“Questa terra” / Luca Ottolenghi

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se fossi atterrato da una navicella spaziale. Il tempo sembrò fermarsi. Qualcuno tossì, qualcun altro scatarrò. ‘Vecchi di merda, cos’avevano da guardare?’. Ma avevo cose più importanti a cui badare. La birra, per esempio. Il mio regno per una media ghiacciata! Dietro il bancone, una ragazza sui venticinque anni asciugava e riordinava dei bicchieri. Aveva un’aria seria, quasi corrucciata. “Dimmi” bofonchiò, senza neanche guardarmi. Era l’unica che non sembrava stupita dalla mia presenza. Ordinai una birra e la studiai. Era robusta tendente al grasso, il seno premeva contro il grembiule in un’abbondanza di carne da stordire. Anche il viso era paffuto, ma liscio e dai lineamenti morbidi. Si accorse subito del mio interesse, e di scatto mi voltai verso la sala dove tornò a regnare la bisboccia; i tavoli erano ingombri di bicchieri di rosso e posacenere stracolmi di sigarette; qua e là scoppiava pure qualche piccola rissa tra giocatori di carte. Erano dei buoni diavoli, in fondo. Pagai una Moretti da 66 e uscii, tutto quel fumo mi stava tentando. Mi strofinai la bottiglia sulle guance e ne scolai un quarto con un sorso. Andai a sedermi vicino ai vecchietti ai lati della piazza. Le loro mani nodose impugnavano bastoni di legno. Erano tutti uguali nei loro pantaloni di velluto, negli scarponi e nelle camicie a quadri. La loro immobilità da stoccafissi mi innervosiva. Neanche il 20


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