Grit Magazine Issue 5

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Sound_ Route 66, NAT KING COLE

La mia passione per gli USA nasce nel 1990 quando decisi di portare alla maturità d’arte, un tema un po’ azzardato: la “Neon art”. Lo studio tecnico della luce poco mi affascinava, ma il suo utilizzo nella comunicazione e nell’arte mi ha conquistata totalmente. Il neon nasce nel 1893 alla Chicago Columbian Exposition e divenne da subito uno straordinario strumento espressivo che pose fine al regime della notte e del giorno nelle grandi città americane. La prima insegna è stata quella di un barbiere “Palais Coiffeur” e venne istallata a Boulevard Montmartre nel 1910. Tre anni dopo la luce al neon sbarca negli Stati Uniti e il proprietario di un autosalone di Los Angeles, paga 24mila dollari due scritte luminose “Packard”. Subito dopo a New York il neon regalò alla metropoli statunitense il suo fascino notturno e l’appellativo di città che non dorme mai. “Il neon è associato alle più alte aspirazioni e alle fantasie del sogno americano. Nessun’altra arte esprime con tale forza lo spirito di questo paese” Lili Lawick E’ negli anni quaranta ma soprattutto cinquanta, che la luce diventa la grande protagonista di questa materia nobile priva di contenuto che ne limitasse il potere d’informare e di trasformare. Questo tubo di vetro estremamente duttile è diventato un importante medium in grado di diffondere il nome di una marca o di una qualsiasi insegna, capace di farci cogliere il messaggio del contenuto sostituendo il principale utilizzo di illuminazione della luce elettrica. Successivamente il neon divenne protagonista di un ampio filone di produzione artistica e il mezzo espressivo dell’arte povera per Mario Merz e Lucio Fontana, della minimal art per Dan Flavin e della conceptual art per Joseph Kosuth e Keith Sonnier. Successivamente divenne materia Pop per Andy Warhol, Keith Haring e Jean-Michel Basquiat

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e contemporaneamente vestì un ruolo importante anche nel mondo della moda con Elio Fiorucci per poi diventare materia Vintage comune a molti artisti internazionali contemporanei. La prima città americana di cui mi sono innamorata per le sue insegne luminose è stata New York, ma la grande emozione dopo le luci di Las Vegas l’ho provata percorrendo la Route 66 from Chicago to L.A. Quando si viaggia on the road la tua anima si trasforma e segue il ritmo rock alternato al country e al blues; il viaggio è segnato dalla linea gialla sull’asfalto nero e le mete sono definite dai neon dei motel. Non hai bisogno di nulla, solo della tua libertà e di benzina per viaggiare. La notte è sempre luminosa e macini chilometri con l’adrenalina che caratterizza il vero viaggiatore. E’ strano ma pur sapendo che in molti attraversano gli USA on the road, mai nessuno può farlo meglio di te, perché tu hai la pellaccia dura e vedi cose che solo i tuoi occhi sono in grado di osservare! E’ questo il vero sapore dei neon americani, rappresentano la storia del loro paese dal fascino trasgressivo e ci proiettano nei film cinematografici e nelle canzoni dei cattivi della musica. Costantemente il mio DNA grafico si unisce alla mia fotografia, ma in questo caso per Grit Magazine, la mia passione per il neon e l’America si uniscono al fotografo Marty Garfinkel che ha realizzato questo progetto fotografico molto ampio che ritrae interessanti insegne di motel degne di essere ipoteticamente incluse in un grande libro di Rudi Stern: “Let there be neon” in cui sono raccolte le più storiche insegne neon degli Stati Uniti. Il neon è luce fredda continua che sprigiona colore, forme, significati e valori, il neon è grafica, è arte, è font, è moda, è design, è storia. Il neon è America, è movie, è rock, è on the road, è Harley Davidson vs Cadillac. Il neon è vacancy e no vacancy…il neon ha cento anno e li porta da dio!


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