104 aprile 2020

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GRUPPI FAMIGLIA aprile 2020

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MALATI NELLA TESTA

Un malato di mente entra nel manicomio come ‘persona’ per diventare una ‘cosa’. (…) Noi siamo qui per dimenticare di essere psichiatri e per ricordare di essere persone. Franco Basaglia

Fonte: www.salute.gov.it/imgs/C_17_opuscoliPoster_422_allegato.pdf

A CURA DELLA REDAzIONE Se qualcuno ci definisse normo nevrotici probabilmente non lo prenderemmo come un complimento. Eppure se non reagissimo adeguatamente – senza eccessi e senza carenze – agli stimoli che riceviamo avremmo problemi mentali. Questa definizione ci ricorda quanto sia sottile il confine che separa l’essere sano dall’essere malato, e come i disturbi mentali più comuni, come ansia o depressione, siano sempre dietro l’angolo. La fragilità della nostra mente, che è specchio della nostra fragilità creaturale, ci dovrebbe far riflettere sullo stato di coloro che malati di mente lo sono davvero e su cosa significa questo per le loro famiglie.

Nel mondo 300 milioni di persone soffrono di depressione, 60 milioni di disturbo affettivo bipolare, 50 milioni di demenza. Ministero della Salute

I manicomi Fino al 1978 per chi era malato di mente c’era praticamente solo il manicomio. Era considerato irrecuperabile e pericoloso socialmente e, pertanto, veniva allontanato dalla società, emarginato e rinchiuso. In manicomio1, per molto tempo, ci finirono anche vagabondi, mendicanti, asociali, in genere quelle persone che erano scomode o d’imbarazzo per le loro famiglie o per la comunità in cui vivevano. Con la legge Basaglia2 – dal nome dello psichiatra che ne fu l’ispiratore – i manicomi furono chiusi e sostituiti dai servizi di igiene mentale pubblici e si regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio. La legge voleva anche essere un modo per modernizzare l'impostazione clinica dell'assistenza psichiatrica, instaurando rapporti umani rinnovati tra pazienti, il personale e la società, riconoscendo appieno i diritti e la necessità di una vita di qualità per i malati. In altre parole3, voleva porre fine a metodi di cura prevalentemente basati sulla custodia e il contenimento, riconoscendo invece la necessità di una presa in carico del paziente come persona.

Oltre i manicomi Il passaggio dai manicomi ai servizi di salute mentale non fu indolore. Alberta Basaglia4 riconosce: “La legge diceva di chiudere i manicomi, dava degli indirizzi generali e spettava poi alle Regioni applicarla, ma molte non l’hanno fatto. Per questo, il principale problema sono stati i politici”. “Perché la situazione si sanasse in modo decente”, afferma Annibale Crosignani5, “ci sono voluti dieci anni, fino ai ’90, col sostegno di enti caritatevoli e di associazioni varie. Ora c’è il servizio di salute mentale, ci sono gli ambulatori ma sono burocratizzati [vedi riquadro a pag.20]. Come se gli ambulatori andassero bene uguali per tutte le specialità. Voglio dire che se uno ha il mal di cuore e gli fissi un appuntamento, verrà. Ma un malato mentale è diverso, non vuole venire o non è capace di venire. Le famiglie, poverette, li spingono, si sforzano: ma ha senso che il medico, lo psichiatra, lo aspetti tranquillamente al suo tavolo alla tal ora? Questa è burocratizzazione del servizio che non tiene conto della malattia reale”. C’è dell’altro. “Il rapporto sulla salute mentale effettuato nel 2015 dal Ministero della Salute”, scrive Barbara Massaro6, “ha mappato una penisola in cui il rapporto tra malati, personale medico e assistenti sociali è insufficiente e troppo spesso ancora oggi si ricorre alla terapia farmacologica e, ancora peggio, alla contenzione meccanica (i pazienti vengono legati ai letti) per ovviare a mancanza di fondi e di energie istituzionali orientate alla cura della malattia mentale”. Più in generale, nella società, “la malattia mentale viene vista ancora con diffidenza e paura perché non viene compresa. Avere in casa un familiare senza una gamba o con il cuore che funziona male è duro da accettare, ma viene affrontato con coraggio e dignità dall'intera sfera affettiva del soggetto interessato. Invece quando un fratello, un figlio o


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