Hystrio 2000 3 luglio-settembre

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brava a cui si perdonano alcune ingenuità del testo. L'uso frequente della metafora - parlare di sé in terza persona utilizzando animali immaginari, come scoiattoli o allodole - rivela peraltro una costante atmo-

r-----------------------------, Troppo design in questo g/ance ORPHEUSGLANCE, elaborazione drammaturgica di Daniela Nicolò. Regia di Enrico Casagrande. Modulo abitativo di Francesco Rccioli. Macchinerie di Tommaso Maltoni. Suono di Enrico Casagrande e Massimo Carozzi. Con Dany Greggio, Cristina Negrini, Enrico Casagrande, Tomamso Maltoni, Mocklto, Coprod. Motus, Rimini - Crt Centro di Ricerca per il Teatro, Milano, in colloborozlone con Eti, Festival di Santarcangelo, Bologna 2000, Infinito Ltd (Torino), Cankariev Dom (Lubiana).

sfera Iudica che impedisce a Nora di essere presa sul serio. Il tutto si svolge in un'unica ambientazione, la

Lo confesso:

non ho capito (anzi, I didn't understand, considerata

la lingua dello

spettacolo). Non c'è niente da capire, dite? Bisogna affidarsi alle sensazioni, lasciarsi catturare dai suoni, dalle immagini? Anche questo non mi è riuscito. Ma non mi

casa degli Helmer, di cui si identifica la porta di casa e una finestra che ipnoticamente Nora si ferma spesso a guardare, alle cui spalle domina una grande poltrona spigolosa posta al cen-

sono data per vinta e ho invano cercato aiuto nel programma di sala: l'unica frase che non mi sia sembrata gratuito e ampolloso gioco di parole (svuotamento del palco dell'anima? immersione nel deep nothing?), è quella di Rilke. Eccomi, allora, immersa nella lettura dei Sonetti ad Orfeo, cui questo spettacolo dice di ispirarsi. Poesia grandissima e difficilissima, si sa. Ma che diamine! ci fosse nello spettacolo anche solo un soffio di quell'altissimo canto, una parvenza, un'ombra di quell'Orfeo. Perché un conto è il mito di Orfeo, un altro la lettura che ne ha dato il poeta tedesco (tanto

tro. Una scenografia essen-

per esempio, in Rilke, Euridice non compare praticamente mai). Ma tutto ciò forse

ziale e simbolica, che evoca scenari immaginari consen-

non conta, a Rilke ci s'ispira per creare qualcosa di completamente diverso e nuovo. Osserviamo il luogo dell'azione, un interno di casa con soppalco dalle raffinate pare-

tendo maggiori possibilità di azione, come nella dolcissi-

ti rosso lacca, un salotto borghese, che ha l'aria di un esposizione di mobili e oggetti di design anni '60-70. E com'è il glance di quest'Orfeo, cantante rock in occhiali

ma scena del gioco a mosca cieca in cui è "come se" ci fossero i bambini, forse perché sarebbe trop-

da sole e abbigliato comme il faut? Straordinariamente compiaciuto, direi, di ciò che ci circonda ci restituisce fotogrammi studiati, levigati, patinati, le cose sembrano avere fatto tutte un accurato lifting, essersi sottoposte ai raggi uva, avere fatto palestra, oggetti in piena forma, impermeabili al dolore, all'angoscia, e soprattutto al sen-

po doloroso rappresentarli davvero. Interpretare Ibsen oggi significa anche ripensarlo, alla luce di una modernità che non può essere ignorata. Maria Chiara Italia

tire amoroso e al canto, alla poesia. E per tutti valga la parete opalina che lascia trasparire la stanza da bagno con la silhouette di un water e della corda dello sciacquone (e Orfeo chino sulla tazza in preda al vomito e Euridice seduta per un naturale bisogno): immagine emblematica di come della realtà sia colto, al posto dell'anima, il design (in questo caso neppure molto originale) al fine di fornire un esclusivo appagamento retinico. Chi sono per i Motus Orfeo e Euridice? lo so solo dirvi che

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Lui parla inglese, suona la chitarra, beve whisky su una poltrona di pelle nera, si aggira inquieto in cucina; Lei parla francese, canta la canzone che ha reso celebre Jane Birkin, si fa la doccia. Insieme li vediamo in alcune diapositive in pose felici sulla spiaggia in costume da bagno e su una pan-

Donatella Discepoli in una scena di 01pheus Glance dei Motus.

china sullo sfondo di un Cervino smaccatamente da cartolina. Il teatro e il cinema hanno affrontato il mito in svariatissimi modi e col dedicare fra altri a Cocteau lo spettacolo, i Motus si rifanno a una sua personale e spregiudicata rielaborazione filmica di Orfeo. Quindi, per carità, ogni interpretazione è lecita. Ma deve pur in qualche modo - per enigmi simboli allusioni suoni - farsi palese allo spettatore. In Orpheus glance non ho trovato una sola immagine che abbia proseguito il suo corso oltre la superficie dell'occhio per approdare in qualche zona dell'essere non dico profonda ma un poco più interna. Non ho capito, come dicevo all'inizio. Forse perché mi aspettavo di sentirlo, prima o poi, il soffio rilkiano nel dio. Roberta Arcelloni

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