il Borghese - 2012 - n. 07 (luglio)

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Luglio 2012

IL MEGLIO DEL BORGHESE

Per un’Italia che non li meritava di LIBERO ITALIANO QUANDO gli hanno chiesto «perché è stato ucciso Giovanni Falcone?», il Capo della Polizia, una delle poche persone serie in circolazione in questo Paese, ha risposto con queste parole: «Per fermare l’uomo che poteva guidare la Superprocura. Per vendicarsi dei successi che aveva ottenuto contro la Piovra. Per intimidire il Paese». Tradotta in parole povere, questa risposta ha un significato preciso: Giovanni Falcone è stato ucciso perché, da magistrato, stava attuando la strategia del Governo Andreotti contro la criminalità organizzata. Dunque, non è vero che questo Governo è complice dei criminali, come dice la Sinistra, ma è vero il contrario: esso combatte questa piaga della nostra società nazionale, nella sola maniera possibile. Tanto è vero che, nel giro di poco tempo, i criminali hanno prima tentato di intimidire il Presidente del Consiglio, uccidendo in Sicilia Salvo Lima, capo della corrente andreottiana; poi sono passati ad assassinare direttamente l’uomo che, se non fosse morto, di lì a pochi giorni sarebbe divenuto il capo della Superprocura. Ma la mafia, il crimine organizzato, i trafficanti di droga, non sono i soli nemici da battere. Forse più difficile è riuscire a sormontare le opposizioni parlamentari. Lo ha sottolineato Giulio Andreotti a Montecitorio il 25 maggio scorso, rispondendo alle interrogazioni sull’assassinio di Falcone: «Non posso non ricordare che alla conversione in legge del decreto -legge sulla cosiddetta Superprocura, disegnata proprio a partire dalle esperienze palermitane di Falcone e dei suoi colleghi del “pool antimafia”, si pervenne con difficoltà tant’è che il Governo fu costretto a ricorrere al voto di fiducia... Purtroppo, quando siamo sotto l’emozione dei crimini della mafia, unanime è la spinta per mezzi più energici di lotta, senza uscire mai, ovviamente, dalla legalità. Ma dinanzi alle proposte concrete non sempre si mantiene lo stesso rigore e la necessaria coerente fermezza. Non posso dimenticare infatti che l’accoglienza a dir poco perplessa che l’Associazione Nazionale Magistrati riservò al progetto della cosiddetta Superprocura, creò momenti di grande ed ingiustificata tensione istituzionale, e si acuì proprio quando Giovanni Falcone presentò domanda per l’incarico di Procuratore Nazionale Antimafia... «...Nella dolorosa gravità dell’ora che attraversiamo, è significativa la lettura che Giovanni Falcone, in una conversazione con il corrispondente palermitano dell’ANSA, aveva dato di alcuni dei più recenti episodi della violenza mafiosa. Il suo impegno nella lotta alla criminalità organizzata lo portava a valutare nella giusta luce la complessa strumentazione normativa e funzionale alla cui realizzazione egli aveva attivamente contribuito, ma anche a prevedere che il rafforzamento dell’azione di contrasto messa in essere da parte dello Stato non avrebbe mancato di produrre la feroce reazione di un potere mafioso che si sente marcato sempre più strettamente. Anche se non era certo uomo da cedere alla paura, non poteva sfuggire a Giovanni Falcone il filo che legava misure radicali, quali quelle che avevano impedito

prima la scarcerazione dei boss per la scadenza dei termini e che, quando ciò era accaduto. li avevano riportati in carcere nel giro di ventiquattro ore, con la ripresa della ”attenzione” della mafia verso bersagli particolarmente significativi. In questo quadro, lo stesso assassinio dell’onorevole Lima appariva a Giovanni Falcone, sono sue parole, un delitto “logico”, dopo il quale erano da attendersi ulteriori reazioni da parte di un’organizzazione che (e cito) “se non vuole perdere potere e prestigio, deve dimostrare di essere ancora la più forte”». In confronto a queste parole, così scarne e precise, di Giulio Andreotti e del Capo della Polizia, Parisi, appare ancora più incredibile la serie di buffonate che si sono registrate dopo la strage di Palermo. Nella foga dell’informazionespettacolo, si è parlato all’inizio addirittura di mille chili di tritolo, e si è andati avanti, sui giornali, alla radio e alla tivù, ripetendo per quarantotto ore questa balla: evidentemente, nelle redazioni non c’è persona capace di rendersi conto di quel che significhi trasportare e nascondere in un cunicolo sotto l’autostrada una tonnellata di esplosivo. Poi si è detto che Falcone era stato ucciso perché da Roma una «talpa» annidata nelle strutture dello Stato aveva segnalato il suo arrivo a Palermo: e anche qui è intervenuto il prefetto Parisi dicendo: «Non credo alla tesi della “talpa”. L’aereo era protetto. Del resto, c’era una certa abitudinarietà negli spostamenti del giudice Falcone: il fine settimana veniva sempre a Palermo, il problema era se tornasse il venerdì o il sabato. Chi ha fatto l’attentato sapevano quali erano le scorte e bastava controllare quando si muovevano. In realtà è stato più facile di quanto si immagini». Ma la ricerca del sensazionale non era finita, e così è nata anche la leggenda dell’esplosivo azionato a distanza, da bordo di un aereo da turismo, «un misterioso Piper sui cieli di Capaci al momento dell’esplosione», scriveva l’Unità. Anche questa, una favola smentita. Per non parlare delle farneticazioni di Leoluca Orlando, il quale ha continuato a ripetere che «l’assassinio di Falcone, della moglie e degli uomini della scorta ha tutti i tratti carat-

GIOVANNI FALCONE


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