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Dialoghi

Come una BUONA IDEA si può trasformare in una GRANDE IMPRESA in tempo di crisi


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Nella stessa collana

David Lester Come una buona idea si può trasformare in una grande impresa

Angela Cristofaro Made in Italy

Clara Shih L’Era di Facebook


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David Lester e Beth Bishop

Come una BUONA IDEA si può trasformare in una GRANDE IMPRESA in tempo di crisi La storia di 25 aziende nate e giunte al successo in epoca di recessione Traduzione dall’inglese di Rosalita Leghissa

GREMESE


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DAVID LESTER ha creato la sua prima impresa all’età di ventidue anni e l’ha venduta con guadagni milionari prima di compierne trenta. Ha poi avviato o finanziato molte altre attività di successo. Ha inoltre fondato Startups.co.uk, il più famoso sito web del Regno Unito per aspiranti imprenditori. BETH BISHOP, editor specializzata in tematiche sociali, lavora da diversi anni in una nota casa editrice inglese.

Titolo originale: How They Started in Tough Times How 25 companies started and thrived during an economic crisis Copyright © 2010 David Lester & Beth Bishop Original English language edition published by Crimson Publishing, Westminster House, Kew Rd, Richmond, Surrey, TW9 2nd, UK. All rights reserved. Fotocomposizione: Graphic Art 6 s.r.l. – Roma Stampa: Grafiche del Liri s.r.l. – Isola del Liri (FR) Copyright edizione italiana GREMESE 2012 © New Books s.r.l. – Roma www.gremese.com Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo o con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978-88-8440-701-6


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Indice Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . MEDIA E INDUSTRIA DEL DIVERTIMENTO The Walt Disney Company . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Penguin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Impressions . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Three Sixty Entertainment . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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INTERNET Mumsnet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Wikipedia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Linkedin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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IBM . . . . . . . . . . . Hewlett-Packard . . . Microsoft . . . . . . . MeetingZone . . . . . .

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VENDITA AL DETTAGLIO Whole Foods Market . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Specsavers . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Moonpig . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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INDUSTRIA ALIMENTARE Jane Asher Cakes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Charlton House Catering . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Masala Masala . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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PUBBLICHE RELAZIONI E MARKETING Kitcatt Nohr Alexander Shaw . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . We Are Social . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marmalade PR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Impact International Foxtons . . . . . . dunnhumby . . . . Red or Dead . . . . Go Sustainable . .

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TECNOLOGIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Ringraziamenti Ringraziamo la nostra collaboratrice principale, Kim Benjamin, per il duro lavoro e la determinazione con cui ha portato a termine il libro. Un ringraziamento, inoltre, a Sara Rizk, Stephanie Welstead e Jon Card per il loro contributo, e a tutti gli imprenditori e le societĂ da noi coinvolti, per averci aiutato e ispirato.


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Introduzione

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envenuti al nostro terzo volume dedicato alle buone idee che si sono trasformate in grandi imprese. Le aziende presenti in questo volume sono state selezionate come splendidi esempi di cosa può essere fatto quando un’impresa inizia la sua attività in una fase economica difficile. Alcune hanno cominciato e prosperato a dispetto della recessione; altre, sorprendentemente, grazie a essa. Il nostro obiettivo specifico, nel pubblicare questo libro, è proprio quello di mostrare la grande quantità e varietà di attività che hanno preso avvio in periodi di crisi. L’idea è stata suggerita da un giornalista di Startups.co.uk, mentre preparava un discorso per uno degli eventi in programma. A essere onesti, ci siamo stupiti vedendo quante grandi aziende siano state avviate in tempi duri. Tutti coloro con i quali ne abbiamo parlato hanno condiviso la nostra meraviglia, e se ne sono andati più incoraggiati e fiduciosi nel futuro. Esiste un punto di vista prevalente, secondo il quale le recessioni sono periodi sfavorevoli agli affari e, di conseguenza, momenti difficili per avviare un’impresa. Eppure, potrebbe trattarsi di un’occasione eccellente per iniziare un’attività. Ci auguriamo, pertanto, che questo libro serva a dimostrare tale tesi, a sostenerla e, così, a spronare molte persone indecise al riguardo. Ognuna delle storie qui incluse è stata oggetto di meticolosa ricerca da parte di un team di autori, esperti di economia. In ciascuno dei casi considerati, si va oltre il classico profilo aziendale per rispondere ad alcune delicate domande, ad esempio, come queste imprese abbiano realizzato le loro prime vendite e quali siano stati i passi iniziali per trasformare l’idea in business. Per quanto possibile – ovvero in tutti i casi eccetto tre –, abbiamo parlato con le stesse aziende della loro attività; e quando non siamo riusciti ad avere un colloquio con il fondatore, abbiamo effettuato ulteriori ricerche per trovare e verificare le risposte ai quesiti posti. I nostri volumi dedicati alle buone idee che si sono trasformate in grandi imprese hanno tre obiettivi. Il primo è semplicemente quello di farvi divertire: si tratta di storie piacevoli per chiunque sia interessato al mondo degli affari. Il secondo è spingervi a riflettere su questi temi, se state gestendo una vostra attività, pensate di farlo o, quanto meno, siete interessati alle persone che già lo fanno. Il terzo obiettivo è spiegare cosa occorre per iniziare un business partendo da zero. Sappiamo com’è difficile farlo e che molti vorrebbero fondare un’azienda, ma non sanno da dove cominciare. Riteniamo che questa sia un’appassionante raccolta di alcune tra le più illuminanti storie di aziende al mondo, che


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INTRODUZIONE

ogni studente di economia o professionista troverà piacevole e utile. Naturalmente, ogni settore è diverso, ma tutti coloro che si chiedono se sono adatti o meno ad avviare una propria attività troveranno risposte ragionevoli su ciò che serve davvero. In effetti, molti lettori ci hanno segnalato che alcuni dei casi aziendali contenuti nei primi due volumi della serie li hanno spinti a creare una propria impresa. Auguriamo loro un successo duraturo. Queste storie mostrano la pluralità di problemi e soluzioni con cui devono confrontarsi gli esercizi commerciali nati da poco. È assai improbabile che vi troviate davanti a molti degli stessi problemi, ma speriamo che l’avere scoperto come altre 25 aziende hanno risolto le loro difficoltà vi renda capaci di fronteggiare nel modo migliore le vostre sfide individuali. La speranza è, dunque, che le storie raccolte in questo volume possano ispirarvi durante i periodi bui – che si tratti di una recessione globale o di un declino nel vostro specifico settore di attività – e dimostrare che può essere vantaggioso avviare un’impresa in un momento economico critico. Il beneficio più grande nel creare un business in tempo di crisi sta nel fatto che si può acquistare ciò che serve a un prezzo minore di quello che bisognerebbe sborsare in una fase economicamente più favorevole. Per la maggior parte degli startup, i due costi più rilevanti che possono risultare convenienti in questi periodi riguardano, ovviamente, i dipendenti e gli uffici. Meglio ancora: quando i tempi sono duri, una nuova impresa potrebbe riuscire ad assicurarsi collaboratori o sedi in maniera molto più flessibile, ad esempio part-time o a breve termine. Persino la pubblicità può essere meno costosa durante una recessione, poiché alcuni proprietari di media accettano tariffe più basse. E anche se non lo facessero, dato che il volume pubblicitario diminuisce in quanto le altre aziende riducono la loro spesa nel settore, una nuova impresa potrebbe essere in grado di investire di meno per ottenere un ruolo di primo piano ed eccellere. Durante i periodi di crisi, le giovani aziende possono concludere accordi fantastici che non potrebbero ottenere in un contesto economico più propizio. I proprietari di immobili commerciali sono spesso disposti a concludere contratti di affitto sul volume di affari, in base ai quali l’affittuario dà in pagamento, anziché una somma fissa mensile, una percentuale sulle vendite effettive, il che riduce considerevolmente i rischi per i nuovi esercizi. Alcuni proprietari di media, come stazioni televisive e siti web, sono favorevoli ad accordi simili anche per quanto concerne la pubblicità, chiedendo una percentuale sulle vendite derivate da essa, piuttosto che un semplice importo stabilito. La diminuzione e la maggiore flessibilità di questi costi aiuta a ridurre l’ammontare complessivo necessario all’avviamento di un’attività. Intraprendere un business durante una fase di recessione può, in definitiva, risultare molto meno dispendioso che in altri periodi. Nel caso di alcune imprese, questo genere di


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opportunità potrebbe fare veramente la differenza tra l’avere o il non avere sufficiente denaro per lo startup. È successo così per almeno una delle aziende presentate in questo libro. Un altro vantaggio significativo è rappresentato dal fatto che una nuova impresa può riuscire a concludere un accordo con un cliente o un fornitore che in altri periodi non sarebbe disponibile a lavorare con un piccolo startup. Le aziende che iniziano la loro attività sono spesso viste come un rischio, specialmente dai fornitori che vendono a credito. Se la fase economica è davvero positiva, essi spesso non vogliono affrontare l’azzardo di lavorare con una nuova, piccola attività dal potenziale ignoto. Se i tempi sono invece più duri, i fornitori saranno ansiosi di realizzare il maggior numero di vendite possibile. Ecco perché ci sono numerosi vantaggi rilevanti nel creare un’impresa in una fase recessiva. È importante, tuttavia, non lasciarsi trascinare da queste considerazioni. Per ogni startup di successo, nato durante un periodo di crisi, ce n’è un gran numero che non ce la fa. Fondare semplicemente un’azienda in un momento critico non è di per sé una garanzia di successo! Devono essere valide tutte le basi necessarie all’avviamento di un’attività: fornire ai clienti qualcosa di cui hanno bisogno, al prezzo che desiderano pagare, e definire a quale livello si riescono perlomeno a coprire i costi. Il titolo del nostro libro è Come una buona idea si può trasformare in una grande impresa in tempo di crisi. Tale scelta è stata il frutto di una decisione accurata, poiché molti degli effetti di una recessione dureranno per mesi e perfino anni dopo che essa sarà stata formalmente superata. Al momento in cui scriviamo questo volume, si pensa che la maggior parte delle nazioni europee e occidentali sia uscita dalla recessione vera e propria, sebbene i dati ancora non lo confermino. Tuttavia, l’impatto che ha avuto su molte persone e sui loro affari deve ancora mostrarsi. Parte di questi effetti è legata ai tassi di crescita. Se un’economia si riduce del 5% durante una recessione e poi cresce della stessa percentuale, sarà tuttavia più debole di quanto era prima che la recessione stessa iniziasse. Questo perché, come già detto, l’impatto di una recessione perdura dopo la sua fine. Molti di coloro che hanno perso l’impiego durante tale periodo utilizzeranno la cassa integrazione per continuare a spendere ancora per un po’; con il passare del tempo, però, a meno che non riescano a trovare un nuovo lavoro con un livello di retribuzione simile, essi ridurranno le loro spese. Di solito, una recessione durerà per qualche trimestre (cinque potrebbero già indicare una stagnazione molto lunga e profonda); tuttavia, i suoi effetti saranno probabilmente avvertiti da milioni di persone anni dopo che essa si sarà tecnicamente conclusa. Dovrebbe inoltre essere chiaro che una recessione potrebbe rappresentare un periodo estremamente negativo per avviare certi tipi di attività. Per esempio,


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i ristoranti di fascia alta nel 2009 hanno avuto difficoltà rispetto agli anni precedenti perché la gente ha mangiato meno fuori casa. In Gran Bretagna, Gordon Ramsay, Tom Aikens e Antony Worrall Thompson, tutti chef di alto livello, con ristoranti di lusso, hanno subito perdite rilevanti. Al contrario, Domino’s Pizza ha prosperato, poiché c’è stato chi ha preferito acquistare una pizza take away invece di mangiare fuori casa. Anche i prodotti alimentari di fascia alta nei supermercati sono fiorenti per lo stesso motivo. Se tanti pensano che un contesto economico sfavorevole sia il momento peggiore per iniziare un’attività, è logico allora domandarsi perché i fondatori delle imprese citate in questo libro lo hanno fatto. Per quasi tutte le attività qui incluse, la risposta è evidente: perché ne hanno avuto l’opportunità. Gli ideatori hanno individuato quello che ritenevano essere uno spazio nel mercato e hanno deciso di organizzare un business per riempirlo. Gli imprenditori hanno quasi sempre grande passione, energia e ottimismo, e per quelli che vi presentiamo la totale fiducia nella loro idea è stata una forza molto più potente di qualsiasi preoccupazione per i rischi di un avvio in tempi difficili. Inoltre, le recessioni colpiscono i vari rami industriali in modo assai diverso. Un mercato in crescita può continuare a svilupparsi a dispetto di una recessione: per esempio, la rivoluzione del personal computer degli anni Ottanta e Novanta ha proseguito il suo cammino proprio mentre altri settori hanno sostenuto il peso maggiore della flessione economica. Abbiamo fatto il possibile per trovare un insieme di aziende avviate in un’ampia varietà di campi, a partire dalla fine del XIX secolo e sino al 2009, proprio per mostrare che ad andare regolarmente in controtendenza non sono solo alcuni rami. A questo punto, meritano di essere menzionate quattro delle storie qui raccolte, ognuna delle quali spicca per qualcosa di peculiare all’interno di una moltitudine di aziende. Le vicende di Microsoft non sono semplicemente quelle di un altro startup nell’alta tecnologia; dello stesso genere ce ne sono stati molti, e tutti a loro modo notevoli. Ciò che rende speciale la sua storia è la grande ambizione, la capacità visionaria e la determinazione di Bill Gates. Fin dall’inizio, egli ha intuito assai chiaramente che la portata della rivoluzione del personal computer sarebbe stata straordinaria, e ha voluto collocare la sua azienda in prima linea. Sin da giovane, ha mostrato anche notevole determinazione e scaltrezza, per esempio quando ha affrontato i vincoli del primo contratto. E sebbene non sia stato l’unico fondatore della società, è evidente che l’ambizione imprenditoriale che ha spinto Microsoft verso il suo enorme successo viene da lui. Non sono molti gli uomini della sua età che avrebbero continuato a lavorare con i folli orari che si è imposto quando già valeva, alla lettera, miliardi. MeetingZone non è, invece, un nome familiare, né è probabile che lo diventi. Fornisce conference call per le aziende. Perché riservarle, dunque, una men-


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zione particolare? MeetingZone spicca non tanto per i suoi prodotti, quanto piuttosto per la coerenza nel portare a compimento il suo progetto aziendale. Durante tutta la sua vita, ha rappresentato un caso di studio esemplare di come costruire un business e crescere in modo strabiliante anno dopo anno, raggiungendo il 40% di sviluppo nel solo 2009: un’impresa fenomenale in periodi che hanno visto molte aziende declinare rapidamente. I suoi fondatori, altamente qualificati e meritevoli di stima, hanno saputo mantenere il 40% della partecipazione azionaria. Three Sixty Entertainment è una delle aziende più giovani presenti in questo libro. Ed è l’attività di maggior successo ad aver vinto lo Startups Business of the Year Award, nel novembre 2009. Sono elementi sufficienti a farle meritare questa menzione speciale la velocità con la quale ha raggiunto la redditività in un clima di grande difficoltà economica; il fatto che abbia accresciuto in maniera considerevole gli investimenti nel momento più duro per gli aumenti di capitale da parecchi decenni a questa parte; e il grado in cui ha prodotto innovazione all’interno del proprio settore e impressionato i suoi clienti. Tuttavia, anche più di questi, è la sua ambizione a essere illimitata e degna di ammirazione. Ci aspettiamo che Three Sixty Entertainment crescerà in maniera spettacolare nei prossimi dieci anni, diventando un nome importante e conosciuto. La storia di IBM è invece piuttosto diversa da quelle raccolte nei libri di questa serie. L’azienda che noi conosciamo ha esordito come un insieme di attività abbastanza eterogenee e si è poi trasformata in una delle società più importanti e meglio gestite al mondo, sotto la guida di Thomas Watson Senior. Le vicende qui raccontate illustrano come tale complesso di aziende sia stato unificato e armonizzato in quella oggi famosa, e come sia stata avviata una di queste imprese pre-IBM. Il suo fondatore, Herman Hollerith, creò nel XIX secolo un’azienda per automatizzare la raccolta dati, quando non esistevano ancora i computer, e rischiò di fallire parecchie volte. Gli ci vollero anni e anni di dura, ostinata determinazione, e fu costretto a sopportare molti ostacoli prima che la sua impresa raggiungesse la redditività. La sua storia è molto simile a quella di James Dyson, raccontata nel primo volume della serie Come una buona idea. Dovremmo sottolineare che una delle aziende qui incluse, Impressions, è stata creata da David Lester, uno dei curatori di questa serie, nonché fondatore sia di www.startups.co.uk che di Crimson Publishing, la casa editrice inglese del presente volume. La sua storia è stata scelta perché mostra alcuni dei vantaggi nell’avviare un’azienda in tempi economici difficili, e perché fornisce abbondanti dettagli grazie al contatto privilegiato con il fondatore. Ci auguriamo che vi divertiate leggendo queste storie, almeno tanto quanto noi ci siamo divertiti a scriverle. Crediamo profondamente nei benefici che le piccole imprese, e in particolare quelle giovani, portano all’economia e speriamo


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che questo libro possa aiutare chi di voi si trova ad affrontare delle difficoltà personali proprio nel bel mezzo della creazione di un nuovo business. Le recessioni sono tempi fiacchi, allarmanti e deprimenti. Tolgono linfa vitale ed entusiasmo alla società, e trasformano lo spirito delle nazioni da positivo in negativo. La fiducia crolla. E la fiducia è proprio ciò di cui la società ha bisogno per cominciare a uscire dalla recessione, incamminandosi verso la crescita. Le economie necessitano di persone e di aziende che investano in un domani migliore e più luminoso, che si esprima in un nuovo settore di attività, in una campagna marketing, in un’apparecchiatura o semplicemente in un rinnovato arredamento. Si dice che il miglior momento per vendere è quando tutti comprano, e il miglior momento per comprare è quando tutti vendono. I fondatori delle aziende presenti in questo libro hanno investito quando altri intorno a loro non lo facevano, mostrando fermezza quando gli altri erano timorosi. E hanno effettivamente prosperato, raggiungendo grandi risultati. Rendiamo omaggio al loro coraggio e al loro successo, e impariamo proprio da loro come guidare le nostre aziende. David Lester e Beth Bishop


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The Walt Disney Company CREATIVI PER CONVINZIONE

Fondatori: Walt e Roy Disney Età al momento della fondazione: 21 e 29 anni Esperienze precedenti: disegnatore di cartoni animati e ufficiale di marina Anno della fondazione: 1923 Tipo di attività: industria dell’intrattenimento Paese di fondazione: USA Paesi attualmente interessati: tutto il mondo Fatturato attuale: 37,8 miliardi di dollari


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a Disney è il più grande colosso dell’intrattenimento al mondo. Anche se verrebbe naturale associare ai suoi inizi Topolino, la vera storia dell’azienda coinvolge un coniglio e molti anni di duro lavoro, di contrasti con i creditori e persino di ammutinamenti. Walt Disney, ad appena 21 anni e con una attività fallita alle spalle, avviò la società nel 1923 insieme a suo fratello Roy, nel garage dello zio, in California. Le vicende dei due, armati di un enorme talento e poco altro, sono disseminate di alti e bassi che ricordano le montagne russe di Disneyland. L’azienda, che oggi fattura quasi 40 miliardi di dollari e ha 150.000 dipendenti, costituisce un notevole esempio di sopravvivenza e creatività.

Colpi duri Walt non aveva ancora definito quanto doveva chiedere al cliente per avere un profitto. Era ormai troppo tardi per rinegoziare il prezzo; tuttavia, aveva ottenuto la sua prima commissione e non intendeva sprecare tale opportunità. Come si potrebbe immaginare, Walt Disney era sempre stato affascinato dalle illustrazioni. Fin da piccolo aveva mostrato un vivo interesse per il disegno, tanto che una volta gli era stato chiesto di ritrarre il cavallo del suo vicino di casa. A 10 anni, continuò a perseguire questo suo amore frequentando la Saturday School al Kansas City Art Institute. Tuttavia, comprese presto che non era abbastanza bravo per dedicarsi all’illustrazione tradizionale, e rivolse l’attenzione alle caricature e ai cartoni animati. Quando la famiglia si trasferì a Chicago, l’adolescente Walt divenne vignettista per il giornale della scuola e frequentò i corsi serali del Chicago Institute of Art. Dopo aver lasciato gli studi, intendeva diventare un disegnatore di cartoni animati, ma l’avvento della prima guerra mondiale lo portò a unirsi alla Croce Rossa, non appena ebbe l’età per farlo, e a prestare servizio in Francia per un anno nel 1918. Durante questo periodo, continuò a perfezionare le sue capacità nel disegno sottoponendo molte delle sue tavole a riviste nazionali e, subito dopo il ritorno a casa, nel 1919, cominciò a cercare attivamente lavoro nel campo dell’illustrazione. Walt ricevette numerosi rifiuti, ma alla fine trovò un impiego presso uno studio grafico commerciale che produceva materiali per il marketing e forniture per


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uffici. Qui incontrò Ub Iwerks, l’uomo che in seguito sarebbe diventato il suo primo socio in affari e un membro fedele dell’impero Disney. Entrambi, al termine di un periodo di intenso lavoro, furono licenziati e, non sapendo cosa fare, nel gennaio del 1920 decisero di fondare una loro società. La Iwerks-Disney Commercial Artists fu un’avventura di breve durata, ma fornì a Walt un’utile esperienza d’affari. La coppia ottenne alcuni piccoli contratti, simili per contenuto all’attività dello studio dal quale erano stati licenziati. Ciononostante, finì tutto entro sei settimane e Walt accettò un impiego presso la Kansas City Film Ad Company per 40 dollari settimanali, convincendo i suoi capi ad assumere anche Iwerks. La società produceva cartoni animati pubblicitari muti, perlopiù in bianco e nero; svolgendo questo lavoro, Walt prese gusto a portare in vita le sue creazioni e decise di diventare disegnatore di film di animazione. Scoprì che era capace di migliorare in modo significativo i prodotti elementari e alquanto scialbi dell’azienda e, nel tempo libero, cominciò a lavorare ai propri cartoni animati. Il suo capo gli prestò una cinepresa per fare esperimenti a casa. Walt iniziò a dedicarsi a una serie di cartoni animati, con l’obiettivo di venderli al vicino Newman Theatre. Li chiamò Newman Laugh-O-Grams e li presentò al responsabile, che restò abbastanza colpito da chiedere quanto costassero. Ma Walt non aveva ancora definito quanto doveva chiedere al cliente per avere un profitto. Senza pensarci, propose 30 centesimi al piede – circa 90 centesimi al metro –, esattamente quanto gli era costato produrli, e il direttore prontamente accettò. L’affare era concluso ed era ormai troppo tardi per rinegoziare il prezzo e provare a guadagnarci qualcosa; tuttavia, Walt aveva ottenuto la sua prima commissione e non intendeva sprecare tale opportunità. A questo punto, aveva bisogno di aiuto per la realizzazione delle strisce animate e, non avendo denaro per pagare dei dipendenti, escogitò un’altra maniera per attirare talenti.

Un brusco avvio Senza entrate e con gli stipendi da pagare, il personale cominciò poco a poco ad andarsene. Walt fu buttato fuori dal suo appartamento per morosità, e ben presto divenne l’unico membro dell’azienda.


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Per aggirare i problemi di personale, Walt pubblicò un’inserzione indirizzata ai giovani che volevano apprendere l’arte dell’animazione. Offriva ai candidati la formazione e una percentuale sui futuri guadagni. Mise insieme una piccola squadra, inclusi alcuni colleghi del suo posto di lavoro, con la quale trascorse le serate a creare una serie di cartoni che potessero diventare film ed essere venduti ai cinema. I Laugh-O-Grams ebbero un grande successo e divennero popolari nelle sale di tutto il Kansas. Il team si dedicò anche ad altri progetti, tra i quali una versione animata di Cappuccetto Rosso, accolta con entusiasmo nei cinema locali. Questi consensi diedero a Disney il coraggio di lasciare il suo impiego alla Kansas City Film Ad Company, per concentrarsi a tempo pieno sul suo nascente business. Convinse alcuni dei suoi ex colleghi a investire nell’affare e nel 1922, dopo avere raccolto 15.000 dollari, fondò la Laugh-O-Gram Films. A soli 20 anni, era proprietario della sua prima società, anche se in seguito avrebbe scherzato sul fatto che era probabilmente illegale essere presidente di un’azienda a quell’età. Ora che era divenuto responsabile di un’impresa vera e propria, Walt affittò alcuni spazi, chiamò il suo ex collega Iwerks e assunse un altro gruppetto di giovani promettenti che guadagnavano stipendi assai modesti. La squadra si occupò di diverse animazioni, lavorando a ogni ora del giorno, con eccellenti risultati. Tuttavia, c’era un disperato bisogno di trovare qualcuno che ne distribuisse i prodotti. Non avendo un budget per la pubblicità, Disney aveva difficoltà a far conoscere la sua azienda e alla fine dovette assumere il rappresentante di commercio Leslie Mace. Quest’ultimo portò i film a New York e concluse un accordo con la Pictorial Clubs of Tennessee, una società che noleggiava pellicole alle scuole e alle parrocchie. Il contratto riguardava una serie di fiabe a cartoni animati. Walt accettò un anticipo di 100 dollari, a condizione che ne sarebbero arrivati altri 11.000 una volta che la serie fosse stata completata. Ma sei mesi più tardi, proprio quando la Laugh-O-Gram Films era sul punto di consegnare il tutto, la Pictorial Clubs of Tennessee fallì. Senza entrate e con gli stipendi da pagare, il personale cominciò poco a poco ad andarsene. Walt fu buttato fuori dal suo appartamento per morosità, e ben presto divenne l’unico membro dell’azienda. I tempi erano duri. Trascorse l’anno seguente accettando incarichi di poco conto, compreso quello di un dentista locale che voleva un cartone animato per incoraggiare i bambini a lavarsi i denti. Gli furono offerti 500 dollari e gli fu chiesto di passare dal dentista per concludere l’accordo, ma Walt non poteva nemmeno permettersi il viaggio: il suo unico paio di scarpe era tenuto in ostaggio dal calzolaio fino a quando non avesse pagato il conto. Alla fine, confidò questi problemi al dentista che pagò tempestivamente il conto del calzolaio, e l’accordo per il cartone animato venne concluso. Quel denaro concesse a Walt un po’ di respiro, permettendogli di lavorare a una nuova idea, quella che avrebbe portato alla creazione del Disney Brothers Cartoon Studio.


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Alice nel Paese delle Meraviglie Inizialmente, Walt si avvicinò ai grandi studi cinematografici per offrire i suoi servizi, ma fu respinto categoricamente. Decise allora di fondare nuovamente una propria società, questa volta nel garage dello zio. Walt cominciò a pensare a una nuova serie di cartoni animati, basata su Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll. La distributrice newyorkese Margaret Winkler aveva manifestato il proprio interesse dopo che Disney le aveva scritto descrivendogliela. Tuttavia, i debiti della Laugh-O-Grams gli impedivano di avere a disposizione abbastanza liquidità per portare a termine il progetto. Non ebbe, quindi, altra scelta che dichiarare bancarotta e andare avanti. Fu un periodo molto difficile per Walt, ma più tardi disse che pensava fosse «importante affrontare un sano fallimento da giovani». Nel 1923, Disney si trasferì a Los Angeles, convinto che fosse l’unico posto dove avrebbe potuto realizzare veramente le sue idee con qualche possibilità di successo. All’età di 21 anni, con 40 dollari in tasca, arrivò a Hollywood e prese in affitto una stanza da suo zio Robert. Anche suo fratello Roy si trovava a Los Angeles, dove era stato ricoverato in ospedale per curare la tubercolosi. Inizialmente, Walt si avvicinò ai grandi studi cinematografici per offrire i suoi servizi, ma fu respinto categoricamente. Incoraggiato dall’interesse della Winkler per i cartoni animati di Alice, decise allora di fondare nuovamente una propria società, questa volta nel garage dello zio. Scrisse a Margaret per informarla che «non era più legato alla Laugh-O-Gram Films Inc.», e che stava avviando un proprio studio per produrre i cartoni animati che la interessavano. Il 16 ottobre 1923, fu stipulato un accordo per la serie di Alice: sei cartoni animati a 1500 dollari l’uno, ma senza anticipo. Dopo l’esperienza con la Laugh-O-Gram Films, Disney aveva compreso che le sue capacità non consistevano certo nella gestione del flusso di cassa. La soluzione fu quella di coinvolgere Roy che, uscito dall’ospedale, investì 200 dollari dei propri risparmi e ne prese in prestito altri 500 dallo zio. Con entrambi i figli al lavoro sullo stesso progetto, anche i genitori dei ragazzi vollero contribuire, ipotecando di nuovo la loro casa per versare altri 2500 dollari. Prima di dedicarsi ai cartoni, Walt e Roy assunsero una piccola squadra di animatori, comprarono una cinepresa di seconda mano e affittarono un monolocale. Il Disney Brothers Cartoon Studio era operativo. Walt dichiarò davanti al padre che il nome Disney sarebbe diventato famoso in tutto il mondo.


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Anche se lo studio riceveva versamenti regolari dalla Winkler, la distributrice si dimostrò un cliente difficile da accontentare. Con le sue continue richieste di modifiche e miglioramenti ai cartoni animati, ben presto ridusse praticamente a zero i profitti della società. Per arginare le perdite, Walt decise di assumere un animatore più esperto da affiancare al suo team di giovani. Dopo il crollo della Laugh-O-Gram, il suo vecchio amico Iwerks era tornato alla Kansas City Film Ad Company. Walt gli offrì 10 dollari in meno a settimana rispetto a quelli che guadagnava in Kansas, ma Ub accettò e lo raggiunse a Hollywood. Nel 1924, i pagamenti della Winkler giungevano con crescente ritardo e il compenso per ogni cartone passò in breve tempo da 1500 a 900 dollari. La distributrice si era appena sposata e il nuovo marito, Charles Mintz, aveva preso il controllo dei suoi affari, con grande costernazione dei fratelli Disney. Dato che i margini di profitto stavano svanendo, Walt e Roy dovettero affrontare il cliente. Walt supplicò Mintz, sottolineando che non avrebbero potuto mantenere la qualità della serie, se non fosse stato pagato loro il giusto importo di denaro. La sua franchezza fece leva sull’uomo; fu così raggiunta una nuova intesa e commissionati altri 18 episodi di Alice a 1800 dollari ciascuno, oltre a una percentuale su ogni profitto futuro. L’accordo continuò per i tre anni successivi e per oltre 50 cartoni animati; tuttavia, questo periodo fu caratterizzato da continue trattative sul prezzo e da pagamenti in ritardo da parte di Mintz. Nel 1927, il distributore mostrò di essersi stancato della serie e chiese qualcosa di nuovo, che possibilmente avesse per protagonista un coniglio…

Oswald, il coniglio fortunato Walt dichiarò davanti al padre che il nome Disney sarebbe diventato famoso in tutto il mondo. Stanco lui stesso della serie, Walt trovò nuovi stimoli nella creazione del coniglio Oswald. Nei tre anni precedenti, si era reso conto che le sue abilità erano impiegate meglio se operava come forza creativa della società, anziché nella pura animazione: «Da noi, non guardiamo a lungo alle nostre spalle. Continuiamo ad andare avanti, ad aprire nuove porte, a fare altre cose, poiché abbiamo un grande desiderio di conoscenza». La società ricevette forte impulso da un leader che aveva saputo individuare i propri limiti ed era stato capace di affidare ad altri i compiti ai quali aveva rinunciato.


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La serie di Oswald divenne ben presto estremamente popolare, e in breve tempo Mintz si trovò a pagare 2250 dollari per ogni cartone animato. Il piano di produzione era rigido, e Walt in seguito ricordò: «I primi giorni di lavorazione di questi film furono una lotta per la sopravvivenza. Continuavo a inserire gag perché ero disperato. Non li ho mai amati, ma dovevo farne uscire uno ogni due settimane». Nonostante la pressione, le cose stavano andando bene. I pagamenti quindicinali venivano recapitati direttamente allo studio dal cognato di Mintz, alla consegna di ogni nuovo cartone. Oswald diede anche origine al primo merchandising Disney. Furono prodotti stemmi, collezioni di stampini e persino una tavoletta di cioccolato da 5 centesimi. Nel febbraio 1928, era ormai chiaro che l’azienda, da poco diventata la Walt Disney Productions, stava cominciando a imporsi. Walt aveva convinto Roy del fatto che il proprio nome, da solo nei titoli di testa, avrebbe dato l’idea di un marchio più affidabile. Il fratello riconobbe che quel logo avrebbe trasmesso maggiore fiducia: il pubblico avrebbe preferito associare al divertimento che traeva dai cartoni animati l’immagine di un solo produttore, anziché pensare a una società che sfornava intrattenimento commerciale. Tuttavia, l’azienda dipendeva pesantemente dal contratto con Mintz per Oswald, che era il momento di rinnovare. Walt si recò a New York per negoziare un nuovo accordo. Partì con grandi speranze, ma quello che seguì fu uno dei periodi più bui nella storia Disney.

Ammutinamento fra le truppe Walt aveva fatto lavorare duramente la sua squadra nel corso degli anni precedenti, e le consegne quindicinali degli episodi di Oswald avevano comportato dure scelte direzionali. Era solito scherzare dicendo: «Di tanto in tanto, licenzio tutti, per poi riassumerli dopo un paio di settimane. In questo modo, non diventano troppo sicuri di sé e rimangono con i piedi per terra». Ma alcuni membri dello staff non apprezzarono i suoi metodi. Cominciarono a parlare di nascosto con la Winkler, che agiva per conto di suo marito, e lei offrì loro uno stipendio migliore per andare a lavorare direttamente per lui. Quando Walt arrivò a New York per incontrare Mintz, gli chiese un compenso maggiorato di 2500 dollari a cartone animato: un aumento equo, considerata la grande popolarità raggiunta dalla serie. Comunque, Mintz aveva altri programmi. Offrì appena 1800 dollari, cifra che Disney rifiutò immediatamente. Ma era troppo tardi. Mintz aveva assunto quasi tutti gli animatori di Walt. Ub Iwerks fu l’unico a restargli lealmente accanto. La società non aveva perso solo i suoi dipendenti, ma anche Oswald. I termini del contratto originale stabilivano, infatti, chiaramente che la Walt Disney Productions non possedeva i diritti sul cartone animato, che appartenevano a Mintz.


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Addio Oswald, ciao Topolino Walt tornò a Hollywood senza il personaggio dei suoi cartoni animati, senza distributore e praticamente senza animatori. Aveva spedito un telegramma a Roy da New York, sostenendo che era andato tutto bene e che gli avrebbe illustrato i dettagli di persona. Ma la realtà era dura, e non avrebbe mai potuto immaginare che le sorti dell’azienda avrebbero avuto un capovolgimento così repentino. Esistono molte versioni accreditate su cosa poi accadde alla società. Una di queste è che Disney cominciò ad abbozzare un nuovo personaggio sul treno che lo riportava a casa da New York. Tuttavia, la versione più diffusa è che la nuova invenzione dello studio fu il risultato di riunioni di crisi che Walt ebbe con Iwerks e Roy, una volta tornato a Los Angeles. Ferito dalla slealtà del suo staff, per un po’ di tempo tenne segrete le proprie idee, organizzando incontri riservati e sessioni creative con suo fratello e l’amico fedele. I disegni per il nuovo cartone animato venivano persino nascosti sotto gli schizzi di Oswald, non appena qualcuno entrava nella stanza. Il nuovo personaggio fornì a Walt l’ispirazione di cui aveva bisogno per rimettersi in sesto e lasciarsi alle spalle il fallimento di Oswald. Si trattava di un topolino dai guanti bianchi e pantaloni con grossi bottoni. Lo chiamarono Mortimer Mouse, ma la moglie di Walt, Lilly, alla fine convinse il marito a dargli il nome di Mickey. Nel 1928, Ub cominciò a ideare due nuovi cartoon di Mickey Mouse (in italiano, Topolino). Quello fu un anno di grande innovazione per il cinema: fu infatti distribuito il primo film sonoro, Il cantante di jazz. Walt ne rimase colpito e investì tutte le risorse dello studio in un terzo cartone animato che avrebbe avuto l’audio completamente sincronizzato. Decisero di abbandonare le prime due creazioni per concentrare i loro sforzi su questo film, intitolato Steamboat Willie. Mentre Ub preparava i disegni, Walt dava la sua voce a Mickey. «Ub ha ideato l’aspetto fisico di Mickey, ma Walt gli ha dato l’anima», raccontò un dipendente Disney in quel periodo. Walt continuò a essere la voce di Mickey fino al 1946. Si mise in affari con Pat Powers e, grazie al suo aiuto, Steamboat Willie fu proiettato per la prima volta il 18 novembre 1928, al Colony Theatre di New York, ottenendo un successo travolgente. Mickey Mouse raccolse un gradimento immediato nel mondo, e Walt distribuì i primi due cartoni animati dopo averli completati con una colonna sonora.

Il boom dei cartoni animati Il successo di Mickey Mouse, tuttavia, non equivalse a un percorso in discesa per la società. Nel 1929, i Walt Disney Studios distribuirono le Silly Sympho-


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nies, una serie di commedie animate, ognuna con personaggi diversi. Durante questo periodo, Walt divenne sempre più irritato nei confronti di Powers, che riteneva si tenesse una fetta troppo grande degli utili della distribuzione, e nel 1930 concluse un nuovo accordo con la Columbia Pictures. Scontento, Powers persuase a sua volta Ub a lasciare la Disney per aprire un proprio studio, portando così via il capo dell’animazione. La fama di Mickey crebbe vertiginosamente negli anni Trenta, superando in popolarità Felix the Cat, ma le Silly Symphonies non ebbero il successo che Walt aveva sperato. Nel 1932, Disney fu avvicinato dall’ingegner Herbert Kalmus, che lo convinse a rifare una delle Symphonies utilizzando una nuova tecnologia, ovvero colorando le pellicole in bianco e nero. Flowers and Trees si rivelò un successo fenomenale e nello stesso anno vinse l’Oscar come miglior cartone animato. I Walt Disney Studios continuarono a primeggiare in questa categoria sino alla fine del decennio. Da quel momento in poi, tutte le Silly Symphonies furono prodotte a colori, e la serie crebbe in popolarità. La più famosa, I tre porcellini, fu distribuita nel 1933: conteneva la nota canzone Chi ha paura del lupo cattivo?, che divenne l’inno della Grande depressione. Di fronte alla fama crescente di Braccio di Ferro, il nuovo personaggio di uno studio concorrente, nel 1935 Walt realizzò Mickey a colori e presto ne ampliò le storie, lanciando i personaggi ben noti di Donald Duck (Paperino), Pluto e Goofy (Pippo). Poi, per non riposare sugli allori, annunciò il progetto di creare il lungometraggio di animazione a colori Biancaneve e i sette nani. Esso avrebbe richiesto anni di produzione, e sia Roy che la moglie di Walt tentarono di dissuaderlo dall’impresa. Nel frattempo, i concorrenti avevano soprannominato il progetto “la follia di Disney” ed erano certi che avrebbe segnato la fine del suo successo. Non erano troppo lontani dal vero, poiché nel 1937 lo studio, a corto di capitali, dovette mostrare una versione incompleta del film alla Bank of America per ottenere un prestito che consentisse di completare l’animazione. Biancaneve e i sette nani fu proiettato per la prima volta al Carthay Circle Theater il 21 dicembre 1937, ricevendo il plauso entusiasta del pubblico. Divenne il film di maggior successo del 1938 e guadagnò oltre 8 milioni di dollari.

Dove sono adesso? Il successo di Biancaneve segnò l’inizio dell’età d’oro dei Walt Disney Studios. Con i guadagni, Walt poté costruire nuovi uffici a Burbank e, dall’inizio degli anni Quaranta, seguirono in rapida successione grandi produzioni per famiglie come Pinocchio, Fantasia e Bambi. Lo scoppio della seconda guerra mondiale vide la Disney realizzare film per la formazione e l’addestramento delle forze armate. Dopo il conflitto, produsse alcuni lavori di scarso livello, fino alla


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distribuzione di Cenerentola nel 1950 e de Le avventure di Peter Pan nel 1953. Più o meno in questo periodo, partendo dal desiderio di un luogo divertente dove accompagnare le figlie nel tempo libero, Walt sviluppò l’idea di un parco a tema, pieno dei suoi personaggi: Disneyland fu inaugurato ufficialmente il 17 luglio del 1955, grazie a un finanziamento dalla Bank of America. Walt dichiarò una volta: «Non realizzo film solo per guadagnare denaro. Guadagno denaro per realizzare più film». Questa frase significativa, se da una parte evidenzia la profonda e autentica passione che egli nutriva per il suo mestiere, dall’altra nasconde la capacità innata che Walt aveva nel trarre profitto dall’intrattenimento. Quando morì, nel 1966, aveva ormai consolidato la sua eredità, dando vita a una vera e propria macchina da guerra del divertimento, che comprendeva creazioni animate, lungometraggi, un redditizio merchandising e, naturalmente, i più famosi parchi a tema del mondo.


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