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Horti Hesperidum Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica Rivista telematica semestrale

MATERIALI PER LA STORIA DELLA CULTURA ARTISTICA ANTICA E MODERNA a cura di FRANCESCO GRISOLIA

Roma 2013, fascicolo I

UniversItalia Horti Hesperidum, III, 2013, 1

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I presenti due tomi riproducono i fascicoli I e II dell’anno 2013 della rivista telematica Horti Hesperidum. Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica.

Cura redazionale: Giorgia Altieri, Jessica Bernardini, Rossana Lorenza Besi, Ornella Caccavelli, Martina Fiore, Claudia Proserpio, Filippo Spatafora

Direttore responsabile: CARMELO OCCHIPINTI Comitato scientifico: Barbara Agosti, Maria Beltramini, Claudio Castelletti, Valeria E. Genovese, Ingo Herklotz, Patrick Michel, Marco Mozzo, Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, Ilaria Sforza Autorizzazione del tribunale di Roma n. 315/2010 del 14 luglio 2010 Sito internet: www.horti-hesperidum.com

La rivista è pubblicata sotto il patrocinio e con il contributo di

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Scienze storiche, filosofico-sociali, dei beni culturali e del territorio Serie monografica: ISSN 2239-4133 Rivista Telematica: ISSN 2239-4141 Prima della pubblicazione gli articoli presentati a Horti Hesperidum sono sottoposti in forma anonima alla valutazione dei membri del comitato scientifico e di referee selezionati in base alla competenza sui temi trattati. Gli autori restano a disposizione degli aventi diritto per le fonti iconografiche non individuate.

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © Copyright 2013 - UniversItalia – Roma ISBN 978-88-6507-551-7 A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.

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INDICE

SIMONETTA PROSPERI VALENTI RODINÒ, Presentazione

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FRANCESCO GRISOLIA, Editoriale

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FASCICOLO I

SIMONE CAPOCASA, Diffusione culturale fenicio-punica sulle coste dell’Africa atlantica. Ipotesi di confronto

13

MARCELLA PISANI, Sofistica e gioco sull’astragalo di Sotades. Socrate, le Charites e le Nuvole

55

ALESSIO DE CRISTOFARO, Baldassarre Peruzzi, Carlo V e la ninfa Egeria: il riuso rinascimentale del Ninfeo di Egeria nella valle della Caffarella

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ISABELLA ROSSI, L’ospedale e la chiesa di Santa Maria dei Raccomandati a Cittaducale: una ricostruzione storica tra fonti, visite pastorali e decorazioni ad affresco

139

MARCELLA MARONGIU, Tommaso de’ Cavalieri nella Roma di Clemente VII e Paolo III

257

LUCA PEZZUTO, La moglie di Cola dell’Amatrice. Appunti sulle fonti letterarie e sulla concezione della figura femminile in Vasari

321

FEDERICA BERTINI, Gli appartamenti di Paolo IV in Vaticano: documenti su Pirro Ligorio e Sallustio Peruzzi

343

FASCICOLO II

STEFANO SANTANGELO, L’ ‘affare’ del busto di Richelieu e la Madonna di St. Joseph des Carmes: Bernini nel carteggio del cardinale Antonio Barberini Junior

7

FEDERICO FISCHETTI, Francesco Ravenna e gli affreschi di Mola al Gesù

37

GIULIA BONARDI, Una perizia dimenticata di Sebastiano Resta sulla tavola della Madonna della Clemenza

63

MARTINA CASADIO, Bottari, Filippo Morghen e la ‘Raccolta di bassorilievi’ da Bandinelli

89

FRANCESCO GRISOLIA, «Nuovo Apelle, e nuovo Apollo». Domenico Maria Manni, Michelangelo e la filologia dell’arte

117

FRANCESCA DE TOMASI, Diplomazia e archeologia nella Roma di fine Ottocento

151

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CARLOTTA SYLOS CALĂ’, Giulio Carlo Argan e la critica d'arte degli Anni Sessanta tra rivoluzione e contestazione

199

MARINA DEL DOTTORE, Percorsi della resilienza: omologazione, confutazione dei generi e legittimazione professionale femminile nell’autoritratto fotografico tra XIX secolo e Seconda Guerra Mondiale

229

DANIELE MINUTOLI, Giovanni Previtali: didattica militante a Messina

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LA MOGLIE DI COLA DELL’AMATRICE. APPUNTI SULLE FONTI LETTERARIE E SULLA CONCEZIONE DELLA FIGURA FEMMINILE IN VASARI

LUCA PEZZUTO

Singolar donna degna d’eterna lode (G. Vasari, Le Vite…, 1568)

Se non fosse stato per il generoso ed in gran parte veritiero inserto biografico aggiunto da Giorgio Vasari nelle pagine dell’edizione delle Vite del 1568, parte della lunga carriera di Nicola di Piergentile1, meglio conosciuto con il diminutivo di Cola dell’Amatrice, sarebbe ancora oggi di difficile identificazione: Fu ne’ medesimi tempi Nicola, detto comunemente da ognuno maestro Cola dalla Matrice, il quale fece in Ascoli, in Calavria et a Norcia molte opere che sono notissime, che gl’acquistarono fama di maestro raro e del migliore che fusse mai stato in que’ paesi. E perché attese anco all’architettura, tutti gl’edifici che ne’ suoi tempi si fecero ad Ascoli et in tutta quella provincia furono architettati da lui. Il quale senza curarsi di veder Roma o mutar paese, si stette sempre in Ascoli, vivendo un tempo allegramente con una sua Questo il nome per esteso dell’artista, come si evince dai documenti. Per un approfondimento si veda CANNATÀ 1991, pp. 9-13. 1


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moglie di buona et onorata famiglia e dotata di singolar virtù d’animo, come si vide quando al tempo di papa Paulo Terzo si levarono in Ascoli le parti; perciò che fuggendo costei col marito, il quale era seguitato da molti soldati, più per cagione di lei, che bellissima giovane era, che per altro, ella si risolvé, non vedendo di potere in altro modo salvare a sé l’onore et al marito la vita, a precipitarsi da un’altissima balza in un fondo: il che fatto, pensarono tutti che ella si fusse, come fu in vero, tutta stritolata nonché percossa a morte; per che lasciato il marito senza fargli alcuna ingiuria, se ne tornarono in Ascoli. Morta dunque questa singolar donna, degna d’eterna lode, visse maestro Cola il rimanente della sua vita poco lieto. Non molto dopo, essendo il signor Alessandro Vitelli fatto signore della Matrice, condusse maestro Cola già vecchio a Città di Castello, dove in un suo palazzo gli fece dipignere molte cose a fresco e molti altri lavori; le quali opere finite, tornò maestro Cola a finire la sua vita alla Matrice. Costui non arebbe fatto se non ragionevolmente, se egli avesse la sua arte esercitato in luoghi dove la concorrenza e l’emulazione l’avesse fatto attendere con più studio alla pittura et esercitare il bello ingegno di cui si vide che era stato dalla natura dotato2.

Le ricerche sull’argomento sono state piuttosto limitate rispetto al reale valore di tale citazione all’interno della seconda versione della biografia del pittore Marco Cardisco3, specie in considerazione del fatto che la descrizione vasariana risulta essere uno degli aspetti di maggior interesse dell’intera vicenda critica del pittore abruzzese4, oltre che la più antica testimonianza storiografica nota sull’argomento. Le notizie relative ai pittori VASARI, BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, II, pp. 228-229. Nel testo di maggior spessore su Cola dell’Amatrice, il catalogo della mostra sull’artista tenutasi nel 1990 ad Ascoli, curato da Roberto Cannatà e Adriano Ghisetti Giavarina (CANNATÀ, GHISETTI GIAVARINA 1991), la vicenda critica della digressione biografica vasariana non è andata oltre la mera citazione. L’unico studioso che si premurò di approfondire tale argomento, come si vedrà successivamente, è stato Giuseppe Fabiani (FABIANI 1952). 4 Amatrice ai tempi di Cola era parte integrante del Regno di Napoli, anche se i suoi territori rientravano nella Diocesi di Ascoli. L’annessione della cittadina al Lazio avvenne durante il regime fascista e tale si è mantenuta sino ai giorni nostri, essendo entrata a far parte della provincia di Rieti. 2 3

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dell’Italia meridionale, se si escludono i fatti artistici di ascendenza tosco-romana ed il «caso internazionale di Antonello da Messina»5, nell’opera dell’aretino si limitano alla Vita di Girolamo Santacroce ed alle poche note presenti nella Vitacontenitore di Cardisco. Eccettuata la capitale partenopea, delle altre provincie del Regno di Napoli in cui «non sono soliti nascere uomini di tale professione»6, Vasari non ebbe diretta conoscenza; si pensi, tra i vari esempi possibili, alla totale assenza di riferimenti su L’Aquila, uno dei centri più importanti del regno – punto strategico di passaggio dei mercanti e dei viaggiatori gravitanti sull’asse viario conosciuto come ‘Via degli Abruzzi’ (Firenze - L’Aquila - Napoli)7 – città che ospitò la Visitazione (fig. 1) firmata da Raffaello, ma probabilmente eseguita con l’aiuto dei suoi fedeli collaboratori Giovan Francesco Penni e Giulio Romano, per Marino Branconio, padre del più noto Giovan Battista8. All’Aquila, peraltro, lo stesso Cola dell’Amatrice progettò la facciata della basilica di S. Bernardino da Siena (fig. 2), reinterpretando un progetto ritenuto autografo di Raffaello per la chiesa medicea di S. Lorenzo a Firenze9. Il rapporto di Vasari con l’Italia meridionale ed il conseguente giudizio sull’arte incontrata in quei luoghi fu probabilmente influenzato dalla esperienza napoletana del biennio 1544-1545, in cui l’artista si dovette fare l’idea che i gentiluomini partenopei erano «poco curiosi delle cose eccellenti di pittura»10, che «più conto tenevano d’un cavallo che saltasse, che di chi facesse con PREVITALI 1976, pp. 691-699 VASARI, BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, II, pp. 228-229. 7 Sulla ‘Via degli Abruzzi’ si veda principalmente GASPARINETTI 1967 e ANSELMI, RICCI 2005. Recentemente si è svolto anche un convegno universitario su questo tema: La “Via degli Abruzzi” e le arti nel Medioevo. Tra Napoli e Firenze. Percorsi storico artistici lungo l’Appennino centrale abruzzese (secoli XIII-XV) (L'Aquila-Castelvecchio Subequo, 11-12 maggio 2012). 8 Sulle vicende aquilane della Visitazione Branconio si vedano GASBARRINI 2005 e MACCHERINI, 2010, pp. 155-159 con relativa bibliografia. 9 Sull’argomento si veda, GHISETTI GIAVARINA 1991 e GHISETTI GIAVARINA 2002. 10 VASARI, BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, II, p. 201. 5 6

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le mani figure dipinte parer vive»11, come non mancò di ricordare nella Vita di Polidoro da Caravaggio. Giovanni Previtali, in un saggio giustamente famoso, ha sottolineato questo particolare approccio della visione teorica vasariana, rimarcando che la fioritura dell’arte nel Mezzogiorno non fu mai sostenuta dai cosiddetti ‘Baroni’, ma da una ingente committenza ecclesiastica e, nello specifico, dal coinvolgimento nel patrocinio delle arti, della parte agiata del ceto medio, costituita da ricchi mercanti, avvocati e magistrati12. Gli indirizzi di tali commissioni non potevano che essere di destinazione religiosa, con la conseguente assenza, o quasi, di una iconografia profana, di quadri da stanza o di esempi autonomi di ritrattistica13. Una condizione che certo non poteva carpire appieno l’interesse e l’approvazione di un artista come Giorgio Vasari, abituato a ben altri contesti artistico culturali. Nella propria autobiografia, infatti, l’aretino poté affermare senza remore che a Napoli «dopo Giotto, non era stato insino allora in sì nobile e gran città maestri che in pittura avessino fatto alcuna cosa d’importanza, se ben vi era stato condotto alcuna cosa di fuori di mano del Perugino e di Raffaello; per lo che m’ingegnai fare di maniera, per quanto si estendeva il mio poco sapere, che si avessero a svegliare gl’ingegni di quel paese a cose grandi e onorevoli operare»14. Tuttavia, questo sentimento anti-partenopeo, più che la prerogativa di un singolo, dovuta esclusivamente ad un’esperienza personale deludente, sembrerebbe rientrare in un esplicito atteggiamento della tradizione letteraria fiorentina. Si pensi ai giuVASARI, BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, II, p. 201. Sulla fortuna dell’arte meridionale in Vasari il contributo di Previtali (PREVITALI 1976) è ancora una lettura fondamentale. Molte delle considerazioni contenute in quel saggio sono riportate e discusse nel presente paragrafo. 13 In questo discorso rientra pienamente anche la produzione pittorica di Cola dell’Amatrice. Se si eccettuano i tardi lavori a Città di Castello per il condottiero Alessandro Vitelli (quindi non più in Italia centro-meridionale), quasi tutte le opere dell’artista sono di tema schiettamente religioso. Completamente assenti sono i sopracitati ‘quadri da stanza’. 14 VASARI, BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, II, p. 993. 11 12

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dizi di Cristoforo Landino15 o di Poggio Bracciolini. Quest’ultimo, nel suo De vera nobilitate, lamentava che gli aristocratici napoletani disdegnavano la carriera mercantile e «sprecavano il proprio tempo occupandosi di cavalli e, in generale, di condurre una vita oziosa»16. Risulta evidente che il forte apprezzamento dei nobili partenopei per il genere equino, più che una notazione personale fosse la trasposizione di un topos letterario. Nonostante tali premesse critiche, nell’edizione del 1568 l’encomiabile volontà di estendere geograficamente il resoconto biografico spinse l’aretino a prendere in maggiore considerazione il panorama cinquecentesco della pittura meridionale attraverso l’ampliamento della vita di Marco Calavrese, ritenendo i due artisti ivi citati – Marco Cardisco e Cola dell’Amatrice – per motivi diversi, ugualmente degni di entrare a far parte della ‘sua’ storia dell’arte17. Nel presente contributo l’attenzione è focalizzata sulla biografia di Cola dell’Amatrice. Nello specifico, si intende approfondire un limitato, ma assai interessante, aspetto di tale vicenda: l’aneddoto moralizzante relativo all’eroica morte della moglie dell’artista. Attraverso l’esegesi di questa mirabile digressione saranno rese note alcune delle probabili fonti letterarie che ispirarono lo storiografo nella stesura del pezzo e si tenterà di interpretare la concezione vasariana della figura femminile, all’indomani della stretta adesione ai dettami della Controriforma. La questione riguardante l’aneddoto di Vasari sulla moglie di Cola ebbe una limitata, ma interessante, vicenda critica di ambito strettamente locale, volta a riconfermare la reale esistenza di questa donna e l’elogio del suo gesto valoroso. In proposito, alLANDINO, LIACI 1970. BENTLEY 1987. 17 Ed è questo, a mio avviso, l’aspetto che la critica dovrebbe prendere in maggiore considerazione rispetto a quanto è stato fatto in precedenza. Non ci si dovrebbe limitare a far notare cosa l’aretino abbia escluso, ma, invece, concentrarsi sul perché abbia messo ciò che è presente, considerando questa operazione critica, comunque, più che positivamente. 15 16

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cuni eruditi ascolani dell’Ottocento ed altri studiosi della prima metà del secolo scorso a lungo si interrogarono sulla possibile storicità del racconto e ricercarono invano notizie documentarie sulla tragica morte, «esempio stupendo di amor coniugale»18. Nel 1871 Giulio Cantalamessa dedicò all’episodio anche una originale novella storica di sua invenzione intitolata Maria Filotesio19, purtroppo ritenuta da alcuni studiosi successivi documento (sic!) storicamente valido20. Giuseppe Fabiani, in tempi meno lontani, mise in luce alcuni dati che avrebbero potuto essere più indicativi sulla possibile veridicità del racconto21. Vasari citando il «tempo di Paulo terzo» in cui «si levarono le parti»22 fece riferimento ad un avvenimento ben preciso: la rivolta cittadina del 1535 e la conseguente occupazione del Palazzo del Popolo, distrutto da un violento incendio doloso. Lo studioso rese noto che in alcuni manoscritti quattrocenteschi dell’Archivio di Stato di Ascoli si ricordava non solo l’incendio del 1535, ma anche un evento miracoloso ad esso collegato: nello stesso giorno un crocifisso ligneo trecentesco, che non fu distrutto dalle fiamme nonostante si trovasse in una posizione estremamente sfavorevole, fu trionfalmente portato in salvo dalla popolazione ed esposto sull’altare di san Giobbe, nella adiacente chiesa di San Francesco. Secondo le testimonianze, una volta sistemata sull’altare la statua sanguinò copiosamente e tale miracolo si ripeté «il lunedì seguente à hora de mezo giorno»23. Il vescovo per fare chiarezza sui fatti accaduti nominò una apposita commissione di esperti, di cui fece parte anche «mastro Cola della Matrice pittore24, che giudicò insindacabilmente «quello essere

FABIANI 1952, p. 20 CANTALAMESSA 1871. 20 MASSIMI 1939, pp. 92-93. 21 FABIANI 1952, pp. 20-23. 22 VASARI, BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, II, p. 229. 23 Archivio di Stato di Ascoli (= ASA), Archivio Storico Comunale, mss. n. 12, p. 28; n. 18, c. 72; n. 20, c. 28; FABIANI 1952, p. 22. 24 FABIANI 1952, p. 22. 18 19

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vero sangue»25. Fabiani, sebbene non osasse mettere esplicitamente in dubbio l’autorevole testimonianza dell’aretino, tramandata anche dalla recente tradizione locale (vox populi, vox dei!), non riusciva a capacitarsi della presenza di Cola dell’Amatrice, si chiedeva come potesse un uomo colpito da una grande sciagura come quella narrata da Vasari di lì a poco ritrovarsi a far parte di tale commissione, come se nulla gli fosse accaduto26. Da quel momento in avanti, il contenuto della biografia vasariana di Cola dell’Amatrice, e con esso la vicenda della moglie dell’artista, non furono più analizzate, né approfondite. A questo punto, riprendendo le fila di un discorso interrotto sin dai tempi di Fabiani, sarà utile ripercorrere velocemente le notizie documentarie sull’artista. Il 28 marzo 1528 Cola dell’Amatrice fece testamento all’Aquila presso il notaio Cherubino di Collebrincioni: In primis lassa la sepoltura del corpo sou in quella parrocchia che morera in omnibus et singulis eius bonis mobilibus et stabilibus iuribus et adtionibus facit suos universales erede dominam Comitissam dominam Lauram et dominam Sabettam eius sorores carnales; et morendo alcuna delle dicte heredi instituite, senza herede legitima de loro corpi descendente vadano li una ad l’altra: et morendo tucte morevano, senza herede legitime ut supra vadano al ceppo paterno27.

Nel 1528, quindi, il pittore all’età di circa cinquanta anni28 non si era ancora sposato e lasciava tutti i suoi beni alle tre sorelle Laura, Sabetta e Comitissa. Negli anni seguenti, seguendo il filo del-

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FABIANI 1952, p. 22.

FABIANI 1952, p. 22. Nei successivi studi su Cola dell’Amatrice questa vicenda non fu più menzionata. 27 Archivio di Stato dell’Aquila, (= ASAq), ACA, Sezione Notai, scheda n. 26(76), Cherubinus Johannis Juliani de Collebrincionio de Aquila, Sezione Testamenti, n. 59. 28 Sull’approssimativa data di nascita di Cola si veda GAGLIARDI 1991, p. 9. 26

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le numerose testimonianze documentarie raccolte sull’artista29, non si scorge nessun accenno ad un possibile matrimonio; si consideri, inoltre, che nell’ultima parte della sua vita Cola si spostò frequentemente da una città all’altra, prima di ritornare definitivamente ad Ascoli30. Nelle testimonianze documentarie postume sul pittore, si legge che i suoi beni dopo il decesso furono ereditati direttamente dai nipoti31. Cola non ebbe mai figli e quando morì, intorno al 1550, non aveva una moglie, o, almeno, l’ipotetica coniuge (con la quale avrebbe dovuto contrarre matrimonio in un periodo compreso tra il 1530 ed il 1549, ossia tra i suoi cinquanta ed i sessanta anni di età), non doveva essere più in vita32. Anche se, personalmente, ritengo che Cola dell’Amatrice non dovette mai sposarsi, in questa sede non interessa accertare tale aspetto33. La digressione vasariana sulla moglie di Cola ha poco a che fare con la realtà storica e cercarne una eventuale conferma, o smentita, nei documenti esistenti rischia solo di svilirne il valore qualitativo. Si ricordi che le raccolte di biografie erano pur sempre intese come genere letterario, dotate di una rigogliosa tradizione fortemente rinnovata in età umanistica. Ancora oggi non si comprende bene a quale disciIl primo che si occupò di ritrovare e trascrivere sistematicamente i documenti su Cola dell’Amatrice presenti nell’Archivio di Stato di Ascoli fu Fabiani (FABIANI 1952). Il regesto documentario più recente è stato redatto da Giannino Gagliardi (GAGLIARDI 1991, pp. 9-13). L’erudito ascolano, inoltre, è in procinto di pubblicare un nuovo regesto con inediti documenti sull’artista amatriciano. 30 Questo suo viaggiare in continuazione non si lega bene all’eventualità di un tardo matrimonio, che avrebbe comportato degli obblighi per l’anziano pittore, o almeno il desiderio di una maggiore residenzialità. 31 Comunicazione orale di Giannino Gagliardi, che ringrazio per la disponibilità. 32 In breve, l’artista avrebbe avuto la possibilità di sposarsi verso gli anni Trenta e Quaranta del Cinquecento, ma l’eventuale moglie sarebbe dovuta poi morire, senza dargli figli, entro il 1550. 33 Si tratterebbe esclusivamente di una curiosità da soddisfare, non di un dato documentario la cui assenza potrebbe pregiudicare il discorso qui presentato sulle fonti vasariane. 29

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plina debba afferire il genere biografico, se alla storia o alla letteratura34. Ad ogni modo, in questi testi risulta sempre molto difficile discriminare gli eventi realmente accaduti dai fatti possibili e verosimili, o, ancora, distinguere entrambe le categorie di eventi dalla pura finzione letteraria35. È ovvio che con tali presupposti risulta difficoltoso districare l’intreccio di storia, mito, leggenda che sta alla base di una raccolta di biografie come poteva essere quella di Vasari. Sebbene secondo l’ottica degli autori le biografie siano dei testi eminentemente storici, esse si collocano a metà tra cronaca e narratio36, tra storia e letteratura, giungendo a risultati inaspettati in cui il fatto storico finisce per combinarsi indissolubilmente con l’elemento leggendario37. Escludendo dal discorso l’utilizzo a scopo didattico di modelli prestabiliti, Vasari presenta le sue biografie in forme molto duttili, da mettere spesso in relazione con la cultura, le idee e gli umori del momento in cui si trovava a scrivere. Particolare attenzione nella valutazione del testo deve essere posta al grado delle sue conoscenze documentarie su di un dato argomento, alla natura di tali conoscenze; importante sarà, ad esempio, stabilire se esse furono dirette o mediate. Nel caso di Cola dell’Amatrice, ad esempio, il fatto di avere esclusivamente una conoscenza mediata dei fatti riguardanti l’artista (che non ebbe mai modo di conoscere), ha necessariamente spinto Vasari ad utilizzare il compendio storico per completare le scarne notizie in suo possesso38. Le prove della storicità del racconto vasariano Si pensi che fino al Seicento la storia intesa come disciplina rientrava nell’insegnamento della Retorica. 35 Per il genere delle Raccolte di biografie, si veda COLLINA 1996, p. 112. 36 COLLINA 1996, p. 112. 37 Come vedremo, il caso della biografia di Cola è molto indicativo in tal senso. 38 Per l’esegesi della biografie di Cola dell’Amatrice e di Marco Cardisco, mi riserbo di analizzarle esaustivamente nella mia tesi di Dottorato, avente per oggetto lo studio monografico dell’opera pittorica e del taccuino di disegni dell’artista abruzzese. In tale capitolo sarà dedicato apposito spazio alla ricerca dei possibili informatori (ascolani e non) di Vasari. 34

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non vanno ricercate nel documento, che raramente è utilizzato ed anche quando è presente sembra un intruso non desiderato. Lo storiografo, quando si trova costretto ad usare un riferimento documentario diretto, per sfatare una tesi contraria, o legittimare le sue conoscenze su dati argomenti, sembra quasi scusarsi con il lettore e, comunque, provare disagio dal punto di vista formale e stilistico39. Il testo delle Vite, invece, è molto più fluido ed interessante quando l’autore può liberamente assimilare l’evento storico, fonderlo nel discorso e reinventarlo come nel caso della moglie di Cola. Vasari, in tal senso, non fece nulla di diverso rispetto ai suoi contemporanei storici e letterati, adoperando il racconto, la biografia ed i documenti a disposizione secondo gli usi del suo tempo; dovrà passare circa un secolo e mezzo prima che «si affermi stabilmente la gioia di incastonare nella pagina il testo documentario»40. È fuori di dubbio che nel testo vasariano, redatto in un periodo in cui la comunicazione tra arti figurative e letteratura cresceva esponenzialmente, furono utilizzati determinati modelli letterari e ciò non deve stupire il lettore. La digressione storica inserita nella vita di Cola non è un caso, l’aretino all’interno delle biografie si concesse spesso delle pause letterarie, degli aneddoti in cui ha inserito un abbozzo di disegno storico, il cosiddetto compendio. Anche se è proprio nei momenti in cui lo scrittore ha incastrato questi inserti che si riesce ad intravedere il carattere autentico dell’ottica vasariana, del suo modo di pensare e delle sue convinzioni letterarie, storiche e culturali, l’idea del compendio in sé, resta comunque un aspetto secondario. Tali digressioni, come detto, possono essere inserite nel testo solo nei casi in cui lo scrittore conosce poco o niente delle effettive storie individuali degli artisti in questione; l’esempio del pittore abruzzese è emblematico41. È importante comprendere Si veda in proposito il caso della biografia di Michelangelo ed il documento relativo al discepolato dello scultore presso Ghirlandaio, o quella di Buonamico Buffalmacco. 40 CAPRUCCI 1976, pp. 299-320. 41 CAPRUCCI 1976, p. 310. 39

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appieno l’uso e la funzione che riveste l’aneddotica nel tessuto dell’opera: essa funge compiutamente da «strumento di coagulo»42; sembrano più che appropriate, in proposito, le parole di Ernst Gombrich: «la mente minaccia presto di agitarsi nel vuoto se non le viene offerto qualcosa con cui baloccarsi: un fatto, un aneddoto, un piccolo pettegolezzo, qualche informazione sull’ambiente»43. Anche se, come nel caso della moglie di Cola, bisognerebbe godere disinteressatamente dei riposi aneddotici, al di là dei significati che vi si possono scorgere, giova ricordare che la loro efficacia narrativa non risulta mai essere fine a se stessa. L’aneddotica in Vasari può assumere varie consistenze ed intenzioni, può essere di carattere macchiettistico, novellistico o moralistico, ma non risulterà mai gratuita, anche solo perché attraverso di essa viene restituita la testimonianza diretta del carattere, dei modi di vita e delle psicologie del tempo44. Non è raro scorgere, durante la lettura di tali divagazioni, la determinazione di rapporti concreti: si prenda l’esempio di Buffalmacco, che dipinse un’opera per un villano di Calcinaia, il quale alla conclusione del lavoro si dimostrò restio a pagare il dovuto al pittore fiorentino45. Buffalmacco, per contro, ridipinse un «orsacchino» al posto del Bambino in braccio alla Vergine ed alla fine, solo dopo aver promesso di ripristinare l'aspetto originale dell'affresco, ottenne il compenso dovuto per il suo lavoro. Una storia come questa, ma se ne potrebbero citare infinite altre, sebbene non abbia attinenza con la reale esperienza di Buonamico, rientra nella categoria del verosimile e mostra esplicitamente al lettore quali potessero essere le difficoltà che spesso si incontravano nei rapporti tra committenti ed artisti, specie in contesti rurali o nel contado. L’aneddoto, quindi, acquista in questi casi il valore di testimonianza storicamente valida. In tal CAPRUCCI 1976, p. 315. GOMBRICH 1973, p. 95. 44 CAPRUCCI 1976, p. 315. 45 VASARI, BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, I, p. 163. 42 43

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senso, l’esempio della moglie di Cola dell’Amatrice, a parte l’origine letteraria dell’exemplum ed i topoi classici tirati in causa, di cui si dirà a breve, rientra a pieno titolo nella categoria del verosimile. Da un lato perché rappresenta una concreta testimonianza del clima di terrore che effettivamente si respirava quando le città venivamo messe al sacco dai soldati, mercenari senza scrupoli, dall’altro perché ci restituisce la concezione ideale delle virtù femminili nella letteratura della seconda metà del Cinquecento e, soprattutto, ricorda quale fosse, all’indomani della Controriforma, il comportamento morale adeguato a cui una donna pia avrebbe dovuto ispirarsi in materia di castità e pudicizia. Inoltre, dal racconto si evince un altro dato di primaria importanza, che potrebbe implicitamente indicare l’origine ascolana di una parte delle informazioni reperite da Vasari su Cola dell’Amatrice46. La citazione della sommossa cittadina del 1535 tradisce la presenza di un eventuale informatore locale, il quale dovette aggiornare lo storiografo aretino su alcune vicende occorse al pittore; l’erudizione e la grande fantasia dello scrittore aretino devono aver fatto il resto, creando quel connubio indissolubile tra storia e mito che diede vita ad una pausa letteraria di grande qualità. Rileggendo il passo, Vasari narra: Il quale [Cola dell’Amatrice] […] vivendo un tempo allegramente con una sua moglie di buona et onorata famiglia e dotata di singolar virtù d’animo, come si vide quando al tempo di papa Paulo Terzo si levarono in Ascoli le parti perciò che fuggendo costei col marito, il quale era seguitato da molti soldati, più per cagione di lei, che bellissima giovane era, che per altro, ella si risolvé, non vedendo di potere in altro modo salvare a sé l’onore et al marito la vita, a precipitarsi da un’altissima balza in un fondo: il che fatto, pensarono tutti che ella si fusse, come fu in vero, tutta stritolata nonché percossa a morte; per che lasciato il marito senza fargli alcuna ingiuria, se ne tornarono in Ascoli. Morta dunque questa sinTale argomento, come detto, sarà debitamente affrontato nella mia tesi di Dottorato. 46

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golar donna, degna d’eterna lode, visse maestro Cola il rimanente della sua vita poco lieto47.

Anche se non è questa la sede per mettere in evidenza i mutamenti cui è sottoposta nel Cinquecento la concezione delle virtù e delle attitudini femminili, basti ricordare che alla figura muliebre nella seconda stagione del Cinquecento, in letteratura, così come in ambito trattatistico, o nella produzione teatrale, venne restituito il ruolo, considerato più adeguato, di vittima. Fu così accantonata la precedente categorizzazione boccaccesca di mulier virilis, riferita a quelle donne per le quali valevano gli stessi criteri di giudizio degli uomini, che si sottraevano alle virtù private ed alle incombenze femminili e che perciò si elogiavano per le loro qualità pubbliche come il coraggio, la forza, l’acume strategico ecc.48 Negli anni fra il 1545 ed il 1563 per effetto del clima della Controriforma si imposero nuove direttive sociali e, di conseguenza, il ripristino di modelli familiari e culturali secondo cui «una donna può esistere soltanto all’interno dello schema vergine-moglie-vedova».49 Vasari – il quale fu sempre e comunque un uomo ed uno scrittore del suo tempo – in tutti i personaggi femminili delle Vite, da Properzia de’ Rossi alla moglie di Cola, non si limitò a rispettare gli orientamenti di questa concezione ormai controriformata, bensì andò alla ricerca, dove possibile, di azioni e comportamenti esemplificativi. Quando si trovò a dover raccontare le vicende di donne artiste, come nel caso della scultrice bolognese, fuse la tradizione derivata da Plinio e da Boccaccio con la logica controriformata. In Boccaccio le artiste furono interpretate come donne forti, le quali per affermare la loro indole virile rifiutarono le incombenze femminiVASARI, BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, II, p. 229. Boccaccio fu il primo ad intendere la raccolta di biografie femminili come genere a sé stante. Il suo celebre De mulieribus claris ebbe grandissima fortuna tra i suoi contemporanei ed anche successivamente. Sulla questione della concezione delle virtù femminili in età moderna si veda COLLINA 1996, p. 110; COSENTINO 2006, pp. 65-99. 49 COSENTINO 2006, pp. 65-69 47 48

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li, proprio come le Amazzoni o le principesse guerriere. Ad esempio, la pittrice Tamari «tam miro ingenio despectis mulieribus officiis, paternam artem imitata est»50, solo disprezzando i lavori di casa poté conseguire la gloria nella pittura. Il comportamento della pittrice boccaccesca non poteva esser condiviso ai tempi di Vasari, che diede un ritratto ben diverso per la sua Properzia, «giovane virtuosa non solamente nelle cose di casa, come l’altre, ma in infinite scienze, che, nonché le donne, ma tutti gli uomini gl’ebbero invidia»51. Nella vicenda della consorte di Cola dell’Amatrice, l’aretino utilizzò nuovamente un exemplum classico, connotandolo storicamente sotto forma di compendio, a scopo eminentemente didattico, quasi si trattasse di una esortazione morale. Mi pare evidente l’analogia tra il comportamento della moglie dell’artista e gli exempla di virtù presenti nella tradizione letteraria romana. Il suicidio descritto richiama in qualche misura la forte connotazione tragica delle storie delle eroine narrate nel capitolo De pudicitia presente nel libro VI del Dictorum Factorumque memorabilium di Valerio Massimo. Tra queste, l’exemplum più calzante è sicuramente quello di Ippona Greca: Atque ut domesticis externa subnectam, Graeca femina nome Hippo, cum hostium classe esset excepta, in mare se, ut morte pudicitiam tueretur, abiecit. Cuius corpus Erythraeo litori adpulsum proxima undis humus sepulturae mandatum ad hoc tempus tumulus contegit: sanctitatis vero gloriam aeternae traditam memoriae Graecia ludibus summis celebrando cotidie florentinorem efficit52.

BOCCACCIO, BRANCA 1967, X, pp. 226-228. VASARI, BETTARINI, BAROCCHI 1966-1987, II, p. 172. 52 «Per fare ora seguire esempi stranieri a quelli patrii, una donna greca, di nome Ippona, catturata da una flotta nemica, per preservare con la morte la sua verginità si gettò in mare. Del suo corpo, arenatosi sul litorale di Eritre e sepolto assai vicino alla riva, si può vedere ancora oggi il tumulo: e i greci ne tramandarono la gloria eterna, rendendone ogni giorno più viva la memoria con le loro continue lodi» (VALERIO MASSIMO, FARANDA 1971, pp. 460-461). 50 51

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Vasari dovette necessariamente leggere questa storia per poter elaborare il proprio aneddoto, anche se, probabilmente, consultò una versione della vicenda a lui più congeniale. Il caso di Ippona fu narrato anche da Giovanni Boccaccio nella famosa raccolta di biografie femminili intitolata De mulieribus claris, la cui edizione a stampa, sia in latino, sia in volgare, poteva essere facilmente accessibile allo scrittore aretino. Su Ippona Boccaccio scrisse: Hyppo greca fuit mulier, ut ex codicibus veterum satis percipitur; quam vix credam unico tantum optimo valuisse opere, cum ad altiora conscendamus gradibus, eo quod nemo summus repente fiat. Sed postquam vetustatis malignitate et genus et patria ac cetera eius facinora sublata sunt, quod ad nos usque venit ne pereat, aut illi meritum subtrathaur decus, in medium deducere mens est. Accepimus igitur Hypponem hanc casu a nautis hostibus captam. Que cum forte forma valeret sentiretque predonum in se pudicitiamque suam teneri consilium, tanti castitatis decus existimavit, ut cum, nisi per mortem servari posset cerneret, non expectata violentia, in undas se dedit precipitem; a quibus sublata vita et pudicitia servata est. Quis tam severum muliebris consilium non laudet? Paucis quidem annis, quibus forsan vita protendi poterat, castitatem redemit et immatura morte sibi perenne decus quesivit. Quod virtutis opus procellosum nequivit mare contegere nec desertum auferre litus quin literatum perpetuis monimentis suo cum honore servaretur in luce. Corpus autem postquam ab undis aliquandiu ludibrii more volutatum est, ab eisdem in eritreum litus inpulsum, a litoranis naufragi ritu sepltum est. Tandem cum ferret ab hostibus exorta fama quenam foret et mortis causamm ab Eritreis summa cum veneratione sepulcri locus in litore ingenti tumulo atque diu mansuro in servati decoris testimonium exornatus est, ut noscamus quoniam nullis adverse fortune tenebris lux possit obfuscari virtutis53.

Ossia:

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Ippona fu greca, come si apprende dagli scrittori antichi. A stento io crederei che si sia segnalata solo per un’eccellente impresa, poiché noi uomini per gradi saliamo alle più eccelse vette e nessuno d’improvviso diviene sommo. Ma poiché la malignità del tempo ci tolse il ricordo della sua stirpe, della sua patria e delle altre sue imprese, è mia intenzione di presentare di lei quel tanto che fino a noi è giunto in modo che l’onore ad essa dovuto non si dilegui né le venga sottratto. Sappiamo dunque che Ippona fu catturata per caso da naviganti nemici sul mare. Era assai bella e presto si accorse che i corsari stavano consultandosi per violare la sua pudicizia. Ella tanto stimò il decoro della proprià castità, che, non vedendo altro mezzo di salvarla, se non colla morte, si gettò in mare, senza aspettare che la violentassero. Così dai flutti le fu tolta la vita, ma salvata la pudicizia. Chi non loderebbe così grave decisione di donna? Col prezzo di quei pochi anni di cui poteva forse essere allungata la sua vita riscattò la propria castità; e con una morte precoce si acquistò la gloria eterna. Il mare tempestoso ricoprendola e il lido deserto strappandola, non poterono impedire che la sua impresa gloriosa fosse serbata alla luce, con grande onore per lei, dal perenne ricordo delle lettere. Il suo corpo invece, sballottato come uno zimbello dai flutti, fu dagli stessi gettato sul lido eritreo, dove ricevette dagli abitanti sepoltura, come se fosse stato di un naufrago. Quando poi i nemici fecero sapere la sua identità e la vera causa della sua morte, il luogo del sepolcro sul lido fu abbellito dagli Eritrei con un gran tumulo, destinato a rimanere a lungo come testimonianza dell’onore da Ippona difeso. Così essi vollero farci sapere che la luce della virtù non può mai essere oscurata dalle tenebre di avverso destino54.

È manifesto il parallelismo tra l’Ippona della versione boccaccesca e la moglie di Cola dell’Amatrice. Un confronto diretto tra i due testi può confermare tale rapporto di dipendenza. Entrambe le donne erano giovani e di bell’aspetto, se Ippona fu descritta come «molto bella» e colpita da una «morte precoce», anche la moglie di Cola, a detta di Vasari, fu una «bellissima giovane». Nel racconto dell’aretino i militari che inseguirono il pittore lo 54

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fecero «più per cagione di lei […] che per altro»55, essendo esplicitamente interessati ad usare violenza sessuale nei confronti dell’affascinante donna, più che ad inseguire il marito; analogamente, su Ippona, Boccaccio ha riferito che i soldati nemici, una volta che la donna fu da loro «catturata per caso […] sul mare»56, si dimostrarono intenzionati, proprio come i mercenari dell’episodio vasariano, a «violare la sua pudicizia»57. Ormai consce del pericolo in cui erano incappate, entrambe le giovani si comportarono allo stesso modo. Per quel che concerne la moglie di Cola, «ella si risolvé, non vedendo di potere in altro modo salvare a sé l’onore et al marito la vita, a precipitarsi da un’altissima balza in un fondo»58. Ippona, a riguardo, «ella tanto stimò il decoro della propria castità, che, non vedendo altro mezzo di salvarla, se non colla morte si gettò in mare, senza aspettare che la violentassero»59. E se il corpo di entrambe le giovani subì gravi percosse a causa di un cinico destino – ed in effetti della moglie di Cola «pensarono tutti che ella si fusse, come fu in vero, tutta stritolata nonché percossa a morte»,60 mentre Ippona «Il suo corpo invece, sballottato come uno zimbello dai flutti, fu dagli stessi gettato sul lido eritreo»61 – non così fu per la loro fama, degna di eterni riconoscimenti. Infatti, entrambi gli scrittori decisero di rendere giustizia alla memoria delle loro eroine grazie al «perenne ricordo delle lettere»: Boccaccio su Ippona disse «Chi non loderebbe così grave decisione di donna […] con una morte precoce si acquistò la gloria eterna»62 e similmente Vasari per la moglie di Cola asserì «Morta dunque questa singolar donna, degna d’eterna lode, visse maeVASARI, BETTARINI, BAROCCHI, 1966-1987, II, p. 229. BOCCACCIO, BRANCA 1967, X, p. 215. 57 BOCCACCIO, BRANCA 1967, X, p. 215. 58 VASARI, BETTARINI, BAROCCHI, 1966-1987, II, p. 229. 59 BOCCACCIO, BRANCA 1967, X, p. 217. 60 VASARI, BETTARINI, BAROCCHI, 1966-1987, II, p. 229. 61 BOCCACCIO, BRANCA 1967, X, p. 217. 62 BOCCACCIO, BRANCA 1967, X, p. 217. 55 56

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stro Cola il rimanente della sua vita poco lieto63. E viene quasi da chiedersi se il solitario e vecchio Cola dell’Amatrice avrebbe realmente apprezzato le nozze combinategli da Vasari con la versione controriformata di Ippona greca.

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VASARI, BETTARINI, BAROCCHI, 1966-1987, II, pp. 229.

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Didascalie Fig. 1. Raffaello e aiuti, Visitazione. Madrid, Museo National del Prado, proveniente dalla chiesa di San Silvestro all’Aquila. Fig. 2. Cola dell’Amatrice, Facciata della chiesa di San Bernardino. L’Aquila.

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