Elementi 12 - Dicembre 2007 - Marzo 2008

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La “litote” tipicamente italiana Quell’Italietta dei Don Abbondio dura a morire Tra le figure retoriche - insieme alle metafore, le allegorie e gli ossimori - c’è anche la litote. La litote consiste nell’affermare un concetto negandone il contrario. Ecco un esempio: per descrivere un pauroso, si nega che egli sia coraggioso: “Don Abbondio (il lettore se n'è già avveduto) non era nato con un cuor di leone” (Manzoni, I promessi sposi, capitolo 1). L’Italia abbonda di questa litote manzoniana. Quando si tratta di scegliere e di decidere, chi deve scegliere e decidere guarda tremebondo l’opinione pubblica, timoroso di scottarsi il consenso. Il greggio rincara e si avvicina a quei cento dollari al barile che un paio d’anni fa sembravano una soglia psicologica remota da catastrofismi. Con il petrolio, rincara anche il metano che è un combustibile il cui mercato è diverso da quello del greggio ma il cui prezzo – per motivi contrattuali – è in qualche modo parametrato sugli andamenti del greggio. Bisogna decidere di rafforzare, e in che modo, le strade diverse per greggio e gas e le fonti alternative. La risposta della politica è donabbondiana. Si istituiscono cabine di regìa che si riuniscono in modo episodico, solamente quando il dilemma del consenso politico sollecita una risposta. In altre parole, la cabina di regìa è diventata la personificazione, tra trasformazione fisica in facce e nomi, di quel modo di dire che è stato tanto preso in giro: abbiamo provveduto affinché eccetera eccetera. E dalle parole (o, nel caso della cabina di

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regìa, dalle persone) non si passa ai fatti. Succede con la Borsa elettrica, accade con l’unbundling della rete del gas, accade con il mercato dei derivati elettrici, si ripete sui terminali di rigassificazione, più flessibili del gasdotto. Un ritratto del donabbondio: può essere un politico locale o nazionale. Può anche essere un funzionario o un dirigente di un organismo pubblico dalla cui firma su un pezzo di carta dipende la riuscita o il fallimento di un progetto. Le carte sono in regola, ma il politico donabbondio non si assume la responsabilità politica di dire no (o sì) e lo fa dire a qualcun altro: cioè al suo altrettanto donabbondesco funzionario. Basta una telefonata, una parola detta nel modo giusto, e il dirigente pauroso non riesce a forzarsi. Sarebbe così semplice, fare la cosa giusta: firmare (o non firmare) l’atto tecnico, per lasciare al politico la decisione politica che il politico non vuole prendere. Così oggi i progetti di rigassificatori sono più di una dozzina, ma si ha paura di lasciare che sia il mercato a decidere quali hanno valore economico (e quindi strategico per il Paese) e quali invece sono destinati all’insuccesso. Quindi sui taccuini dei cronisti d’agenzia di stampa, negli “a margine” di ogni convegno, ciascun ministro afferma quale sarà il numero a priori di questi impianti: due, quattro, sei. Non bisogna toccare la sensibilità dei lettori.


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