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Periodico di cultura, ambiente e informazione

MARE

San Teodoro - Settembre/Ottobre 2015 distribuzione gratuita

Concerti sotto le stelle Lo spunto per queste brevi considerazioni mi viene - questa volta - da un’osservazione personalmente rivoltami da un amico, lettore del nostro mensile che, appassionato frequentatore dei concerti organizzati dall’Associazione diretta da Antonietta Dinardo, non condivide la scelta di trasferirli in Piazzetta Mediterraneo. “Come è possibile seguire in religioso silenzio le performances di musicisti di grande talento fra bancarelle, telefonini che squillano e chiacchere di passaggio?” - è il succo delle dimostranze del nostro amico. Non è certo mia intenzione spezzare una lancia a favore di questa o di quella scelta. Desidero solo esporre alcuni dati, oggettivamente incontrovertibili, per “giustificare” quello spostamento. In uno degli ultimi concerti al “Cupolone”, le presenze (contate dal sottoscritto) raggiungevano a mala pena la dozzina. Dodici, attentissimi spettatori ad ascoltare Mariano Meloni che ripercorreva sulla tastiera, con la sua abituale maestria, la storia di uno dei più prestigiosi ed acclamati compositori moderni: Francis Poulenc. Dodici persone, in una sala che ne può contenere quasi duecento... E a risalire all’indietro, in un’estate teodorina di concerti di grande valenza artistica, il Teatro comunale ha fatto registrare presenze talmente ridotte da indurre saggiamente il Comune a spostare all’aperto le esibizioni a causa dell’elevato costo di gestione della serata in Teatro. Con le dovute eccezioni, s’intente, per quei concerti che richiedono l’utilizzo del pianoforte a coda, decisamente intrasportabile. (Per inciso: l’architetto Oggiano interpreta molto attivamente il suo ruolo di neo assessore alla cultura: l’abbiamo visto dare una mano agli organizzatori di una serata in Piazzetta Mediterraneo collocando sedie e sgabelli...) Mancherà certo la sacralità del Teatro ma i concertisti riusciranno finalmente ad esibirsi ad una platea degna del loro talento. Mario Stratta

SOMMARIO: Nomi e Luoghi. Toponomastica al tempo del turismo; Si naviga a vista verso il porto turistico; Parco Nazionale dell’Asinara; La frase più pericolosa in assoluto è: “Abbiamo sempre fatto cosi”; Soggiorno degli anziani ...; Il gioco delle carte; Teresa nel giardino dei corbezzoli; Via Di La Silvaredda; Un giorno al bar centrale da Tonino Fara; Detti popolari galluresi; Le rotatorie del sorriso; La vita soprattutto; Sport in Gallura.

Cavalli al guado, olio su tela, 50x70, 2013 Salvatore Brandanu

Effemeridi «Chisti dì a Bastiana nu la pòni cumbattà. Da candu ha intésu a la tivvù chi chissa culimanna di la Merckel è fendi dieta, mente iddha s’è posta in capu d’alliciricassi. Abàli vó fa’ la tedesca, no cucina più, vó dimagrì. E siccomu a la sóla no l’abbasta l’animu, ha postu a dieta mente lu maritu e lu jattu. Stevanèddhu, lu còlciu, è disperatu, sinn’è murendi rittu di la fami: è una chita a cea, almuraccia buddhitta e lattuca cruda; lu jattu, pòara resa, è sémpri a smiauli illa janna dimandendi di magnà…» «Eh, cummà, chi v’àgghiu dittu? Li tadeschi so’ la ruina nostra. La cancilliera Merkel si chjama Angela ma è un dimòniu, è fèndi dieta pa’ magnassi dapói a mossi manni tutti noi e l’Europa. Sapéti cosa ha dittu l’alta dì a la stampa?...» «No, cummà… cos’arà mai dittu?...» «Ha dittu chi intantu li capizzoni di l’Ue li dizzìdi iddha; li dinà li tèni la Germania; Renzi, Hollande è l’alti dimandunéddhi no còntani nuddha. Cassà cosa sarà pinsendi Napulitanu…» Se poi poniamo mente a quel che accade in casa Volkswagen il gioco è fatto!

I primi cento giorni da Sindaco Siamo arrivati ai primi quattro mesi di amministrazione e vorrei fare un primo bilancio generale. Sono stati mesi estremamente difficili, affrontati nel periodo estivo, un periodo in cui si susseguono costantemente emergenze di ogni tipo, criticità che il sistema San Teodoro non può reggere in maniera soddisfacente. Ha retto comunque in maniera ammirevole la squadra di nuovi amministratori che collaborano con me quotidianamente con entusiasmo e spirito di sacrificio. A loro va sicuramente il mio apprezzamento per come hanno interpretato il compito di governare al fianco del Sindaco e della popolazione. Un ringraziamento va fatto ai dipendenti comunali per la loro collaborazione e competenza nel risolvere problemi di ogni genere. La prima cosa che vorrei sottolineare è la situazione drammatica in cui si trova il sistema idrico e il sistema depurativo del nostro Comune gestiti in maniera assolutamente insufficiente da Abbanoa. Solo la nostra continua sorveglianza, le nostre segnalazioni ai più alti livelli hanno consentito che le cose non precipitassero nel baratro. Abbiamo attivato una distribuzione dell’acqua potabile con autobotti comunali che in parte hanno tamponato le emergenze più gravi; abbiamo utilizzato degli auto spurgo privati per eliminare nella maniera più veloce liquami a cielo aperto nelle strade del centro. Tutto questo è inaccettabile e stiamo programmando interventi risolutivi per il prossimo anno. Abbiamo affrontato in questo breve periodo delle emergenze gravissime: due incendi dolosi nel mese di agosto che a detta del Prefetto abbiamo gestito in maniera esemplare nonostante questo Comune non abbia mai attivato un sistema di protezione civile previsto dalle normative nazionali. Circa sessanta ettari di terreno sono andati in fumo con danni a qualche struttura agricola, ma senza alcun pericolo per le zone abitate e per le persone. Alcuni giorni fa il ciclone mediterraneo, lo stesso che si è abbattuto sulla Costa Azzurra, ha colpito San Teodoro con tutta la sua furia distruttrice creando per tre giorni una situazione di allerta rosso. Per tre giorni ininterrottamente abbiamo coordinato dal COC (Centro Operativo Commissariale) allestito in Comune la macchina dei soccorsi comprendente le squadre dei forestali, dei vigili del fuoco, dei barracelli, dei carabinieri. Domenico Alberto Mannironi (continua a pag.8)


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Nomi e luoghi Si naviga a vista verso Toponomastica al tempo del turismo. il porto turistico Leggevo su internet la lamentela di una donna che, avendo osato riprendere un blog di notizie sulla Sardegna per l'uso improprio di un toponimo anziché di quello originario con cui è conosciuta la zona dai nativi, da questo blog era stata censurata e bloccata non consentendole possibilità di replica. La località era Cala Grande in comune di Santa Teresa Gallura ribattezzata Valle della Luna pare da una comunità di hippie negli anni '60. Per i motivi per cui nascono questi moderni toponimi, sovrapponendosi e talvolta sostituendo quelli originali vi rimando al saggio di Salvatore Brandanu. Supponiamo che il nuovo toponimo sia derivato dall'estasi da fumo più che da una vera rassomiglianza con le valli lunari. O forse per quello che nell'immaginario collettivo rappresenta la luna, per il fascino della sua luce bianca che rischiara la notte e manda i suoi bagliori sul mare? Chissà! Sta di fatto che di valli della luna ne possiamo individuare a decine. A me nell'immediato ne vengono in mente tre, oltre alla suddetta, una ad Aggius ed una a Serdiana, nell'estremo sud della Sardegna. Come nacque il toponimo di Aggius credo di saperlo e pur risalendo allo stesso periodo di quello di Santa Teresa, non c'entrano niente i fumi o le nebbie nè le ispirazioni fascinose della luna. Un giovane di cultura di allora, scrivendo di Aggius per la terza pagina della Nuova Sardegna, parlò del vasto avvallamento caratterizzato da grandi massi emergenti in una piana fertile e circoscritto dalla catena di monti che sovrastano il paese e da "li sarri", le cime collinose ora ricoperte di pale eoliche, definendolo Valle dei Grandi Sassi ed ipotizzando similitudini con le valli lunari, chiamandolo successivamente, più brevemente Valle della Luna. Questo nome le è rimasto con il rammarico del suo stesso ideatore e, nonostante lo si usi anche in paese, io mi ostino a chiamarlo con il suo nome originario, Li Parisi, molto più bello e ricco di significati. Più frequenti e decisamente più orripilanti sono le trasformazioni della toponomastica costiera dove il turismo la fa da padrone e non si cura minimamente di cancellare toponimi vecchi quanto l'uomo per sostituirli ed imporre nomi dai richiami esotici: Cala Paradiso, Baja di qui, Baja di là e così via. Dice Salvatore Brandanu nel saggio citato, che anche la neo toponomastica turistica troppo disinvolta è un attentato alla storia ed alla civiltà del paese ospitante, una profonda ferita al tessuto culturale della nostra terra. A volte le parole sbagliate fanno più danno di un bulldozer. San Teodoro purtroppo non è esente da queste trasformazioni e spesso sentiamo parlare della spiaggia di Tahiti che stentiamo a individuare fintanto che, dopo varie spiegazioni, riusciamo a capire che parlano di Cala Brandinchi. Ma ogni villaggio turistico ha un suo nome che soppianta quello originario esistente e conosciuto dagli anziani per il sito. C'è solo l'imbarazzo della scelta ma uno per tutti, il più eclatante forse è Puntaldìa, che pur essendo quello che ha cambiato meno, passa da un nome pieno di significato ad uno, certamente più musicale per le esigenze dei costruttori, ma che non vuol dire niente. La località è una penisola che per sua conformazione si prestava ad essere una postazione di controllo sui movimenti in un mare un tempo infestato da pirati di varia provenienza. Da qui la denominazione di Punta di l'Àldia, punta della guardia. Ci si entrava costeggiando il piccolo stagno di l'Acula, stagno dell'aquila. Ora la punta di l'Àldia è diventata il più musicale Puntaldìa e lo stagno di l'Acula non esiste più, trasformato in porto turistico che non conserva niente del passato neanche nel nome. Ma ve lo immaginate se i nomi fossero stati invertiti? Ve lo immaginate se si fossero chiamati Punta di l'Acula e stagno di l'Aldia? Ora andremmo forse a mangiare un gelato in piazzetta a Puntacùla che per noi locali suonerebbe più minaccioso. Resta da decidere se la minaccia è quella dell'imprenditoria turistica o quella nostra nei confronti di questi ospiti arroganti. È importante saperlo visto che di calci in c... stiamo parlando. Concludo con una citazione dal saggio di Salvatore Brandanu, (“... e io ti chiamo così!” toponimi e neotoponimi nella Gallura di Mare, Icimar 2013) riporto la sua bella considerazione finale sui vecchi toponimi, piena di nostalgica poesia: C'è in questi toponimi la memoria della campagna di un tempo, c'è la gente dei nostri stazzi, ci sono gli alberi, le macchie, le rocce, gli animali, le erbe e i fiori di campo. Ci sono le solitudini delle cussorge che ci parlano e ci ascoltano con le loro voci e i loro silenzi. E insieme, il sentimento del tempo che passa, che è anche il senso del passaggio dell'uomo sulla terra. Pierangelo Sanna

Ancora un passo avanti per il tanto atteso porto turistico di San Teodoro. La Giunta Mannironi ha fatto segnare al suo attivo un ulteriore stato di avanzamento di un’opera che è stata progettata, decisa e - soprattutto - sospirata dall’intera cittadinanza da oltre quarant’anni. A giorni l’Assessore regionale ai lavori pubblici farà visita al cantiere per rendersi personalmente conto dello stato di avanzamento dei lavori. Per un aggiornamento della vicenda facciamo un passo indietro con la collaborazione di Sandro Brandano, delegato ai lavori pubblici, che segue, in rappresentanza del Comune, i rapporti con le istituzioni regionali e con le aziende che si sono aggiudicate il bando. A tenere a battesimo l’idea di dotare San Teodoro di un porto turistico, sfruttando le naturali insenature fra Isuledda e La Cinta, furono nel 1975 gli amministratori comunali dell’epoca. L’impresa pareva irrealizzabile a causa dei costi decisamente elevati, ma la cocciutaggine dei nostri protagonisti ottenne, se non altro, l’attenzione degli organi centrali che poco alla volta si convinsero che San Teodoro meritava di avere un porto tutto suo. Ecco, in sintesi, le tappe cronologiche del progetto. Nel 1975 la Giunta Comunale in carica individua nello stagno dell’Isuledda il sito ideale per ospitare il porto. In alternativa si scelgono altre due località: la prima a Rattulongu (Cala D’Ambra) e la seconda a Lu Broccu (tra Cala D’Ambra e La Cinta). Quest’ultima preferita alle altre dall’allora Giunta regionale guidata da Mario Melis, che sforna nel 1990 il primo studio regionale sulla portualità, mettendo mano a due “tranches” di finanziamenti per la costruzione della diga foranea dal ‘97 al ‘99 per circa cinque miliardi di lire. L’iter progettuale si arresta per l’opposizione congiunta dell’Ufficio Tutela Ambiente Regionale e della Soprintendenza. L’impatto sul territorio appare eccessivo. E c’è addirittura il rischio che possa verificarsi la demolizione della diga. Solo nel 2005 l’intervento della Giunta Comunale guidata da Gianni Marongiu, con l’appassionata difesa di Massimiliano Cidda, consente all’idea del porto di riprender quota. Altri cinque anni di black out e finalmente nel 2010 si arriva all’appalto dell’intera opera. Ed ora ad aggiornarci sui tempi è Alberto Melinu, Vicesindaco del nostro Comune. Dal 2010 sino all’apertura del cantiere, avvenuta a novembre del 2013, problemi burocratici rallentano l’iter del nostro porto anche tenuto conto dell’avvicendamento degli Assessori Regionali con i quali il Comune deve per forza di cose dialogare sino al 2015. E siamo giunti alle battute finali: nell’estate di quest’anno i rapporti tra la Giunta Comunale e l’Assessorato Regionale, dopo ripetuti incontri, si chiariscono definitivamente e finalmente parte lo start! Conclusione: entro l’estate del 2016 il primo lotto funzionale del porto turistico dovrebbe essere consegnato alle attese dei teodorini con buona pace di tante cassandre. Mario Stratta

IL LEVANTE Periodico di cultura, ambiente e informazione dell’ICIMAR. Anno IV - N°28, Settembre/Ottobre 2015. R e gis tro s tampa n. 3/2011 Tribunale di Nuoro. Redazione e Amministrazione: Istituto delle Civiltà del Mare, Via Niuloni,1 - 08020 San Teodoro (O T) Tel./Fax. 0784/866180 E-ma il.s e gre teria@icimar.it - www. icimar. it Tipolitografia: Ovidio Sotgiu - via Corea, 48 Olbia. Direttore Responsabile: Mario Stratta In Redazione: Sandro Brandano, Gian Piero Meloni, Pierangelo Sanna. Segretaria di Redazione: Angela Bacciu.


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PARCO NAZIONALE DELL’ASINARA Tentativo di eradicazione dall’isola dei popolamenti caprini e suini.

Nel mese di settembre dell’anno 2006, a seguito di specifica convenzione intervenuta fra l’Ente Parco Nazionale dell’isola dell’Asinara e l’Ente Foreste della Sardegna, chi scrive fu incaricato di organizzare un gruppo di operai per effettuare la cattura di bestiame selvatico o inselvatichito all’interno dell’isola-parco Asinara. Nello specifico capre e cinghiali. L’isola dell’Asinara ha una superficie di 5.170 ettari. Presenta una forma stretta, allungata in senso NordSud con un andamento della linea di costa molto frastagliato, indice di una notevole varietà di habitat. Esiste una sola strada, con fondo in cemento, che la percorre in senso longitudinale dall’approdo di Fornelli sino all’ingresso della diramazione centrale di Cala d’Oliva, per uno sviluppo di circa 24 km. Per spostarsi all’interno bisogna percorrere piste e sentieri, talvolta molto accidentati, utilizzando esclusivamente automezzi con buone caratteristiche di fuoristrada. Quest’ultimo aspetto ha determinato difficoltà notevoli per la realizzazione dei recinti e la cattura delle capre. Il paesaggio si presenta estremamente diversificato con alte falesie metamorfiche nella costa occidentale ed ampie insenature e piccole spiagge, tipiche della morfologia granitica a “rias”, nella costa orientale. Per l’elevata importanza naturalistica e storica l’isola è diventata parco nazionale ed area marina protetta a seguito della Legge 344/97, è inoltre sito di interesse comunitario ai sensi della direttiva Habitat (D.M. del 3/4/2000). La flora dell’Asinara è costituita (dati dell’Ente Parco) da quasi settecento specie, circa un terzo di quelle censite nell’intera Sardegna. Di queste 30 sono endemiche e rappresentano circa il 5% della flora totale. Tra queste alcune sono esclusive della Sardegna settentrionale come Centauerea horrida, Limonium acutifolium, Limonium laetum, ed altre della regione sardo-corsa come Astragalus terraccianoi e Erodium corsicum. La vegetazione presenta i caratteri tipici della macchia mediterranea termofila con la presenza di lentisco, euforbia arborea, calicotome, fillirea angustifolia, ginepro fenicio e cisto. E’ presente una formazine forestale a leccio in località “Elighe Mannu”, nella parte settentrionale dell’isola, dove insiste il cantiere forestale dell’Ente Foreste Sardegna avviato a partire dall’anno 1995 dall’allora Azienda delle Foreste Demaniali della Regione Autonoma della Sardegna, utilizzando anche manodopera tratta dalla popolazione carceraria finché ciò è stato possibile. Dal punto di vista faunistico l’Asinara è importante per la fauna stanziale e per quella migratoria. In letteratura è riportato che molte specie di vertebrati terrestri presenti rappresentano emergenze scientifiche rilevanti a livello mondiale. Tra i mammiferi sono presenti il muflone, la lepre, il cinghiale (con le riserve di cui si dirà a causa degli incroci intercorsi nel tempo), il cavallo, l’asino sardo con la sua caratteristica varietà albina e, naturalmente le capre ormai regredite allo stato selvatico. Come già accennato, la proliferazione incontrollata delle capre domestiche ormai inselvatichite, ha rappresentato, nel volgere di pochi anni, un pericolo gravissimo per la sopravvivenza del sistema floristico dell’isola. Se poi si aggiungono i cinghiali e tutto il carico dei mammiferi presenti di cui si è parlato nel paragrafo precedente, si acquisiscono ulteriori elementi che completano il quadro. La situazione era ormai divenuta difficilmente sostenibile se non si fosse deciso di attuare, urgentemente, interventi radicali di avulsione di quegli animali che si era convenuto dovessero essere considerati soprannumerari e nocivi al sistema: vale a dire le capre ed i cinghiali. Fu quindi selezionato un gruppo di lavoro di una quindicina di unità, attingendo a personale dell’Ente Foreste che avesse avuto in passato esperienze di gestione e governo di armenti. Gigi Burrai Sul prossimo numero del Levante entreremo nel dettaglio dell’operazione

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Dalla vostra parte Da un nostro lettore, ispettore onorario della Soprintendenza Archeologica della Lombardia abbiamo ricevuto una segnalazione che giriamo al Sindaco del nostro Comune. Nel ringraziare il dottor Paolo Baretti ci auguriamo che il reperto archeologico indicato nella fotografia possa trovare una sua giusta collocazione. M. S.

Lo scrivente che da qualche anno risiede nel periodo estivo in una propria abitazione in San Teodoro intende dar notizia di una situazione di precarietà in cui sussiste un significativo monumento archeologico. Come già noto anche in bibliografia, in località L’Alzoni, lungo la strada che dalla frazione conduce alla provinciale per Padru è posizionato un miliario romano costituito da una colonna in granito infisso nella banchina della strada. Pur non avendo specifiche conoscenze in merito credo che il reperto sia unico su questa fascia nord orientale di collegamenti stradali romani (si conoscono 11 simili miliari sulla strada Olbia Sassari). E’ auspicabile che il monumento possa essere oggetto di un’adeguata tutela e valorizzazione, in sè come reperto culturale, come memoria storica del luogo nonchè come elemento di interesse turistico. Potrebbe essere posizionto un cartello esplicativo, potrebbe essere inserito nelle guide turistiche di San Teodoro, potrebbe essere meta dei tours che le agenzie turistiche locali compiono nel territorio. Allo stato attuale il monumento così abbandonato rischia di essere abbandonato accidentalmente o addirittura asportato. Paolo Baretti


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La frase più pericolosa in assoluto è: "Abbiamo sempre fatto così"Cit. GRACE MURRAY HOPNata a New York nel 1906, Grace Murray Hopper si unì alla Marina degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale e fu colei che lavorò sul primo computer digitale della Marina, "Harvard Mark I". Continuò a lavorare come matematica dopo la guerra e, con il suo team, creò il primo compilatore di linguaggio del computer, che avrebbe portato in seguito alla creazione del linguaggio popolare COBOL. Riprese il servizio navale attivo all'età di 60 anni, diventando ammiraglio, prima di ritirarsi nel 1986. Ho voluto aprire il mio articolo ricordando Grace Murray Hopper poiché la celebre frase a lei attribuita "Abbiamo sempre fatto così" è, senza dubbio, a mio avviso, la maggior convinzione limitante che oggigiorno blocca lo sviluppo delle persone e delle imprese, quindi anche dell’occupazione con tutte le drammatiche conseguenze che conosciamo e viviamo quotidianamente e che purtroppo incide anche sulla salute e sulla stessa incolumità dei cittadini.Come credo a molti di voi, mi capita di provare un senso di impotenza, di delusione, di incredulità quando ascolto, tutti i giorni, le solite notizie dei TG o leggo i vari articoli di cronaca sui giornali che raccontano fatti drammatici sempre identici. Una delle notizie che più mi ha colpito è quella dell’ex fidanzato, più volte denunciato dalla donna da cui si era separato e anche arrestato (ai domiciliari), che “è riuscito” passatemi il termine, ad uccidere la poveretta togliendo a lei la vita e gettando i familiari nella disperazione. La prima cosa che ho pensato è stata: “mai possibile che con tutta la tecnologia a disposizione oggi, nel 2015 quasi 2016, un “probabilissimo” killer, identificato, conosciuto, a disposizione delle autorità della propria città non possa essere intercettato prima che commetta il reato? Ma allora è vero o non è vero che siamo tutti monitorati, che col gps sanno sempre dove siamo, che addirittura i nostri cellulari sono come delle bandierine in movmento che rivelano i nostri percorsi (a chi ha gli strumenti e interesse a farlo) ? Dico che è bene che tutti quanti apriamo gli occhi per guardare al futuro cercando di comprendere (prima se possibile) come sta andando il mondo, dove va la comunicazione che volenti o nolenti è e sarà sempre più il campo di battaglia di tante situazioni di vita e di lavoro e che determinerà il mondo in cui, presto, vivremo. Pensiamo ai giornali e alle riviste, siamo certi che tra cinque anni, ad esempio, una rivista come questa, ancora su carta stampata e con una distribuzione più che tradizionale avrà un senso? E se lo avrà per chi? Oggi si parla, della fine dei siti web e anche dei blog, sì proprio lo strumento con cui il movimento 5 stelle si è affermato. Oggi si creano blog per diversi motivi. Per i più esperti, uno dei motivi è l’essere trovati nelle ricerche di Google e come fulcro della propria comunicazione sui media sociali. Elemento indispensabile è disporre di un blog che si adatti alla risoluzione degli immancabili smartphone. Cinque anni fa un blog viveva la sua età dell’oro, sono molti i blogger ormai divenuti celebri, esplosi in quel periodo. Oggi (ma ancora per poco) è ancora consigliabile realizzarne uno, ma sono evidenti alcune tendenze. Nello studio “The Slow Death of Search”, realizzato da globalwebindex, si evidenzia come la ricerca di Google, venga utilizzata solo da un utente su due: la metà di chi accede ad Internet con gli smartphone, di conseguenza, non utilizza il web, ma solo app.Facebook oggi rappresenta il punto di accesso a Internet di una larga fetta della popolazione che ha poca dimestichezza con i mezzi digitali e che, di conseguenza, ne esce solo se incontra link, ma spesso non è propensa a seguirli e ad uscire dalla piattaforma. In virtù di questo, alcuni social network, come LinkedIn, hanno ideato una piattaforma interna di blogging che permette di rimanere all’interno della app e di poter condividere i post sulle altre maggiori piattaforme. Altre piattaforme come Medium,Tumblr e l’italiano Quag si pongono come obiettivo di affermare app che facilitino i blogger privandoli delle necessarie customizzazioni e spese per costruire un blog di proprietà, fornendo ad un pubblico, strumenti semplici per la condivisione e l’ottimizzazione SEO. Il web è il presente e il passato, ma potrebbe non essere il futuro. Cinque anni sono lunghi e nel 2020 le app saranno un giardino felice in cui troveremo tutto. In questi giorni Facebook sta stringendo accordi con alcune grosse testate giornalistiche americane, proprio come afferma una recente agenzia ANSA: “In futuro le notizie dei giornali le vedremo direttamente su Facebook, in bacheche

Settembre/Ottobre 2015 - pag. 4 ‘affittate’ alle testate che ospiteranno contenuti e articoli, senza rimandare a siti d’informazione e domini esterni. Il social network garantirebbe comunque ai giornali una parte degli introiti prodotti dalla pubblicità”. Gli utenti trovano scomodo fare ricerche su Google e Internet diventerà l’alter ego della TV con una programmazione molto personalizzata e cucita attorno ad ognuno di noi. Giovanni Degortes

le rotatorie del sorriso Le rotatorie sulla 125 di Badualga e Suaredda, da questa estate sono state affidate in custodia (gratuitamente) e sono tornate a splendere come un tempo. Merito di Tiziano Debertolo che le adotta e le cura come il giardino di casa. Un plauso meritorio a Tiziano per l'impegno e la competenza.

Il gioco delle carte Le carte da giuoco sono tessere di forma rettangolare, di carta pesante o di plastica, delle dimensioni di una mano. Una serie completa viene detta “ mazzo”. In genere sono strumenti usati dagli illusionisti o nelle pratiche occulte come la cartomanzia. Diversi giuochi di carte coinvolgono il giuoco d’azzardo . Uno dei lati di ogni carta, il “fronte” o la “faccia”, porta dei segni che la distinguono dalle altre e determinano il suo valore e il suo uso nelle regole di ogni giuoco, mentre l’altro lato, il “dorso” o il “retro”è identico per tutte le carte del mazzo. L’ordine con cui le carte vengono distribuite viene reso casuale mediante una procedura detta “mescola” . L’origine delle carte da giuoco è ignota, ma le prime testimonianze del loro uso risalgono alla Cina poco dopo l’invenzione della carta, forse attorno al X secolo. Wilkinson suggerisce che le prime carte siano state denaro reale e che fossero, contemporaneamente, lo strumento di giuoco e la posta scommessa. Il tempo e il modo della introduzione delle carte da giuoco in Europa è oggetto di discussioni. Il 38° Canone del Concilio di Worcester (1240) viene spesso citato come dimostrazione della esistenza delle carte in Inghilterra alla metà del XIII secolo, ma, probabilmente, i giuochi “ de rege et regina”, che vi vengono menzionati, erano gli scacchi. Se le carte da giuoco fossero un fenomeno diffuso in Europa già nel 1278, Francesco Petrarca ne parlerebbe nel “ De remediis utriusque fortunae” a proposito dei giuochi d’azzardo, ma non è così. Altri scrittori dell’epoca (come Giovanni Boccaccio nel “Decamerone” e Geoffrey Chaucer ne “ I racconti di Canterbury”) citano o si riferiscono a vari giuochi, ma non esiste alcun accenno alle carte. E’ probabile che le antenate delle moderne carte da giuoco siano arrivati in Europa attraverso i contatti con i Mamelucchi egiziani alla fine del XIV secolo , e, per quell’epoca, avevano assunto una forma molto simile a quella odierna. Nel corso del XV secolo le carte mutarono aspetto per rappresentare le famiglie reali europee e i loro vassalli. A partire dal XIX secolo, cominciarono a comparire le indicazioni del valore delle carte sui bordi, per permettere al giocatore di tenere le carte ravvicinate , a ventaglio, con una sola mano. L’innovazione successiva fu quella di disegnare le figure in modo simmetrico, ovvero “ a due teste”, così da non costringere il giocatore a girare la carta, per vedere di cosa si tratti. Questa manovra, però, farebbe sapere all’avversario che si tratta di una figura. Il Poker nacque nel 1829 negli Stati Uniti. Il Bridge si sviluppò fra la fine del1800 e il 1920. Il Baccara nella prima metà dell’800. La Canasta fu inventata a Montevideo durante la seconda guerra mondiale. La Scala Quaranta iniziò la sua diffusione, dall’Ungheria, nel primo dopoguerra. I giuochi tradizionali italiani hanno origini più lontane ma la loro forma attuale ha ben poco a che vedere con quella originale: Barrica e Primavera risalirebbero al XVI secolo, la Scopa e la Briscola non vanno più in là dell’inizio del 1800, il Tresette sarebbe nato all’inizio del 1700 ed il Settemezzo intorno al 1890. Verso la metà degli anni Quaranta è nato, in Uruguay, il Burraco. Ma di questo ne parleremo la prossima volta. Alessandro Testaferrata


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Teresa nel giardino dei corbezzoli Via Di La Silvaredda Un luogo di lentezza a San Teodoro

Suggestioni di una passeggiata

Teresa Podda è un’amica che avevo perso di vista dai tempi della maturità; solo da pochi mesi ho scoperto che è una bravissima artista. Teresa realizza pedrales la cui tecnica, contrariamente a quella dei murales, consiste nell’evidenziare con il colore la forma già insita nei sassi. Di pedrales Teresa ne ha collocati nelle principali piazze del suo paese, Orgosolo, e lungo i margini della strada che conduce al Supramonte. Quando all’inizio di questa estate decido di andarla a trovare raggiungiamo un sito archeologico, dove Teresa mi invita ad entrare nel recinto megalitico di quello che forse in passato era un nuraghe; una volta dentro ci sediamo sopra un sasso. Intorno a noi un bosco di sughere millenarie; sopra, un cielo di stelle. Sono dentro l’Hotel Supramonte dove il tempo è un signore distratto un bambino che dorme… Lì, dentro quelle pietre, Teresa mi racconta la sua arte e mi mostra alcune rocce dove lei sosteneva di vederci un muflone, una mucca… eccetera eccetera. “Si tratta di dare vita ai sassi, voce alla natura… un po’ di presunzione, legata a sogni e fantasie infantili. Alcuni pedrales li ho realizzati anche a San Teodoro, a Coda Cavallo, nel giardino dei corbezzoli, realizzato dal mio amico Aldo.” Rientrato a San Teodoro, pochi giorni dopo aver incontrato Teresa, chiamo Aldo Cucca; non sto nella pelle tanta è la curiosità di vedere il giardino dei corbezzoli e i pedrales di Teresa. Decidiamo così di incontrarci e mi reco a Coda Cavallo. L’idea Aldo la ebbe nel 1998, quando chiese all’architetto Savin Couelle di progettargli un giardino a pochi passi dalla sua abitazione. Il giardino è un’autentica meraviglia; un’area di circa tremilacinquecento metri quadrati sottratta ad una discarica di detriti, dove nel corso degli anni Savin Couelle ha agito da costruttore di metafore verdi, conservando l'andamento naturale del terreno in rilievo, lasciando libero sfogo alla sua immaginazione, generando un’opera originale dal profilo sinuoso, rifacendosi in maniera chiara al concetto del pittoresco. Durante la nostra passeggiata, rigorosamente su conci di granito collocati a formare un camminamento sinuoso, una parte di me si è dedicata all’inevitabile esercizio della memoria. Ecco allora affiorare alla mente il parco di Pinocchio a Collodi, con la balena disegnata dal grande architetto milanese Marco Zanuso, il più noto parco Guell a Barcellona e i meravigliosi giardini dell'architetto brasiliano Roberto Burle Marx.Aldo mi racconta i vari momenti di quel mondo tutto da scoprire, dove la natura serve per creare un qualcosa che non impegni troppo il visitatore in una sfida intellettuale, anche se c’è il pensatoio, formato da un piccolo sedile, perché pensare in un giardino è fondamentale.E cos’è uno spazio verde se non un luogo di lentezza, sosteneva il paesaggista Charles Jencks? Aldo vi ha collocato un’infinità di opere d’arte, tra cui una pietra sonora avuta in dono dal suo amico Pinuccio Sciola. Una doccia a gettoni mi trasporta alla mia infanzia, precisamente all’uomo di latta de il Mago di Oz. Coloratissimi galli in ferro battuto e poi volatili di ogni specie, serpenti ottenuti semplicemente accostando sull’erba in fila indiana ciottoli di varie dimensioni, mentre inquietanti occhi disegnati sulle rocce appaiono come la trasposizione reale di quelle dipinte in un surreale fondale marino da Luigi Castiglioni sulla facciata a San Teodoro, mentre un grosso tavolo di pietra con un motivo centrale in ceramica bianco-nero, cinto da sedili in pietra; sembra portato lì dai cavalieri di Re Artù. Ma anche le piante possono essere viste come volumi, mai statici, sempre dinamici, in continua espansione e trasformazione, dove una pianta non è mai sola ma sempre in rapporto con un' altra, e questa con un' altra ancora. Ficus, chorisia speciosa (pianta argentina), erythrina crista-galli, olivastri, mirto, corbezzoli e lecci, solo per citarne alcune. Eccoli, finalmente i pedrales di Teresa. La testa e il volto mite di una tartaruga affiora dalla terra come quella di un coccodrillo da una palude dell’Amazzonia, mentre la femmina di un muflone protegge il suo spaurito cucciolo. Mi sento scrutato, vigilato da tutto quel bestiario fantastico; anche dagli occhi benevoli di due rane fuoriscala, messe a guardia di piccoli pesciolini rossi sguazzanti dentro un piccolo laghetto su cui galleggiano leggeri fiori di loto. Lascio il giardino al tramonto con le luci quiete che stingono poco per volta, ritrovandomi dentro il caos del traffico estivo. Massimo Oggiano

Dal cuore dell’antico nucleo centrale di San Teodoro, marcato dalla parrocchia e dal vecchio municipio, raggiungo la Via San Francesco e la percorro fino ad incrociare il tratto finale in salita di Via Grazia Deledda; da qui, salendo verso Via Cala D’Ambra, sulla sinistra imbocco Via Di La Silvaredda. Mi lascio per un attimo intrigare dal toponimo, un richiamo al territorio retrostante la strada statale 125 che si può ammirare salendo verso Padru, territorio boscoso dal quale si apprezzano splendide aperture sul mare. La Silvaredda emerge sulle zone circostanti a livello di 350 metri circa sul livello del mare, tra il sito di Ovilò e i campi di Oviddè, l’Alzoni e Sitagliacciu. Bella sequenza di nomi galluresi verso i quali, nel tempo, gli amministratori teodorini avrebbero potuto essere meno parchi di assegnazioni in una toponomastica, viceversa, così aperta alle suggestioni di stampo turistico (penso alle denominazioni viarie tipo Parma, Bologna, Ferrara, Prato, Pisa... per non parlare dell’involontariamente comica confluenza fluviale di Ticino, Flumendosa, Arno, Naviglio “sic!”, Tirso e Temo; e altre stravaganze come Pettirosso, Gerani, Passeri...; c’è finanche una Via Rockefeller su cui è meglio non esprimersi). Tornando alla nostra Via Di La Silvaredda, dopo un breve tratto asfaltato segue uno sterrato in leggero pendio. Se non fosse per il succedersi iniziale delle abitazioni dai giardini cintati ci si direbbe in aperta campagna: olivastri, lentischi, mirti, cisti e rovi alla rinfusa delimitati sul lato destro della via da un primitivo e sconnesso muretto a secco con le pietre impreziosite da macchie di muschio rossiccio cotto dalla calura delle estati. Sulla sinistra lo stesso tipo di pietre è stato saggiamente recuperato a recingere le proprietà che hanno altresì salvaguardato l’originaria flora a parte l’intrusione di qualche palma, taluna aggredita da quel terribile giustiziere che si è rivelato il punteruolo rosso. Ora il pendio si fa più ripido ed il fondo polveroso: a destra si aprono ampi squarci di vista sul mare e su qualche tratto di spiaggia da cui proviene un misto di soffuso vocio e di musiche balneari che la lontananza rende meno molesto. Il vecchio abitato non è più percepibile: mi torna alla mente la ragione di quel nascondimento; esso risale alla remota e voluta separatezza dal mare delle antiche genti del luogo; una separatezza spiegabile non tanto con la paura dell’elemento naturale, il mare, quanto delle temibili entità umane che del mare fecero veicolo di aggressione ed efferatezze, ultimi “Li Mori” e/o “Li Tulchi”; ciurràti di Tulchi dicono ancora i vecchi galluresi nelle giornate di foschia, memoria delle incursioni dei barbareschi che della nebbia si giovavano, calati dalle imbarcazioni per arrivare agli abitati e colpire proditoriamente la popolazione. Paure condivise, del resto, su tutto il territorio costiero isolano, i cui insediamenti marittimi (Cagliari, Olbia, Alghero...) devono l’origine non ai sardi ma ai dominatori di turno (Cartaginesi, Romani, Catalani...). Tra queste reminiscenze trovo improvvisamente la strada interrotta da un rudimentale sbarramento di ramaglie secche e sterpaglia, laddove il pendio precipita a basso. Macerie accumulate e immondizie che a tratti non mancano neppure lungo il mio percorso e che rivelano quella non curanza se non sprezzo del bello che si annida tra noi. Ma indirizzando lo sguardo davanti a me, mi ripaga, distogliendomi da questa fastidiosa constatazione, la vista dell’Isola di Tavolara, imponente, laggiù, di traverso, quasi a segnare un limite, un antemurale, una sentinella avanzata. Mi sovviene una suggestiva lettura della sua conformazione, che, secondo taluno, avrebbe ispirato gli aedi dell’antica Grecia recepiti nell’omerica Odissea: quella era la nave pietrificata dei mitici Feaci che avevano ricondotto Odisseo nella sua Itaca, puniti proprio per questo da Zeus al loro ritorno in patria (in terra sarda dunque). A lasciarsi prendere dalla fantasia, Tavolara su questo versante ha proprio l’aspetto di una nave che segue la rotta; da un’altra angolazione, viceversa, la si può immaginare come lo scafo rovesciato della stessa nave inabissantesi. Ma queste, appunto, sono fantasticherie. In conclusione, il nostro breve percorso merita un accorto recupero dall’abbandono e dalla sporcizia, fors’anche in parte conseguenza indesiderata di una affrettata rivoluzione nella raccolta dei rifiuti, che, così si dice, ci mette al passo coi tempi. Ignazio Didu


il levante

Un giorno al bar centrale, da Tonino Fara La corriera era già passata da un po', il mitico “ pustalinu di li tre e mezzu” con l'autista signor Fiori e, “lu cilleri” inizia ad animarsi con i primi operai di ritorno dal lavoro. A piazza Montecitorio si arrivava da via degli Asfodeli e da via Lussu ancora sterrate e davanti al Bar Centrale facevano mostra di sè tre piante di acacia. Stanchi, pieni di polvere ma, sempre allegri e pronti alla battuta per una bevuta veloce, uno scambio di opinioni con i giovani scansafatiche che giravano in piazza e poi il ritorno a casa per la cena. L'indomani la vita era sempre la stessa, sveglia all'alba per andare a lavorare. Il Bar Centrale del mitico Tonino Fara, durante l'inverno è stato per decenni il ritrovo storico di piazza Montecitorio per i teodorini, mentre nelle giornate estive, i locali ci si confondeva con i tanti “turisti” che soggiornavano a San Teodoro. Nella piazza esisteva anche un altro bar/caffè, una specie di salotto buono con i tavolini di marmo, la televisione dove si vendevano tabacchi e giornali. Il proprietario era zio Nicola Decandia che lo gestiva con tanta passione e con modi garbati, assieme alle sorelle Wilia e Pietrina. Seduti nelle sedie di legno o in piedi appoggiati al bancone, Tonino serviva loro sempre con il sorriso stampato in fronte e magari riempendo un bicchiere anche per lui, il pavimento inzuppato di segatura, “la rasciùla”, (nei giorni piovosi) qualche tavolo occupato da anziani che giocano a carte e discutono tra loro, ziu Petru Truddha con in mano la mitica “ridotta” che intona la sua solita canzonetta, entra zio Milillo, un imbianchino nuorese nato nel quartiere storico di “Santu Predu” trapiantato in Gallura che, tra una bevuta e l'altra parla del calcio da lui vissuto in quel di Pola, paese natio della moglie. Le serate al bar sono ogni giorno diverse, alle volte sembra di stare in un set felliniano con gli sfottò di Ghjuanni Trudda, le battute di Dhodhoi Ruoni (benissimu, d'accoldu cun técu, ... però?), una vecchia seicento fatta entrare dentro il bar, a ridosso del bancone con Primo Oggiano e Marco Fideli che seduti sopra il cofano, venivano serviti da Tonino Fara che, per niente scandalizzato offriva loro una “birretta”. Spesso la serata si concludeva con l'arrivo di ziu Murrali, un carabiniere di stanza a San Teodoro che spesso poneva fine alla giornata, con l'intimazione di chiudere perchè troppo tardi o troppo rumorosi.(una volta a Tonino gli venne contestato un verbale per “schiamazzi notturni e rovesciamento di sedie”). Famosa la battuta, con i soliti frequentatori ritardatari: “Milillo buonanotte.... diceva il carabiniere nell'intento di mandare tutti a casa e lui, molto ironico e pungente ribatteva sempre... cch'ennà dè Milillo” Nel periodo estivo Tonino, che si serviva dell'aiuto di Giulio Meloni aveva un bel daffare per portare avanti il bar, il posto telefonico pubblico e le continue intemperanze dei ragazzi locali che durante le nottate estive non disdegnavano l'arrampicata sul tetto per fare gavettoni a turisti troppo “caciaroni”. Nei pomeriggi d'estate i tavoli erano presi d'assalto da personalità e forestieri, come l'avvocato Melis, il giudice Pittalis che giocavano interminabili partite a carte con zio Dino Fideli, della banca. (per distinguerlo da un suo omonimo). Un volta ziu Antoni Cuileddu durante una discussione con l'avvocato Melis ed il giudice Pittalis sulla direzione di “li corri di li becchi” località marina indicata dalla piazza, sbottò loro dicendo “ ma é possibile che devono arrivare gli avvocati nuoresi per dirci dove si trovano? San Teodoro iniziava a diventare una località importante con parecchi turisti che trascorrevano il mese di vacanza e, le telefonate al posto pubblico per rintracciare qualcuno erano sempre più numerose con Tonino che al momento di passare la telefonata dentro le uniche due cabine telefoniche, a gran voce indicava “si accomodi alla cabina 10” in modo che la centralinista della “TETI” poi diventata SIP, ascoltasse magari con stupore che a San Teodoro c'era un posto telefonico pubblico importante. Un episodio curioso era successo quando Tonino all'ora di chiusura pomeridiana, non si accorse che un avventore che era rimasto nella cabina per tanto tempo, venne chiuso all'interno del bar. Rintracciato da un passante che notò questo signore che cercava di attirare l'attenzione dall'interno della serranda, tornò al bar a bordo del suo sgangherato pulmino WOLSKWAGEN e al momento di farlo uscire, ancora trafelato dal caldo, Tonino con grande senso dell'humor chiese “ le posso offrire qualcosa?”non vi fu risposta.. Gli episodi curiosi all'interno del Bar Centrale sono stati una costante, come leggendari i lunghi aneddoti che lui raccontava durante le serate e, preso dalla foga del racconto, al bancone a volte, con il suo consenso passava qualcun altro.Tonino vendeva anche il latte appena munto dal suo bestiame a Stirritogghju e, sempre con il suo latte faceva i primi gelati che trovavano il gradimento di tutti sino a quando un giorno, zio Dino nel tessere le lodi per il cono gelato che stava consumando, “complimenti Tonì ma ... lo fai proprio tu? CERTO esclamò Tonino ” e, all'ennesimo complimento, Giulio

Settembre/Ottobre 2015 - pag. 6 Meloni, il suo aiutante, sbottò “su gelattu fattu heo” rivendicandone la paternità e facendo indiavolare zio Dino, che tra il divertito ed il contrariato appoggiò il cono nel cestino. Giulio era uno dei fratelli Meloni che arrivati da Buddusò si erano stabiliti in San Teodoro per lavoro ed erano quasi sempre presi di mira dai soliti buontemponi con scherzi a volta anche esagerati. Il fratello Piero era quello più gettonato, e all'ora della chiusura quando il grado alcolico era piuttosto alto, veniva spesso accompagnato a casa, su una vecchia carriola. Si possono immaginare le serate trascorse al Bar Centrale, unico bar in quegli anni, con le persone del posto, lavoratori, gente laboriosa e scherzosa che con le loro trovate hanno scritto pagine di ricordi indelebili dalla piazza Montecitorio; Paolino Melinu, Ghjuanni Truddha, Guerino Musca, per citarne alcuni e tutta la compagnia, saranno ricordati anche per le storie curiose vissute a Sandro Brandano San Teodoro.

"Soggiorno Termale anziani e portatori handicap 2015"

24 settembre 2015. Escursione a Vicenza

Il tre di Ottobre sono rientrati da un soggiorno termale, organizzato dal Comune di San Teodoro, un gruppo di anziani composto da una cinquantina di persone. Anche quest'anno l'Amministrazione Comunale, con la fattiva collaborazione della Signora Debora Golme, ha organizzato un soggiorno termale per anziani e portatori di handicap dal 20 settembre al 3 di ottobre 2015. Ho partecipato volentieri come anziano e presidente dell'Auser, associazione composta prevalentemente da anziani che in questa occasione erano molto numerosi. Prima di partire un caloroso saluto da parte del Sindaco Dr. Domenico Mannironi:"auguro a tutti un soggiorno sereno" e in modo scherzoso " in particolare spero che al rientro non abbiate bisogno che vi prescriva prodotti antiinfiammatori o altro" e ancora "se posso verrò a trovarvi". Anche l'Assessore ai Servizi Sociali Monica Sanna, presente alla riunione ha portato un saluto, in particolare: "a tutti voi auguro un soggiorno tranquillo e spero che tutti ne traggano benefici da questi trattamenti termali". Come al solito, e non avevo dubbi, il gruppo di San Teodoro ha lasciato con certezza un buon ricordo, non solo ad Abano, ma in tutte le località che ha visitato, grazie anche alla pazienza del capogruppo Antonella Debertolo, ottima compagna di viaggio e soggiorno. Ogni giorno, dopo le cure termali, il gruppo era libero per visitare le bellezze di Abano Terme e altre località limitrofe. Le escursioni di gruppo sono state a Vicenza, Trento e i Colli Euganei con la presenza di esperte guide che hanno esposto la storia delle località visitate e illustrato monumenti e bellezze per molti sconosciute. Devo ancora una volta elogiare gli anziani di San Teodoro per il loro comportamento socievole, ambasciatori quindi del nostro paese, e a questo proposito devo raccontare un aneddoto: mentre passeggiavo lungo la zona pedonale di Abano qualcuno mi ha chiamato, mi son girato e ho visto cinque o sei componenti del gruppo di San Teodoro seduti in un bar; fin qui tutto normale, mi avvicino e noto che con il proprietario del bar si era instaurata una certa amicizia. Al momento di andar via, il colmo, per ognuno di loro era pronto un regalo. Gli amici di San Teodoro hanno ringraziato e hanno promesso di inviare con il corriere il classico Mirto di Sardegna. Siamo veramente apprezzati da tutti. Infine una grande sorpresa. Due giorni prima del rientro, per sincerarsi sulla validità delle cure termali, è arrivata in Albergo l'Assessore ai Servizi Sociali Monica Sanna in compagnia di Sonia Pittorra; così hanno dato un tocco di giovinezza all'intero gruppo, grande applauso e sono state festeggiate calorosamente. Al rientro l'Assessore ha detto:" ringrazio tutti, siete stati favolosi" e ancora " l'unica amarezza è quella di aver fatto solo due giorni di cure termali, speriamo in futuro di poterne fare di più". Infine a Montipitrosu un bentornati da parte del Sindaco Dr. Domenico Mannironi. Il gruppo in coro: “Dottò, siamo tutti raffreddati, Lunedì saremo da Lei,” grande risata e grande applauso. Il soggiorno finisce qui e a un alt'annu meddu. Quirico Mura


il levante

La vita, soprattutto ... Einaudi pubblica l’ultima fatica letteraria di Umberto Veronesi: “Il mestiere di un uomo”. La platea letteraria non è inedita per il grande scienziato (suo anche “L’Ombra e la Luce” meraviglioso). La rabdomantica intelligenza di Veronesi non è stata messa al servizio della sola scienza oncologica (vanta se non erro 15 lauree ad honorem, migliaia di pubblicazioni scientifiche oltre alle cattedre nelle più disparate università del mondo), ma da anni apporta lumi, riflessioni, indagini, sfide, invettive, ipotesi, congetture, provocazioni, su tutto ciò in cui essa si posa, ovvero fino alle colonne d’Ercole dello scibile, il tutto come si addice ad un autentico pensatore (dote comune a molti uomini di scienza, e cito a mente tra i moderni Einstein, Freud e Jung, la stessa Montalcini, Fermi, Montessori, Benjamin Frankin, Alfred Nobel, Margherita Hack, Darwin). Veronesi affronta questioni etiche, morali, filosofiche, religiose, giuridiche, politiche, economiche e sociali con la solita linearità e cristallina esposizione che lo contraddistingue quando parla del cancro, vera peste dei tempi moderni a cui ha dedicato la sua intera esistenza aiutandoci a conoscerlo e a combatterlo. Andiamo con ordine: di che tratta questo libricino, esile, umile, che conta poco meno di 150 pagine, e sulle quali in realtà non basterebbero anni a soffermarsi su ciascuno dei singoli argomenti affrontati ? Mi ricorda un libricino stupendo “Sulla Fiducia come principio negoziale” che al terzo anno di giurisprudenza ci affannavano a digerire, benché contasse poco meno di 90 pagine. Intanto il titolo, illuminante, tratto da Marco Aurelio “Il mestiere di un uomo” . Veronesi – per sua evidente formazione (o deformazione) professionale di medico – va alla radice delle cose, e si chiede (coinvolgendoci nella sua ricerca diagnostica) quale sia lo scopo ultimo dell’uomo. Quali percorsi debbano essere fatti per giungere alla fonte dell’interrogativo, e quindi alla “cura” , intesa non nella sua accezione clinica, ma in quella epistemologica di governo della coscienza. Un libro, tuttavia, che non indica nessuna soluzione, non ha nessuna velleità di certezza, nessuna Verità rivelata, alla stregua del motto di Alexandr Herzen “non cercate soluzioni in questo libro, in generale l’uomo moderno non ha soluzioni”. In dieci capitoletti Veronesi affronta i temi (e i dilemmi) su cui ci dibattiamo; il diritto alle scelte fondamentali della vita in “assenza di Dio” : è recente un suo famoso pezzo, credo sul Corriere, in cui afferma che “un bambino ammalato di tumore è la prova che Dio non esiste”. Apriti cielo… provocazione o rivelazione o che? La risposta se la dà quasi da solo quando afferma che “Dio non è chimica, Dio non è una equazione, Dio non è Fisica”; l’alimentazione vegetariana non solo come scelta di vita (da anni va dicendo che la buona parte dei tumori al colon e all’intestino ha diretta relazione con un’alimentazione scorretta, specie con gli alti consumi di carne e grassi animali) ma come scelta etica sorretta da una intima convinzione che essa corrisponda ad un atto di responsabilità “nei confronti della propria e dell’altrui salute”; la battaglia per lo sdoganamento dell’eutanasia – almeno per i non i credenti – dal codice della proprietà delle religioni e quindi il suo diritto ad esistere nella coscienza e nelle scelte dell’individuo come gesto di sommo rispetto dell’essere umano (“ho vissuto una cieca aggressività ideologica … nella vicenda di Eluana Englaro”). Il diritto insomma “autodeterminazione” della persona specie se colpita da malattie gravissime rispetto ad una sorte (che spesso è legata alle conoscenze del momento della medicina) che annienta la dignità. Mi piace che il capitolo dedicato a questo tema sia stato titolato da Veronesi “La grazia di poter morire”, poiché in Teologia (ed è evidente che la scelta è voluta) la “Grazia” indica la “benevolenza di Dio verso l’uomo”. Questo testimonia dell’altro grande tema che affronta, il dilemma scienza – religione sul quale flotte e moltitudini di scienziati credenti hanno raccolto la sfida di Veronesi rispondendo con argomenti a favore di una assoluta convergenza; la sfida per l’affermazione del diritto alle scelte civili libere dai tabù, dalle unioni civili, alla fecondazione assistita, alle pillole anticoncezionali anche ai minorenni, alla liberalizzazione delle droghe

Settembre/Ottobre 2015 - pag. 7 leggere, temi su cui anche la Chiesa (“rinnegando se stessa per sopravvivere” come diceva Pasolini negli anni ‘70) ha dovuto fare un passo indietro (è recente “il placet” di Papa Bergoglio alla comunione ai divorziati o l’attenuazione del dogma dell’indissolubilità del matrimonio, o l’apertura verso le unioni civili); e poi ancora – tema che mi interessa come giurista – il superamento della pena dell’ergastolo specie per condannati di giovanissima età. L’idea di Veronesi, sostenuta dalle sue ricerche anche neurologiche, è che l’essere umano sia capace di “riplasmarsi” di “rinascere” di “rigenerarsi” anche laddove dallo stesso siano stati compiuti crimini gravissimi (il senso dell’art. 27 della nostra Costituzione “le pene devono tendere alla rieducazione”). Sul capitolo finale “La pena di morte viva” scrive “… In realtà, il gene dell’aggressività non esiste; anzi il messaggio del nostro DNA sono la perpetuazione e la conservazione della specie; procreare, educare, abitare, condividere, costruire ponti, creare legami e relazioni che rendano più sicura la vita nostra e della nostra prole. Insomma il nostro genoma tende al bene”. Parole che ti aspetteresti da un parroco nell’omelia della domenica, da un vescovo, da un Papa, potere taumaturgico della parola…. E poi ancora la difesa degli diritti degli animali, con un approccio sorprendente, perché conduce in maniera planare a San Francesco e a Leonardo Da Vinci (“Verrà il giorno in cui un crimine contro un animale sarà considerato un crimine contro l’umanità”, diceva il sommo pittore).Il libro di Veronesi ci interessa, ci riguarda, ci tocca … è un testamento intellettuale, anche quando apre brecce nella coscienza assopita, nell’annoiato sistema dei mass media, nelle aule polverose dei tromboni universitari o tra gli indecenti scranni del Palazzo del potere politico. Spesso le sue parole sono pietre, come quando ha affermato recentissimamente che “in futuro prossimo tutti ci ammaleremo di tumore”. E’ stato accusato di inutile cupio dissolvi, di scandalo, ma Veronesi come ho detto all’inizio non è solo uno scienziato, è un pensatore, é un intellettuale libero, ed un intellettuale quando è veramente libero è sempre scandaloso. Salvatore Bazzu

Detti popolari galluresi Pari un santu chi no l’hàgghjni fattu festa. Pare un santo che si siano scordati di festeggiare (di persona dall’aria offesa e contrariata). La carri bona si la magna l’àia. La carne buona se la mangiano gli uccelli. (Si allude alle donne belle che spesso sposano uomini brutti). Sinn’è andatu battutu a truddha. Se n’è andato via come persona pestata col mestolo (avvilito e mortificato).


il levante

Settembre/Ottobre 2015 - pag. 8

I primi cento giorni da Sindaco

Sport in Gallura...

In prima fila si sono prodigati gli assessori, i consiglieri , i dipendenti, i nostri vigili sempre disponibili ad intervenire nelle situazioni più disparate. Io non so se la popolazione abbia avuto la reale percezione del pericolo che abbiamo corso. Ho dovuto evacuare alcune zone della frazione Suaredda e di via Palermo. Le scuole sono state chiuse nel momento migliore per non creare allarmismo e disagio ai familiari degli alunni. Alcune strade del centro come via Sardegna sono state chiuse al traffico, le frazioni di L’Alzoni e Nuragheddu sono rimaste isolate per alcune ore. Cinque persone, tre di nazionalità belga, due coniugi tedeschi, sono state ospitate prima in sala consiliare, successivamente in un albergo che ha dato la sua disponibilità. I vigili del fuoco hanno salvato alcuni abitanti di Suaredda su un gommone e con le idrovore hanno liberato alcune cantine allagate in particolare il Market Dettori. Durante la notte squadre di barracelli e forestali hanno pattugliato tutto il territorio segnalando i pericoli e i punti critici. E’ stato un momento particolarmente difficile e devo confessare che alle quattro di mattina insieme ai vigili fluviali abbiamo avuto timore che il fiume vicino al Residence i Fenicotteri potesse tracimare creando un macello, ma miracolosamente ha cessato di piovere e il livello si è lentamente abbassato. Lassù qualcuno ci ama. In conclusione l’emergenza è stata gestita bene, la macchina ha tenuto in maniera egregia. Alcune osservazioni conclusive vanno fatte alla luce di questa mia prima esperienza. Avrei gradito una maggiore presenza di volontari per essere di aiuto al personale specializzato intervenuto. E’ necessario creare a San Teodoro una compagnia di volontari della protezione civile che siano di supporto per qualsiasi evento o calamità, con i mezzi e le attrezzature idonee. I canali tombati o non sufficientemente puliti sono la causa di alcune criticità in caso di piogge intense, stiamo già studiando alcuni interventi correttivi nei limiti del possibile. La ferita della spiaggia la Cinta: in tre punti la spiaggia è sommersa dal mare come già avvenuto nella precedente alluvione. La Cinta è il cuore economico del paese, dobbiamo difenderla con ogni mezzo. Senza questa risorsa naturale l’intera economia di San Teodoro potrebbe avere dei danni incalcolabili. Abbiamo già organizzato un tavolo tecnico per studiare gli interventi da fare, ma credo che sarà la natura stessa a ricostruire la spiaggia. Invito tutti i cittadini di San Teodoro che hanno subìto danni, di cui non siamo a conoscenza, di segnalarli agli uffici competenti comunali. Siamo a vostra disposizione. Domenico Alberto Mannironi

Durante la prima stagione di campionato federale, la squadra di San Teodoro che in concomitanza con lo scudetto del Cagliari, vinse il primo campionato di terza categoria, non si fece mancare nulla e Miro ed Ermanno Lecca, sulle note di Cagliari Campione composero l'inno teodorino. “ ... eh a tutti fa piacere, in testa è Secondo il capocannoniere” così concludeva l'inno. Secondo Oggianu era la nostra ala sinistra, giocava con il numero undici sulla maglia ed essendo il giocatore più smaliziato oltre che il capitano era diventato il cannoniere della squadra con undici reti. Panettiere per professione, Secondo era conteso da Posada, paese natio che lo voleva a tutti i costi in squadra ma, stanco di fare altri sacrifici giocò a San Teodoro con i colori viola. Qualche anno prima che a San Teodoro si organizzasse la squadra di calcio, giocò nell'Olbia e per allenarsi andava in autostop. In quel periodo il traffico sulla strada Nazionale (attuale S.S.125) era pochissimo, ma lui dopo la nottata al forno nel pomeriggio si posizionava alla Traversa in cerca di mezzi di fortuna, a volte veniva accompagnato dal fratello “mister Primo Oggiano”. Secondo, che durante la sua carriera segnò oltre 50 gol, a quei tempi faceva impazzire le difese con le sue giocate funamboliche, gol di astuzia, colpi di testa in tuffo, (da ricordare un gol alla Gigi Riva segnato alla Dorgalese che aveva tra le fila il portiere Selloni con un passato in serie “D”) e famose erano le sue traiettorie dal calcio d'angolo che disorientavano i portieri. Durante una partita in casa contro il Florinas segnò due volte sempre dal corner, la prima volta disegnò un tiro che entrò all'altezza del primo palo, mentre in un successivo corner della partita, il portiere avversario che pensava di ingannarlo, visto il primo gol, si piazzò in modo disastroso sul primo palo beccando ancora il gol che si infilò sul palo lontano. Vi lascio immaginare gli sfottò degli spettatori e l'ira del malcapitato portiere, beffato per la seconda volta. L'altro attaccante teodorino era Paolo Sanna che giocava con il numero sette sulla maglia, “con Sanna all'ala destra che brucia tutti quanti” intonava la canzone. Paoluccio in quel periodo faceva anche atletica leggera partecipando allo Stadio dei Pini di Sassari ai vari campionati studenteschi nelle gare di velocità, considerato quindi di diritto, un velocista. Pur non avendo il senso del gol, sbloccò tante partite con la sua velocità superando l'avversario e presentandosi davanti al portiere avversario. La gente ricorderà la folta chioma “spettinata” che svolazzava durante le sue escursioni in velocità. Era tale la sua maniacale cura verso i capelli che era sempre pettinato ed in ordine. Da ricordare la doppietta segnata a Mores nel giorno dell'apoteosi, con due poderose incursioni verso il portiere avversario. Eravamo a modo nostro dei campioni, avevamo vinto il campionato di terza categoria 1969/70. Sandro Brandano

Un giorno al bar centrale, da Tonino Fara


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