Su patiu n 29

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Notiziario della Parrocchia Sant’Ignazio di Loyola - Oliena

N. 29 - Dicembre 2015

NATALE GIOIA DI RINASCERE

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’annuale ricorrenza della Solennità del Natale porta sempre un clima di luce e di festa. È la gioia che si avverte sempre all’annuncio di una nascita: “ Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9,5). Quest’anno il mistero del Natale ci invita a riscoprire in modo tutto particolare il volto della misericordia di Dio che si è rivelato nel volto di Gesù, nella tenerezza di un bambino che ci ricorda di riscoprire l’immagine di Dio impressa in ogni uomo. Nell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, Papa Francesco ricorda che: “L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza” (EG 88). Di conseguenza una autentica festa del Natale dovrà trovare i modi e il linguaggio per annunciare la nascita del Figlio di Dio, lasciando da parte l’aspetto effimero e superficiale, purificando il linguaggio da parole inutili, per trasformare la gioia della festa in una autentica esperienza di comunione e di solidarietà. Per fare questo è necessario riscoprire il dono di rinascere, per avere pensieri, cuore, men-

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talità nuovi, in sintonia con il messaggio del Bambino di Betlemme. Nel vangelo di Giovanni (3, 1-21) viene riportato l’episodio di Nicodemo, membro autorevole del Sinedrio, che di notte va da Gesù per chiedergli spiegazioni circa il Regno di Dio. È un uomo che sa riconoscere che le azioni compiute da Gesù provengano dalla potenza di Dio, ma per capirle bisogna rinascere a una nuova vita, “dall’alto”. “Nascere dall’alto” significa nascere da colui che è “levato in alto”, cioè Gesù in croce. Egli deve essere “innalzato” perché gli uomini possano “nascere dall’alto”, cioè essere “generati” per mezzo dello “Spirito”. Il Natale autentico è sempre in relazione

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con la Pasqua. Gesù nell’incarnazione si è spogliato della sua dignità divina perché noi fossimo rivestiti della sua divinità. In questo modo siamo abilitati a vedere la realtà con occhi nuovi, in modo particolare a riscoprire la famiglia, il luogo della nascita, nella sua dimensione autentica. La famiglia di Nazaret che contempliamo nel presepio, ci invita proprio a questo. “La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare…Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale (Paolo VI, Discorso tenuto a Nazareth, 5 gennaio 1964). Con questi sentimenti, anche a nome di Don Luca e di Don Puddu, auguro a tutta la Comunità Buon Natale. Don Giuseppe Mattana

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Cronaca di vita parrocchiale

Cronaca di vita parrocchiale Avvenimenti vissuti nella nostra comunità dal mese di settembre al mese di novembre 2015

- Il 20 settembre si svolge a Orotelli il Convegno dei Consigli Parrocchiali di Azione Cattolica - Il 27 settembre si svolge a Oristano il Convegno Regionale dei catechisti - Il 3 ottobre si svolge la Veglia di Preghiera per il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia. È anche l’inizio del nuovo Anno Pastorale parrocchiale. Riprendono gli incontri per gli adulti il martedì e l’incontro con i catechisti il mercoledì. - Il 18 ottobre si svolge l’inaugurazione del nuovo Anno Catechistico. - Il 22 ottobre si svolge a Galanoli l’incontro formativo per i catechisti della Forania “N.S. dei Martiri”. - Il 22 ottobre si riunisce il Consiglio Pastorale Parrocchiale. - Il 25 ottobre l’ACR parrocchiale celebra la Giornata del “CIAO”. INDIRIZZI e NUMERI TELEFONICI

Parrocchia Sant’Ignazio di Loyola Piazza Collegio, 7 - 08025 OLIENA (Nu) Tel. e Fax 0784.285655 mail: p.santignazio@tiscali.it web: www.parrocchiaoliena.it Don Mattana tel. 0784.285655 - 340.7661593 Don Luca tel. 349.5484738 Don Puddu tel. 0784.288707 Per le vostre eventuali offerte: Conto Corrente Postale n. 13151071 intestato a: Parrocchia S. Ignazio di Loyola - Oliena

- Il 25 ottobre la Cantina Sociale di Oliena ricorda i suoi 65 anni di vita, con un importante convegno, moderato dalla giornalista Carmina Conte, che si apre con la benedizione del parroco Don Giuseppe Mattana, che ricorda, nel dare il suo saluto, come “Il ciclo dell’uva, dalla piantagione della vite alla festa della vendemmia, è occasione per rendere grazie a Dio e ricordare i benefici della creazione e della redenzione”. Il suo predecessore Can. Pietro Bisi è stato uno dei fondatori della cantina. Sono seguiti i saluti del sindaco Avv. Martino Salis, gli interventi dell’agronomo Gianni Lovicu, della prof.ssa Maria Man-

coni, dell’enologo Enzo Biondo, dell’agronomo Daniele Manca e del presidente della cantina Basilio Congiu. Al termine sono stati consegnati i riconoscimenti ai fondatori della Cantina. - Il primo novembre l’ASO (Associazione Soccorso Olianese) celebra i suoi 25 anni di attività. Per ricordare l’evento viene organizzato un Convegno presso la Biblioteca Comunale su: “Disabilità culturali. Il significato di essere parte: coinvolgere e integrare”. Segue la celebrazione della S. Messa da parte del Parroco Don Giuseppe Mattana che rivolge parole di plauso per l’attività svolta dall’ASO a servizio di tutta la comunità, con l’augurio di continuare e di incrementare questa opera altamente sociale.

NOTIZIARIO della Parrocchia Sant’Ignazio di Loyola - OLIENA

Dicembre 2015 - n. 29

Direttore Responsabile: GIUSEPPE MATTANA Gruppo Redazione: Don LUCA MELE, ANTONELLO PULIGHEDDU, PEPPINO NIEDDU, FRANCO GARDU, FRANCESCO PALIMODDE, FRANCA MASSAIU, MATTIA SANNA, GUGLIELMO PULIGHEDDU, BASTIANINA CANUDU Grafica: Antonello Puligheddu - Stampa: Arti Grafiche Su Craminu - Dorgali Iscrizione Reg. G. e P. N. del Trib. di Nuoro n. 03/2004 del 20 Ottobre 2004

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Foto G. Petrocchi

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Spazio ai lettori Foto G. Petrocchi

- Il 4 novembre viene celebrata la S. Messa in suffragio dei Caduti di tutte le guerre, con la presenza delle Autorità civili e militari. Deposta la corona di alloro sul monumento ai caduti e recitata la preghiera, il Sindaco Avv. Martino Salis ricorda il significato della ricorrenza e a nome dell’Amministrazione Comunale consegna una pergamena encomio a Giuseppe

Mazzella, decorato con Medaglia D’Argento al valore militare per l’opera e il coraggio dimostrati nella missione in Afganistan. - Il 7 e l’8 novembre il gruppo scout di Oliena fa la sua uscita di gruppo presso il santuario N.S. di Monserrata. - L’8 novembre si riunisce il Comitato “N.S. di Monserrata” per la presentazione e l’approvazione del bilancio e per procedere all’elezione del nuovo presidente. Risulta eletto Presidente Pier Cosimo Piras. - Dal 15 al 20 novembre il Parroco è agli Esercizi Spirituali ad Ariccia, presso la casa “Divin Maestro”.

SONO TORNATI ALLA CASA DEL PADRE: Salvatore Sanna Carmine Palimodde Pietrina Malatesta Giovanna Ghisu Gesuino Giuseppe Dui Grazia Pasqua Tolu Michele Puligheddu Anna Rosa Rubanu Dino Palimodde SONO STATI BATTEZZATI IN CRISTO: Mattia Pulloni Gabriel Acquas Lavinia Palimodde Carlotta Boi Giulia Gardu PaolaMaricosu Alessio Tuffu Mario Giobbe

Spazio ai lettori

Riceviamo e pubblichiamo una lettera scritta da un nostro parrocchiano:

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arissimi, è già da qualche anno che, in occasione delle Messe esequiali, non viene celebrata la Messa vespertina. Personalmente non lo ritengo giusto, perché non tutti possono sapere se c’è o meno un funerale e arrivando al pomeriggio in chiesa si sentono privati della possibilità di pregare i propri defunti per i quali è stata chiesta e pagata una Messa di suffragio. Ora che la nostra comunità parrocchiale ha tre sacerdoti che prestano servizio, si può celebrare la Messa vespertina anche se non ricorre un trigesimo o un primo anniversario? Gentile lettore, capiamo bene il suo disagio perché è un po’ anche il nostro: «nessuno conosce né il giorno né l’ora», dice il Vangelo, e per questo motivo i nostri fratelli non possono preavvisare la loro dipartita (come non potremmo farlo noi, a suo tempo). Per cercare di raggiungere tutti nel comunicare un decesso e il giorno con l’orario del funerale, ci preoccupiamo di informare la comunità, appena ricevuta la notizia, il giorno stesso al termine delle celebrazioni eucaristi-

che; in più, approfittando dei moderni mezzi di comunicazione, lo facciamo attraverso la pagina Facebook (Parrocchia di Oliena) e l’account Twitter (Chiesa_Oliena) della parrocchia. Probabilmente non è molto elegante utilizzare i social per questo tipo di comunicazioni… ma la loro tempestività, soprattutto se si abilitano le notifiche direttamente sulle app del dispositivo cellulare, è efficacissima. Non tutti hanno dimestichezza con questi strumenti, ma sappiamo che in famiglia c’è sempre un figlio o un nipote 2.0 appartenente alla generazione dei nativi digitali e per questo abbastanza pratico da farsi portavoce in casa. Ma il vero problema è l’idea che una Celebrazione esequiale o una qualsiasi Messa di suffragio siano momenti “privati”: ogni liturgia ha il suo carattere comunitario perché tutta la Chiesa è unita nella preghiera. Potrebbero esserci anche dieci sacerdoti, ma il paese è chiamato a riunirsi ad un unico rito perché, indipendentemente dalla conoscenza personale, chi ci lascia è sempre un mio fratello nella fede, è un essere umano come me. La scelta di celebrare

comunque la Messa delle 17.00 o delle 18.00 o delle 19.00 quando ricorrono Messe di suffragio nel trigesimo o nel primo anniversario di un defunto è solo legata a questioni logistiche di spazio all’interno della chiesa parrocchiale. Ci addolora tanto sentire (anche se si tratta solo di voci isolate) che queste vengono celebrate perché l’offerta in denaro è più alta delle altre… Sappiate che nessuna Messa è a pagamento: semplicemente il popolo di Dio approfitta di questi e altri momenti per sostenere i sacerdoti e la parrocchia con un gesto di carità concreta in maniera assolutamente libera, spontanea e gioiosa… Tra l’altro, i defunti per i quali è stata richiesta una Messa di suffragio al pomeriggio vengono comunque ricordati e citati durante la messa del funerale nello stesso giorno. Per tanto confidiamo nella collaborazione di tutti, affinché si maturi una rinnovata coscienza dei nostri doveri cristiani, accettando anche un minimo di sacrificio, per essere veramente famiglia all’insegna della solidarietà e della condivisione.

Chiunque desidera intervenire può scrivere all’indirizzo di posta elettronica: redazionesupatiu@gmail.com

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Testimonianze

Convegno Ecclesiale di Firenze

L’essere umano è colui che realizza la propria umanità nelle azioni concrete a favore del prossimo, e in tal modo rende testimonianza della sua ispirazione religiosa

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el convegno ecclesiale di Firenze appena terminato il fulcro centrale è stato identificato nella rinascita di un nuovo umanesimo. Dell’umanesimo, infatti Firenze è stata la culla: di una prospettiva in cui l’essere umano non veniva isolato, ma stava in relazione con la natura, con gli altri esseri umani, con il divino. Diversamente, invece, sono andate le cose nei secoli succesivi. L’isolamento autocentrato dell’individuo è divenuto manipolazione di sé e dell’altro, senza che per Dio ci fosse più spazio. Oggi le conseguenze negative di questa impostazione sono evidenti. Oggi è necessario riproporre la domanda: chi siamo noi? Nel suo discorso in Santa Maria del Fiore il Papa ha dato la sua risposta, non tanto in termine di dottrina, quanto come indicazione per l’agire. L’essere umano è colui che realizza la propria umanità nelle azioni concrete a favore del prossimo, e in tal modo rende testimonianza della sua ispirazione religiosa, evitando sia proclami astratti, sia scelte precostituite. Ciò che emerge dallo scenario attuale è l’immagine di una Chiesa inquieta, che deve uscire dalla sua realtà per annunciare la parola di Dio, per abitare il mondo e le relazioni quotidiane, per educare all’apertura nei confronti degli altri, per trasfigurare, movendo da questa ispirazione, ogni esperienza. L’eco che risuona nella mia mente si ricollega al discorso del papa che ripete a gran voce: “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti”. L’invito è particolarmente rivolto a noi giovani: “Vi chiedo di essere costruttori dell’Italia, di mettervi al lavoro per un Italia migliore. Per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico (…) e dovunque voi siate non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo”.

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Papa Francesco ha poi esortato tutti noi delegati, rappresentanti delle diocesi italiane, una proposta per i prossimi anni: “In ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni diocesi e circoscrizione, cercate di avviare in modo sinodale, un approfondimento dell’Evangelii Gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni”. Parlare di stile e metodo sinodale prevede un concreto camminare insieme di uomini e donne, religiosi e laici, di vescovi e popolo. È proprio questo lo stile che caratterizzerà le giornate suc-

cessive all’incontro con il pontefice, nel lavoro concreto dei cinque gruppi di lavoro, uno per ciascuna delle cinque Vie indicate dalla traccia (uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare), divisi ognuno in quattro sottogruppi suddivisi a loro volta in dieci tavoli di dieci partecipanti ciascuno. È da questo lavoro congiunto che ha dato la possibilità ad ognuno di noi di potersi esprimere, di sentirsi ascoltato, che sono emersi tanti progetti, tante proposte valide, che si intessono nella nostra vita abbracciando tutti gli ambiti e i contesti nei quali siamo quotidianamente immersi e che per poter portare nuovi frutti devono continuamente lavorare in sinergia, senza muri che si ergono, senza porte chiuse, ma aperte al dialogo, al confrono e alla continua collaborazione. Ora è da qui che ogni diocesi devi farsi portatrice di queste nuove idee, di questi nuovi spunti emersi e tasformare in progetti pratici e toccabili con mano le belle parole e i lodevoli inviti che abbiamo avuto modo di ascoltare in questi gioirni. Come cristiani ci attende una bella sfida, occore mettersi in gioco e come esorta papa Francesco uscire dalla nostra fortezza per andare incontro agli “abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti”.

Laura Satta pag. 4


Attualità

Smartphone ai più piccoli si o no? S

Alcuni Consigli non solo per i bambini

empre più di frequente tanti bambini della scuola primaria hanno in tasca uno smartphone fornito dai genitori per “esigenze familiari”. Ma è corretta una pratica di questo genere? Molti medici e psicologi sconsigliano di regalare lo smartphone ai bambini prima dei 12 anni. Ma anche di limitare fortemente l’utilizzo di tutta la tecnologia digitale, videogiochi compresi. Infatti i bambini a questa età stanno attraversando un periodo molto delicato e formativo della loro crescita e si comportano come delle piccole spugne che assorbono informazioni e comportamenti dalla propria quotidianità. Ecco così che l’utilizzo fuori controllo di smartphone, tablet e tecnologia digitale in genere può avere diversi effetti nocivi: 1. Per noi adulti l’utilizzo dei social media è una specie di surrogato alle relazioni sociali. Abbiamo già appreso da piccoli a posizionarci all’interno di un contesto sociale. La rete diventa per noi un valido supporto a questo. Per i bambini non è così. Loro devono ancora imparare a rapportarsi con il prossimo e l’interazione con gli altri bambini è fondamentale, che si tratti di una zuffa, una partita al campetto o un pomeriggio trascorso giocando a nascondino. Se tutto questo tempo fosse impiegato davanti allo schermo di un touchscreen, l’impatto negativo per il piccolo sarebbe evidente. 2. È dimostrato come il multitasking, in due parole la capacità di fare diverse cose contemporaneamente, danneggi la nostra capacità di concentrarci. Questo danno è maggiore sui bambini, solitamente iperattivi e molto più curiosi degli adulti, che

con uno smartphone in mano metterebbero davvero sotto pressione un cervello ancora in fase di sviluppo. 3. Il tempo impiegato su di uno smartphone è tempo trascorso a letto o su di un divano. La riduzione dell’attività fisica in un bambino ha ripercussioni negative su crescita e apprendimento, spesso con un conseguente aumento di peso. 4. L’American Academy of Pediatrics e la Canadian Society of Pediatrics hanno stabilito che per il 75% dei bambini autorizzati all’utilizzo dello smartphone anche in camera da letto, questo è causa di privazione del sonno. 5. La luce tipica dei touchscreen può causare danni alla retina, soprattutto per uso prolungato e nei più giovani. Diciamo chiaramente che alcuni di questi effetti sono ancora da dimostrare, ma altri sono evidenti anche a noi. Se, a causa delle pressioni da parte dei bambini o di non meglio precisate esigenze familiari, non si può fare a meno di dotare il piccolo di uno

smartphone allora sarebbe bene seguire alcune semplici regole di buon senso: 1. Il telefono non è un giocattolo e si condivide con mamma e papà, messaggi, rubrica, social e tutto il resto. È molto importante ed educativo anche che mamma e papà controllino il telefono sempre coi figli e mai di nascosto da loro. 2. Si usa solo quando serve: non deve diventare un ansiolitico per bambini né per genitori. 3. Non va usato a tavola o quando qualcuno parla. Di notte, ma possibilmente più spesso, si spegne. 4. Educare i figli a internet, spiegandone i pericoli e accompagnandoli, per quanto possibile, nelle navigazioni. 5. Non si prendono in giro i compagni su Facebook o Whatsapp. Educare al rispetto per gli altri anche nel mondo virtuale è fondamentale. 6. Lo smartphone è fonte di distrazione. Bene non utilizzarlo durante i compiti, sia facendo un patto con il proprio figli che dando il buon esempio non utilizzando il proprio. 7. Educare ad esprimere le proprie emozioni al completo, non solo con le emoticon.

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Guglielmo Puligheddu

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Ammentos

Quando nei nostri cieli volteggiavano maestosi gli avvoltoi I

Eravamo consapevoli di aver vissuto una straordinaria irripetibile avventura e sperimentato sensazioni forse uniche

l sole era già alto, quando dalla piccola “curtiggia” di pochi metri quadrati, posta sotto le pareti del massiccio di Sos Nidos, là dove, legati a dei chiodi infissi sulla parete, avevamo trascorso la notte, Tonino, assicuratasi la corda all’imbragatura, lentamente si calò nel vuoto. Trascorsero decine di interminabili minuti, poi.. vedemmo la corda tendersi e dopo un po’, la sua testa riapparire dal ciglio del burrone. Ansimante, rosso in viso e con voce rotta ci informò che sulla grotta che si apriva nello strapiombo sotto di noi, c’erano due nidi di Grifone (gurtugliu) uno dei quali occupato da un “piccolo”. -Faceva parte del gruppo anche il famoso zoologo, Elmar Shenk, tedesco, trapiantato da anni in Sardegna, il quale, da esperto, documentava il tutto, Shenk, non era certo l’ultimo arrivato, conosceva e frequentava il “Supramonte” da tempo. Aveva suscitato l’interesse della Presidenza e del Gruppo Speleologico della Pro-Loco, proponendo un piano per lo “studio e protezione dei rapaci” aveva, addirittura, assicurato dalla sede di Morges in Svizzera, la presenza del Presidente internazionale del WWF (fondo mondiale per la natura) con il quale ci confrontammo, condividendo e pianificando il relativo progetto. La voce s’era sparsa, e dal giorno, ogni fine settimana, gruppi di volenterosi salivano la montagna per trasportare carcasse di animali e depositarle in punti e località diverse, animali, che sarebbero serviti a integrare l’alimentazione dei rapaci. Ci supportavano diversi privati, Divaneddu e Nenneddu Chiccaiu, nei festivi, ci assicuravano le loro “Fiat campagnole” utilissime per percorrere le dissestate strade di montagna, i pastori ci “riempivano” di pecore e maiali morti in quantità tali, che, dovemmo attrezzare la Sede, con diversi congelatori, generosamente forniti da Prededdu Fadda. A quei tempi, la Pro-Loco era diventata la casa

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di tutti gli Olienesi; senza dubbio l’Associazione più attiva della Provincia. Mentre l’alimentazione dei rapaci non subiva soste, tenevamo sotto stretto controllo le pareti calcaree da Monte Uddè sino al Corrasi, mappando diversi nidi di Grifone (almeno cinque), di Aquila Reale e Corvi Imperiali. Avevamo deciso di verificare la consistenza dei nidi, gli unici accessibili erano quelli ubicati nelle pareti di Sos Nidos e de S’abba medica; così alla fine di Giugno del ‘78, fissammo il Campo. Shenk si era dotato di una cinepresa professionale e, da una distanza di circa 50 metri teneva sotto costante controllo il piccolo del nido che avevamo di fronte, ma la notizia portata da Tonino ci aveva messo in fibrillazione, avevamo un’occasione rarissima, unica: entrare fisicamente all’interno del nido e poter “toccare” il figlio del Grifone; O Dio! era troppo eccitante. Calate anche delle scalette d’acciaio ed assicurati da corde, scendemmo uno per volta. L’emozione che ci prese fu fortissima, il frutto delle nostre fatiche era lì davanti

a noi, il quale come atto di difesa, rigurgitò il cibo, l’odore era nauseabondo, ma data l’eccitazione lo percepivamo appena. Prendemmo delle foto, oserei dire storiche, poi tornammo con i piedi per terra, dovevamo risalire per evitare di arrecare disturbo al rientro dei genitori che sapevamo imminente. Tonino ci precedette per issarci su con la fune, Shenk era il primo, ma la sua freddezza teutonica vacillò: il terrore del vuoto lo bloccava, ce ne volle per convincerlo ad aggrapparsi alla scaletta e farsi recuperare; Infine, dopo un ultimo sguardo a quell’essere indifeso, risalii anch’io, e non certo senza quel crampo allo stomaco, che ti prende ammirando il baratro sottostante. Occorse ancora qualche giorno per completare le riprese, poi aiutati dagli amici saliti da Oliena, smobilitammo, e non senza rimpianti.. Eravamo comunque consapevoli di aver vissuto una straordinaria irripetibile avventura e sperimentato sensazioni forse uniche. Epilogo: come in tutte le cose di questo mondo, anche all’interno della ProLoco, anni più tardi, forze diverse si sarebbero insediate, scalzando quelle realtà che avevano bene operato per lungo tempo altre visioni, altri interessi: prova ne sia che a metà degli anni ‘80 il M.llo Piras dei C.C. di Oliena, ci comunicò di aver rinvenuto nella zona di M.Uddè, sopra la carcassa di un maiale, ben sette avvoltoi morti avvelenati! …per i rapaci e forse anche per la Pro-Loco, era iniziata una lenta inesorabile agonia. P. Nieddu pag. 6


L’ANGOLO dei PIU’ PICCOLI

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Dicembre 2015

Ma che confusione!

icordi che nell’ultimo numero si parlava di migranti? Stavolta ci ritorniamo pensando agli atti terroristici che di recente hai visto in tv o in internet… Lo facciamo con una favoletta che – te lo anticipo – non è così simpatica, come non lo sono le guerre. Però bisogna un po’ rifletterci seriamente, anche con un racconto, e iniziare a cambiare partendo da noi stessi. C’era una volta… un pianeta. Era piccolo, ma aveva di tutto: acqua, cibo, animali, natura… ed era abitato anche da quattro esseri umani, senza specificare se uomini o donne, grandi o piccoli, bianchi, neri, gialli o rossi; per distinguerli, li chiameremo Uno, Due, Tre e Quattro.

Per tacito accordo, i nostri quattro amici si erano suddivisi il pianeta in parti uguali. Su ogni territorio c’era tutto e ciascuno viveva in pace e letizia. La pacchia durò poco, perché un bel giorno – si fa per dire – Uno si svegliò al mattino con dubbi che cambiarono per sempre la storia: «Perché dovrei accontentarmi solo di un quarto del pianeta? Sono il più intelligente… sarebbe giusto che io avessi almeno la metà». Nello stesso tempo, anche Due aprì gli occhi con la medesima impellente domanda: «Perché

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ho solo un quarto del pianeta? Sono il più forte… sarebbe giusto che io avessi come minimo due volte tanto». Contemporaneamente, mentre faceva colazione, Tre esclamò a voce alta: «Perché mi ritrovo solo un quarto del pianeta? Sono il più bello, sarebbe giusto che mi dessero il doppio». Uno, Due e Tre sono convinti di sapere cosa sia giusto. In poco tempo, i tre iniziarono a discutere, prima con pacatezza e poi con veemenza, arrivando a litigi furiosi e alle prime minacce: «Io sono il più intelligente – strillò Uno – e se non mi date quel che mi spetta userò la mia arguzia per ottenere il giusto!». «Io sono il più forte – replicò Due – e se non mi date quel che mi spetta userò i miei muscoli per ottenere il giusto!». «Io sono il più bello – ribatté Tre ad entrambi – e se non mi date quel che mi spetta userò il mio fascino per convincere qualcuno a darmi la sua parte!».

«Ahahah! Qualcuno chi? – osservò Uno con tono divertito – Ormai ce l’hai detto e staremo in guardia!». «Ben detto», rimarcò Due. È qui che i contendenti furono attraversati dallo stesso pensiero, che li portò a spostare lo sguardo su Quattro. Costui si sentì osservato e guardandoli

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salutò bonariamente; lo stesso fecero i tre e ognuno tornò nella propria casa. Il giorno seguente, Uno si recò da Quattro: «Caro, sono qui per difenderti da Due e Tre». «Cosa?!? – rispose lui –Perché?». «Perché vogliono derubarti! – disse Uno – Ma non preoccuparti: userò la mia intelligenza per proteggerti. In cambio, mi darai metà della tua terra. Ti conviene, credo. Meglio metà che niente. Fidati di me, è la cosa più giusta… ». Quattro si fidò subito, senza discutere. Il giorno seguente, fu Due a presentarsi da Quattro: «Amico, sono qui per difenderti da Uno e Tre». «Da Tre – disse Quattro – lo capisco, ma anche da Uno? Proprio ieri si è offerto di difendermi da te e l’altro». «E’ il più intelligente, ti ha raggirato. Comunque – ribatté Due – non devi preoccuparti! Ci sono io, che sono il più forte. Ti proteggerò. In cambio, voglio metà della tua terra, è la cosa più giusta». «Capisco, ma io – rispose Quattro – ho già dato una metà a Uno e ora vivo nell’altra» «Non c’è problema: puoi restarci! – replicò ancora Due – basta che mi paghi l’affitto e siamo d’accordo. Ti conviene, meglio questo che niente, fidati». E Quattro si fidò. Il terzo giorno, anche Tre si presentò: «Caro, sono qui per difenderti da Uno e Due» «Sei sicuro? Perché entrambi mi stanno proteggendo da te» disse sbigottito Quattro. E Tre «Che scemenza! Ti stanno ingannando… probabilmente in questo momento stanno ridendo di te. Ad ogni modo, non preoccuparti, ci penso io. Sono il più bello e con il mio fascino li ammalierò, tenendoli a bada. In cambio, è sufficiente che tu mi dia metà della tua terra». «Vedi – spiegò Quattro - metà della terra che avevo l’ho data a Uno mentre l’altra ora è di Due, io sono solo in affitto su quest’ultima» «Non c’è problema – fece Tre – tutto risolto: tu mi dai quest’ultima parte, che poi con l’affitto di Due me la sbrigo io: «E io dove vado a vivere?» disse Quattro. «Semplice – replicò Tre – puoi emigrare da me! Vieni da me dove c’è lavoro e prospettive per il futuro. Ti conviene… meglio immigrato che niente, fidati». Quattro si fidò.

Tuttavia, da quel giorno cominciò ad essere sempre più confuso e alla fine nervoso; passarono i mesi, gli anni… e Quattro divenne ancora più instabile, addirittura cattivo e violento. Anche perché Uno esclamò di non gradire che Quattro entrasse nella sua terra, che quelli come lui non erano ben accetti perché non erano persone civili; Due ripeté lo stesso concetto, aggiungendo che Quattro era troppo diverso da lui e che ognuno avrebbe dovuto restare a casa propria; Tre dichiarò che Quattro era nella sua terra solo per portare violenza e criminalità e allora lo espulse. Ma dove, visto che anche gli altri gli avevano proibito l’ingresso? Così, ritrovatosi al confine, Quattro iniziò a scavare, in cerca di un posto dove stare al caldo. Scavò, scavò, scavò… finché non raggiunse il cuore del pianeta: un cuore enorme e pulsante, composto interamente da fuoco vivo. Quattro guardò le fiamme e sentì nella pancia ribollire una miscela cresciuta nel tempo, alimentata da una intera esistenza. Rabbia e dolore, occhi intrisi di collera e lacrime, pugni serrati e unghie conficcate nei palmi delle mani. Senza farsi più alcuna domanda si gettò nel cuore di fuoco. L’esplosione che seguì fu terribile: Quattro morì, tutto il pianeta tremò e Uno, Due, Tre – indispettiti l’uno con l’altro, ebbero terrore! E spaventati cercarono di vendicarsi contro Quattro, diventando ancora “amici”, ma solo per dargli la caccia.

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Ma tu credi ancora a Babbo Natale? Certamente si!

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utti i lo sanno: Babbo Natale viene dal Polo Nord, è barbuto e in sovrappeso e la notte tra il 24 e il 25 dicembre porta i regali ai piccoli di tutto il mondo viaggiando su una slitta trainata da renne. Ma la storia di questo amato personaggio del folklore è lunga e affascinante quasi come la sua leggenda. Babbo Natale nasce sulle rive del Mediterraneo, si evolve nell’Europa del Nord e assume la sua forma definitiva (Santa Claus) nel Nuovo Mondo, da dove poi si ridiffonde quasi in ogni parte del globo.

Si tratta di un santo cristiano, Nicola (Nikolaus, in greco, da cui appunto Claus), nato fra il 260 e il 280 in Turchia da una ricca famiglia del luogo. I suoi genitori morirono di peste e Nicola ereditò un ricco patrimonio, che utilizzò per aiutare i bisognosi. Si narra che regalasse cibo e denaro ai meno abbienti, calandoglielo anonimamente attraverso il camino o dalle finestre delle loro case. Secondo una leggenda, venuto a conoscenza del fatto che un nobile decaduto volesse obbligare le sue tre figlie ad una vita triste e difficile perché non poteva accompagnarle al Matrimonio, Nicola decise di donare alla famiglia una grande quantità di denaro divisa in tre parti: dopo aver avvolto in un panno ciascuna di queste tre somme, le gettò nottetempo nella casa dell’uomo come era solito fare.

In seguito, per le sue doti e la sua bontà, Nicola venne acclamato sempre più dai suoi conterranei e divenne vescovo di Mira (sempre nell’odierna Turchia), dove divenne famoso non tanto per la sua folta barba, ma perché addirittura come taumaturgo, ovvero autore di miracoli prodigiosi: secondo una leggenda, infatti, Nicola resuscitò tre bambini che erano stati uccisi! Per questa e altre leggende e per l’affetto verso i più piccoli, San Nicola è famoso come protettore dei bambini. Nell’anno 305 Nicola fu imprigionato ed esiliato dall’imperatore Diocleziano, che nel 303 aveva dato il via a una serie di persecuzioni contro i Cristiani. Nel 313, Nicola fu liberato da Costantino e riprese la sua attività apostolica. Morì a Mira, presumibilmente il 6 Dicembre dell’anno 343, e si narra che continuò a compiere miracoli anche dopo questa data, a causa del gran numero di eventi prodigiosi a lui imputati dopo la sua morte! Le sue spoglie furono conservate

a Mira fino al 1087. Quando Mira cadde in mano musulmana, le sue reliquie giunsero a Bari, il 9 maggio di quello stesso anno, e sorse una chiesa in suo onore.

San Nicola, comunque, rimarrà soprattutto famoso tra i bambini (ma anche tra gli adulti) come l’arzillo e robustello vecchietto con la barba che, vestito di rosso come tutti i vescovi, porta doni in tutto il mondo in certe notti dell’anno. Infatti, non dappertutto Babbo Natale o Santa Claus porta i suoi doni nella notte fra il 24 e il 25 dicembre: in Egitto il Natale è festeggiato il 7 dicembre; in Grecia il tradizionale scambio di doni avviene in due giorni diversi, il 25 dicembre e il 1° di gennaio… E anche il modo di festeggiare il Natale cambia da un Paese all’altro. Sempre e comunque resta un vero esempio di amore, se ricordiamo le parole di Gesù: «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». È questo lo spirito giusto del Natale, contro ogni forma di consumismo… pensare a chi ha più bisogno come se stessimo facendo del bene direttamente a Dio. pag. 9

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RIPASSIAMO IL CATECHISMO

Ad ogni numero ti sarà chiesto di memorizzare una delle verità principali della nostra fede che spiegheremo meglio al Catechismo I DUE COMANDAMENTI DI CARITÀ - Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tu mente. - Amerai il prossimo tuo come te stesso.

Poesia per i bambini vittime del terrorismo e della guerra

Chiedo un luogo sicuro dove posso giocare chiedo un sorriso di chi sa amare chiedo un papà che mi abbracci forte chiedo un bacio e una carezza di mamma. Io chiedo il diritto di essere bambino di essere speranza di un mondo migliore chiedo di poter crescere come persona Sarà che posso contare su di te? Chiedo una scuola dove posso imparare chiedo il diritto di avere la mia famiglia chiedo di poter vivere felice, chiedo la gioia che nasce dalla pace Chiedo il diritto di avere un pane, chiedo una mano che m’indichi il cammino. Non sapremo mai quanto bene può fare un semplice sorriso.

Bargellettas

La maestra dice a Pierino: “Pierino, lo sai che non si può dormire in classe!” Pierino risponde: “Certo che lo so signora maestra… ma se lei parlasse un po’ meno, si potrebbe! - Sai qual è il colmo per un insegnate di musica? - No… - Mettere una nota ai suoi alunni!

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Attualità

“Con la violenza puoi uccidere colui che odia, ma non uccidi l’odio”

Davanti a tragedie come quella del 13 novembre scorso è normale provare rabbia per tanta violenza ingiustificata e incomprensibile, ma è importante stare attenti che la rabbia non si trasformi in odio

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rammi come quello di Parigi ci fanno sentire vulnerabili. Avere paura è normale. Il terrorismo è una minaccia relativamente nuova che può provenire da ogni luogo e colpire ovunque e in qualsiasi momento. Non ci troviamo davanti ad un nemico preciso e geograficamente identificabile ma a una minaccia diffusa e imprevedibile. La paura dovuta all’insicurezza non deve però sfociare nella paura dell’“altro”, del “diverso”. La diversità è una fonte di ricchezza, di crescita ed evoluzione e l’integrazione è un requisito fondamentale in una comunità internazionale pacifica. L’integrazione non deve essere intesa come tolleranza, che implica che nell’altro ci sia qualcosa di negativo che deve essere sopportato, ma come condivisione e scambio reciproco. Troppo spesso pensiamo di essere minacciati dalla diversità e dal multiculturalismo che da diversi anni caratterizzano le nostre società; tuttavia, è proprio l’accettazione delle differenze a garantire vera armonia e uguaglianza. Davanti a tragedie come quella del 13 novembre scorso è normale provare rabbia per tanta violenza ingiustificata e incomprensibile, ma è importante stare attenti che la rabbia non si trasformi in odio. L’odio è un sentimento pericoloso che non genera amore e rinascita, ma altro odio e violenza. Martin Luther King diceva che “con la violenza puoi uccidere colui che odia, ma non uccidi l’odio. La violenza aumenta l’odio e nient’altro”. Non sarà la violenza, non saranno le bombe a salvarci dal terrorismo. La violenza genera dolore in maniera indiscriminata, colpendo

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ancora una volta soprattutto gli innocenti. Questo dovrebbe muovere la nostra solidarietà perché in fondo la sofferenza non ha colore, non ha lingua, non ha religione. Quello che può salvarci è una presa di coscienza delle responsabilità collettive che stanno alla base di questa furia assassina, all’origine della quale ci sono secoli di odio tra popoli. Le analisi del complicato mondo della Politica Internazionale non devono essere fatte di getto e in preda alle emozioni, ma in maniera lucida e obiettiva. Le responsabilità di determinati eventi sono sempre difficili da individuare e spesso non sono riconducibili a un solo fattore. In questi casi è facile trovare un capro espiatorio, ma bisogna sempre evitare di formulare giudizi affrettati. Personalmente, seppure non abbia

delle soluzioni precise, credo che la strada giusta rimanga sempre quella del dialogo e della cooperazione. In primo luogo è importante la collaborazione fra i popoli europei che si sono uniti ormai più di sessant’anni fa con l’obiettivo di portare la pace nel continente europeo e, in secondo luogo, con gli altri popoli ai quali ci accomuna sicuramente la speranza e il desiderio di pace. Nella mia carriera accademica e nelle mie esperienze all’estero ho avuto modo di conoscere culture diverse e di capire che, nonostante le differenze, siamo animati dalla stessa voglia e speranza di costruire un futuro più sereno. Per questo, spero che il Natale faccia rinascere in noi sentimenti di speranza e soprattutto solidarietà, e che quest’ultima ci permetta di riconoscere noi stessi nell’altro.

Clara Gardu

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Approfondimenti

Nascere è imparare a partorirsi

Sono nostri e ci appartengono davvero solo quando gli abbiamo insegnato a camminare da soli

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i solito si pensa che nascere significhi solo venire al mondo: in un dato giorno, ad una certa ora significhi solamente essere partoriti da una madre che si è unita ad un padre dopo un patto d’amore e che questa nascita certifichi, sancisca, testimoni questa unione. I figli che hanno la sorte di nascere da un rapporto d’amore sono certo fortunati; potranno respirarne il chiarore, assorbirne gli effetti positivi, crescere sicuri di essere amati e, si sa, senza questa certezza non si può che essere fragili. Chi nasce e cresce senza amore è come un uccello con un’ala sola: non potrà andare molto lontano e le ferite saranno difficili da rimarginare. Troppi infatti sono i bambini non desiderati, rifiutati, abbandonati, oppure, cosa certo non meno grave, cresciuti senza attenzione, in una sostanziale indifferenza o, peggio, preda e ostaggio delle tensioni e dei contrasti familiari. È indubbio infatti che non sempre la famiglia è il migliore dei mondi possibili, non sempre è quel nido ac-

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cogliente e protettivo che dovrebbe essere. Vi sono dunque molti modi di venire al mondo. Fin dal giorno in cui per la prima volta l’aria dilata i polmoni, si è già diversi a seconda dell’amore che si riceve o non si riceve. Nessuno però può scegliere da chi nascere: se è vero infatti che i genitori non possono scegliere i figli, è altrettanto vero che neanche questi ultimi possono scegliere i primi, sicchè, se si vuole dare pieno compimento alla propria vita e tentare di superare, almeno in parte gli ostacoli, bisogna capire che nascere è un evento destinato a ripetersi. Sarà la vita che insegnerà a ciascuno che non si nasce una volta sola, ma che si nasce tutti i giorni, tutte le volte che si risolve una difficoltà, che si vince un dolore. Si nasce tutte le volte che si superano, anche se parzialmente e temporaneamente, i propri limiti e ci si ritrova diversi. Ogni esperienza, infatti, anche quella apparentemente più negativa, è foriera di nuovi apprendimen-

ti, ci insegna qualcosa del mondo, ma soprattutto ci svela qualcosa di noi che ignoravamo: non sapevamo, ad esempio, che saremmo sopravvissuti a quel dolore. È allora che si impara a partorirsi, ad essere il proprio padre e la propria madre. Questo non significa affatto che ci si dimentichi di loro né che essi ci siano meno necessari, significa solo che non siamo più bambini, che nasciamo alla vita adulta e che in virtù di questo siamo pronti a diventare genitori. Ed essere genitori vuol dire imparare a “perdere i figli” ossia a realizzare il detto del poeta Kahlil Gibran: “essi sono le frecce che noi lanciamo nel mondo”. Sono nostri e ci appartengono davvero solo quando gli abbiamo insegnato a camminare da soli, quando, pur stando sempre dalla parte dei loro sogni, gli permettiamo di raggiungerli anche senza di noi, quando riusciamo a mettere a tacere il nostro naturale egoismo. Così saranno “belle persone”, capaci, dunque, di dare a loro volta la vita. Franca Massaiu

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Approfondimenti

Natale, il Dio diventato bambino O

Il consumismo ferisce, umilia e snerva la nostra intimità profonda.

ggi, per l’uomo contemporaneo, è sempre più difficile cogliere, oltre la tradizionale coreografia, nel Dio diventato bambino, l’autenticità di una nascita che illumina e consacra tutte le nascite. Per cercare di comprendere appieno, è necessario, oggi più di prima, fermarsi e riflettere su quell’accadimento che ci interpella da oltre venti secoli. Il Natale che, con linguaggio seduttivo, la nostra società secolarizzata ci propone è quello le cui immagini, veicolate dai mass media, incessantemente ci invitano a lasciarci piegare come giunchi, davanti alle luminarie dei centri commerciali e, senza fatica, votarci a seguire la corrente che ci vuole consumatori bulimici e griffati. Il Natale cristiano ci invita, invece, a lasciare la direzione unica e ad invertire la rotta per riscoprire l’essenziale di questa festa che, lo si voglia ammettere o no, è a tutti cara. Uno sforzo questo, ancor più necessario giacché, la società consumistica, nella quale tutti siamo immersi, offusca il senso profondo dell’Evento che ha cambiato il corso della storia dell’umanità. Infondo all’uomo contemporaneo piace essere sempre più distratto, non curandosi di ciò che attenta e ferisce la sua umanità. Sarà perché, per ognuno di noi, vivere nel proprio tempo e il proprio tempo è compito impegnativo e assai difficile. Certo è che non possiamo vivere il Natale cedendo alle lusinghe che ci vengono, abbacinandoci, dall’ industria dei consumi. Oggi non ci viene proposto il semplice consumo di beni, indissolubilmente legato al vivere dell’uomo sin dai primordi della civiltà, ma l’imperativo assoluto affermatosi con la società industriale: consumare. L’industria ha immesso sul mercato una quantità di beni, molti utili, ma, accanto a questi, moltissimi inutili o superflui. Cosi il consumo è diventato consumismo e di questo consumismo il Natale, per larghi strati della società, ne è diventato l’emblema. Il consumismo ha largamente ammorbato il tempo natalizio offuscando l’anelito alla purezza, alla generosità, rappresentata dalla novità del Verbo incarnato. Il nostro smodato e compulsivo acquisto e consumo di beni è da tempo oggetto di riflessione ed analisi. Su questo argomento sono intervenuti filosofi e pensatori sia laici che cattolici. Già Karl Marx nei ”Manoscritti economico-fipag. 13

losofici”- scritti nel 1844 ma pubblicati nel 1932- scriveva: “Con la messa in valore del mondo delle cose cresce in rapporto diretto la svalutazione del mondo degli uomini… ”. Pier Paolo Pasolini, visionario acuto e disarmato, parlando dei bisogni, artificiali, perché indotti dall’industria e dalla pubblicità cosi concludeva: “Si produrrà e si consumerà ecco. E il mondo sarà esattamente come oggi la televisione- questa degenerazione dei sensi umani, ce lo descrive con stupenda atroce ispirazione profetica.” Il filosofo ebreo-polacco Zygmunt Bauman nel suo saggio “Consumo, dunque sono” parla del nostro status di alienati. “Consumiamo ogni giorno senza pensare, senza accorgerci che il consumo sta consumando noi e la

sostanza del nostro desiderio. E’ una guerra silenziosa e la stiamo perdendo”. Papa Francesco “ Uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo : è la ” cultura dello scarto”. Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora-come il nascituro-, o non serve più- come l’anziano. Questa cultura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo ed allo spreco quotidiano di cibo al quale non siamo più in grado di dare il giusto valore.” Ma è Papa Benedetto XVI che ancor più esplicitamente parla del nostro modo di vivere il Natale: “ Oggi il Natale è diventato una festa dei negozi, il cui luccichio abbagliante nasconde il mistero dell’umiltà di Dio, la quale ci invita all’umiltà ed alla semplicità “. Umiltà e semplicità appunto, per vivere il Natale libero dalla prigione mentale e dall’idolatria del consumismo, aperti a cogliere con stupore la nascita di Colui che ha voluto condividere con noi il tempo e la storia.

Francesco Palimodde

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Approfondimenti

Valore e significato del presepe

È la rievocazione artistica del più grande avvenimento dell’umanità, la nascita a Betlemme di Gesù, il Salvatore del mondo, Dio che si è fatto uomo.

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a magia e lo spirito del Natale hanno il cuore pulsante nella rappresentazione del presepe. Non si tratta di una semplice composizione di statuine, il presepe, per i cristiani, è la rievocazione artistica del più grande avvenimento dell’umanità, la nascita a Betlemme, in Palestina, di Gesù, il Salvatore del mondo, Dio che si è fatto uomo. E’ una rappresentazione simbolica che ripropone visivamente a tutti noi importanti valori morali universali, quali la sacralità della vita umana, il valore della maternità e della famiglia, l’importanza della centralità della donna. La parola Presepe deriva dal latino ed etimologicamente significa mangiatoia. Esso, quindi, rappresenta la mangiatoia nella quale è stato posto Gesù Cristo appena nato, che è simbolo di austerità e di umiltà, infatti tutto, in questa raffigurazione, è ridotto all’essenziale, quasi a volerci riportare al significato pieno di questi valori senza che il superfluo possa distrarci e ne offuschi il senso, come spesso accade nella quotidianità del nostro tempo. Ad uno sguardo attento sembra che tutto il creato, la volta stellata del cielo, la natura circostante, gli animali e gli stessi uomini dai più umili, i pastori, ai più potenti e appartenenti a culture diverse, come i magi, partecipino ammutoliti alla celebrazione del grande mistero della vita nascente. Anche a noi oggi ci porta a riflettere sul dono più grande che ci sia potuto capitare, il regalo della nascita, l’inizio della vita. Inoltre, a noi cristiani, ci rende consapevoli del fatto che Dio rinascerà in noi e noi in Lui, offrendoci

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l’opportunità di poter rinascere ad una nuova vita, per cui la consapevolezza di questa possibilità è uno dei più grandi regali che riceviamo dalla festa del Natale. L’importanza della vita si lega indissolubilmente al valore della maternità, che va salvaguardata e sostenuta ma purtroppo ancora oggi non sempre accade, come duemila anni fa a Betlemme, quando l’egoismo della gente ha chiuso le porte ad una donna incinta. Tuttavia le enormi difficoltà non hanno scoraggiato Maria e Giuseppe e ci insegnano che una famiglia unita e fondata sul rispetto reciproco può superare qualsiasi ostacolo. Pertanto è bello che tutta la famiglia insieme partecipi all’allestimento del presepe così che anche i più piccoli ne sentano il calore.

La tradizione del presepe ebbe inizio nel 1223 grazie ad uno dei santi più amati, San Francesco d’Assisi, che ne realizzò il primo a Greccio con personaggi viventi. Lui rimase affascinato da Gesù, il Figlio di Dio, disceso dal cielo per farsi uomo e volle tradurre il contenuto della sua fede in una rappresentazione di grande significato e creatività, pare alla presenza di molta gente, che si era riunita per assistere, e lui stesso davanti alla mangiatoia, lesse i brani del Vangelo riguardanti la Natività, poi li commentò. Divenne in seguito un fenomeno culturale e artistico molto diffuso anche in Paesi diversi, assumendo aspetti differenti, a seconda delle caratteristiche peculiari, utilizzando stili, ambientazioni e materiali diversi, ma conservandone invariata l’idea di fondo, quella di ricreare la scena della nascita di Gesù Cristo. Tuttavia non è necessario allestire il presepe più costoso o più prezioso, secondo la tendenza consumistica che ormai ci ha travolti, per riscoprire il suo valore spirituale e insieme pedagogico. Per concludere, il presepe non ha solo un significato religioso, ma anche un valore laico di rievocazione storico-artistica della nascita di una figura esemplare, il cui insegnamento ha influenzato il corso della intera civiltà umana, per cui il suo Natale è una festa riconosciuta in tutto il mondo a prescindere dai diversi credi religiosi o divergenze di pensiero, come evento intrinseco alla cultura e alle abitudini di ciascuno e a partire da questo si è accettato per convenzione persino di contare gli anni. Bastianina Canudu pag. 14


Iniziative

La scienza in festa!

La capacità di capire e risolvere un problema, soprattutto se esso è legato ad esperienze di vita reale, suscita un grande entusiasmo e fa scoprire la bellezza della matematica.

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l 24 e il 25 novembre l’Istituto Comprensivo di Oliena ha ospitato la manifestazione “La Scienza in festa”, una diramazione del Festival della Scienza che si è tenuto a Cagliari dal 10 al 15 di questo mese e che è giunto ormai all’ottava edizione. Per due giorni nelle aule scolastiche si sono susseguiti laboratori interattivi, dimostrazioni e attività ludico – didattiche attraverso le quali, gli alunni del paese e quelli provenienti da diverse scuole primarie e secondarie di Nuoro, Siniscola, Macomer, Olbia, Lotzorai e Lanusei, si sono avvicinati alla scienza in maniera piacevole e costruttiva. Dalle attività per i più piccoli come Fantavolando, Caccia al libro, Dov’è il baricentro, Divertiamoci con la scienza ad altre pensate per un target più adulto come Giocando con Pitagora, La matematica, la natura e l’arte con Fibonacci, i Caleidocicli, La poesia abbraccia gli alberi e Le ossa raccontano, questi due giorni sono stati davvero una grande festa, un’occasione per toccare con mano la scienza in modo efficace e divertente per stimolare l’interesse di qualsiasi fascia d’età o livello di conoscenza. Prezioso contributo alla manifestazione è stato la presenza della professoressa Ana Millan Gasca, docente di Matematiche Complementari all’Università Roma 3 che ha presentato il libro “Pensare in matematica” scritto con il marito, Giorgio Israel. Il testo è indirizzato agli studenti di Scienze della formazione primaria ma costituisce anche uno strumento per rispondere alla crescente ignoranza matematica, tanto più paradossale in una società in cui la matematica pervade quasi ogni aspetto della vita e ha un ruolo primario nella scienza e nella tecnologia. La professoressa sostiene che la matematica c’è dappertutto, nella musica dove è facile riscontrarne i legami, ma an-

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che nella storia, nella filosofia, nell’antropologia, nell’arte e nella linguistica, discipline che contribuiscono a dare significato ai concetti astratti della matematica poiché la loro radice comune è nell’attività degli esseri umani. È quindi importante un’impostazione culturale di questa materia affinché essa venga recepita e apprezzata non come una disciplina arida e repulsiva seppure indispensabile ma come uno dei più grandi contributi che l’umanità abbia dato al patrimonio della conoscenza e della cultura. Alla domanda come mai la matematica sia cosi complessa risponde: “I ragazzi spesso percepiscono la matematica come una serie di istruzioni e di regole senza senso e che non servono a niente e questa loro percezione negativa è giustificata quando vengono chiamati a fare pagine e pagine di espressioni… È l’approccio alla disciplina che conta!” I bambini non hanno paura della matematica, fin da piccoli sono affascinati dal contare e dalle forme. La scuola ha il dovere di canalizzare la loro naturale curiosità stimolando in loro il piacere di risolvere un problema, di esplorare quante vie diverse si possano seguire per risolverlo, di approfondirne il senso e le implicazioni. Attraverso il dialogo, il ragionamento e la spiegazione di come è nata la matematica si capiscono i concetti aritmetici e geometrici e la loro importanza nella nostra vita quotidiana. L’acquisizione della consapevolezza di avere la capacità di capire e risolvere un problema, soprattutto se esso è legato ad esperienze di vita reale, suscita un grande entusiamo e fa scoprire la bellezza della matematica. L’intervento di Ana Millan Gasca e i diversi laboratori sono stati molto apprezzati da alunni, insegnanti e genitori, il bilancio della manifestazione è senza dubbio positivo. Il merito principale dell’organizzazione di questo importante evento nel nostro paese va all’amicizia che lega l’insegnante di matematica della scuola primaria Lussoria Fadda alla prof. Maria Becchere rappresentante del Comitato Scienza Società

Scienza e coordinatore scientifico dell’iniziativa e al legame fortissimo che lega quest’ultima al paese di Oliena. “ Ho vissuto a Oliena per molti anni quando ero piccola, la mia prima lingua è stato l’olianese, mi sono sempre sentita olianese con orgoglio e sono felice di aver dato il mio contribuito e di aver ricevuto il consenso dal Comitato che qui rappresento, di esportare il Festival da Cagliari”. “ È stato un regalo di Maria Becchere al paese di Oliena” conferma Lussoria Fadda che per prima ha voluto l’iniziativa e fin dai primi mesi dell’anno si è messa al lavoro per organizzare al meglio la manifestazione. Un meritato ringraziamento va naturalmente alla Dirigente scolastica Caterina Bacchitta che ha accolto e sostenuto il progetto, agli insegnanti e agli alunni delle scuole primarie e secondarie, in particolare a quelli che hanno lavorato per giorni e giorni per allestire i laboratori, alla prof.ssa Lucia Becchere, poetessa e sorella di Maria e nostra ex collega che ha animato la biblioteca di Santa Maria, alla nostra collaboratrice Graziella Boi e al giovane scrittore olianese Marco Corrias che insieme a lei ha curato un laboratorio, ai ragazzi della Leva 95 sempre disponibili a dare una mano e ai numerosi collaboratori scientifici provenienti da alcuni dipartimenti dell’Università di Cagliari e della Fondazione IMC (International Marine Centre) che hanno aderito all’iniziativa a titolo gratuito. Un doveroso ringraziamento all’Amministrazione Comunale che ha patrocinato la manifestazione e in particolare all’Assessore alla pubblica istruzione, Donatella Medde per aver accolto la proposta con entusiasmo e aver partecipato in prima persona all’iniziativa come insegnante dell’Istituto comprensivo. Infine condividiamo la riflessione del sindaco Martino Salis: ”Avrei voluto che la mia scuola, a suo tempo, mi avesse offerto opportunità come queste! Questo evento è l’inizio di un percorso, ci prenotiamo fin d’ora per il prossimo anno!” Pasquina Congiu

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Recensioni

Lettera ad un bambino mai nato Uno stupendo ritratto, un volume senza tempo

Lo amavo? Un giorno io e te dovremo discutere un poco su questa faccenda chiamata amore. Perché, onestamente, non ho ancora capito di cosa si tratti. Il mio sospetto è che si tratti di un imbroglio gigantesco, inventato per tener buona la gente e distrarla”. Tra le opere della Fallaci, per i lettori affezionati della scrittrice toscana, “Lettera ad un bambino mai nato” rappresenta certamente una pregiata sorpresa. Un eccezionale e appassionante colpo di scena, che consente di conoscere, al di là di quello che potrebbe apparire un costante approccio disaffezionato e cinico alla realtà, il lato emotivo della autrice di alcuni fra i più grandi capolavori della letteratura italiana. Scompaiono, dunque, le coreografie cruente dei teatri di guerra, dei conflitti che hanno fatto la storia del mondo, o le riflessioni sul potere, passato al setaccio attraverso le pregevoli interviste di personaggi come Yassir Arafat, Henry Kissinger o Giulio Andreotti. Ed emerge un lungo flusso di coscienza. Una lente di ingrandimento, che scandaglia nel profondo l’animo della protagonista dell’opera, indagandone i sentimenti, le paure, le angosce, i timori. La donna viene immaginata come a tu per tu con un ipotetico diario, impegnata a

scrivere e descrivere le pagine della sua esistenza, dopo aver appreso di aspettare un bambino. Una notizia lieta, accompagnata generalmente da gioia e giubilo. L’annuncio di una natività insinua nell’animo di colei che porta in grembo una piccola creatura una grande lucentezza, la bellezza e la radiosità di un sorriso marcato, profondo. Eppure, in “Lettera ad un bambino mai nato” emerge la tragicità di un monologo. Un monologo, nel quale una donna qualunque, del nostro tempo, una professionista con un lavoro,

ma senza un nome né un volto, guarda alla sua condizione di futura madre, interpretandola come una scelta personale e responsabile. Basta volere un figlio per costringerlo alla vita? Piacerà nascere a lui? Mettere al mondo un figlio, perché? Perché abbia fame, perché abbia freddo, perché venga tradito ed offeso, perché muoia ammazzato dalla guerra o da una malattia? Pagina, dopo pagina, insomma, affiora tutta la recrudescenza di un destino fatto di sofferenze, delusioni, fallimenti, strazi. Di un’eterna e costante lotta di sopravvivenza, che comunque è sempre da preferirsi al niente. E in tale concetto viene a galla, timido, uno spiraglio, un’apertura, un velo di ottimismo. Una ventata di aria fresca, che sembra dare una svolta ad un rapporto madre-figlio, descritto mediante un altalenante approccio di amore e di odio, di tenerezze e di risse, di premure e di contrapposizioni. Il risultato è uno stupendo ritratto, un volume senza tempo, che scandaglia nell’interiorità della dimensione affettiva e relazionale di una donna e di una madre, offrendone i lineamenti psicologici, i tratti caratteriali. Una fisionomia interiore struggente, particolarissima, davvero ben delineata. Mattia Sanna

20 Dicembre - ore 20.30

su iniziativa dell’Amm.ne Comunale di Oliena

CENA DI GALA il cui ricavato sarà devoluto in favore della CARITAS Parrocchiale

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