotezione e le leggi sull’impiego pacifico della energia nucleare erano ancora di là da venire. La prima legge che regolava la acquisizione e l’uso di sorgenti radioattive e in particolare materie fissili e “prime fonti” ovvero i materiali con i quali è possibile realizzare reattori e bombe nucleari, in particolare uranio e plutonio, fu la


n. 1860 del 31 dicembre 1962. Successivamente nel 1964 venne emanato il DPR n. 185, prima legge organica e completa sulla radioprotezione. Le prime applicazioni del DPR 185/64 riguardarono in particolare le radiologie ospedaliere e gli studi privati di radiologia e, in misura minore, le industrie che utilizzavano sorgenti di radiazioni ionizzanti. Era ben precisato nel DPR 185 che le norme sulla radioprotezione si applicavano ai lavoratori esposti al rischio di ricevere dosi da radiazioni ionizzanti, ma non riguardavano le dosi ricevute a seguito di impiego di radiazioni in campo medico o le esposizioni relative alla radioattività naturale. All’inizio degli anni ’70 risalgono le prime assunzioni di fisici nelle strutture ospedaliere, in particolare nelle strutture di radioterapia e medicina nucleare, anche se questa ultima specialità non aveva ancora un nome ed era una struttura all’interno della Medicina Interna con lo scopo di diagnosticare le patologie dell’apparato endocrino e in particolare della tiroide. Nei centri di radioterapia in quella epoca si usavano le “Bombe al Cobalto” denominate in tal modo perché l’aspetto esteriore era simile a quello di una bomba e perché il materiale radioattivo era costituito da una sorgente di Cobalto 60 che ha diverse caratteristiche importanti: 1) emette radiazioni gamma di energia elevata intorno a 1,25 MeV, 2) viene prodotto in grande abbondanza nelle strutture metalliche dei reattori nucleari, 3) ha un tempo di dimezzamento notevole di circa 5 anni che ne consente la operatività su tempi abbastanza lunghi. Per le diagnosi di Medicina Nucleare si usava inizialmente uno strumento che, adesso ma solo adesso, potremmo definire “rudimentale”, era IL CHIMICO ITALIANO

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costituito da un rivelatore a scintillazione con un collimatore molto stretto, teoricamente puntiforme, che acquisiva i conteggi emessi dal materiale radioattivo contenuto all’interno dell’organo del paziente sottoposto ad analisi; poi per costruire la mappa di concentrazione di radioattività all’interno dell’organo si effettuava una lunga e lenta scansione punto per punto. Era lo “scintigrafo” che poi ha dato il nome a tutte le tecniche eseguite con strumentazione più efficiente e moderna che viene ancora denominata scintigrafia. All’epoca il radioisotopo più utilizzato era lo Iodio 131 e l’organo per il quale si effettuata al quasi totalità delle analisi era la tiroide. I sommergibili americani a propulsione nucleare nell’arcipelago de “La Maddalena” Nell’agosto del 1972, a seguito di un accordo segreto tra il governo Italiano e quello Statunitense, si insediò, presso l’Isola di Santo Stefano, una base - appoggio per sommergibili a propulsione nucleare rimasta operativa fino al mese di gennaio 2008. Su iniziativa dell’Istituto Superiore di Sanità venne quindi costruito, sull’isola di “La Maddalena” un laboratorio per il controllo della radioattività ambientale con relativa rete di monitoraggio sia in acqua che in aria la cui gestione fu affidata all’allora presidio multizonale di prevenzione della ASL. Nel mese di ottobre 2003 a seguito di un incidente di tipo convenzionale capitato ad uno dei sommergibili nucleari, ci fu una sollevazione popolare contro la base stessa alimentata anche dalla scoperta incredibile di alghe radioattive intorno all’arcipelago. L’alga in questione denominata “Jania Rubens” ha la particolarità di costruire la radice con cui si attacca alle rocce utilizzando

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vari elementi chimici presenti nell’acqua marina compreso il Torio. Dei due isotopi di Torio nell’ambiente ve ne è uno, il Torio 232, abbondante (in termini di abbondanza frazionaria) ma poco radioattivo e un altro, il Torio 234, con una abbondanza minima (un atomo di Torio 234 ogni cento miliardi di atomi di Torio 232) ma molto radioattivo, ed è stato questo ultimo che rendeva la Jania Rubens facilmente individuabile. La presenza del Torio 234 ha fatto gridare allo scandalo gli ambientalisti che, su suggerimento di pseudo scienziati, hanno voluto dimostrare che il Torio 234 era stato prodotto dai reattori nucleari, come decadimento del Plutonio 239 usato nelle armi nucleari. C’è voluto del bello e del buono per convincere la popolazione che il fenomeno era di origine naturale e che dal punto di vista fisico era impossibile che dal decadimento del Plutonio 239 potesse essere prodotto il Torio 234, dato che una delle prime regole che imparano gli studenti sui fenomeni della radioattività è che il peso atomico non può modificarsi da

un numero dispari (Pu-239) a un numero pari (Th-234). Come succede spesso, le persone che ci rimettono di più alla fine sono le stesse che protestano; infatti con la partenza degli americani dalla base di Santo Stefano l’economia dell’Arcipelago de La Maddalena ha perso una delle maggiori risorse per la propria economia. Il Poligono Interforze del Salto di Quirra (PISQ) a Perdasdefogu (Ogliastra) La vicenda relativa al presunto inquinamento radioattivo provocato dalle esercitazioni militari nel Poligono Interforze del Salto di Quirra (PISQ) è un tipico caso che mostra come le false notizie, ora divenute di moda con il termine fake news, e la grande importanza mediatica data a presunti incidenti denunciati dalla popolazione, possano portare ad inchieste che alla fine si risolvono in un nulla di fatto ma che come conseguenza effettiva portano a gravi danni economici al territorio. Era diffusa nella popolazione, anche ad alto livello di istruzione, la convinzione che l’uso dell’uranio impoverito da parte


delle forze armate provocasse un aumento della mortalità tra i militari e anche nella popolazione. Convinta di questa possibilità la magistratura mi incaricò di individuare e sequestrare tutto il materiale custodito nella base di Perdasdefogu contenente materiale radioattivo. Cercai di convincere gli inquirenti che è estremamente difficile individuare tracce di uranio impoverito, dato che di uranio ce n’è un po’ dappertutto e che per distinguere l’uranio naturale da quello impoverito occorrono analisi lunghe e raffinate. Inoltre l’uranio impoverito è largamente utilizzato in campo industriale, medico, nella ricerca e nelle produzioni navali e aeronautiche. Dove occorre materiale denso e con elevato numero atomico l’uranio impoverito è il materiale ideale in quanto è economico essendo un prodotto di scarto, è chimicamente purissimo e inoltre, incredibile a dirsi, è considerato poco pericoloso dato che il limite per la rilevanza radiologica è 10 volte superiore a quello dell’uranio naturale. Anche l’indagine sull’inquinamento ambientale nel territorio di “Quirra”, come quella di “La Maddalena” ha prodotto soprattutto danni economici agli allevatori, agli albergatori e a tutta la popolazione locale che si è trovata improvvisamente accusata di favorire l’insediamento di strutture che provocavano danni all’ambiente.

dose di radiazioni ionizzanti a cui è sottoposta la popolazione nel suo insieme è dovuta a cause naturali, in particolare l’inalazione di gas Radon e la emissione di radiazione gamma da parte dei radioisotopi naturali contenuti nei materiali da costruzione. La seconda causa di dose è l’uso di radiazioni in campo medico, la percentuale stimata è poco inferiore al 25%. La frazione rimanente, corrispondente a meno dello 1%, è dovuta a impieghi militari e industriali della radioattività nelle sue varie forme; in questa frazione sono compresi anche gli effetti prodotti dall’incidente di Chernobyl. Che la dose dovuta alle radiazioni del fondo naturale debba essere

controllata e ridotta a valori accettabili è ben presente nelle normative sulla protezione dalle radiazioni a partire dal 2000; ulteriore attenzione viene rivolta alla ottimizzazione nell’uso delle radiazioni in campo medico per raggiungere l’obbiettivo di avere buona qualità diagnostica con la più bassa dose da radiazioni. Questa è la sfida che i Fisici Medici, in collaborazione con le altre figure professionali interessate, devono affrontare nei prossimi anni dato che a loro è affidato il compito di suggerire le soluzioni tecnologiche e operative per raggiungere questo fondamentale obiettivo.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI: - Senato della Repubblica - XIV legislatura 13ª commissione permanente - Seduta n. 420 - 14 aprile 2005. “INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE AMBIENTALE DELL’ARCIPELAGO DI LA MADDALENA”. - Regione Sardegna - sito istituzionale - regione.sardegna.it/servitù militari e demanio.

Conclusioni generali Si può osservare, in generale, che tutte le informazioni sulla radioattività e i suoi impieghi in campo industriale e militare provocano mediamente nella popolazione ostilità e rifiuto e che manca una informazione corretta su quali sono le principali cause di dose da radiazioni per la popolazione. Si valuta che circa il 75% della

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LA CHIMICA AIUTA L’INDUSTRIA ALIMENTARE E PROTEGGE LA SALUTE DI DANIELA MAURIZI Segretario FNCF La sicurezza alimentare è una questione di salute pubblica: ci difende da organismi patogeni, sostanze tossiche e contaminanti che si trovano negli alimenti che consumiamo, nell’acqua, negli imballaggi e nei materiali a contatto con gli alimenti, con benefici per l’intera società civile. I consumatori odierni sono sempre più attenti e questi temi sono entrati nel dibattito pubblico: pesticidi, additivi, microplastiche. Stampa, blog e siti di informazione offrono risposte, ma non sempre è data voce ad esperti ed addetti ai lavori e da ciò deriva la diffusione di diverse fake news. Il sistema di sicurezza alimentare funziona e ci protegge adeguatamente da ogni rischio: la scienza, e quindi la chimica, contribuisce a questi processi e sensibilizza la società civile con una corretta informazione scientifica. Chimica ed industria alimentare La chimica è alla base di ogni processo dell’industria alimentare: dall’analisi dei residui di farmaci, pesticidi e contaminanti, alle prove di cessione per i materiali a contatto con gli alimenti. Garantisce quindi che la produzione, la commercializzazione, la distribuzione e la somministrazione degli alimenti avvenga in sicurezza e rende possibile l’innovazione. Basti pensare ai molteplici usi degli additivi. Lo sviluppo tecnologico e le nuove evidenze scientifiche portano tecniche di produzione sempre nuove: in base al principio di precauzione di cui all’articolo 7 del regolamento europeo n. 178/2002 1, l’Unione europea adotta misure provvisorie in base alle informazioni 1 Reg

disponibili, in attesa di un’ulteriore valutazione dei rischi e del riesame periodico delle misure. In questo processo, la chimica supporta la ricerca scientifica ed è parte e promotrice del cambiamento. La sicurezza delle colture La chimica interviene nella valutazione dell’impatto, sugli alimenti, di fattori esogeni dovuti all’attività umana come l’impiego di pesticidi, come dimostra la questione glifosate: nel 2017 2, la European Chemical Agency (ECHA) lo ha classificato come sostanza che provoca gravi lesioni oculari e tossica per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata 3. Questa ed altre valutazioni scientifiche hanno aperto un dibattito tra istituzioni europee per il rinnovo dell’autorizzazione dell’erbicida: la Commissione europea aveva inizialmente proposto un rinnovo di quindici anni che, per effetto del dibattito tra scienza ed istituzioni, è stato ridotto a dieci e poi a cinque 4. La chimica, e la scienza in generale, orienta costantemente le decisioni del legislatore: è recente l’eliminazione, con i regolamenti europei n. 2020/17 5 e 2020/18 6 di clorpirifos e clorpirifos metile dall’elenco delle sostanze attive per l’utilizzo nei fitosanitari in seguito ai possibili effetti genotossici individuati da EFSA. La sicurezza degli alimenti può essere minacciata anche da fattori endogeni, presenti in natura: per esempio le tossine naturali prodotte da funghi, come le micotossine e, tra queste, le aflatossine, prodotte da due specie di Aspergillus 7. Studi scientifici dimostrano che i cambiamenti climatici favoriscono

CE n. 178/2002 ECHA’s opinion on classification of glyphosate published, Helsinki, 15 june 2017 3 https://echa.europa.eu/it/-/glyphosate 4 Comunicato Parlamento europeo, 28/11/2017 5 Regolamento di esecuzione UE n. 2020/17 6 Regolamento di esecuzione UE n. 2020/18 2

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l’insorgenza di nuovi organismi nocivi per i vegetali e la maggiore diffusione di quelli noti: gli agrofarmaci rappresentano la grande sfida dei prossimi anni, la chimica lavorerà per garantire la sicurezza delle colture e, al contempo, la sostenibilità ambientale. Gli alimenti di origine animale La chimica permette lo studio ed il monitoraggio della sicurezza degli alimenti di origine animale per la protezione dei consumatori dalle tossinfezioni dovute all’ingestione di agenti patogeni. Il rapporto Rapid Alert System for Food and Feed (RASFF) 2019 8 della Commissione europea mostra che, rispetto al 2018, sono aumentate del 17% le segnalazioni relative a microorganismi patogeni negli alimenti di origine animale, soprattutto per Salmonella spp, Listeria monocytogenes e Shigatoxin-producing Escherichia coli. Numeri elevati confermano che il sistema delle allerte funziona ma impongono anche una riflessione sull’importanza delle politiche di prevenzione. Gli additivi La ricerca offre all’industria soluzioni sempre nuove per migliorare qualità, durabilità e aspetto degli alimenti: è di recente approvazione il regolamento europeo n. 2020/351 9 che aumenta la quantità di acido citrico utilizzabile nel cioccolato al latte da 5000 a 10000 mg/kg. Se usato come stabilizzante nella pasta di cacao ad elevato contenuto di polifenoli, l’acido citrico (E 330) abbassa il pH e reagisce con una parte dei polifenoli, conferendo alla pasta di cacao un colore più intenso, con le caratteristiche sfumature rosa ed il sapore acidulo di frutti di bosco. Il nuovo regolamento è stato emanato in seguito ad una domanda di modifica della normativa precedente supportata da studi scientifici che dimostravano che il livello massimo autorizzato di 5000 mg/kg non era sufficiente per ottenere tale risultato e a valutazioni di sicurezza. È recente anche il regolamento europeo n. 2018/98 10, che ha eliminato dall’elenco europeo degli additivi il sorbato di calcio (E 203), utilizzato in molti prodotti, dai formaggi alle conserve alle bevande. La chimica lavora per la ricerca su additivi sicuri e con effetti sempre migliori sugli alimenti. I materiali a contatto con gli alimenti (MOCA) Le evoluzioni del packaging alimentare pongono questioni sempre nuove relative alla sicurezza.

Nella raccomandazione della Commissione europea n. 2019/794 11, è presente un lungo elenco di sostanze da monitorare: ammine aromatiche primarie (PAA), formaldeide e melammine, fenolo, plastificanti con o senza ftalati, composti fluorurati, metalli, bisfenoli. Senza la chimica non potrebbero essere realizzate le prove di cessione per verificare che sostanze potenzialmente tossiche non migrino nell’alimento: recentemente, il regolamento europeo n. 2018/213 12, ha stabilito che la migrazione nei o sui prodotti alimentari di 2,2-bis(4-idrossifenil) propano (BPA) (n. CAS 0000080-05-7) da vernici o rivestimenti applicati a materiali e oggetti non supera un limite di migrazione specifica di 0,05 mg di BPA per kg di prodotto alimentare (mg/kg). Il BPA è stato oggetto di diverse valutazioni di sicurezza per via della sua presenza in stoviglie, contenitori e bottiglie in plastica. Già nel 2011, con la direttiva europea n. 2011/8 13, il suo impiego è stato vietato nella produzione di biberon in policarbonato a causa di studi che hanno indicato la sua capacità di alterare l’equilibrio endocrino soprattutto negli organismi in via di sviluppo e lo stesso regolamento europeo n. 2018/2013 ha stabilito che non è consentita la migrazione di BPA da vernici o rivestimenti applicati a materiali e oggetti specificamente destinati a venire a contatto con formule per lattanti, formule di proseguimento, alimenti a base di cereali, alimenti per la prima infanzia, alimenti a fini medici speciali creati per soddisfare le esigenze nutrizionali dei lattanti e dei bambini nella prima infanzia o bevande a base di latte e prodotti analoghi specificamente destinati ai bambini nella prima infanzia, quali definiti al regolamento (UE) n. 609/2013 14. È attesa una riforma organica della normativa europea sui MOCA. Secondo le dichiarazioni della DG Sante alla conferenza annuale di Chemical Watch 15 dell’11 febbraio di quest’anno, la relazione della Commissione europea sarà pubblicata nel 2022. Plastificanti e microplastiche saranno nei prossimi anni il fulcro della ricerca scientifica, e dell’evoluzione normativa, per MOCA sempre più sicuri per la salute e a ridotto impatto ambientale.

7 http://www.izslt.it/efsa-sicurezza-alimentare-e-cambiamenti-climatici/

RASFF Annual Report 2019 Regolamento UE n. 2020/351 10 Regolamento UE n. 2018/98 11 Raccomandazione UE n. 2019/794 12 Regolamento UE n. 2018/213 13 Direttiva n. 2011/8/UE 14 Regolamento UE n. 609/2013 15 https://www.foodpackagingforum.org/news/conference-on-european-food-contact-regulations 8 9

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LA SOSTENIBILITÀ NON PUÒ ESSERE SOLO UNO SLOGAN DI ARMANDO ZINGALES Professore di Chimica Industriale presso l’Università degli studi di Venezia, in quiescenza È ormai largamente accertato dagli studiosi e accettato da gran parte dell’opinione pubblica (ad esclusione dei cosiddetti “negazionisti”) che il modello di sviluppo che ha condotto l’umanità (o almeno la parte “ricca” di essa) a godere di un oggettivo benessere non è compatibile né con la disponibilità di risorse, né con il mantenimento di un equilibrio climatico adatto alla vita di tutte le specie che popolano il pianeta, tra cui l’uomo. Già nel 1992 al Summit ONU di Rio, si era riconosciuto che il problema dello “sviluppo sostenibile”

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non poteva essere limitato e confinato al tema strettamente “ambientale”, tanto che l’Agenda 21, nei suoi 40 capitoli si occupa non solo della “conservazione e gestione delle risorse” (Parte 2), ma anche della “dimensione economica e sociale” (Parte 1), del “rafforzamento del ruolo dei gruppi più significativi”(Parte 3), tra cui donne e anziani, e, infine dei “mezzi di esecuzione del programma”(Parte 4). Il che equivale ad affermare solennemente che per approcciare il tema dello “sviluppo sostenibile” è necessario considerare non

solo la “sostenibilità” tout court, ma piuttosto il ventaglio di temi sottesi al concetto di “Benessere Equo e Sostenibile”. Nel 2015, L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la “Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”, che è oggi il documento fondamentale cui occorre riferirsi quando si tocca il tema della sostenibilità. Documento fondamentale, non solo per i contenuti, ma anche perché è stato approvato e fatto proprio da uno straordinario numero di Paesi, stabilendo, una volta tanto e nonostante successivi


ripensamenti di alcuni Paesi, che il problema della sostenibilità investe la globalità della vita sulla terra, tra cui il genere umano è una parte, importante, ma non unica. L’Agenda 2030 identifica, come è noto, 17 obiettivi, tutti con pari dignità. In questo breve intervento mi preme sottolinearne almeno due: “Fame zero (Ob. 2)” e “Energia pulita e accessibile (Ob. 3)”, soffermandoci sulle “criticità” che bisogna tener presenti. Il 13 luglio 2020 la FAO, nel suo rapporto sullo Stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo quasi 690 milioni di persone hanno sofferto la fame nel 2019, ossia 10 milioni in più rispetto al 2018 e poco meno di 60 milioni in più nell’arco di cinque anni. Ancora più significativo è che a partire dal 2014 il numero delle persone colpite dalla malnutrizione è in aumento (lento ma costante). Oltre 381 milioni di persone malnutrite vivono in Asia e oltre 250 milioni in Africa, dove il numero delle persone che non hanno nutrimento sufficiente cresce più che in ogni altra zona del pianeta. In estrema sintesi, conclude il rapporto, nel mondo oggi ci sono 2 miliardi di persone (un quarto dell’attuale popolazione mondiale) che non hanno regolare accesso ad una alimentazione sana, nutriente e sicura. Allo stato attuale, quindi, è urgente ed indispensabile accrescere

la disponibilità di cibo per combattere la piaga della fame. L’esperienza insegna che ridurre le perdite, in ogni campo, è un doppio guadagno. Quindi una prima azione in area critica deve essere rivolta alla riduzione delle perdite di derrate alimentari per qualsiasi causa, sia in fase di produzione (desertificazione, carenza di acqua, malattie delle piante e degli animali ecc.), sia in fase di raccolta, distribuzione e consumazione. Secondo uno studio del Politecnico di Milano, con Berkeley e Amsterdam, le terre sottoutilizzate perché non irrigate, potrebbero sfamare 800 milioni di persone, cioè circa 110 milioni in più di tutti quelli che oggi soffrono gravemente la fame. Il Potsdam Institute for Climate Impact Research, in un recente articolo su Nature afferma: “Oggi l’agricoltura in molte regioni utilizza troppa acqua, terra e fertilizzanti. Bisogna che la produzione in queste regioni sia allineata con la sostenibilità ambientale. Vi sono ancora enormi opportunità per aumentare in maniera sostenibile la produzione agricola in queste e in altre regioni. Questo vale, ad esempio, per gran parte dell’Africa Sub Sahariana, dove una gestione più efficiente dell’acqua e dei nutrienti potrebbe accrescere sensibilmente le rese”. Lo studio afferma che metà della attuale produzione mondiale di alimenti viene conseguita IL CHIMICO ITALIANO IL CHIMICO ITALIANO

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attraverso il superamento dei limiti tra loro interconnessi (integrità della biosfera, modifica del sistema terrestre, uso dell’acqua, flussi di azoto) e che, se tali limiti fossero rispettati, il sistema “così com’è” potrebbe sfamare con una dieta bilanciata circa 3,2 Miliardi di persone, su una popolazione mondiale di 7,8 miliardi. Ma lo studio calcola anche che, se si adottasse un profondo cambiamento produttivo e delle modalità di consumo, un’agricoltura rispettosa dei limiti del pianeta potrebbe bastare per 10,2 miliardi di persone. Ossia ben più della popolazione prevista per il 2050 (che è di 9,8 miliardi). I requisiti chiave sono: una differente distribuzione dei terreni coltivati, una migliore gestione dell’acqua, la riduzione dello spreco alimentare e un cambiamento della dieta verso una minore quantità di alimenti di origine animale. Ma altre soluzioni sono indicate, analizzate, descritte e suggerite in dettaglio. E questo è il punto che, soprattutto noi cittadini dei Paesi “ricchi” dobbiamo riuscire a comprendere. Continuare a basare la nostra alimentazione su produzioni che “consumano” enormi quantità di terreno, di energia, di acqua, e farlo solo perché non vogliamo cambiare, anche solo in parte le abitudini alimentari, non è solo sbagliato, ma “iniquo e insostenibile”. Ci sono delle scelte più impattanti ed altre meno impattanti sulle abitudini dei Paesi ricchi. Sono stati proposti degli indici per classificare l’impatto sulle risorse causato dalla produzione di diversi tipi di alimenti. Ad esempio, un immediato termine di paragone è il consumo di acqua per produrre un chilogrammo di alimento. È abbastanza impressionante dover riconoscere che, mentre per produrre 1 kg di patate sono necessari 500 litri di acqua e per un chilogrammo di grano, 900 litri, 1 kg di soia richiede 2000 litri di acqua, un kg di carne di pollo ne richiede 3500 litri e un kg di carne bovina ne richiede da 25000 a 10000 litri. Quindi un kg di cereali necessita anche solo un centesimo dell’acqua richiesta per produrre un kg di carne bovina. Anche se, mentre un kilo di carne di manzo fornisce 1750 calorie un litro di latte sono “solo” 460 circa e per un kilo di grano circa 330, e di questo occorre tener conto. Quindi non è razionale tentare di estrapolare suggerimenti per i comportamenti alimentari soltanto da queste considerazioni, che non tengono in alcun conto del bilancio dei nutrienti necessari per l’alimentazione sana. Ma se si considera che gran parte del terreno agricolo mondiale è utilizzato per produrre mangime e foraggio per gli animali si comprende come l’intera filiera richiede uno sforzo immenso per differenziare le fonti proteiche dell’alimentazione umana, anche

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attraverso una corretta educazione alimentare. Non può essere sottaciuto, qui, il tema spinoso della “sovranità alimentare”, ossia, secondo la definizione corrente “il diritto dei popoli ad alimenti nutritivi e culturalmente adeguati, accessibili, prodotti in forma sostenibile ed ecologica, ed anche il diritto di poter decidere il proprio sistema alimentare e produttivo”. Tale definizione implica il ripudio, nel campo della produzione e distribuzione degli alimenti (ma non solo), di ogni forma di quello che sinteticamente ed efficacemente viene definito “imperialismo economico”. Questo concetto di sovranità alimentare si declina nel rispetto della libertà dei popoli e del loro diritto non conculcabile a disporre dei mezzi di sussistenza senza oppressioni da parte di altri popoli, senza disuguaglianze di sesso, etnia, classi sociali e, non ultime, generazioni. Il corollario evidente è che chi (Governi, potenze economiche) controlla per il vantaggio proprio o dei propri referenti la disponibilità e la distribuzione del cibo (o altre risorse comuni, naturalmente), in nome di qualsiasi ideologia o dottrina economica, sottraendola a chi dovrebbe disporre della specifica “sovranità”, compie un crimine contro l’umanità. Tuttavia il problema forse più grave è quello della disponibilità di acqua pulita e in quantità sufficiente. I cambiamenti climatici in atto stanno facendo avanzare verso le nostre latitudini la desertificazione, tanto che se ne sono cominciati a vedere gli effetti in alcune zone della Sicilia, in parte contrastati da piani di riforestazione che sono risultati efficaci. L’ONU già nel 1994 ha adottato una Convenzione per combattere la Desertificazione, attraverso la quale 197 Paesi collaborano per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni nelle regioni aride, per mantenere e recuperare la produttività del suolo e mitigare gli effetti della siccità. Senza contare che la scarsa manutenzione delle reti di acquedotti molto vecchie ha come risultato che in Italia la perdita media di acqua di acquedotto ammonta a circa il 40% di quella immessa in rete. Uno spreco che si può definire “ambientalmente dissennato”. Non va sottovalutato, invece, il valore concreto della possibilità di depurare e riciclare le acque reflue. Esistono le tecnologie adeguate ed economicamente sostenibili. Le acque recuperate, come avviene già in molti casi, anche in Italia, sono più che adeguate per i fini irrigui e industriali e richiedono un trattamento ulteriore non più gravoso di quello che serve per le acque di superficie per diventare atta al consumo umano. Tuttavia occorre prendere atto, che nel medio termine, la criticità relativa alla carenza idrica, soprattutto nelle aree soggette a desertificazione, si potrà affrontare soprattutto attraverso la implementazione


di nuovi importanti impianti di desalinizzazione dell’acqua marina, alimentati da fonti energetiche rinnovabili. Il recupero di ampie aree all’agricoltura avvenuto in Israele, con costi economici che altri Paesi da soli non possono sopportare, è comunque la dimostrazione che avendo disponibilità idrica e adeguate tecniche colturali si può arrestare la desertificazione e recuperare i terreni alla produzione agricola e zootecnica. Le tecniche oggi utilizzate per la desalinizzazione dell’acqua marina, richiedono però, notevoli quantità di energia, e questa, per ovvi motivi di sostenibilità non dovrà essere ricavata da fonti fossili. Certamente si potranno incentivare studi e ricerche per migliorare l’efficienza delle tecniche note e per individuare altri metodi per raggiungere lo scopo, ad esempio migliorando ulteriormente le membrane utilizzate per l’osmosi inversa, anche per quanto riguarda la loro durata. Ma qui ed ora (e per i prossimi decenni) il secondo fattore limitante, ossia la disponibilità di energia da fonti rinnovabili, si dimostra altrettanto importante e strettamente connesso con la disponibilità di acqua. E questo sia per fornire l’alimentazione, sia per sostenere ogni altra attività dell’umanità. Come sagacemente recitava lo slogan dell’Expo di Milano 2015: “Nutrire il pianeta, Energia per la vita”. La transizione energetica è, anche in conseguenza di quanto sin qui detto, condizione necessaria per affrontare sia il tema del controllo del cambiamento climatico, che quello della disponibilità di acqua e cibo per la popolazione mondiale in crescita. Nell’ottobre 2019 il parere del Comitato Economico e Sociale Europeo sui Piani Nazionali Integrati per l’Energia e il Clima (PNIEC) indica la consapevole acquisizione da parte della popolazione del nuovo modello di risparmio energetico e di uso estensivo delle fonti rinnovabili, oltre alla conversione delle tecnologie per la produzione dell’energia e per i trasporti con l’uso di combustibili di transizione, più puliti, ma anch’essi da sostituire entro date fissate con energie rinnovabili. Certo, se la ricerca sulla fusione nucleare, attualmente rifinanziata in molti Paesi, avrà successo, sarà disponibile una notevole quantità di energia da utilizzare anche per la produzione di idrogeno “verde”, e per la sua diffusione capillare come vettore di energia non inquinante. Anche per i veicoli elettrici la vera sfida dovrà essere sull’utilizzo di celle a combustibile per la produzione di energia elettrica “in loco”. Le tecnologie esistono, ma necessitano di miglioramenti ed affinamenti. Ma non si deve dimenticare che l’uso alternativo delle batterie ricaricabili, di qualsiasi tipo, ha anch’esso i suoi punti deboli: non ultimi la sudditanza ai Paesi produttori di Litio e Cobalto.

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SVILUPPI DELLA CHIMICA TOSSICOLOGICA NEL TERZO MILLENNIO DI VENIERO GAMBARO, GABRIELLA RODA Dipartimento di Scienze Farmaceutiche, Università degli Studi di Milano

La Chimica Tossicologica, soprattutto nella interpretazione forense, ha sviluppato in questi ultimi anni una realtà applicativa nella Tossicologia Analitica (TA), che affronta le problematiche del rilievo di sostanze tossiche con attenzione alle tecniche utilizzate e alle strutture chimiche molecolari interessate, con particolare riferimento alle “droghe d’abuso”. In questo ambito si inserisce anche la FarmacoTossicologia (FT) che suscita sempre più interesse in ambito medico e si occupa del rilievo e dell’interpretazione dei livelli di concentrazione di sostanze esogene od endogene presenti in materiale biologico. I campi di interesse della TA sono caratterizzati dal tipo di matrice biologica, solitamente complessa, e dal tipo di ricerca da eseguire, generica o mirata alla conferma di un solo analita. Le analisi a scopo forense, condotte in relazione a peculiari finalità dell’indagine in applicazione di specifici disposti di Legge, possono assumere carattere di prova giudiziaria e quindi devono possedere requisiti di affidabilità, dimostrabili attraverso la documentazione di ogni fase analitica affrontata.

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Essendo la TA un campo di ricerca sempre in evoluzione, si deve continuamente migliorare l’applicazione di metodi analitici, adeguatamente convalidati, ampliando contemporaneamente la possibilità di determinare nuove molecole al fine di soddisfare le sempre maggiori richieste dovute ad esigenze terapeutiche anche di tipo salutistico. La TA su materiale non biologico riguarda principalmente le sostanze stupefacenti e d’abuso con applicazioni su vari tipi di materiale ad attività farmacologica, come i farmaci e i rispettivi medicinali, compresi gli oleoliti da Cannabis Terapeutica derivanti da preparazioni galeniche magistrali delle farmacie, in cui è particolarmente importante valutare la concentrazione dei due Principi Attivi (P.A.) principali, il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC), sostanza stupefacente e il cannabinolo (CBD). La matrice biologica porta a due ampi settori della TA: quella post-mortem e quella comportamentale. Di particolare importanza per i campi d’interesse delle Scienze Analitiche Forensi (SAF) risulta la ricerca generica post-mortem, che riguarda l’indagine per il rilievo di sostanze esogene su materiale cadaverico da mettere in relazione ad un decesso, nell’ambito della diagnosi di avvelenamento, senza avere particolari indicazioni sulla possibile natura del veleno. In realtà, si configura come la ricerca sistematica generica, Systematic Toxicological Analysis (STA), del maggior numero possibile di sostanze tossiche secondo un percorso, non privilegiato, ma che procede in tutte le direzioni, a volte anche molto fantasiose. Attualmente, si basa essenzialmente sulla ricerca dei composti organici volatili (VOC), e sulla ricerca di composti organici non volatili, settore che tradizionalmente comprende il maggior numero di sostanze di interesse tossicologico. Negli anni, la STA è stata migliorata e modificata con il progresso tecnologico. La possibilità, spesso non frequente, di


esaminare l’urina, porta all’applicazione di tecniche di screening immunologico, molto utili ad indirizzare le indagini verso eventuali sostanze d’abuso evidenziate nei saggi preliminari. Nella TA post-mortem, il materiale biologico in esame non consente una applicazione diretta di metodi strumentali e quindi è sempre necessaria, per la maggior parte dei tessuti, un tipo di estrazione L-L (liquido-liquido), mentre per i liquidi biologici, sangue, bile e urina, si possono applicare le comuni estrazioni su fase solida (SPE) molto diffuse in tutti i Laboratori analitici. Importante, poi, risulta la scelta della tecnica analitica, che deve fornire specificità, elevata sensibilità e deve essere stata sperimentata comparativamente e positivamente per un tempo adeguato. L’uso dei detector a selezione di massa (MSD) abbinabili alla gas-cromatografia capillare (GC) e alla cromatografia liquida (LC), creando sistemi utilizzabili anche in fase di screening, ha permesso una vera rivoluzione nella STA sia su materiale biologico che non biologico per quanto riguarda la ricerca dei VOC e delle sostanze organiche non volatili. In effetti la separazione cromatografica dà origine a picchi caratterizzati non solo dal tempo di ritenzione (RT) e quindi dal rispettivo indice di ritenzione (RI), ma dal caratteristico spettro di massa, che con l’ausilio di librarie computerizzate, permette una possibile identificazione su base probabilistica, da confermare con l’analisi di uno standard in soluzione della sostanza, soddisfacendo l’esigenza di prova che caratterizza l’analisi con gli opportuni requisiti di affidabilità e certezza. L’affidabilità fa riferimento alla scelta di un procedimento analitico ampiamente sperimentato, che possa portare ad estratti analizzabili con diverse tecniche strumentali, possa essere riproposto sulla matrice complessa in esame, sia a carattere biologico che non biologico, senza mai esaurire del tutto il materiale a disposizione, e possa essere eseguibile in una pluralità di laboratori, evitando, se non in casi eccezionali, il rilievo con tecniche sofisticate possibile in poche sedi specializzate. La certezza attiene principalmente all’ottenimento di dati analitici in cui non esista dubbio sull’analisi qualitativa. Il dato quantitativo deve essere ottenuto utilizzando uno standard interno (IS), che non sempre sia dato da una diluizione isotopica. Infatti, a volte, deve soddisfare una criteriologia valida nell’ambito di perizie e di consulenze a carattere giudiziario, in cui solitamente non si possono avere tempi tecnici utili per convalidare metodi con i parametri citati nelle linee guida, tendenti ad armonizzare l’ottenimento di dati analitici accurati e precisi. Va, per altro, ancora osservato che la matrice complessa da analizzare, biologica o non biologica,

varia da caso a caso creando evidenti difficoltà nell’allestimento di procedure di convalida ad ampio spettro; è comunque importante procedere con metodi che applicano procedure operative standard (SOP), che possano fornire dati affidabili e certi. L’introduzione della spettrometria di massa nei laboratori che si occupano di TA in ambito forense ha aperto nuovi scenari interpretativi e produttivi in ambiti applicativi molto vasti. In particolare la cromatografia liquida (LC) con detector di massamassa (LC/MS-MS), in grado di rilevare sostanze a livelli di sensibilità qualitativi e quantitativi notevolmente bassi, nell’ordine di 10 -12 g o picogrammi (pg) e con tempi di rilievo di pochi minuti, è uno strumento tecnicamente delicato ma robusto

e molto performante; tale tecnica, infatti, diventa sempre più utilizzata nella TA comportamentale e in tutte le analisi chimico-cliniche dedicate a parametri difficilmente ottenibili con analisi immunochimiche. È tuttavia indispensabile sviluppare protocolli di riferimento per un’applicazione sicura ed efficiente dei metodi e per l’interpretazione corretta dei risultati analitici, in particolare attraverso una collaborazione inter-laboratorio attiva e continuativa, che definisca anche una rete di riferimento per la produzione, in condizioni economicamente vantaggiose, di tali complessi profili. Tutto questo potrebbe essere facilitato se l’industria del settore della “diagnostica in vitro”, in collaborazione con i produttori di strumentazione, rendesse disponibili kits certificati, completi di calibratori, standard interni, campioni di controllo di qualità da utilizzarsi soprattutto in LC/MS-MS.

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TI RACCONTO “LA” STORIA: QUANDO LA MATERIA PARLA UTILIZZANDO LA VOCE DEL DIAGNOSTA DI ROBERTA GIACOMETTI Esperta di diagnostica e scienza e tecnologia applicate ai Beni Culturali Consigliere FNCF La storia della penisola italica è strettamente dipesa dalla posizione, geograficamente strategica, di cui godono lo Stivale e le Isole oggi di sua pertinenza politica. Nel cuore del Mar Mediterraneo, ideale spartiacque fisico tra vicino oriente e rotte occidentali, il territorio che oggi definiamo Italia è stato fin dall’antichità fulcro di attività commerciali, minerarie, manifatturiere e di scambi culturali tra le popolazioni che abitavano fin dai tempi più antichi il bacino del Mediterraneo. Sono così sorti nei secoli insediamenti in territorio italico da parte di tante e diverse civiltà anche non autoctone che effettuavano scambi regolari e condividevano le risorse del territorio con culture e popolazioni locali (come ad esempio i Veneti, i Sabini, i Sardi…). Così la presenza di colonie Fenicie o Puniche, o il caso degli stessi Etruschi dalle origini non ancora acclarate, o i villaggi Cimbri che portavano sempre più a valle i propri prodotti e insediamenti, ed in tempi successivi nell’attuale Romagna la presenza istituzionale bizantina che in epoca tardoantica fece di Ravenna una città preziosa e potente, costituivano spontanei centri di uno scambio che superava il mero commercio e le necessità vitali, e si apriva alla positiva e sinergica maturazione di idee condivise con le culture autoctone, all’apprendimento di diverse tecniche di lavorazione dei materiali, ad una sorta di particolare contaminatio di usi e costumi in certi luoghi più che in altri: tutti elementi fondamentali per far nascere e consentire lo sviluppo di una sensibilità e di un gusto artistico, urbanistico ed architettonico

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anche molto diverso da un’area ad un’altra della Penisola. Con un così variegato e ricco substrato culturale che nel corso dei secoli è andato incrementandosi ed arricchendosi sempre di più, sviluppandosi e declinandosi in più stili e in più forme, ci troviamo a vivere oggi in un’Italia che entro i propri confini nazionali custodisce la più diversa e ricca varietà e qualità di oggetti, mobili ed immobili, che ricadono nella definizione di “bene culturale” (ai sensi del D.Lgs. 42/2004, c.d. “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”, art. 2, comma 2). Tutto ciò sebbene siano state rilevate nel tempo importanti perdite di Patrimonio a causa delle attività di spoliazione in caso di conflitto bellico (vedasi ad esempio i casi emblematici delle spoglie artistiche tradotte a Venezia dal vicino oriente e dalle regioni Ellenica e Balcanica sotto la bandiera della Serenissima, ovvero le spoglie portate via dalla nostra Penisola come segno di trionfo e dominazione francese durante le Guerre Napoleoniche e conseguente occupazione), tanti e diversi esempi di collezionismo intellettuale, diffusissimi in particolare dal Rinascimento in poi presso le famiglie più abbienti, collezionismo che di fatto sanciva una “privatizzazione” ante litteram delle cose oggetto di interesse storico, artistico e culturale aventi valore di civiltà (vedasi l’istituto del fedecommesso nel Seicento) e comunque ampliate nel tempo anche in riferimento alla vivacità – mai del tutto sopita – del mercato delle antichità, o i tanti casi di demolizione e riuso di materiale di risulta per costruire nuovi e più imponenti manufatti. Si può quindi dire che viviamo in un Paese che nel tempo ha saputo, e ha prima ancora voluto, proteggere, conservare e tramandare l’essenza della propria identità e delle vicende storiche che lo hanno investito tramite degli oggetti materiali. Oggetti dunque capaci di narrare un denso e mai troppo ben conosciuto passato grazie alla loro matericità, alle loro decorazioni, alla loro originaria funzione, alla semiotica che esprimono quando opportunamente disposti, e al loro potere evocativo, esaltato dalla scelta di opportune tecniche artistiche o di stilemi precisi. Non solo i grandi capolavori dunque sono da intendersi opere d’arte o, come si è detto, “beni culturali”, anzi paradossalmente è dagli oggetti più semplici e di uso comune, o più replicati, che si possono ottenere informazioni molto importanti per ricostruirne storia, diffusione, destinazione d’uso ed altro. Sta dunque alle generazioni che vivono questo tempo portare il proprio contributo fattivo a questa grande e antica quanto costante opera di raccolta di materiali e informazioni per meglio comprendere la storia dei nostri usi e costumi; per poter studiare, oltreché apprezzare, il gusto estetico degli antichi popoli che abitavano questa florida lingua di terra protesa nel cuore del Mediterraneo IL CHIMICO ITALIANO

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e delle popolazioni che oggi siamo abituati a identificare come nazione italiana; per approfondire la conoscenza dei materiali impiegati per mettere a punto le più efficienti tecniche artistiche e finanche lo studio di oggetti d’uso quotidiano, con l’obiettivo duplice di alzare sempre di più l’asticella della conoscenza da parte dell’uomo in riferimento a se stesso e alla propria storia, e di tramandare alle generazioni future non solo le nozioni apprese ma anche i materiali originali, fonte inesauribile di informazioni accessibili sempre di più con il progresso tecnologico che stiamo vivendo. Su queste basi e con questi obiettivi espletano la propria attività professionale anche il Chimico e il Fisico Diagnosta, figure dai contorni molto ben delineati eppure ancora sconosciute ai più, che in realtà possiedono competenze certificate non solo strettamente scientifiche ma anche di respiro più ampio così da poter effettuare delle valutazioni di tipo qualitativo e quantitativo che possano essere tradotte con profitto e con approccio critico nel caso di studio, ossia nel manufatto da restaurare o da conservare. Tali profili sono stati riconosciuti dallo Stato come figure in possesso dei titoli e delle competenze richieste e previste per l’inserimento nell’Elenco degli Esperti di diagnostica e di scienza e tecnologia applicate ai beni culturali, Elenco permanente istituito nel 2019 e depositato presso il MiBACT, che oltre al conferimento del titolo di Esperto armonizza la posizione di tali Professionisti con i livelli di “European Qualifications Framework” (EQF) richiesti per esercitare attività professionale nei Paesi dell’UE. La Diagnostica su materiali antichi deve prevedere un attento studio dello stato di fatto dell’opera e del sito in cui essa si colloca, studio comprensivo della caratterizzazione dei prodotti di processi naturali di alterazione o degrado dei materiali presenti, ed è disciplina utile per individuare le più opportune condizioni e strategie microclimatiche, illuminotecniche, riferite alla sicurezza dell’opera e dei suoi fruitori, ed ambientali per una corretta conservazione e monitoraggio dell’oggetto e delle sostanze che lo costituiscono. È proprio il fine ultimo dell’attività di Diagnostica che conduce a riflettere su quanto siano fondamentali in questo comparto il dialogo e il confronto costruttivo tra diverse competenze, e quindi tra diverse professionalità: infatti le informazioni prodotte dal lavoro del Diagnosta vengono normalmente confrontate con elementi scaturiti dal lavoro di molte altre professioni, perfino con gli elementi di natura archivistico-documentale anche per verificarne la fedeltà e l’autenticità del contenuto. La storia recente è ricca di episodi in cui, nella fase di accertamento dello stato di fatto, le valutazioni del Chimico o Fisico

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Diagnosta hanno di fatto sconfessato dei pezzi o delle ipotesi di partenza in quanto falsi, tanto per citare una casistica eclatante dell’importanza della professione di Diagnosta. Ecco la ragione per cui una rete professionale quanto più multidisciplinare possibile nel comparto restauro e conservazione è oramai fondamentale per una piena conoscenza delle cose che costituiscono oggetto di tutela, oltreché per la promozione di assetti di studio virtuosi, inclusivi, capaci di produrre non solo informazioni specifiche ma anche di ripensare in maniera critica, anche nell’indirizzo della difesa della professione del Chimico e del Fisico Diagnosta ma soprattutto nell’interesse primario del manufatto oggetto di interesse, alle teorie e ai metodi sinora proposti o posti in essere per restaurare o conservare, così da diffondere e divulgare quanto emerso dal confronto. Si potranno offrire quindi alla collettività nuove visioni e prospettive per una azione di tutela e conservazione che vuole rivolgersi sempre più ai giovani, in quanto futuri Professionisti, ed in quanto destinatari della storia, del sapere, delle vicende che un materiale storico può e sa narrare di sé.


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I LIBRI DI CHIMICA DI RENATO SOMA Consigliere FNCF Da una lettura delle opere presenti presso la Biblioteca Teresiana e quella dell’Azienda Ospedaliera Poma, troviamo alcuni libri di chimica che tracciano il passaggio graduale dall’alchimia alla nascita della chimica moderna, anche se, come ha scritto Ferdinando Abbri, 1 spesso si è tentato di individuare un passaggio lineare dall’alchimia alla chimica, ma questo mutamento non è storicamente plausibile e non è confermato dalle fonti. La chimica, come scienza specifica, nasce alla fine del XVIII secolo con la rivoluzione di Antoine-Laurent Lavoisier. Prima dell’avvento della sua teoria, tecniche di tipo chimico si riscontrano in settori di ricerca che vanno dalla medicina alla storia naturale, dall’alchimia alla mineralogia. Legando l’alchimia alla medicina, Paracelso, aprì la strada ad una nuova disciplina la iatrochimica che rappresentò un momento di svolta rispetto alle tradizioni alchemiche medievali, infatti indirizzò le sue ricerche verso la distillazione e l’analisi dei minerali per la preparazione di rimedi farmaceutici. In sostanza la iatrochimica propose una nuova interpretazione del corpo sano e malato e doveva essere una disciplina in grado, attraverso la scomposizione e la ricomposizione di composti di produrre medicine efficaci. Una testimonianza la troviamo nell’opera Liber paramirum pubblicato a Strasburgo nel 1575, dove emerge il Paracelso alchimista, filosofo, medico e astrologo. Stimolata dalla diffusione della filosofia chimica di Paracelso, nel corso del Seicento si sviluppò una consistente produzione di testi a carattere chimicofarmaceutico, che favorì l’idea della chimica come arte analitica concreta e sperimentale al servizio della medicina, facendo maturare al tempo stesso le condizioni per un ingresso della disciplina all’interno delle facoltà mediche. Nel 1697 il tedesco Georg Stahl, professore di medicina all’Università di Halle espose in un lavoro sulla fermentazione, la sua teoria sulla materia ispirata alla chimica paracelsiana. Si rese conto che le proprietà meccaniche non erano in grado di spiegare la varietà e la composizione

delle sostanze, non negava la possibilità di una natura corpuscolare della materia, ma riteneva la sua esistenza di secondaria importanza per lo sviluppo delle conoscenze sulle proprietà chimiche dei corpi. Al contrario Stahl cercò di concentrare la sua attenzione su classi di fenomeni che potessero essere studiate in relazione all’unione fra l’analisi teorica e quella sperimentale. Egli propose l’impiego di un nuovo agente chimico denominato flogisto (infiammabile) in grado di spiegare i processi di combustione e di calcinazione. Secondo la sua teoria il flogisto abbandonava i corpi durante queste operazioni attraverso un processo di scomposizione. Questo schema teorico si scontrerà tuttavia con una difficoltà sperimentale, nel caso delle calci alla perdita del flogisto corrispondeva un aumento di peso. Nonostante le difficoltà le concezioni di Stahl, in merito al flogisto, conobbero una grande fortuna sin dagli inizi del Settecento non solo nell’area germanica ma anche in Francia e Gran Bretagna. Dal punto di vista ideologico Stahl presenta la chimica come un’arte utile per le attività produttive e degna perciò di essere sostenuta dal potere. In Francia esisteva da anni una forte tradizione di chimica medica e farmaceutica che trovò la sua ufficialità presso l’Academie Royale des Sciences di Parigi. La maggior parte dei trattati elementari di chimica erano scritti da autori francesi, in Germania erano d’ispirazione iatrochimica, si trattava di medici che esponevano l’utilizzo dei farmaci senza entrare nel merito della loro preparazione. Il Cours de chymie di Nicolas Lémery (1645-1715) edito nel 1675 fu opera di riferimento per tutto il XVII secolo, conobbe ben 13 edizioni e venne tradotto in diverse lingue. Lemery non si preoccupava molto degli aspetti teorici, considerava la chimica una scienza dimostrativa e si limitava ad esporre i fatti e le esperienze sul campo. L’opera contiene una breve parte teorica e una ampia parte pratica, costituita da ricette e resoconti di esperimenti volti alla preparazione di medicine. La parte teorica rivela che il Lemery fece propria una concezione meccanicistica della materia, particelle

Abbri, Un sapere antico, una scienza moderna: aspetti della storiografia chimica, La chimica nella scuola settembre 2007 - SCI - Roma

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di forme diverse sulla base dell’osservazione, dovevano spiegare le caratteristiche delle sostanze, ottenne un notevole successo e la sua cantina a Parigi in rue Galande era molto frequentata da persone più disparate, signori, borghesi, principi, studenti persino coquette, tutti attratti dal linguaggio semplice, chiaro, razionale, Lemery non nasconde nulla parla di chimica si riferisce sempre ad esperienze concrete certe volte anche spettacolarizzate, la chimica è arte applicata alla medicina. Sui principi o elementi la sua posizione rimane comunque estremamente sfumata e come Boyle preferisce affidarsi all’esperienza. Dichiara infatti che “il principio del nome non dovrebbe essere preso nella chimica in modo preciso, poiché le sostanze così chiamate sono solo principi al nostro rispetto e in quanto non possiamo andare in fondo nella divisione di questi corpi, ma è ben capito che questi principi sono divisibili in una infinità di parti, che più giustamente, potrebbero essere chiamati principi e non intendiamo con principi di chimica solo sostanze che sono separate e divise per quanto i nostri sforzi sono capaci di fare”. Nel corso del settecento le idee di Stahl in chimica e in medicina sono dominanti presso gli stati tedeschi, diversi però furono i chimici che pubblicarono scritti utilizzando il concetto del flogisto ma modificandone l’originaria concezione di Stahl come Jean Baptist Senac (1693-1770) nel suo nuovo corso di chimica nel 1727, o del russo Vasilievic Lomonosov (1711-1765) nel 1747 con Gli elementi chimici e matematici, che utilizza il concetto di flogisto

come principio di combustione, ma rimane fedele al meccanismo. Verso la seconda metà del XVIII secolo divennero sempre più chiare le contraddizioni e l’insufficienza della teoria del flogisto. In particolare te furono i fatti che ne evidenziarono la scarsa consistenza, la scoperta sulla natura dell’aria atmosferica e l’isolamento dell’ossigeno da parte di Priestley (17331804), nonché la scoperta fatta da Henry Cavendish (1731-1810) nel 1784 che l’acqua è un composto ed i suoi composti sono l’ossigeno e l’idrogeno. Joseph Priestley presentò nel 1772 il documento sui diversi tipi di aria, alla Royal Society e due anni dopo la prima edizione di “Experiments and observations on different kinds of air” ampliando la conoscenza delle proprietà chimiche dei gas. Cavendish invece raccolse le sue osservazioni in tre documenti “contenenti esperimenti sull’aria fittizia”, queste carte aggiunsero considerazioni importanti alla conoscenza della formazione di aria infiammabile (idrogeno) mediante l’azione di acidi diluiti sui metalli. Il primo a capire il significato di questi fatti fu Antoine Lavoisier (1743-1794), e a lui ne dobbiamo la vera interpretazione, infatti rifece gli esperimenti di Priestley e Cavendish sull’aria infiammabile, che poi rinomerà idrogeno, scoprendo così che quella rugiada che si forma unendo quest’ultimo all’ossigeno altro non è che acqua. Con ragionamenti e sperimentazioni dimostrò in modo definitivo come tutti gli ordinari fenomeni di combustione erano altrettanti casi di combinazione dell’ossigeno dell’aria con la sostanza combustibile. A Lavoisier dobbiamo

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soprattutto il riconoscimento del principio alla base della scienza chimica “il principio della conservazione della materia”. Il suo ragionamento era così valido e l’evidenza dei suoi esperimenti così chiara che da subito in Francia un piccolo gruppo di chimici si mise all’opera per rimodellare il sistema della chimica e rivederne la nomenclatura. Anche in Italia ci furono seguaci di queste nuove teorie e contribuirono a diffonderle, tra questi Vincenzo Dandolo (1758-1819). Egli mostrò subito un vivo interesse per il dibattito sulla nuova chimica francese che si era aperto a Venezia a partire dal 1785, quando iniziarono a comparire i primi testi sulla composizione dell’acqua. Non sappiamo come e quando Dandolo conobbe Lavoisier ed il mondo degli “ideologues”, è probabile che lo sia stato lo stesso Lavoisier a contattarlo per diffondere in Italia le sue dottrine, inviandogli nel 1791 il “Traitè èlèmentaire de Chimie” per la traduzione. Nel 1971 Vincenzo Dandolo pubblicò a Venezia il trattato, in esso l’autore contestava la teoria del flogisto inaugurando un nuovo metodo per classificare i fenomeni naturali. La seconda edizione del trattato di Lavoisier del 1792 era correlata da numerose e personali note in cui Dandolo esponeva le sue opinioni, appoggiava completamente il nuovo linguaggio, ma al di là delle teorie, della nuova nomenclatura, dell’ossigeno e dell’idrogeno, quello che più lo colpiva era il messaggio rivoluzionario di Lavoisier. Altri si avvicinarono al pensiero di Lavoisier come Giuseppe Gazzeri (1771-1847) a Firenze che si occupava di chimica agraria, Lino Morichini (1773-1836) a Roma scopritore del fluoro nei denti, Carlo Barletti (17351800) e Lazzaro Spallanzani (1729-1799) a Pavia a differenza di Valentino Brugnatelli che con Volta erano scettici. Scriveva infatti a difesa di Lavoisier padre Barletti “sono pur faceti alcuni che s’affannano a cercare i n Lancisi o in altri prima di Lavoisier l’origine di quella singolare scoperta (riferita alla composizione dell’acqua) ma le scoperte non sono del primo che le dice ma di chi le dimostra con precisione”. A conferma dell’atteggiamento dello Spallanzani abbiamo una lettera scritta nel ’91 a Lavoisier in cui diceva. “A riserva di Don Alessandro Volta, quegli che ha scritto sull’aria infiammabile delle paludi, le dirò che la di lei nuova nomenclatura in Chimica e in Fisica è universalmente abbracciata dalla nostra Università”. Valentino Brugnatelli (1761-1818), amico di Alessandro Volta, espresse le sue perplessità sulle nuove teorie nel suo “Trattato elementare di Chimica generale tomo1” ricorda a pagina 252 del capitolo IV sulla teoria di Lavoisier che nel “1774 Lavoisier si trovò finalmente in situazione di rovesciare la teoria Staliana, con una serie di filosofiche ricerche e di esperimenti”, ma nel capitolo successivo però dice di avere riscontrato alcuni difetti “malgrado la forza degli argomenti coi quali si era esposta la bella teoria Lavoisiana e la solidità dei molteplici esperimenti ai quali essi si appoggiava, io ho creduto opportuno di fare osservare nel 1798 che questa teoria non dava ragione di quelle combustioni, ove i combustibili potevano fissare in quantità notabile la base dell’aria pura senza sviluppo di termico né di luce come avviene per il gas nitroso nell’aria atmosferica”. Ci volle del tempo prima che il mondo scientifico nella sua interezza fosse propenso a sposare le teorie di Lavoisier che alla lunga furono vincenti e dettero inizio ad un nuovo corso quello della chimica moderna.

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LA CHIMICA HA TUTTI GLI ELEMENTI PER ESSERE CAPITA La chimica ha tutti gli elementi per essere capita, è una raccolta di notizie sui 118 elementi che ad oggi sono presenti nella tavola periodica, ideata orami 101 anni dal chimico russo Dmitrij Ivanovič Mendeleev. Le notizie sugli elementi sono precedute da una introduzione su alcuni concetti chiave della chimica come la struttura atomica, l’elettronegatività, l’energia di prima ionizzazione, la struttura elettronica, e dei cenni sulla chimica nucleare, senza i quali gli ultimi sviluppi sulla creazione dei nuovi elementi possono risultare meno comprensibili. Nella parte finale del libro sono invece riportare alcune tavole periodiche alternative, create in parte per diletto, in parte con lo scopo di mettere in evidenza alcune peculiarità della periodicità chimica che magari in futuro potrebbero essere prese a modello per mettere in evidenza qualche altra particolarità sostituendo quella che oggi conosciamo.

I PROFESSIONISTI CHIMICI Hanno detto: “Il paziente, approfondito e preciso lavoro di Renato Soma mette a disposizione del lettore un quadro completo delle attività degli Ordini dei Chimici, dal loro apparire e lungo quasi un secolo di vita italiana, in una complessità di rapporti con le vicende istituzionali, politiche ed economiche del Paese. Ci presenta una puntuale rassegna cronologica dei fatti, una galleria di figure protagoniste, una diligente trascrizione di documenti, tutto raccolto e ordinato con la competenza di chi ha vissuto la propria vita professionale militando nella chimica.” Giuseppe Armocida “Questo testo per la prima volta rende merito, evidenzia e riassume in un unico volume la storia, l’impegno, l’attività, la laboriosità e la professione dei Chimici in questo secolo. Negli ultimi 90 anni molte cose sono cambiate, ma non la capacità della chimica di innovarsi e reinventare sé stessa. Sono stati passi importanti portati avanti dai Chimici scienziati, ricercatori, professionisti, imprese. Questo volume pone una riflessione sul cammino svolto sino ad ora, sulle battaglie intraprese, e sui traguardi raggiunti per la tutela della professione.” Nausicaa Orlandi

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L’EREDITÀ POSITIVA DEL COVID-19: VITA E LAVORO AGILI LUCA SCANAVINI www.lscanavini.it Sono un ex-dirigente del Petrolchimico di Ferrara, Chimico credente ma non più praticante. Oggi mi occupo di Persone in senso lato come formatore, coach, mentore. In generale fornisco supporto per progetti di organizzazione aziendale in ambito del nuovo equilibrio vita e lavoro. Scarico a terra la mia esperienza in una multinazionale. Veniamo al mio libro/bigino. Sembra assurdo, dopo tutto quello che abbiamo visto, pensare che il COVID-19 lascerà una eredità positiva. Trascorso il periodo di paura, fibrillazioni e pause forzate, abbiamo bisogno di tornare a giocare da protagonisti con un nuovo mazzo di carte. Abbiamo imparato molto da questa esperienza. D’un tratto abbiamo scoperto di essere fragili, vulnerabili, difettosi. Il COVID-19 ha fatto collassare il sistema socio-economico nell’arco di 100 giorni, dimostrando la nostra vulnerabilità totale. Il mondo V.U.C.A. (volatile, incerto, complesso, ambiguo) è una teoria creata dalla scuola di guerra americana per descrivere certi teatri di battaglia, rappresenta lo stato attuale. Abbiamo imparato a gestire un cambiamento, ovvero a sviluppare una cultura ed un ambiente stimolante per nuovi modelli di vita. Il tempo ha assunto una dimensione diversa: è nata la paura improvvisa del Tempo Libero, di cui lamentavamo sempre carenza. Una delle maggiori frustrazioni, di chi si impegna nel proprio lavoro, è la mancanza di Tempo e la sensazione di essere in affanno. Il Tempo è la materia prima di cui è fatta la tua vita, una risorsa preziosa da usare con parsimonia, in modo attento e consapevole. Se lo sprechi, finisce in fretta! Dopo il COVID-19: è stata (s)travolta la concezione lineare del tempo e dello spazio. Lo smart working o “lavoro agile”, diventato ufficiale in Italia con la legge 81/2017, significa svolgere la propria attività in funzione di obiettivi condivisi, con una maggiore flessibilità ed autonomia nella scelta degli spazi di lavoro, degli strumenti e degli orari. Nel 2020 arriva il cigno nero (COVID-19). L’emergenza ha costretto buona parte dei lavoratori a passare tutti rapidamente in “smart working”, ma questo è stato un “home working”, che può reggere in una emergenza, ma non a lungo termine. Ora nella seconda fase della pandemia sono tutti concordi su questo punto, ovvero che va rivisto. Innegabili sono i vantaggi: riduzione degli uffici e spazi di lavoro, riduzione del tempo casa-ufficio e ritorno, con conseguente recupero di tempo per la propria vita e con un forte contributo all’ambiente (Agenda 2030). In conclusione lo smart working non è né buono, né cattivo, ma è una opportunità. Ovvero cambierà il modello: lavoro normalmente da casa, comodo e rilassato e vado in azienda solo quando ho bisogno di co-presenza. Un nodo dello smart working che andrà affrontato con appositi contratti, è il diritto di disconnessione, che sarà declinato a seconda della funzione in azienda. Ho detto che sono attento alle Persone e nel mio “bigino” emerge la visione della Persona motore della struttura fluida, ovvero ombelico del mondo anche nel futuro. Il capitale umano sarà ancora tra i beni fondamentali per l’impresa stessa, in un mix inscindibile tra Individuo e Intelligenza Artificiale. La Persona dovrà essere parte integrante dell’azienda, da vivere con una sentita partecipazione e non con passiva obbedienza: vietato il ”wait & see”. Il futuro sarà pertanto uno … SMART LIVING perché i giovani dopo il lavoro chiedono questo. Ci sarà una radicale metamorfosi degli uffici, senza cancellarne la fisicità. Abbiamo bisogno di modelli culturali, educativi e formativi, permeati di umiltà e di sana integrazione. Bisogna trasformare i fattori di stress, le crisi e i conflitti in soluzioni nuove e sostenibili, superando le barriere e gli ostacoli per superare la propria “comfort zone”. Serve riflettere sull’inutile che ci portiamo, come zavorra consolidata, per abbracciare nuove zone da scoprire. Tutto questo avviene solo con un sano ottimismo, risorsa utile nella realtà economica, sociale e umana del nostro tempo, per raggiungere l’obiettivo di un domani sostenibile per l’impresa e la comunità.

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Ordini Territoriali ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI POTENZA Presidente: Raffaele Gianessi Segretario: Vita Pace Tesoriere: Pietro Fedeli Consiglieri: Margherita De Bonis Fiorella Messina Antonio Santagata Donatella Possidente ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI MATERA Presidente: Achille Palma Vicepresidente e Segretario: Giuseppe Anzilotta Tesoriere: Giuseppe Novario Consiglieri: Vincenzo Bianco Pietro De Lucia Pierpaolo Capece ORDINE REGIONALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DELLA CALABRIA Presidente: Alessandro Teatino Segretario: Maria Caterina Gallucci Tesoriere: Fernando Delfino Consiglieri: Gregorio Barbieri Francesco Gionfriddo Gerardo Greco Antonio Luvarà Davide Melchionna Amalia Urso ORDINE REGIONALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DELLA CAMPANIA Presidente: Rossella Fasulo Vice Presidente: Martino Di Serio Segretario: Francesco Vigilante Tesoriere: Maurizio Guida Consiglieri: Monica Biglietto Giuseppe Campitiello Pietro Mainolfi Maria Mandato Marco Penta

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ORDINE INTERREGIONALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DELL’EMILIA ROMAGNA Presidente: Raffaella Raffaelli Vicepresidente: Luca Scanavini Segretario: Raffaella Spisani Tesoriere: Licia Rubbi Consiglieri: Massimiliano Livi Massimo Farnè Sonia Dall’Ara Beatrice Montanari Filippo Busi ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI MODENA Presidente: Loretta Barbieri Segretario: Roberto Bassissi Tesoriere: Daniele Baraldi Consiglieri: Carlo Baschieri Elisabetta Boccaletti Alberto Del Rio Sandra Lazzari Claudia Zucchi Andrea Pongolini ORDINE INTERPROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI PARMA E PIACENZA Presidente: Claudio Mucchino Segretario: Diana Poli Tesoriere: Nicola Buratti Consiglieri: Barbara Bricoli Gianni Galaverna ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI REGGIO EMILIA Presidente: Gerardo Palla Segretario: Simone Marchetti Tesoriere: Massimo Bellesia Consiglieri: Paola Ambrogi Daniela Sassi ORDINE REGIONALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DEL FRIULI VENEZIA GIULIA Presidente: Pierluigi Barbieri Segretario: Sara Carmela Briguglio Tesoriere: Erica Fogal Consiglieri: Marco Bellini Sergio Cozzutto Anna Lutman Stefano Pastrello Marta Plazzotta Alberto Spessotto


ORDINE INTERREGIONALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DEL LAZIO, UMBRIA, ABRUZZO E MOLISE Presidente: Fabrizio Martinelli Vicepresidente: Patrizia Verduchi Segretario: Daniela Stangalini Tesoriere: Claudia Barreca Consiglieri: Giorgio Grimani Luca Taglieri Serena Mattiello Fabio Caporale Rosa Draisci ORDINE INTERPROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DELLA LIGURIA Presidente: Alessandro Girelli Segretario: Patrizia Montenovi Tesoriere: Goffredo Ferelli Consiglieri: Valentina Caratto Monica Ferretto Giulia Moretti Giuseppe Tonello Roberto Utzeri Elisa Carpaneto ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI LA SPEZIA Presidente: Marco Filippelli Segretario: Lorenzo Rolla Tesoriere: Nedo Campigli Consiglieri: Carlo Bertone Sigfrido Cannarsa Marco Coquio Barbara Vivaldi ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI BERGAMO Presidente: Luigi Milesi Segretario: Raffaella Gibellini Tesoriere: Giancarlo Andreoletti Consiglieri: Simone Pellegrini Cristina Piccinelli Daniele Zamboni Matteo Sette

ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI CREMONA Presidente: Fabio Denicoli Segretario: Sara Ardigò Tesoriere: Adriano Telò Consiglieri: Massimo Crotesi Adriano Amedeo Isernia Franco Mazzini Curzio Merlo ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI BRESCIA Presidente: Alessandro Francesconi Segretario: Marco Bertelli Tesoriere: Mirko Osellame Consiglieri: Vitantonio Balacco Paolo Bossini Paolo Damioli Chiara Lanzini Nicola Macchione Luca Suriano ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI MANTOVA Presidente: Simone Tosetti Segretario: Nicola Vecchini Tesoriere: Mauro Grandi Consiglieri: Francesca Burato Renato Gaetti Ernesto Santariello Armando Vicari ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI PAVIA Presidente: Daniele Nebbia Segretario: Paolo Maria Micheli Tesoriere: Rosalba Grassi Consiglieri: Marco Bascapè Sebastiano Corazza Simona De Gregori Simone Lazzaroni Lorenzo Maggi Domenico Marchesini

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ORDINE INTERPROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DELLA LOMBARDIA Presidente: Luigi Pozzi Segretario: Salvatore Balsamà Tesoriere: Paolo Giovanni Viola Consiglieri: Paolo Bogarelli Piero Di Stefano Santo Palmieri Giovanni Saracino Fatima Zuhra Msiyah ORDINE REGIONALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DELLE MARCHE Presidente: Riccardo Sinigallia Vicepresidente: Paola Ranzuglia Segretario: Donato D’Elia Tesoriere: Raffaele Macerata Consiglieri: Cristina Baldini Antonio Cettineo Manuela Cortese Giovanni Giulietti Alberto Pagnetti ORDINE INTERREGIONALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DEL PIEMONTE E VALLE D’AOSTA Presidente: Renato Alberto Tomasso Vicepresidente: Anna Albina Sampò Segretario: Antonietta Mastrone Tesoriere: Paolo Branca Consiglieri: Giovanni Dacomo Marco Ginepro Antonello Nonnato Andrea Pich Michele Santovito Alessandro Tosa Davide Tiraboschi ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI BARI Presidente: Apollonia Amorisco Segretario: Angela Sgaramella Tesoriere: Pietro Robert Consiglieri: Ruggero Angelico Nicodemo Pagone Lorenzo Colaianni Tiziana Biunno Serafina Cotrone Francesca Zella

ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI FOGGIA Presidente: Giovanni Miucci Vicepresidente: Vincenzo Catenazzo Segretario: Oto Miedico Tesoriere: Maria Campaniello Consiglieri: Francesco Santamaria Maria Immacolata Gorgoglione Rita Gambino ORDINE INTERPROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI LECCE E BRINDISI Presidente: Filippo Sturdà Segretario: Antonio Pennetta Tesoriere: Filippo Selleri Consiglieri: Antonella Ciardo Stefano Mazzotta Manuele Murri Vittorio Rampino Filippo Selleri ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI TARANTO Presidente: Marco De Giorgi Segretario: Adele Dell’Erba Tesoriere: Alessandro Bertocci Consiglieri: Sara Aprea Giovanni Pergolese Renzo Tomassini ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI SASSARI Presidente: Stefano Giuseppe Mascia Vicepresidente: Salvatore Crobu Segretario: Daniele Urgeghe Tesoriere: Vincenzo Brundu Consiglieri: Lidia Alicicco Giuseppe Caria Carlo Piga ORDINE INTERPROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI CAGLIARI, NUORO E ORISTANO Presidente: Raffaele Congiu Segretario: Franca Farina Tesoriere: Gianluca Pettinau Consiglieri: Gianluca Vargiu Gianluca Poma Valeria Marina Nurchi Alessandro Loi Nicola Cuboni Stefano Piga

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ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI MESSINA Presidente: Rosario Saccà Segretario: Giovanni Toscano Tesoriere: Santo Di Pietro Consiglieri: Ileana Arrigo Emanuele Alongi Giuseppina D’amico Giovanni Rizzo Letteria Settineri Giacomo Ansaldo ORDINE INTERPROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI CATANIA E RAGUSA Presidente: Gaetano Valastro Vicepresidente: Alessandro Giuffrida Segretario: Daniela Di Grazia Tesoriere: Guido Bellia Consiglieri: Rosario Contarino Andrea Imbrogiano Bruno Catara Salvatore Gentile Paolo Maria Riccobene ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI SIRACUSA Presidente: Giuseppe Tringali Vicepresidente: Sebastiano Garofalo Segretario: Giovanna Di Mauro Tesoriere: Stanislao Lanzafame Consiglieri: Rosario Dell’Arte Patrizia Fonte Giuseppe Stella ORDINE INTERPROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DELLA SICILIA Presidente: Vincenzo Nicolì Vicepresidente: Salvatore Giuliano Segretario: Salvatore Campanella Tesoriere: Antonino Maida Consiglieri: Stella Bastone Dario Gallotta Luigi Librici Andrea Macaluso Giovanni Maniscalco

ORDINE REGIONALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DELLA TOSCANA Presidente: Francesca Piccioli Segretario: Tania Martellini Tesoriere: Patrizio Gracci Consiglieri: Lorenzo Catani Anna Cozzolino Patrizio Nuti Anna Maria Papini Andrea Perico Marco Rocchi Simone Romoli Federica Alberigi ORDINE REGIONALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DEL TRENTINO ALTO ADIGE Presidente: Karl Mair Vicepresidente e Segretario: Gianumberto Giurin Tesoriere: Silvia Boschetti Consiglieri: Gino Bentivoglio Gian Nicola Berti Fabrizio Dematté ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI TREVISO Presidente: Andrea Volpato Segretario: Enerida Gurabardhi Tesoriere: Loretta Camerotto Consiglieri: Francesco Albrizio Stefano Donatello Paolo Isandelli Alessandro Manera Fabrizio Michelini Carlo Giovanni Moretto ORDINE PROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DI VENEZIA Presidente: Matilde Brandolisio Vicepresidente: Doriana Visentin Segretario: Federica Vazzola Tesoriere: Gianluca Saoner Consiglieri: Riccardo Castellani Valerio Causin Stefano Ranzato Zeno Morabito Davide Bernardi ORDINE INTERPROVINCIALE DEI CHIMICI E DEI FISICI DEL VENETO Presidente: Elena Alberton Vicepresidente: Paolo Bendazzoli Segretario: Carla Mastella Tesoriere: Giorgio Romanello Consiglieri: Pierpaolo Orlandi Lauro Benedetto Pavanello Marcello Volpe Roberto Orti IL CHIMICO ITALIANO

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