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Lettera a mio padre

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Parole non dette

Parole non dette

Caro papà, ti scrivo una pagina di diario, come se fossi ancora una bambina e dovessi confessarti un segreto, con il sorriso stampato sul viso.

Caro papà, sei sempre stato la mia roccia, la spalla su cui piangere, il mio portafortuna, la mia ancora che mi teneva ben salda, il mio tesoro.

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Sei stata la persona con cui ho più litigato, ma anche quella con cui più facilmente facevo pace. Con te bastava uno sguardo e la mia anima sembrava di nuovo in pace, era di nuovo colorata e felice.

Quando stavo per chiederti qualcosa ti facevo gli occhi dolci, accennavo un sorriso e tu già sapevi che quello che chiedevo era qualcosa di impossibile, che solo tu potevi realizzare. Sai però qual è la cosa buffa? Che l’impossibile l’hai sempre realizzato.

Per me ci sei sempre stato, quando combinavo uno dei miei soliti pasticci oppure un guaio dal quale solo tu potevi liberarmi. Ci sei sempre stato quando ti infastidivo con le mie richieste e le mie lamentele. Ci sei sempre stato quando mi ammalavo perché avevo preso freddo e ti arrabbiavi perché me lo avevi detto di coprirmi, ma c’eri comunque, a rimboccarmi le coperte, a tirarmi su il morale, a farmi stare meglio.

I ricordi però non voglio condividerli tutti, alcuni voglio che restino nascosti, solo per noi due, solo nostri. Alcuni ricordi li custodisco come i pirati il loro tesoro, come un diamante prezioso.

L’ultima volta che ti ho sentito parlare eravamo in ospedale. Prima di andarmene mi hai detto che mi volevi bene. So che sembra scontato, che sono le parole che si dicono più spesso, le più scontate, ma in quel momento, mi sembravano le più adatte e quelle che volevo sentire di più. Così mi sono aggrappata alla tua voce rauca e poco melodiosa, come non ricordavo, e ho volato ancora un po’. Le mie ali mi hanno portato in alto, la tua voce mi aveva dato l’energia necessaria per toccare il cielo, ma poi, come all’improvviso, le ali sono diventate pesanti, si sono spaccate a metà ed io sono precipitata, schiantandomi.

Mi ero fatta male, non riuscivo ad alzarmi, le mie ali erano del tutto inutilizzabili e non sapevo più come volare. Il cielo era diventato tutto grigio, le nuvole oscuravano il sole e una pioggia incessante appesantiva ancor di più le mie ali. Poi però ho ricordato quello che mi avevi detto: bisogna sempre seguire la strada dei sogni, contare su se stessi e sugli altri, essere sempre se stessi e dire sempre la verità. Così ho iniziato a riprendere le forze che mi rimanevano per far funzionare le mie ali, per alleggerirle e tornare a volare.

Ancora non ci riesco del tutto, papà, ma ti giuro che ci sto provando, sto cercando di volare, più in alto che posso.

Caro papà, tutti dicono che ci somigliamo o meglio, che io somiglio a te, che il nostro viso combacia, che i miei lineamenti sono uguali ai tuoi. Il nostro sguardo, dicono, sia penetrante allo stesso modo. Siamo simili nei comportamenti, nei modi di fare, nei gesti che facciamo quando parliamo, nei sorrisi, nel renderci buffi, nel metterci nei pasticci. Te lo confesso; non credo ci sia cosa più bella che sentirmi dire che ti somiglio, mi sento fiera di me stessa, mi sento protetta. Ho ancora tante altre cose da raccontarti, forse scriverle nero su bianco mi fa rendere meglio conto di quello che ho ancora di te, di tutti i ricordi condivisi, di tutta la vita passata insieme. Quando penso a te ho un nodo alla pancia, alla gola, al cuore, però poi penso a quando volavamo insieme e sorrido. Quello che vorrò ancora rivelarti, i segreti che vorrò condividere con te, i miei guai, le mie passioni, te li racconterò, lo sai, in sogno, quando ci incontreremo e, come ho già fatto, ti abbraccerò forte, piangendo con te.

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