Le radici del presente - la storia della famiglia Carli

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Š Testo by Sandrina Gasperoni, 2010


Sandrina Gasperoni

Le radici del presente Storia della famiglia Carli



Le radici del presente

Introduzione

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di Letizia Casonato

Genuinità e genialità sono gli ingredienti del successo della famiglia Carli che, attraverso la straordinaria forza e caparbietà dei suoi componenti, ha saputo fiduciosamente affrontare e superare i periodi più bui della sua storia che, per vari aspetti, è anche la storia in cui si riconoscono tanti altri italiani. L’autrice non a caso divide elegantemente la biografia in due parti: il prima e il dopo, a voler separare le ombre di un passato fatto di guerra, di morte, di sofferenza e di miseria – che però i personaggi non possono e non vogliono dimenticare perché è proprio lì che affondano le loro “radici” – dalle luci di un presente comunque ricco di sacrifici, ma anche allietato da gioie e soddisfazioni familiari e professionali, e di un futuro ancora aperto a nuove ed infinite sfide, all’interno di scenari di sviluppo e crescita. Con tratto poetico e profonda sensibilità emerge quella che è l’essenza della loro storia: il forte ed inscindibile legame con la terra, l’unico valore che li unisce, li rafforza e li mantiene perennemente in equilibrio. Un legame atavico dal quale non è possibile prescindere, che fa parte del ieri, dell’oggi e del domani e che ogni lettore sensibile potrà scovare tra le pagine di questo libro e riscoprirà marcatamente autentico nelle esperienze di vita della famiglia Carli.


Presentazione

a cura del dott. Alessandro Piscaglia Chi s’appresta a leggere questo arioso bel libro di Sandrina Gasperoni, forse si attende la Saga dei Carli. Si vede invece proporre la narrazione delle vicende di una famiglia romagnola non con piglio epico, ma come se fosse la nonna, innamorata del suo Attilio, a raccontare le vicende del suo uomo e dei suoi figli più con amore che con orgoglio ed enfasi. L’autrice non ha piglio eroico, ma scrive con inchiostro intriso di poesia e con ritmo sicuro e succinto. I Carli hanno vissuto la dura povertà della prima metà del secolo scorso sulle argille e sui greppi di Scorticata fedeli alla loro terra romagnola. Non a caso Alfredo Carli è stato presidente e munifico finanziatore del Comitato per l’annessione dei sette Comuni dell’Alta val Marecchia alla Provincia di Rimini in Romagna. Fedeli alla loro terra hanno resistito alla tentazione di fuggire verso la terra promessa dell’Agro Pontino, verso il podere sicuro di Sabaudia o Latina. I personaggi di “sotto il Sole”, il bel romanzo di Francesco Sapori, hanno i cognomi dei luoghi in cui è vissuta la Famiglia Carli. Il mio vuol essere un saluto che dice affetto ed un augurio che auspica successo ed il suggerimento di non leggere il libro perché è bello, ma perché propone il messaggio di Alfredo, dei Carli che è: lavoro, umiltà e lavoro ancora e fiducia.


Pima parte



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Era il tempo del silenzio, della paura e della fame. Questa non è una colpa: è semplicemente storia. Qua e là dove il colore delle rose va a disperdersi dentro ad un periodo di grande depressione, qua e là, arcobaleni sperduti si adagiano impotenti nei sussurri della tristezza di tante famiglie. Nelle voci impaurite per l’annuncio della prima guerra mondiale, silente e invisibile si prepara ad emergere nella vita di innumerevoli persone, un indescrivibile dramma… Dentro al rumore dell’inquieto vivere di questa epoca, c’è la brezza di un matrimonio, di una nascente famiglia, la famiglia dei coniugi Attilio Carli ed Elvira Bonfè, c’è l’andare oltre al grido pensato davanti a cieli vuoti, c’è, nella realtà rurale di questa epoca, un monito che suona, che vuole, dentro a questa vita fatta di umile povertà, la colorazione di un futuro che apra migliori strade, che spinga con forza verso una nuova direzione, in un nuovo ordine di cose; loro ci provano, ci credono e lo fanno, lavorando in quella che è tra


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le uniche risorse della sopravvivenza; si adoperano come contadini a Masrola di Borghi. In questo luogo, tra i respiri di questa fredda realtà, nel 1915 danno alla luce la loro prima figlia: Palmina. E’ la vigilia del primo grande conflitto mondiale. Nessuno potrà mai immaginare la tragedia che poi sfigurerà l’Europa; dentro a questa “agonia” segue il nulla, la consapevolezza del nulla; tutto viene spezzato via dalla realtà: distruzione, sofferenza, la Grande Guerra avanza. Intanto sul fronte italiano, il comandante supremo dell’esercito, il Generale Luigi Cadorna, ordina l’attacco principale sul Carso e lungo l’Isonzo in direzione di Trieste: milioni di soldati, milioni di uomini strappati al lavoro e alle loro famiglie, vengono scaraventati nella neve e nel fango delle trincee con pochissime probabilità di sopravvivenza. Fra questi anche due dei fratelli di Attilio, Quinto e Andrea, che perdono la vita. A seguito di questa immensa perdita, ad Attilio giunge la notizia dell’esonero dalle armi.


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Un bagliore. Un grido nel cuore.

“Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro Di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto Ma nel cuore nessuna croce manca E’ il mio cuore Il paese più straziato”

(Giuseppe Ungaretti dal fronte, 27 Agosto 1916 San Martino del Carso)


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Nello scuotimento storico di questi accadimenti, intorno al tempo che trascorre, nel 1916 Elvira dà alla luce il suo secondo figlio: Quinto. Dal luogo in cui hanno fondato la loro unione, si trasferiscono a “Scorticata” quella che oggi si chiama Torriana; in questo paese abbarbicato sulla nuda roccia, un cielo blu si riflette sui loro anelli: solitudine, coraggio e fedeltà accompagnano i loro passi, in un paesaggio dalla straordinaria bellezza; qui, oseranno l’altrove, qui dove si scruta la Valmarecchia in tutta la sua forma e dove gli occhi risalgono verso la direzione delle poderose mura del castello di Montebello, epoche passate si mostrano e narrano le molteplici conquiste dei Malatesta, dei Guidi da Bagno e la leggenda di Azzurrina, la bimba dai capelli azzurri scomparsa nei sotterranei del forte nel 1375. Ornamenti del passato, lì, davanti ai loro occhi. Intanto la storia contemporanea esplode con la notizia della fine della guerra. Il 4 Novembre 1918, il Generale Armando Diaz comunica che la guerra contro l’Austria Ungheria sotto l’alta guida del Re e dopo 41 mesi di duri e sconvolgenti conflitti, è vinta. Da questa data trascorre il breve tempo di due anni che una nuova opportunità, un nuovo cambiamento già si avvicina: con in grembo il terzo figlio, Attilio ed Elvira si trasferiscono presso i Tosi di Pietracuta di San Leo; in questo luogo, nel 1920, nasce Andrea.


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Nelle giornate di vita contadina, sulla scia dell’assiduo lavoro e dentro a quei movimenti di dignità, prosegue il loro viaggio di vita, in un tempo di enorme fatica in cui urge ascoltare un messaggio forte e vivo di commossa verità; incontrano persone che partecipando alle tristezze altrui, hanno conquistato il valore più importante: la generosità di spirito; mossi da questi principi, i Tosi si manifestano nei loro confronti colmi di umanità e comprensione, una particolarità piuttosto insolita, soprattutto quando si parla di realtà diffi-


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cili come quelle del periodo. Lavorare in questa azienda che fra l’altro è una delle poche del territorio vasto ed esteso della Valle del Marecchia a possedere trattori e trebbia, diventa una nuova esperienza di vita; infatti, a questo proposito è importante sottolineare che nell’incessante sforzo dell’uomo, spesso schiacciato dalle forze della natura, le macchine e tutti i ritrovati della tecnica, non solo accrescono la forza produttrice dell’uomo, ma rendono anche meno opprimente la comunque incalcolabile fatica. Siamo di fronte ad un nuovo sistema che lentamente porta a migliorare le forme spigolose e dure del lavoro della terra; a questo proposito bisogna ricordare il padre della trebbiatrice, lo scozzese Andrew Meikle, a lui che nel 1784 la inventò, va il merito di tutta la storia che ne conseguirà e a mano a mano che le successive evoluzioni della tecnica di lavorazione volgono al meglio, la trebbiatrice trasforma significativamente un sistema per il quale senza dubbio, sarà sempre onorata la figura di Meikle. La trebbia e le estati dei contadini. Dalle alte fronde mosse appena dall’aria giunge un sottofondo di cicale. E’ Giugno, è tempo di mietitura; si compie il miracolo del raccolto. Il dolce risveglio del sole si mostra tra i bassi monti, mentre nelle ampie aie, in lontananza, già si sente il rumore inconfondibile del motore a testa calda avvicinarsi; grandi cumuli di covoni pronti per la lavorazione, un sorriso volge verso il cielo quando il suono penetran-


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te della sirena richiama operai; è il momento: il trattore avvia la puleggia, la puleggia fa partire la trebbia ed ecco, tra i tanti cappelli di paglia il fumo che si alza nell’aria, il sudore che scivola incessantemente lungo i fianchi, tra le spighe che sbattono a volte sul volto; la fatica è intensa, ma è festa nelle grandi aie e all’ombra di antiche querce si sorseggia del vino con un pezzo di formaggio.


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Dal profumo sincero della paglia, giunge la sensazione di uno spazio che contempla gli elementi semplici del vivere e che invita con intenso vigore, all’ importante messaggio di riuscire a contenerli nella memoria, a non dimenticare quanto è difficile il cammino di questi anni, a non smarrire dentro a quelle sensazioni le poche cose ma indimenticabili che esse sanno donare. Nel messaggio che emerge dalle giornate trascorse nei campi, viene chiaramente dipinto il ritratto di un vissuto fatto di umili, povere cose; una povertà che sa ugualmente essere dignitosa in compagnia dei valori immersi negli indefiniti, ma unici profumi della campagna. In quei solchi di terra appena arata, nel silenzio della verità del mondo contadino, c’è comunque la voglia di cantare e di guardare avanti, di stringersi dentro al cuore quel senso vero della vita che arriva in un appena pronunciato sussurro afono, ma struggente, nella spoglia realtà della inenarrabile fatica; giorno dopo giorno, si cerca riparo dal nulla e nelle fioche luci racchiuse dentro alle mura domestiche, pianti e sorrisi si alternano nell’attesa di una primavera “nuova”. Qui, in questo paese dove si ascolta il passaggio del fiume Marecchia e da dove il bacino del suo letto si allarga rendendolo ancora più maestoso, il fiume si vuole raccontare e lo fa con magico realismo dall’inizio del suo viaggio: la sua vita inizia e si mostra energicamente nel Monte Zucca a m.1258, in un rilievo che comprende la catena Dell’Alpe della Luna; il Marecchia, un poetico e solitario compagno che per circa 90 km fino all’Adriatico,


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trascina via con se i detriti delle formazioni marmoso arenacee di tutta la valle, portandosi dietro le storie di altri luoghi, di culture di paesi isolati, di drammi, di realtà vissute e sofferte come la vita di Attilio ed Elvira. Al di là del suo letto, dalla parte che guarda verso la collina, sulla sommità di una roccia, il Santuario della Madonna di Saiano ascolta muto il richiamo continuo della speranza; all’interno delle forti pareti della sua chiesa, il


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volto della Beata Vergine del Carmine accoglie silenziosamente il dolore della gente, le voci dell’anima che si alternano colme di speranze in quella vita che spezza, che stride combattuta di malinconica attesa. Incapaci di fermarsi, si avvicinano i nuovi mutamenti. Nelle stanze raccolte, intime del loro mondo, nel 1926 Elvira dà alla luce il suo quarto figlio, una bimba: Maria. Le paure si muovono costanti, tutto è vissuto dentro alla quotidiana miseria, dentro alle quotidiane avversità che si presentano e che si devono affrontare. In questa difficile atmosfera, il dialogo sincero con la preghiera diventa un importante protagonista, uno strumento mistico capace di accompagnare verso il bisogno fortemente sentito di riparo. Invocando la protezione celeste con l’acceso sentimento dalla fede, la preghiera, il rosario della sera portano a raccogliere e a riunire, a rievocare con spontaneo bisogno, la forza per affrontare e per adempiere a quei progetti di vita ancora incompiuti che con misteriosa libertà, sanno ugualmente mostrarsi come preziosi frammenti di luce, frammenti che non si fanno sopraffare dall’inesorabile fluire del tempo, ma incitano al non lasciare morire “le ragioni del cuore”. Intanto le stagioni muovono nuovi eventi; passano due anni e un altro figlio viene ad allargare ulteriormente la famiglia, è il 1928 nasce il quinto figlio: Ernesto. Nel panorama crudo e spoglio di vera fame, i figli, in questo spazio di vita, nelle tradizioni


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e nel culto della vita contadina, diventano una vera e propria sfida di seria sopravvivenza. I volti spenti dall’abnorme fatica, dallo sfinimento, rendono l’idea di una chiara e visibilmente complicata situazione, una situazione che si presenta nitida, come nella raffigurazione statica e ferma di un quadro; tratti realistici, impressi e lasciati lì, che si mostrano con violenza, imponendo al vedere, al percepire le precise difficoltà e in esse, in quelle orme lasciate sui campi, nelle stridenti manovre dell’aratro, nelle molteplici andature del lavoro agricolo, c’è una sofferenza insistente, costante, capace di sconvolgere in modo pesante l’esistenza umana stessa.


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E’ il 1933, un rinnovato scuotimento si annuncia: Elvira è in attesa di un altro figlio. Nelle prime colorazioni d’autunno viene al mondo Alfredo. Insieme ai suoi fratelli è il testimone innocente di una famiglia povera.

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Nella verità rivelata, la consapevolezza: in questi luoghi aridi e scoscesi l’aria spinge l’incognita del domani, un incognita nuda e fredda che si cerca di sopprimere, di scavalcare inutilmente. Sei figli, poco per vivere, un fuso nelle mani per filare la lana, un telaio, due ferri per fare le calze e poi di nuovo l’inverno, il freddo e il breve giorno si adagia silente sulla mano stanca di questa famiglia. Dentro ad una rete di intensi valori e di significati ideali strettamente personali, la numerosa famiglia Carli, a distanza di pochi anni dalla nascita di Alfredo, abbandona quella che per molti anni è stata la sua vita, lascia quel poco che l’ha aiutata a vivere alla ricerca di una piccola svolta, una modifica al grave peso della sopravvivenza, così, muniti delle loro poche cose, vanno ad adempiere il ruolo di mezzadri a Torello presso l’ingegnere Gasparoni, il quale, proprietario di poderi e di mucche, affida a loro “l’ordine”, l’esercizio di tutte quelle mansioni necessarie per una positiva produzione. In questo posto, in questo paesino che si mostra nella totale realtà del periodo e che si posa a valle circondato dai pendii scoscesi che si aggrappano come foglie d’edera sulle pareti rocciose dei monti circostanti, qui l’integra e sinceramente unita famiglia di Attilio ed Elvira, avvolta dal solo sguardo del volere e con la spinta interiore di assistenza celeste, invocando sempre la protezione della Madonnina di Saiano e confidando nella buona sorte, riprende la speranza in direzione di qualcosa di migliore.


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Qualcosa però, già si muove nel mondo. La sorte, di tutto il mondo sta per essere sconvolta; tutto si agita e si compie nei passi del fondatore del partito fascista: Benito Mussolini. Lui che dal Re Vittorio Emanuele III di Savoia riceve l’incarico di formare un nuovo governo, lui che fa costruire nuove linee ferroviarie, che promuove l’agricoltura, la bonifica di zone paludose, che impone l’istruzione e che assume tutto il potere politico, in un solo gesto, trasforma il presente in qualcosa che nessuno potrà mai immaginare… Nel 1936, insieme ad Adolf Hitler stipula l’alleanza tra Italia e Germania; da questo momento in poi, nessuno può intuire, il dramma che sta per avvicinarsi, compreso lo stesso Mussolini che nel 1939, convinto che al fianco di Hitler l’Italia avrebbe potuto diventare una grande potenza, rafforza l’alleanza firmando, con la Germania nazista, il “Patto d’Acciaio. 1 Settembre 1939 l’esercito tedesco invade la Polonia. E’ scoppiata la seconda guerra mondiale. Il mondo intero trema, popolazioni intere tremano. Due giorni dopo l’attacco alla Polonia, Francia e Gran Bretagna dichiarano guerra alla Germania: già il bilancio di vittime è impressionante.


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10 Giugno 1940. Dal balcone di Palazzo Venezia a Roma, Mussolini annuncia l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania. Niente sarà più controllabile, giovani ragazzi italiani vengono chiamati al fronte e dei tanti, anche due dei figli di Attilio ed Elvira: Quinto ed Andrea. Dall’ordine

dell’aeronau-

tica militare, Quinto, per gravi motivi di salute, viene ricoverato presso l’Ospedale di Baggio in provincia di Milano e non prenderà mai parte ai combattimenti.


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Nel periodo di degenza ospedaliera, Quinto riceve piÚ volte la visita di Palmina, la sorella maggiore, che nei ritagli di tempo che si alternano al lavoro presso famiglie benestanti, va a portargli il suo fraterno conforto; Palmina si impegna intensamente oramai da anni ad aiutare la famiglia e lo fa con sincera dedizione; lei che è cresciuta in un ambiente in cui le difficoltà sono sempre state visibilmente concrete, si prodiga con determinazione in tutti i modi nel sostegno dei suoi cari.


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Intanto la guerra, incalza senza tregua; nelle movenze di queste giornate, nella vasta, umida e fredda Milano, Palmina si innamora di Emilio Beretta che nel 1940, sposa. Ben diversa è invece l’attuale, drammatica, situazione di Andrea. Il 6 Aprile 1941 i soldati italiani attaccano la Jugoslavia e dei tanti ordini militari, anche quello dei bersaglieri, dov’è arruolato Andrea, va a combattere. Dalla Jugoslavia, la sua armata, dopo i grandi combattimenti, si sposta in Corsica e qui chissà, chissà per quante volte ha pensato alla casa, chissà per quante volte ha sperato di tornare vivo dalla sua numerosa famiglia, chissà per quante volte, avrà chiuso in sé la paura, il

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dolore e poi il tormento disperso dentro a quelle voci strazianti che muoiono e si disperdono nell’oscurità del momento. Nel rosso e nel nero degli unici colori di questo terribile dipinto, la morte del suo amico compagno, lo sconvolge profondamente; la realtà ora si pone e si impone violentemente alle regole di guerra: si deve continuare a combattere. Vivere, sopravvivere davanti a cose che i suoi occhi e quelli di milioni di giovani vedono, drammi che nessuno potrà mai cancellar loro dalla memoria; in questo passaggio storico, Andrea diventa testimone del più terribile dei momenti vissuti dall’umanità intera.


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I fiumi di intere Nazioni si colorano di sangue. La seconda guerra, colpisce e distrugge. In un epoca segnata per sempre dalla barbarie, dalle orripilanti tecniche di genocidio dei tedeschi, dallo sterminio di milioni di Ebrei e da vicende per le quali è difficile persino descrivere la forma, essa, per le atrocità con la quale si sono imposte le vicende, diventa la più clamorosa sconfitta dell’umanità. A nulla è valso l’insistente appello “Pacem in terris”di Papa Pio XII, a nulla i tentativi di dialogo per fermare tutto questo, oramai, Hitler è ingestibile, il suo obiettivo va avanti senza pietà e si dirige verso quella inenarrabile direzione che lui, con brutale freddezza ha scelto: cancellare l’avversario dalla faccia della terra.


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Non si può certo comprendere quanta pena possa aver mosso tutto questo nelle case di innumerevoli famiglie; quello che per certo si può immaginare, percepire e sentire, lo si trova dentro alle pagine della memoria, nel turbamento e nell’angoscia che tutti indistintamente vivono; la solitudine dei giorni dell’attesa, le costanti e violente avversità si impongono dure e nella scansione di questi anni intrisi di così tanti contrasti, di così tante insormontabili difficoltà, lo smarrimento, diventa inevitabile. Ancora una volta, il bisogno di credere nella vita si impone, ed anche se la porta sul tempo, è socchiusa, il canto sommesso, il grido della speranza di tante persone, si eleva verso il cielo.


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Le stagioni scorrono via nella concezione unica di un destino che comprende tutta la societĂ senza diversificarsi. Tutti vivono il peso dell’inquietudine, tormentati dall’attuale andamento nel mondo, come i coniugi Carli, che immersi nella loro vita contadina, cercano nella terra che coltivano e che seminano di granoturco e di grano, di fieno e di vigneti e di circa 300 ciliegi, vi cercano la distrazione, cercano di alleviare il peso che portano nel cuore; il pensiero, la paura è sempre lĂŹ, pronta ad esplodere e si rivolge verso il figlio in guerra. Dentro alle pareti stinte della loro casa, dentro al silenzio della sera, seduti accanto al camino debolmente acceso in una fiamma che spinge ed invita alla speranza, si attende il giorno che deve ancora arrivare.


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“ …E così mia rosa, la tristezza, come una pietra bianca che lava la pioggia. E così, mia rosa, scrivo quel che mi attraversa e nessuno legge, nessuno ascolta…” (Nazim Hikmet)


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Quel giorno si avvicina lentamente. Dentro agli avvenimenti di una cruda, fredda guerra; dal fronte, a Monte Cassino, Andrea, in un conflitto a fuoco, viene gravemente ferito ad una gamba; lui che per 5 lunghi anni ha combattuto, visto, ascoltato e urlato il dramma sordo del momento, viene trasportato all’Ospedale Militare di Bari. E’ il 1944 La grande mano del destino si posa su di lui: sopravvive e viene congedato. A piedi e con casuali mezzi di fortuna, si incammina verso casa. Privo di tutto, alza i suoi passi stanchi verso il richiamo delle origini, in quella struttura forte di alti valori che è la sua famiglia, una famiglia intera, che senza sapere, attende e spera per il suo ritorno. Dopo diversi giorni di cammino, oramai stremato e senza più forze, si ferma a Santarcangelo di Romagna, lungo il viale della stazione dei treni, e qui, un contadino, nel passare, si accorge dello stato di difficoltà in cui si trova e, senza indugio, si presta ad aiutarlo precipitandosi ad avvisare la famiglia. C’è un sussulto di commozione, una inevitabile commozione, una comprensibile commozione.


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Un nuovo giorno, un giorno di gioia in casa Carli; il tanto invocato ritorno, ora è giunto. Il fratello Ernesto si avvia con la bicicletta. Andrea è lì e attende. L’abbraccio forte non lascia parole. Insieme si avviano verso casa, i chilometri sono diversi da percorrere e proprio quando giungono a Ponte Verucchio, si prosciugano le ultime energie, la fame vince obbligandoli a fermarsi al forno. Un pezzetto di pane, un piccolo pezzo di pane e la forza ritorna. La casa di Torello è oramai vicina; una solida e unita famiglia, da 5 anni, attende Andrea. E’ immenso il momento, è festa in casa Carli.


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Vicini l’uno all’altro, Attilio ed Elvira, sull’uscio di casa, accolgono il loro figlio. Dopo un lungo periodo oscurato dalle angosce, finalmente la vita, viene riconquistata e fra questi accadimenti, sempre nel 1944, i fratelli Quinto e Maria si sposano; Quinto, con Lucia Bindi e Maria, con Terzo Beleffi.


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Nei tumulti di un accesa dimensione, l’espressione rigida di questi anni, sta per cambiare volto…finalmente l’andamento della guerra, cambia direzione: gli alleati dopo varie vittorie, annientano la resistenza tedesca. Il 27 Aprile 1945, Benito Mussolini dopo un tentativo di fuga, viene catturato dai partigiani. Il giorno seguente, viene giustiziato. Con lui finisce la dittatura fascista. Berlino, 30 Aprile. Nel bunker, Adolf Hitler e sua moglie Eva Braun si suicidano. 7 Maggio 1945. Il nuovo capo di governo l’ammiraglio Karl Dönitz,* sottoscrive la resa incondizionata di tutte le forze tedesche. La guerra in Europa, è finita. Quello che rimane del tempo trascorso è l’inevitabile conseguenza della già marcata povertà. La guerra ha distrutto tutto, l’equilibrio delle cose è sconvolto, non c’è lavoro, si vive di stenti per un po’ di cibo, per una misera zuppa e si va avanti guardando il domani che, nonostante tutto, non appare come un nemico, ma come un nuovo giorno, nella fiducia che il raccolto non venga distrutto, perché si possa continuare a vivere.


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C’è anche chi invece, va in cerca di fortuna ed emigra dall’Italia, nelle incognite di altre culture, di altre realtà, di altri paesi; dei tanti che si incamminano verso nuove mete ci sono anche le appena nate famiglie di Quinto e Lucia e di Maria e Terzo. Insieme si trasferiscono in Francia. E qui, riescono a trovare lavoro presso una fabbrica. Un passo verso la luce, un brivido, e la speranza si accende, muta. In seguito a tutto questo, l’umanità vive un periodo di profondi e rapidi mutamenti; una vera e propria trasformazione che con sé fa sorgere nuovi problemi, vere e proprie discrepanze e squilibri; un bagaglio di situazioni acute che invitano al volere alleggerire il peso asfissiante del presente, per rivedersi dentro, per ascoltarsi dentro con nuove intonazioni. In attesa di qualcosa di migliore si guarda verso qualcosa che possa rinnovare lo stato attuale e, accontentandosi anche di un lieve cambiamento, si procede in un dialogo sommesso, impaurito, nell’incerto presente. A viso aperto e leali soprattutto con la propria dignità, si prosegue e si resiste alla vita, verso un orizzonte che si schiarisce solamente alla luce di un barlume notturno. Le giornate continuano a fluire in quell’ ”armonia” quotidiana fatta di inverni trascorsi nella stalla a sgranare le pannocchie di granoturco, fatta di giornate grigie, fredde, quasi a voler ricordare le difficoltà di questi momenti. Momenti di raccoglimento attorno al camino per scaldarsi e poi di nuovo impegno in direzione di tutte quelle faccende che rappresentano in tutta la sua pienezza il mondo agricolo, un mondo di infinito lavoro. Dentro


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alle movenze di questa realtĂ , ci sono anche le giornate che Attilio trascorre a riparare le ruote del carro. Attilio che in quel carro vede un fedele compagno, Attilio che come in altri mestieri, è molto capace nel lavorare il legno, con estrema cura, ripara ogni parte della ruota: il cerchione, il mozzo ed i raggi i quali, essendo costruiti con tre diversi tipi di legno, devono essere assemblati correttamente, utilizzando le diverse tipologie occorrenti per il restauro che sono l’olmo, la quercia ed il faggio.


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Da esperto capace, si prende cura di quello che, fedelmente, per tante estati, ha accompagnato il suo viaggio di vita lavorativa; in quei tramonti sudati dal sole, in quei giorni che profumano innocenti di fieno appena tagliato, in quei sinceri gesti di rispetto verso la terra, si cantano i valori eterni di grandi anime solitarie, di persone in armonia con il loro volto che, anche se scosso dalla fatica, sa trovare un lieve momento di leggerezza, quando giunge l’imbrunire e, nell’ascolto del canto quieto dei grilli consuma le ultime ore di lavoro. Tutto questo non basta. Il dopo guerra è tristemente drammatico, così, nella consapevolezza delle immagini stinte che si porgono d’innanzi al cammino, anche Ernesto nel 1946 decide di partire per la Francia in cerca di lavoro, lo trova e per due anni, svolge la dura mansione del boscaiolo spostandosi anche in Germania.


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Intanto, la voce della vita chiama a sè una nascente famiglia: nel 1947 Andrea sposa Ottavia Bindi ed insieme ad Attilio ed Elvira portano avanti la fatica del lavoro della terra, del lavoro umile dell’uomo per la terra.

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E’ il 1948 quando Ernesto ritorna dalla sua famiglia, nella Torello tanto cara, dove ricomincia a lavorare assieme ai genitori e ai fratelli Andrea ed Alfredo. Non sarà molto il tempo, però, da trascorrere insieme; infatti, anche Alfredo è prossimo a partire verso la Francia, dove vivono gli altri due fratelli con la famiglia già da tempo, in direzione di un lavoro, accontentandosi di quello che si presenta. Il suo viaggio è breve; dura sei mesi nelle mansioni richieste dal mestiere dell’edile; terminato questo, in alternativa c’è la miniera, ma non viene assunto: il tutto si rivelerà, poi, la sua più grande fortuna… Dentro a queste obbligate scelte, in queste trame di esperienze dure che si annullano persino in descrizione, ritorna sempre la caratteristica preponderante di questa famiglia, così provata, ma ugualmente così forte, da annunciare un significativo passo in direzione di una svolta…


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1949. Mentre il fratello Alfredo è ancora via, ad Andrea e a Ernesto, viene l’idea di acquistare un residuato di guerra, un “Dodge”. Il suo costo di £. 1.500.000 è ragionevolmente impossibile da affrontare da soli, così, con due soci e con l’appoggio di Alfredo, riescono a coprire la spesa dando vita poi, all’avviamento, all’inizio del tanto ambito cambiamento. La direzione intrapresa è da subito rivolta al trasporto delle bestie; adattando il cassone con delle sponde, si muovono i primi passi verso un nuovo percorso, un percorso di svolta, voluto e desiderato con saggia intuizione, la stessa intuizione che, via via che gli avvenimenti si evolvono, darà poi conferme positive ed una meritata risposta al coraggio


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di tutti e tre i fratelli. Questo “Dodge”, percorre insieme a loro la conquista, l’esposizione chiara ed esatta di umili atteggiamenti, più correttamente, costituisce per loro una conquista, ma non una rinuncia alle loro tradizioni di lavoro e di umiltà; rappresenta l’adattamento nei confronti delle esigenze del periodo, un periodo che si presenta con la visione di un passato che ha lasciato la “ memoria” e di un futuro invece tutto da plasmare… nelle vibrazioni del presente. I desiderati, cercati nuovi movimenti di vita, si incamminano nella misura in cui si dispongono le circostanze, circostanze le quali, purtroppo, rallentano la corsa, ma non la fermano; una di queste è la chiamata alle armi di Alfredo. In questo periodo di assenza, tutto continua a scorrere nella normalità: Ernesto ed Andrea continuano ad impegnarsi nel trasporto del letame per i grossi agricoltori delle campagne romagnole, nel trasporto di bestiame e dei sassi. Tutti questi umili lavori, si dimostrano già da subito, come una buona base di rendita, la quale, si premia da sola per il semplice fatto che, nel periodo in cui accade questo, sono pochi a svolgere quelle mansioni, conseguentemente, per loro, quell’attività si rivela proficua. Ma anche le questioni del cuore si evolvono…nel 1955 Ernesto si sposa con Giuseppina Lotti e circa un anno dopo, la sera del 22 Aprile 1956 in licenza di quindici giorni dal militare, Alfredo, in una sala da ballo, incontra lo sguardo di Santa Rocchi. Santa è seduta sulle ginocchia della propria madre quando riceve l’invito per un ballo da Alfredo, il


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resto, è lieto e rapido: s’innamorano… I mesi successivi scivolano via immersi in quella volontà saggia e poderosa, nell’impegno preso con se stessi di riuscire a vincere le enormi sfide quotidiane; al ritorno di Alfredo congedato dal servizio militare, si matura un’altra importante svolta: una svolta che poi si trasforma in conquista, quando, trascorso un po’ di tempo dagli ultimi avvenimenti, le paure, le giustificate paure di papà Attilio si placano. Oramai inseriti in questo contesto lavorativo, i tre fratelli, decidono di comprare un Fiat 42’. Papà Attilio, che ha sempre temuto di ritrovarsi nella sua vecchiaia a dover andare a men-


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dicare per le case in cerca di caritĂ , si ritrova invece ad essere proprio lui a riconoscere i meriti dei figli e lo fa, regalando loro i suoi risparmi; una vita di duro lavoro si offre in questo gesto.


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Il grande appoggio paterno, si rivela molto significativo, un ruolo di partecipazione e di incoraggiamento, un premio, una risposta che va anche a sostenere l’acquisto del Fiat. Con questo sostegno, si rafforzano le basi già solide per la trasformazione che verrà: nuovi progetti e coraggio, è il motore trainante che li ha aiutati ad arrivare fino qui.


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Tre fratelli, uniti nella vita e nel lavoro. Trascorrono alcuni anni di costante ed equilibrato andamento lavorativo, quando si matura una nuova idea, una valida intuizione: mettersi nel commercio.


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Da questo momento in poi, si annuncia l’apertura di una grande “impresa”. Abilmente e con capacità di trattativa, i tre si propongono ai contadini per l’acquisto della paglia. Stimandone il valore in base all’altezza dei pagliai, riescono ad avviare un nuovo sistema. La destinazione per la rivendita, è stata concordata con la cartiera Ciacci di San Marino il cui utilizzo, è rivolto alla produzione della “carta paglia”. Sono passati oltre dieci anni dalla fine della guerra, ma le cicatrici profonde che essa ha lasciato si mostrano ancora di riflesso sul settore lavorativo. Alcune attività produttive prendono vita, altre, invece, soffrono pesantemente per l’eredità che il passato ha lasciato. E’ storia, la storia non lieta di tante persone; è la vita che in quanto tale, deve raccontarsi nelle radici del passato per essere, nel presente, alla ricerca di significati pieni e colmi di aspettative. Là dove tutto si era disfatto, adesso, gli sforzi creano, costruiscono, premiano. In un pensiero d’affetto profondo rivolto alla tanto amata mamma Elvira, i tre fratelli, in quella Torello a cui sono profondamente legati, comprano una casa, la casa che tanto le piaceva e a cui corrispondevano tutte le cose che le interessavano: un pezzo di terra per l’orto e per i polli. Elvira che tanto si è adoperata nelle mansioni di vita contadina per i suoi amati sei figli, avvolta da questo amore, raggiunge il trionfo più grande.


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“I vostri cuori mi palpitavano in cuore e il vostro fiato mi si è posato sul volto e vi ho conosciuti tutti. Vi ho conosciuti nella gioia e nel dolore e nel sonno i vostri sogni furono i miei sogni… Ma assai più dolce del sorriso e più grande di ogni desiderio mi giunse il vostro infinito…” Kahlil Gibran


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Anche l’arrivo di un matrimonio può alleggerire, lenire le sofferenze passate… e’ il mese di Ottobre del 1959 quando anche l’ultimo dei sei figli, Alfredo, porta all’altare Santa.


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Nella casa ora c’è l’ insieme, l’armonia dell’insieme.

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Oramai tutto è avviato, tutto risponde in positivo e alle fatiche si uniscono le crescenti gratificazioni economiche. Nella quotidiana esplorazione del vivere dentro a passi fatti ed a passi ancora da fare, il cuore di questa loro attività li conduce in avanti: comprano del terreno là dove da tanti anni vivono, là dove si sono costruiti un nuovo mondo voluto intensamente, un mondo che, illuminato da nuove conquiste, viaggia in avanti, ed a Torello, nello scenario lavorativo da loro costruito con enorme fatica e fermezza, in quel terreno, nel pieno degli anni 60’,costruiscono i primi capannoni.


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La distanza dal nulla dei giorni passati non rallenta la corsa, anzi la spinge con forza senza fare troppo rumore ed in questo luogo, la determinazione e l’unione, la fatica e il sorriso emergono davanti al compimento della prima “opera”; un sodalizio che unito all’amore per il proprio lavoro e alle braccia volenterose che li hanno portati a credere e a credersi, ora si raccontano e si offrono nella loro totale integrità. In una successione di frammenti di vita autentici, si apre per loro a ventaglio un laborioso periodo, un periodo che mantiene sempre alto il valore verso quei gesti semplici e veri che li ha condotti fino qui: nell’importanza che da sempre hanno posto nei confronti della famiglia, nel rispetto profondo verso il lavoro della terra, c’è un messaggio di vita, un insegnamento che tutti dovremmo accogliere con profondo rispetto. La terra e l’uomo, un legame antico che si narra da sempre sincero e indivisibile.


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E’ l’inizio della “Grande” impresa dei fratelli Carli Un cenno, un sospiro e poi il viaggio onesto e solidale con le proprie aspettative, aspettative libere come strali lanciati verso il cielo; in questo ritmo che grida, si annunciano, si ascoltano e si accolgono le risposte… Nella chiara fisionomia dell’ambiente in cui prendono pieno e intero risalto le idee, si muovono intenzioni innovatrici e feconde, intenzioni che si sono modellate con la medesima forma, con la stessa struttura creata e voluta per questa attività dai tre fratelli e che assieme al fondamentale slancio creativo, li fa emergere in questa attività con intuizioni costruttive.


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La determinazione e il coraggio li conducono verso un significativo traguardo: l’installazione di un mulino per la produzione di erba medica.


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Ancora una volta, la scelta unita al costante impegno, si dimostra vincente: la loro “creazione” dentro ai tanti significativi mutamenti, li porta verso traguardi certi che non si slegano dai giorni della fatica, traguardi che adesso, finalmente, si offrono con luce nuova, con un sapore nuovo. La tanto desiderata trasformazione è giunta. L’onesta e sofferta rigenerazione morale e famigliare, porta ad una fioritura di vita concreta, una fioritura economica che, per anni i Carli hanno sognato e plasmato e che si sono imposti di raggiungere con caparbietà. Contro quelle pagine scritte e sofferte del loro passato, della loro giovinezza, hanno vinto loro. Hanno vinto loro, contro tutte quelle vicende che li hanno innocentemente coinvolti, vicende che si sono imposte con violenza in forme estreme e sconfortanti; hanno vinto un passato fatto di ristrettezze e di angosce, di guerra e di fame, un trascorso dal quale, nessuno potrà mai togliere la memoria e di quel trascorso, di tutte quelle fatiche affrontate, adesso, raccolgono i meriti. Intanto anche lo sviluppo economico prende nuove forme. Gli strappi del passato cambiano volto, molti rami lavorativi si avviano verso l’industrializzazione, nuovi posti di lavoro rigenerano dalla grave eredità lasciata dal passato e là, dove la campagna canta la sua solitudine, nuovi risvegli, nuove colorazioni, nuove prospettive si adagiano, lievi, sulla vita di tanta gente.


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Anche l’avviato stabilimento di Torello, la “FRATELLI CARLI Spa” offre posti di lavoro,


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tutto cammina sulla proiezione di una solida struttura, una struttura che avanza e che negli anni 70’porta i tre fratelli ad accogliere una interessante offerta: l’acquisto di una significativa quantità di foraggio in giacenza presso i depositi di un mulino dismesso a Ponzano Romano, nel Lazio. Oramai entrati in sintonia con l’impianto strutturale di questo mulino, decidono di acquistarlo in previsione di proficui vantaggi. Nella metà degli anni 70’ nasce così, il loro secondo stabilimento: le “FARINE LAZIALI Spa”.


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Da questo momento in poi e con rapide movenze, si accendono nuove vedute… Idee, tante idee si dirigono verso nuovi contatti, verso nuovi ambienti ed in questo grande scuotimento, le loro posizioni si espandono verso valide strategie d’investimento… la volontà di proseguire su questa direzione, si avvia verso interessanti obbiettivi. Tutto corre dentro a quel gomitolo di speranze che raccontano il passato e che si sono alzate in volo mosse dall’alito di un antica promessa, dentro a quello promessa, prosegue il loro viaggio, un lungo viaggio intrapreso senza indugio e che li ha resi forti e fermi all’interno di quei principi che, di momento in momento, hanno dato il via all’inizio, alla messa in opera di tante conquiste; le forme smaglianti di notevoli investimenti cancellano le ombre del passato e li conducono verso nuovi, colorati paesaggi: nelle pianure del ferrarese, a Migliaro, acquistano il terzo stabilimento: il “ PUNTO VERDE”.


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E’ un continuo susseguirsi di opportunità che si presentano e che con grande interesse valutano e assorbono; a Filo d’Argenta dove l’abbraccio di umide nebbie si alza verso il sole di mezzogiorno, qui in queste pianure nasce “IL VALLONE ” .


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Dentro ad azioni mirate e concrete continuano a seminare storia. La corsa non si ferma dinnanzi a nessun ostacolo, oramai lo stesso “mondo” che si sono conquistati con tanta fatica progredisce e insieme a quel legame forte e sincero per la terra è in arrivo un ulteriore avanzamento…un esteso zuccherificio dismesso a Mezzano in provincia di Ravenna è il nuovo traguardo, lo comprano, lo adibiscono a mulino e avviano la “ TRE.C ”.


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Tutti questi stabilimenti sono le orme che camminano nell’oggi e in una forza che si assembla con il sostegno e l’impegno vivo della seconda generazione si è formata un’ unica e solida struttura: il “GRUPPO CARLI”. Questa “unione” si impegna con profonda sensibilità al rispetto verso l’ambiente in una esponenziale e attiva produzione a forte indirizzo biologico; una sinfonia di azioni che guardano al futuro e che presenta il gruppo Carli come attento produttore che evita l’uso indiscriminato della chimica. La stessa sensibilità si dirama anche nel settore allevamento bovini e conigli; attività create con lo stesso sentimento e che offrono al mercato, un prodotto di qualità, biologico e non OGM. Un Gruppo, il loro, tutto al “naturale”. Ai padri, alla seconda generazione di questa “ impresa”, a coloro che li seguiranno, sia la voce della memoria la sorgente per delineare nuove tracce in direzione di un futuro, tutto da percorrere…


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“Con un soffio di semplicità domani quando tutto diverrà ricordo e il tepore invernale si vestirà di luce porgerò la mano all’immenso guardando te mio domani mentre mi sorridi.” Sandrina Gasperoni (Tratto dal libro “Coccolata dal rosso dei papaveri” ed. Giuseppe Laterza)



Indice Introduzione

pag.

5

Presentazione

pag.

6

Prima parte

pag.

7

Seconda parte

pag.

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Finito di stampare

nel mese di dicembre 2010

presso La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio srl (RN)


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