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Dietro le quinte dei valori di quota: economia reale e mercati finanziari

REPORT TRIMESTRALE IV 2009

Ufficio Analisi Finanziarie del Fondo Cometa


2 Report Economico Quarto Trimestre 2009. Ufficio Analisi Finanziarie del Fondo Cometa


1. Tendenze economiche in corso e possibili scenari futuri Dalla lettura dei più recenti bollettini economici di autorevoli organismi internazionali emerge che le straordinarie misure di stimolo adottate dalle Banche Centrali e dai Governi a partire dall’inizio dello scorso anno, hanno consentito una fragile e progressiva normalizzazione dell’economia mondiale, con un graduale ritorno alla crescita economica nei principali paesi emergenti e in una pluralità di economie avanzate. Nell’area OECD l’inversione del ciclo economico è stato guidato da misure di stimolo della domanda interna, da un recupero della domanda dei Paesi non OECD, dagli interventi pubblici nel settore finanziario e dall’aggiustamento delle scorte. Nel complesso, dopo una contrazione del 3.5% del Pil per il 2009, l’Organismo stima un ritorno alla crescita dell’1.9% nel 2010 e del 2.5% nel 2011 (figura 1). Tra le aree economiche analizzate quella statunitense oltre ad aver registrato la contrazione minore nello scorso anno (2.50% contro il 4% e il 5.3% dell’area euro e del Giappone), dovrebbe essere anche quella con la crescita maggiore nei prossimi due anni.

Di contro il tasso di disoccupazione, incrementatosi bruscamente nel 2009 rispetto al precedente anno, dovrebbe continuare a crescere di quasi un altro punto percentuale nell’anno in corso, con una riduzione, tra l’altro modesta, soltanto a partire dal 2011. A causa della forte riduzione delle ore medie lavorate, il vecchio continente ha subìto una minore perdita di posti di lavoro rispetto agli Stati Uniti, ma è oltreoceano che il trend occupazionale dovrebbe non solo invertirsi prima, ma anche crescere ad un ritmo più sostenuto. Si noti inoltre come la brusca contrazione del commercio internazionale sia stata di oltre 12 punti percentuali nel 2009. Un crollo degli interscambi mondiali senza precedenti che tuttavia è stato già lasciato alle spalle per merito di un incremento dei volumi delle esportazioni e delle importazioni di tutte le principali economie, soprattutto di quelle dei Paesi asiatici. Nel periodo in analisi Il tasso totale di crescita dei prezzi si è mantenuto su

Stime OECD 1997/2006 Crescita Reale 2,8 Stati Uniti 3,20 Area Euro 2,30 Giappone 1,10 Tasso di Disoccupazione 6,5 Inflazione 3 Commercio Mondiale 7,1 Crescita Reale OECD BRIC 3,8

2007 2,7 2,10 2,70 2,30 5,6 2,3 3,3 4,6

2008 0,6 0,40 0,50 -0,70 5,9 3,2 3 2,2

2009 -3,5 -2,50 -4,00 -5,30 8,2 0,5 -12,5 -1,7

2010 1,9 2,50 0,90 1,80 9 1,3 6 3,4

2011 2,5 2,80 1,70 2,00 8,8 1,2 7,7 3,7

Figura 1. Quadro economico e previsioni OECD

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livelli molto bassi. Da qualche mese tuttavia si è assistito ad una crescita dei prezzi degli energetici che ha spinto al rialzo l’inflazione totale. Quest’ultima è infatti passata dal -0.5% annuale del mese di luglio all’1.3% del mese di Novembre, mentre l’inflazione core si è mantunata piuttosto stabile attorno all’1.6% annuale. Da un’analisi in dettaglio delle principali economie emerge come paesi quali Germania, Francia e Giappone non solo siano usciti tecnicamente dalla recessione, ma abbiano anche fatto registrate ben due trimestri consecutivi di crescita positiva del Pil (figura 3). A registrare però l’incremento maggiore sono stati gli Stati Uniti con ben 2.2 punti percentuali nel terzo trimestre che dovrebbero essere seguiti, secondo recenti sondaggi, da un altro ancor più sorprendente 4.2% nell’ultimo trimestre dell’anno. La crescita statunitense è dovuta in larga parte all’espansione dei consumi e alla ripartenza delle esportazioni e degli investimenti nell’edilizia residenziale. Per quanto concerne l’italia, il terzo è stato l’unico l’unico trimestre di crescita positiva (0.6%) ed è stato dovuto essenzialmente ad una ripresa della produzione industriale salita del 5% rispetto ai minimi di marzo. Esauritosi l’effetto del forte calo dei prezzi dei beni energetici, il tasso di crescita dei prezzi è tornato in terreno positivo nelle principali economie nazionali analizzate in figura 4, con la sola

Figura 2. Tassi di inflazione nell’area OECD

Figura 3. PIL:variazioni trimestrali

Figura 4. Inflazione tendenziale nelle principali economie

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eccezione del Giappone alle prese con gli ormai consueti problemi deflazionistici. Che l’Inflazione sia tornata a variazioni positive comprese tra l’1 e il 2 per cento non preannuncia, per ora, un’ondata inflazionistica imminente quanto piuttosto un ritorno alla normalità, nel senso di un’oscillazione della crescita dei prezzi all’interno di una banda target voluta dalle banche centrali Continua invece inesorabilmente il calo dell’occupazione su tutti i mercati (figura 5). Sebbene su livelli diversi, soltanto in Germania e in Giappone i tassi di disoccupazione si sono stabilizzati negli ultimi mesi attorno ad un valore di poco superiore al 7.5% nel primo caso e al di sopra del 5% nel secondo. Trend crescenti si riscontrano invece altrove, come ad esempio in Italia dove i lavoratori in cerca di occupazione sono passati dal 7.7% di luglio all’8.3% di novembre. Il dato è il peggiore dal 2004 ed è ancora più allarmante se si considera che la disoccupazione giovanile è tre volte superiore alla media nazionale e che i posti di lavoro persi da inizio anno ammontano a quasi 490 mila unità. Anche negli Stati Uniti, e nonostante come detto in precedenza l’inversione del ciclo economico sia stata di maggiore intensità, il mercato del lavoro stenta a ripartire. Il tasso di disoccupazione in dicembre è rimasto fermo al 10%, ma si stima sarebbe stato pari al 10.4% se non fosse stato per l’uscita dalle statistiche dei lavoratori scoraggiati, quelli cioè che rinunciano definitivamente alla ricerca di

un’occupazione. La figura 6 mostra tuttavia come il ritmo della perdita dei posti di lavori sia in netto declino: dopo essere entrata addirittura in terreno positivo nel mese di Novembre la variazione degli occupati è diminuita nuovamente in dicembre, mese in cui sono stati persi altri 85 mila posti di lavoro. Nell’intero anno ne sono svaniti

Figura 5. Tassi di disoccupazione nelle proncipali economie

Figura 6. Variazione degli occupati negli USA (valori in migliaia).

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complessivamente ben 4,2 milioni. Analogo andamento per le nuova richieste di sussidi di disoccupazione che nonostante l’indiscutibile declino avviato dall’aprile 2009 sono aumentate, ad inizio anno, per ben due volte consecutive raggiungendo le 444 mila unità (figura 7). Continua, nelle pagine che seguono, il monitoraggio dell’andamento di alcuni indici che, insieme a quelli già analizzati, vengono considerati dalla maggior parte degli economisti quali i market mover dei mercati più importanti. Diversi indicatori suggeriscono che in numerosi paesi il mercato immobiliare abbia ripreso a crescere. In Europa la domanda abitativa è stata stimolata dalla crescita del rapporto tra il reddito destinato agli acquisti abitativi e l’indice dei prezzi delle case (incremento dovuto principalmente alla riduzione del denominatore), che insieme ai bassi tassi di finanziamento ha comportato un piccolo rimbalzo nei mutui concessi alle famiglie. Mutui che tuttavia restano su livelli molto bassi. Gli indici che fotografano l'andamento dei prezzi delle case in America, i Case Shiller riportati nella figura 8, sembrerebbero aver arrestato, a partire dal secondo semestre del 2009, un trend negativo che durava fin dal 2006 e le quotazioni dei futures sullo stesso indice segnalano attese di prezzi stabili per il 2010. Anche negli Stati Uniti dunque i bassi tassi di interesse sui mutui ipotcari e gli stimoli fiscali nel settore immobiliare hanno ridotto lo squilibrio tra domenda e offerta.

Gli indici dei direttori degli acquisti, noti come indici PMI, misurano la percentuale delle imprese nel settore, cui fanno riferimento, che registrano un miglioramento economico. Un valore dell’indice superiore alla soglia dei 50 punti, indica un’espansione dell’attività economica, una contrazione in caso contrario. L’attenzione dedicata a questi indici attraverso il continuo monitoraggio dei valori da essi assunti è dovuta al fatto

Figura 7. Nuove richieste di sussidi di disoccupazione negli USA (valori in migliaia).

Figura 8. Mercato immobiliare negli Usa.

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che sono considerati anticipatori del Pil e che segnalano dunque cambiamenti del ciclo economico; non a caso rientrano tra le variabili utilizzate dalle Banche Centrali nelle scelte di politica monetaria. Tutti gli indici considerati in figura 9 segnalano che l’attività economica sia nel settore manifatturiero che dei servizi è in crescita. Il dato più importante è sicuramente il 55.9 del settore manifatturiero statunitense che superando anche le attese che puntavano ad un 54.5, è salito ai massimi da Aprile 2006. Tutti e quattro gli indici, comunque, hanno già da qualche mese, superato il valore 50, quello che, come già ricordato, separa l’area di espansione da quella di contrazione dell’attività economica. Anche il Leading Index (figura 10 ), dopo aver toccato il valore minimo nel mese di Marzo a 97.9, ha fatto registrare otto mesi consecutivi di rialzi che lo hanno condotto fino a 104.9. Quest’indice è calcolato da The Conference Board ed è definito sul valore di dieci variabili che sono: le assicurazioni per la disoccupazione; i nuovi ordini per beni e materiali di consumo; velocità di consegna dai fornitori ai venditori; nuovi investimenti escluso il settore della difesa; nuove concessioni edilizie; andamento dell'S&P500; inflazione; la differenza tra i tassi a breve e lungo periodo; il sentiment nei consumi; media di ore lavorate settimanalmente nel settore manifatturiero.

L'IFO business climate index è, invece, un indice basato su circa 7.000 questionari mensili inviati alle aziende del settore manifatturiero, edile, vendite all'ingrosso e al dettaglio della Germania. Le imprese forniscono la loro impressione sulla situazione economica corrente e le loro aspettative per i prossimi sei mesi dalle quali scaturiscono i due diversi indici riportati in figura 11. Il Business Expectations è in rialzo già da un anno esatto ed ha anticipato la ripresa del Business Climate che ha infatti invertito

Figura 9. Indici PMI manifatturiero e dei servizi in EU e USA

Figura 10. Leading index

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il trend solo a partire dal mese di Aprile. La politica monetaria delle principali Banche centrali continua ad essere espansiva, almeno sotto il profilo dei tassi di interesse. Nessuna variazione è infatti occorsa negli ultimi mesi, essendo i tassi di sconto ancora ancorati ai rispettivi valori minimi (figura 11). Tuttavia Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea ha annunciato di voler rientrare gradualmente dall’espansione quantitativa, ritenuta non più necessaria, pur confermando l’impegno ad erogare tutta la liquidità necessaria al sistema bancario. Nel caso della Fed invece il rientro dall’espansione quantitativa è già in corso attraverso il rimborso dei fondi Tarp (quelli erogati alle banche nel corso della crisi economica) sia attraverso l’automatico rientro di tanti finanziamenti a breve termine.

Conseguentemente l’indice che misura il tasso di cambio dell’euro nei confronti dei 21 principali partners commerciali dell’Unione Monetaria (figura 12), dopo essersi mantenuto su livelli molto alti nei mesi di ottobre e novembre, ha subìto uno scivolone nel corso dell’ultimo mese dell’anno.

Figura 12: Andamento del tasso di cambio tra l’euro e le valute dei 21 principali partners commerciali europei.

Per quanto concerne il mercato valutario nel mese di dicembre si registra un deprezzamento dell’euro nei confronti di tutte le principali valute mondiali.

Figura 11: Andamento dei tassi di sconto in EU (arancione), UK (verde), USA (rosso), JAP (nero

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Come appare evidente dalla figura 13 la valuta di eurolandia ha perso circa il 5% nei confronti del dollaro (2.1% nel trimestre) e circa il 3% nei confronti della sterlina (3.17% nel trimestre) Ma mentre nei confronti del dollaro si registra un apprezzamento del 2.5% nell’intero arco dell’anno, nei confronti della sterlina si è registrata una perdita di valore di oltre 7 punti percentuali. L’inversione del trend negativo della valuta americana è dovuta non solo ai problemi “greci dell’euro” ma probabilmente anche al differenziale di crescita economica tra Usa e vecchio continente di cui si è detto in apertura. Si noti ancora in figura 12 come l’unica eccezione alla perdita di valore dell’euro riguardi il caso dello yen giapponese nei confronti del quale l’apprezzamento nel solo mese di dicembre è stato di quasi 3 punti percentuali. La debolezza della valuta nipponica è espresso volere del nuovo primo ministro che vede in tale ricetta la possibilità di rilanciare le sorti dei grandi esportatori e, per questa via, dell’intera economia del paese.

prezzo del petrolio giunto a circa 80 dollari al barile nei primi giorni del nuovo anno. Inoltre gli operatori si aspettano ulteriori rialzi nel medio periodo come attesta il prezzo dei contratti future ad un anno quotati ad oltre 85 dollari al barile (figura 14). Le prospettive meno pessimistiche sulla crescita economica rispetto a qualche mese fa hannp infatti indotto un rialzo della domanda attesa per il 2010.

Figura 12: Variazioni % mensili, trimestrali e annuali dei principali tassi di cambio.

Nel complesso la volatilità dei principali tassi di cambio bilaterali continua a ridursi rispetto ai massimi registrati nel corso della fine del 2008 (figura 13) ed è già pienamente tornata ai valori precedenti all’acuirsi della crisi finanziaria. Per quanto concerne il mercato delle commodities, non accenna ad esaurirsi la lenta ma continua risalita del

Figura 13:Andamento della volatilità dei tassi di cambio

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Nel complesso il petrolio guadagna il 2.7% nel mese ed oltre 12 punti nel trimestre (figura 15). La relazione inversa che invece lega l’andamento del dollaro all’oro spiega la riduzione del prezzo di quest’ultimo (circa 7 punti percentuali) nel corso del mese di dicembre. L’oro infatti è prezzato in dollari e dunque quando il biglietto verde si apprezza la domanda di oro diminuisce. Inoltre le banche detengono riserve nella valuta statunitense e quando questa perde valore preferiscono il suo sostituto più stretto, l’oro appunto.

Figura 14: Prezzo spot del petrolio e prezzo del future ad un anno.

Figura 15. Andamento materie prime: variazioni percentuali mensili, trimestrali e annuali.

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2. I mercati finanziari

Le condizioni finanziarie nei mercati monetari europei e statunitensi continuano a migliorare in virtù delle misure di supporto al credito e di un migliorato sentiment nei confronti delle istituzioni finanziarie. Hanno aiutato in questa direzione le pubblicazioni sugli stress test delle principali banche statunitensi, la restituzione dei fondi Tarp e l’abbondante liquidità iniettata nel sistema. Conseguentemente i tassi di sconto nei mercati monetari si sono ridotti ulteriormente, per tutte le scadenze, negli ultimi tre mesi: in figura 16 vengono riportati le continue flessioni dei tassi Libor ed Euribor a tre mesi giunti rispettivamente allo 0.7% e 0.25%. Gli operatori di mercato dunque sembrerebbero essere convinti che il costo del denaro rimarrà ancora stabile per i prossimi mesi. Ed infatti, come già accennato in precedenza, Fed e Bce hanno annunciato di voler prima provvedere a rimuovere le altre misure straordinarie di intervento quali ad esempio le aste a lunga durata e ad ammontare illimitato e solo in seconda battuta, qualora le condizioni economiche lo permettessero, ritoccare i tassi di sconto. Tuttavia, sia in eurolandia che negli Usa, il tasso di crescita dei prestiti erogati

si è ridotto per tutti i settori assumendo anche valori negativi in qualche caso. In figura 17 sono riportati gli andamenti delle quattro voci che compongono il totale dei prestiti erogati dalle istituzioni finanziarie monetarie europee. È possibile notare come in ogni settore ci sia un trend negativo ormai da diversi anni che tuttavia si è accentuato con l’acuirsi della crisi finanziaria. I dati più recenti indicano che prestiti alle imprese non finanziarie si sono ridotti, nel mese di novembre e su

Figura 16. Tassi euribor (nero) Libor (arancione)

Figura 17. Variazione annuale prestiti degli IFM nell’area euro

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base annuale, di quasi due punti percentuali, 13.6% la flessione dei prestiti alle assicurazioni e ai fondi pensioni. Primo incremento positivo,dopo una serie di dati negativi, per i prestiti ad altri intermediari finanziari (0.3%) e alle famiglie (0.5%). Per quest’ultimo settore la figura 18 contiene un’ulteriore scomposizione che mostra come le maggiori flessioni abbiano riguardato il credito al consumo e i mutui ipotecari ma con la differenza che solo quest’ultima voce è tornata ad un tasso di variazione positivo. I motivi del rallentamento del credito sono da ricercare non solo in un irrigidimento dell’offerta, ma anche in una diminuzione della domanda dovuta alla congiuntura economica. Tuttavia molti osservatori sostengono che il motivo della stretta creditizia sia da ricercare nel ritorno delle banche agli investimenti nei mercati finanziari. Ad avvalorare questa tesi le stesse parole del governatore della Bce che ha criticato le banche per il ritorno ad una speculazione rischiosa e ha ricordato loro che l’ingente iniezione di liquidità nel sistema è destinata all’economia e ai prestiti alle imprese, non al trading. Le imprese hanno così sostituito il finanziamento bancario attraverso il ricorso al mercato. Dalle rilevazioni dell’Ocse emerge che le obbligazioni emesse da parte delle imprese non finanziarie sia stata negli Stati Uniti superiore del 55% alla media decennale,

addirittura del 90% nel caso europeo. Il ritorno all’appetito per il rischio e le condizioni economiche in via di miglioramento hanno indotto sia un restringimento degli spread rispetto alle emissioni governative che un riduzione dei credit default swap. Pur con le dovute differenze queste considerazioni sono valide per differenti categorie di rating, per gli emittenti del settore finanziario come quelli dei settori non finanziarii. Se gli il mercato delle obbligazioni corporate sembrerebbe aver lasciato alle spalle i periodi più bui, qualcosa di diverso sta avvenendo invece nel mercato delle emissioni governative. Si è già ampiamente discusso della bassa probabilità che le banche centrali operino sui tassi di interesse senza aver prima fatto rientrare gran parte della liquidità erogata e di come un ritocco dei tassi, stando alle parole dei governatori centrali, non si profili almeno nel breve periodo. Tuttavia quello che si osserva, da almeno un mese ad oggi, è un incremento

Figura 18. Scomposizione dei prestiti degli IFM alle famiglie.

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dei rendimenti delle emissioni obbligazionarie e dunque una riduzione dei rispettivi prezzi. Negli Stati Uniti, ad esempio, il rendimento del titolo biennale si è quasi raddoppiato nel giro di pochi giorni passando dallo 0.67% del primo dicembre all’1.13% del primo gennaio (figura 19). Ma incrementi sostanziali si sono avuti anche per le scadenze a 5 e 10 anni, con un rendimento, in quest’ultimo caso, giunto oltre il 3.8%. Anche in Europa, questa tendenza sembrerebbe essere confermata: gli indici Jp Morgan riportati in figura 20 hanno visto ridurre i rispettivi valori per tutte le scadenze ma soprattutto per quelle a lungo termine per le quali la flessione è stata dell’1.64% nel mese di dicembre e dello 0.8% nell’ultimo trimestre dell’anno. Secondo alcuni analisti dunque i mercati stanno scontando il deterioramento dei conti pubblici e la vasta inondazione di emissioni di obbligazioni, un rischio paese dunque. Basti pensare che il debito delle 7 maggiori economie mondiali ammontava all’84% del Pil nel 2007, ma che per il 2010 e il 2011, secondo le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale, il rapporto dovrebbe salire rispettivamente al 109% e al 113%. Nel solo Giappone il debito è cresciuto al 200% del Pil. Al di fuori delle sette grandi, ovviamente il quadro è finanche peggiore. Oltre al noto problema della Grecia, anche per Paesi come Spagna e Portogallo l’agenzia Moody’s si appresta ad effettuare un downgrade del rating.

Tuttavia da un’analisi più approfondita emergono importanti differenze tra i diversi Stati. Che i mercati abbiano cominciato a scontare un rischio paese, e che questo rischio non sia variato in egual misura tra i diversi paesi, lo si può evincere ad esempio da un’analisi dei Crediti Default Swap, ovvero del prezzo delle assicurazioni contro il default degli emittenti obbligazionari.

Figura 19. Rendimenti a diverse scadenze delle emissioni obbligazionarie statunitensi.

Figura 20. Variazioni degli indici Jp Morgan riferiti alle emissioni obbligazionarie europee

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In figura 21 si può notare come negli ultimi tre mesi, l’incremento del prezzo di tali contratti assicurativi abbia riguardato tutti i Paesi del G7, seppur con diversi tassi, ma anche come si sia allargata la forchetta tra i due Paesi considerati da sempre a minor rischio. Attorno al 20 ottobre i CDS di Germania e Stati Uniti viaggiavano sui 20 basis point, dopo tre mesi quelli tedeschi sono aumentati del 50%, quelli statunitensi sono invece raddoppiati. Ed infatti per incontrare la domanda i titoli decennali statunitensi devono offrire oggi lo 0.48% in più rispetto ai corrispettivi tedeschi, situazione anomala questa se solo fino a pochi mesi fa erano quelli tedeschi dover offrire uno spread positivo (figura 22). Si noti anche come gli stessi Btp italiani stiano recuperando terreno stringendo lo spread sia nei confronti della Germania che degli Usa.

TMG, Il tasso massimo garantibile sui contratti assicurativi di ramo VI. Inoltre, non essendosi verificata nessuna variazione superiore al 15% tra il TMG in vigore e il sessanta per cento del TMO, il TMG continuerà ad essere pari al 2.5% almeno per i prossimi tre mesi. Per avere un’idea dell’andamento del tasso massimo garantibile e di alcune

Figura 22: Spread titoli governativi decennali italiani e statunitensi rispetto a quelli tedeschi.

Ed è proprio con un rendimento del Btp decennale italiano stabile attorno al 4% che non sono occorse variazioni del

Figura 21: Credit Default Swap a 5 anni degli emittenti G7.

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variabili ad esso correlate o comunque strategiche per il Fondo, la figura 23 continua l’aggiornamento del TMG, dei tassi di sconto ufficiali, dell’inflazione e del TFR. Si ricorda che al fine di neutralizzare l’effetto ondulatorio del TFR dovuto al calcolo, anche durante l’anno della componente inflazionistica rispetto al valore del 31/12, la serie storica utilizza la variazione annuale dell’indice IFO per cui il TFR ottenuto corrisponde al “vero” TFR soltanto in chiusura d’anno, 2.22% nel caso del dicembre 2009. I rendimenti dei titoli inflation linked, per i Paesi riportati in figura 24, si sono ridotti sin da inizio anno soprattutto nel caso dell’Italia. I rendimenti di tali titoli sono rendimenti reali, vale a dire rendimenti nominali al netto dell’inflazione e dunque la loro flessione può essere dovuta ad una diminuzione dei tassi nominali, come accaduto nell’ultimo anno, o ad un incremento dell’inflazione attesa. Inoltre sottraendo al tasso d’interesse nominale il

rendimento delle obbligazioni inflation linked con stessa scadenza, è possibile estrarre dal mercato l’inflazione che gli operatori si attendono per le diverse scadenze dei titoli utilizzati, la cosiddetta “break even inflation”. In figura 25 sono riportate le “break even inflation” costruite con i titoli italiani e statunitensi per mostrare come

Figura 24: Rendimenti dei titoli Inflation Linked di alcuni Paesi

Figura 23: Andamento storico del TMG, TFR, tassi di sconto e Inflazione.

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gli operatori di mercato si attendano per il prossimo anno un’inflazione pari all’1.46% e all’1.17% rispettivamente. Crescita dei prezzi che dovrebbe salire ad un tasso pari all’1.82% e all’1.59% per i prossimi tre anni. I guadagni dei listini azionari mondiali avvenuto a partire dal mese di marzo sono stati senza dubbio di notevole entità: oltre il 50% negli Usa, poco al di sotto nell’area europea, oltre il 40% in Giappone e Regno Unito. Guadagni così intensi da far ritenere, secondo alcuni analisti, che il rialzo dei prezzi sia stato guidato più dall’abbondante liquidità monetaria che dai veri fondamentali. Tuttavia da uno studio condotto dall’Oecd per i Paesi del G7 ad eccezione dell’Italia, il rapporto prezzo dividendi

aggiustato per il trend di crescita economica è al di sotto della sua media storica, per ognuno dei Paesi considerati. Invece di calcolare il semplice rapporto Prezzo/Utili, nell’analisi in questione l’OECD considera il rapporto tra i prezzi e la media mobile dei dividendi degli ultimi dieci anni, aggiustato per il tasso di crescita dell’economia Dunque ne emergerebbe che non sia stata solo la liquidità a guidare il rally del mercato azionario, ma che anche altri fattore abbiano giocato un ruolo determinate. Il riferimento è ad un quadro economico migliore rispetto a quello scontato dalla caduta dei prezzi durante l’ultima crisi finanziaria e ad un

Figura 25: Break Even Inflation a diverse scadenze negli Stati Uniti e in Italia.

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ritrovato appetito per il rischio degli investitori finanziari anche alla luce della riduzione della volatilità dei listini che è addirittura scesa al di sotto dei valori registrati ad inizio settembre 2008. Il fenomeno della riduzione della volatilità è ben colto dall’indice Vix (figura 23) tornato gradualmente sotto 20 punti nel Gennaio 2010, vale al di sotto del livello registrato nei giorni precedenti all’acuirsi della crisi finanziaria. Quest’indice riflette una stima della volatilità futura dell’S&P 500, basata su una media ponderata della volatilità implicita di diverse sue opzioni (differenti strikes e scadenze), e dunque la sua riduzione segnala una riduzione della probabilità di inversioni di tendenza dell’S&P 500. Snocciolando i dati di performance dei listini attraverso la lettura della figura 24, si evince che nel mese di dicembre tutti

gli indici azionari rappresentativi dei paesi considerati, hanno messo a segno performance importanti, leggermente più alte in Europa, che vanno dal 12.85% del Nikkey 225 (Giappone) allo 0.8% del Dow Jones Industrial (Usa). Ma se si considera l’ultimo trimestre dell’anno sono invece gli Stati Uniti ad aver conseguito i migliori risultati con circa 7 punti percentuali guadagnati dal Nasdaq Composite (Usa) e dallo stesso Dow Jones. Molti dei

Figura 23: Indice VIX

.

Figura 24. Principali indici borsistici mondiali: variazioni percentuali mensili, trimestrali e annuali. 17 Report Economico Quarto Trimestre 2009. Ufficio Analisi Finanziarie del Fondo Cometa


guadagni degli indici considerati si posizionano al di sopra del 20% nell’arco dell’intero 2009 con punte del 30 e del 43 per cento rispettivamente per l’Ibex (Spagna) e per il Nasdaq. A guidare il rally nel mese di Dicembre, in base alla scomposizione settoriale dell’Msci europeo riportata in

figura 25, sono stati i settori dell’energia e delle materie prime. Nel trimestre oltre a questi due settori si mettono in evidenza i consumi di prima necessità, mentre registrano perdite quelli finanziari e dell’information technology.

Figura 25. Scomposizione settoriale dell’MSCI World: variazioni percentuali mensili, trimestrali e annuali.

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