Vallese il poligrafo annuario abav 2013 (2014)

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ANNUARIO ACCADEMIA di BELLE ARTI di VENEZIA

Dall’oggetto al territorio Scultura e arte pubblica

ILPOLIGRAFO


ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA



ABAV ILPOLIGRAFO IL POLIGRAFO

ANNUARIO ACCADEMIA di BELLE ARTI di VENEZIA a cura di Alberto Giorgio Cassani

Dall’oggetto al territorio Scultura e arte pubblica


ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA Organigramma Istituzionale Presidente: Luigino Rossi Direttore: Carlo Di Raco Vice-Direttore: Sileno Salvagnini Direttore amministrativo: Alessio Di Stefano Direttore dell’ufficio di ragioneria: Pietro Cazzetta Consiglio di Amministrazione Presidente: Luigino Rossi Rappresentante MIUR: Giuseppe Della Pietra Direttore: Carlo Di Raco Rappresentante dei docenti: Marco Tosa Rappresentante degli studenti: Davide Aghayan Consiglio Accademico Presidente: Carlo Di Raco Consiglieri: Guido Cecere, Silvia Ferri, Paolo Fraternali, Gaetano Mainenti Marina Manfredi, Roberto Pozzobon, Giuseppe Ranchetti Rappresentanti degli studenti: Filippo Rizzonelli, Nicola Mansueti Nucleo di Valutazione Presidente: Giovanni Castellani Componenti: Raffaello Martelli, Mauro Zocchetta Collegio dei Revisori dei Conti Componenti: Anna Maria Serrentino, Maria Grazia Moroni Consulta degli Studenti Coordinatore: Renzo Marchiori Componenti: Davide Aghayan, Pierpaolo Albanese, Olga Gutu, Nicola Mansueti Filippo Rizzoneli, Cristina Tonon


Docenti Jacopo Abis - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte, Serigrafia Giulio Alessandri - Storia dell’Arte Contemporanea, Teoria e Storia dei Metodi di Rappresentazione Marta Allegri - Tecniche plastiche contemporanee, Scultura Francesco Arrivo - Scenografia, Scenografia multimediale e televisiva Alberto Balletti - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte, Calcografia Elena Barbalich - Regia Roberto Barbato - Teoria e Metodo dei Mass Media Luca Bendini - Disegno, Pittura Maria Bernardone - Disegno, Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte Mirella Brugnerotto - Decorazione Riccardo Caldura - Fenomenologia delle Arti contemporanee Alberto Giorgio Cassani - Elementi di Architettura e Urbanistica, Storia dell’Architettura contemporanea Claudia Cappello - Pittura Gaetano Cataldo - Metodologia della Progettazione Maria Causa - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte Guido Cecere - Fotografia, Storia del Design Danilo Ciaramaglia - Plastica ornamentale Paola Cortelazzo - Costume per lo Spettacolo Paolo Cossato - Storia dello Spettacolo Lorenzo Cutuli - Scenografia Ivana D’Agostino - Stile Storia dell’Arte e del Costume, Storia dell’Arte contemporanea, Storia della Scenografia contemporanea Roberto Da Lozzo - Cromatologia, Pittura Giuseppe D’Angelo - Tecniche per la Scultura Alessandro Di Chiara - Pedagogia e Didattica dell’Arte, Antropologia delle arti Carlo Di Raco - Pittura Vallj Doni - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte Luca Farulli - Estetica, Estetica dei New Media Diana Ferrara - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte Silvia Ferri - Anatomia artistica, Anatomia artistica per il Costume Antonio Fiengo - Anatomia artistica Manuel Frara - Pittura, Applicazioni Digitali per le Arti Visive Paolo Fraternali - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte, Litografia Aldo Grazzi - Tecniche extramediali, Pittura Salvatore Guzzo - Tecniche di Fonderia Giuseppe La Bruna - Scultura Igor Lecic - Pittura Patrizia Lovato - Anatomia artistica Gaetano Mainenti - Decorazione Stefano Mancini - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte, Litografia, Xilografia


Marina Manfredi - Storia dell’Arte contemporanea, Storia dell’Arte moderna, Letteratura artistica David Marinotto - Disegno per la Scultura, Scultura Stefano Marotta - Tecniche Grafiche Speciali, Computer Graphics Raffaella Miotello - Anatomia artistica, Semiologia del Corpo Elena Molena - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte Guido Molinari - Teoria della Percezione e Psicologia della Forma, Psicologia dell’Arte Maria Anna Nagy - Pittura Marilena Nardi - Anatomia artistica, Illustrazione Mario Pasquotto - Tecniche grafiche speciali, Metodologia progettuale della Comunicazione visiva, Packaging Renzo Peretti - Anatomia artistica, Disegno, Elementi di Morfologia e Dinamiche della Forma Miriam Pertegato - Pittura, Disegno Roberto Pozzobon - Scultura Giuseppe Ranchetti - Scenotecnica, Pittura di Scena, Disegno Tecnico e Progettazione Elena Ribero - Anatomia artistica Laura Safred - Storia dell’Arte moderna Remo Salvadori - Tecniche per la Pittura Sileno Salvagnini - Storia dell’Arte contemporanea Edoardo Sanchi - Scenografia Martino Scavezzon - Pittura Andrea Serafini - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte, Xilografia Saverio Simi De Burgis - Storia dell’Arte contemporanea, Storia e Metodologia della Critica d’Arte Anna Sostero - Progettazione multimediale, Installazioni multimediali, Pittura Franco Tagliapietra - Storia dell’Arte contemporanea Federico Tesio - Scenografia Alfredo Tigani - Anatomia artistica Vanni Tiozzo - Restauro per la Pittura Maurizio Tonini - Modellistica, Formatura Tecnologia e Tipologia dei Materiali, Anatomia artistica Annalisa Tornabene - Disegno, Anatomia artistica Marco Tosa - Tecnologia del Marmo e delle Pietre dure, Restauro dei Materiali lapidei Cristina Treppo - Decorazione Atej Tutta - Decorazione Gloria Vallese - Storia dell’Arte contemporanea, Elementi di Iconografia e Iconologia Laura Zanettin - Anatomia artistica Roberto Zanon - Design Maurizio Zennaro - Plastica ornamentale, Tecniche del Mosaico Mauro Zocchetta - Anatomia artistica


Docenti a contratto Maria Alberti - Storia del Teatro contemporaneo, Storia della Scenografia Fabio Barettin - Light Design, Illuminotecnica Orietta Berlanda - Metodologia e Tecniche della Comunicazione Carlo Tombola - Digital Video e Tecniche di Documentazione Audiovisiva Nicola Cisternino - Arti e Musiche Contemporanee, Storia della musica contemporanea, Progettazione spazi sonori Andrea Franceschini - Tecniche di Montaggio, Tecniche di ripresa Antonio Diego Collovini - Teoria e Storia del Restauro Walter Criscuoli - Fotografia digitale Michele Daloiso - Inglese Paolo Del Piccolo - Arredo scenico Giovanni Federle - Informatica per la Grafica Giovanna Fiorentini - Tecniche ed Elaborazione del Costume, Tecniche grafiche per il Costume Manuel Frara - Fondamenti di Informatica, Applicazioni digitali per l’Arte Ettore Molon - Ordini e Stili Paola Moro - Autocad per la Scenografia Stefano Nicolao - Taglio del Costume storico Fabio Pittarello - Tecniche di Modellazione digitale D, Sistemi interattivi Tiziano Possamai - Psicologia della Comunicazione Gianfranco Quaresimin – Storia della Grafica d’Arte Massimo Rossi - Elementi di produzione video Davide Tiso - Sound Design, Fondamenti d’Informatica Andrea Trevisi - Web Design, Restyling del sito Web Giovanni Turria - Tecniche dei Procedimenti a Stampa: Tipografia Milena Zanotelli - Tecniche e Tecnologie della Decorazione Assistenti amministrativi Francesca Barato, Barbara Brugnaro, Daniela Gianese, Daniela Hopulele Serena A. Iglio, Elisabetta Marini, Alessia Orologio, Marilena Pari, Rita Zanchi Coadiutori Roberta Berengo, Maria Antonietta Boscolo, Manuela Breda Teresa Brovazzo, Ada Carraro, Giuseppa Farruggia, Giovanna Guarini Silvia Marafin, Graziella Marinoni, Ferruccio Nordio, Mara Oselladore Elisa Porri, Barbara Scipioni, Sabiha Sfaxi, Angela Sorrentino Rosa “Meo Ambrosi” Tiozzo, Mirca Vianello, Viviana Vivardi Carlo Zaniol, Massimo Zinato


Annuario dell’Accademia di Belle Arti di Venezia a cura di Alberto Giorgio Cassani Annuario/Annuary Dall’oggetto al territorio. Scultura e arte pubblica From the Object to the Territory. Sculpture and Public Art comitato scientifico Gabriella Belli, Giuseppina Dal Canton, Martina Frank, Marta Nezzo Nico Stringa, Giuliana Tomasella, Piermario Vescovo, Guido Vittorio Zucconi redazione internazionale Laura Safred per la realizzazione di questo numero si ringraziano in particolare Diana Ferrara, Laura Safred, Evelina Piera Zanon referenze fotografiche Le immagini riprodotte provengono dall’Archivio fotografico dell’Accademia e dagli archivi personali degli Autori, salvo dove diversamente indicato. Si ringraziano: l’Archivio Luigi Nono per le immagini pubblicate nei contributi di Nicola Cisternino e nel contributo A colloquio con Nuria Schoenberg Nono; Giulio Secco per le immagini pubblicate nel contributo di Marco Tosa; Alberto Giorgio Cassani per l’immagine di p. .

progetto grafico e realizzazione editoriale Il Poligrafo casa editrice Alessandro Lise, Sara Pierobon, Laura Rigon Copyright Š novembre Accademia di Belle Arti di Venezia Il Poligrafo casa editrice Il Poligrafo casa editrice srl Padova piazza Eremitani - via Cassan, tel. - fax e-mail casaeditrice@poligrafo.it www.poligrafo.it ISSN ISBN


INDICE

Editoriale Alberto Giorgio Cassani

Presentazione Luigino Rossi

Presentazione Carlo Di Raco DOSSIER DALL’OGGETTO AL TERRITORIO

Scultura e arte pubblica

MnĂŠme Mementum Monumentum. Monoliti, colonne e obelischi come cardini della costruzione dello spazio urbano Gaetano Cataldo

Architetture e sculture policrome a Venezia. L’immagine perduta della città antica Marco Tosa

L’opera totale: Daniel Spoerri e il suo Giardino Maria Alberti

“Forma vivaâ€?. EreditĂ e prospettive di un parco di scultura sull’Adriatico Majda BoĹžeglav Japelj

La trasversalitĂ dello spazio nella scultura MarĂ­a JesĂşs Cueto-Puente

â€œĂŠtre en villeâ€?. Atelier de Design d’espace pour des pratiques urbaines crĂŠatives, contextualisĂŠes et maĂŽtrisĂŠes FrĂŠdĂŠric FrĂŠdout


Public art nell’arena pubblica italiana Orietta Berlanda

Note sull’immaginazione tecnologica. Contributo a un’estetica della media art Luca Farulli

Esperienze artistiche contemporanee fra ambiente e spazio pubblico Riccardo Caldura

Laboratorio integrato di Forte Marghera. Un contributo dall’interno Giulio Alessandri SAGGI E STUDI

La civetta sul ramo di perle. Note su Bosch e Venezia Gloria Vallese

Confrontare i volti umani: tecnologia e osservazione Bob Schmitt

Qualcosa su Artaud Natalia Antonioli

Riagendo (a) Ruota di Bicicletta. Parigi - Venezia Giulio Alessandri

Il segno nuovo di Arturo Martini Marina Manfredi Il Suono giallo. Caminantes no hay camino hay que caminar Nono-Vedova. Caminantes Nicola Cisternino ...allora dare è quasi un voler ascoltare il silenzio stesso. Su Luigi Nono con Massimo Cacciari (Venezia, luglio ) Nicola Cisternino A colloquio con Nuria Schoenberg Nono

Verso una pedagogia dell’autodeterminazione artistica Alessandro Di Chiara

La retorica negli oggetti Roberto Zanon


DIPARTIMENTI

Biscotti d’artista per la Biennale Roberto Zanon

“Non piĂš Polioâ€? ma non solo. Il Rotary di Venezia e la scuola di Incisione dell’Accademia nella sfida per la qualitĂ della vita Carlo Montanaro

Grafica d’arte e tipografia d’autore Giovanni Turria FONDO STORICO, ARCHIVIO, BIBLIOTECA, PROGETTO TESI, PROGETTI EUROPEI

Ad augendam Pinacothecam Corneliam. I disegni della raccolta dell’abate Giampietro Antonio Corner Paolo Delorenzi

Le carte dell’Accademia dal al Nadia Piazza

Nuove fonti per la storia della fotografia a Venezia. Il Fondo storico dell’Accademia di Belle Arti Sara Filippin

Venezia ed Erasmo: per una cultura di pace. Il programma europeo Erasmus nell’Accademia di Belle Arti di Venezia Antonio Fiengo EVENTI

Eventi Mostre, workshop, convegni, conferenze a cura di Miriam Pertegato APPENDICI

Riassunti

Abstracts

Autori

Indice dei nomi


La civetta sul ramo di perle

Gloria Vallese

Note su Bosch e Venezia Due trittici firmati da Jheronimus Bosch ( - ca), una Santa crocifissa e I Santi Eremiti Girolamo, Antonio ed Egidio, e quattro pannelli frammentari con Visioni dell’aldilĂ sono testimoniati ab antiquo al Palazzo Ducale di Venezia. L’intero nucleo è stato trasferito nel nel riallestito Palazzo Grimani a Santa Maria Formosa, a sottolineare la relazione con il grande collezionista veneziano, il cardinale Domenico Grimani ( - ), che li acquistò forse vivente l’artista, o poco dopo la sua morte. Secondo una parte consistente della critica, si tratta di un gruppo stilistico omogeneo che presenta una stretta contiguitĂ con il Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio di Lisbona, opera nodale della maturitĂ dell’artista. Nell’intero corpus di Bosch nessuna opera è giunta datata e i dipinti di Venezia non fanno eccezione; ma il nucleo di Palazzo Grimani comprende opere della piĂš alta qualitĂ , e di esse ben due, i trittici, recano la rara segnatura autografa del pittore brabantino, l’iscrizione ÂŤJheronimus boschÂť in grandi minuscole gotiche, molto imitata nel corso del XVI secolo, ma nota in originale solo in un piccolo numero di esemplari. Come sempre nel caso di Bosch, la cronologia è molto controversa; ma il gruppo, anche per assonanze con la pittura veneziana e internazionale coeva, sembra da collocarsi qualche anno dopo il , piĂš verosimilmente verso il - Sulla segnatura ÂŤJheronimus boschÂť si vedano: Mia Cinotti, L’opera completa di Bosch, introduzione di D. Buzzati, Milano, Rizzoli, , p. ; e i diversi contributi in Godfried C.M. van Dijck, Op zoek naar Jheronimus van Aken alias Bosch, Zaltbomme, Europese Bibliothek, . Nell’ambito del presente articolo, ove non diversamente richiesto dalle fonti bibliografiche e documentali, ci atterremo alla grafia ÂŤJheronimusÂť adottata dall’artista stesso. Bosch a Palazzo Grimani, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Grimani, dicembre marzo ), a cura di Vittorio Sgarbi, Milano, Skira, ; Le Delizie dell’Inferno. Dipinti di Bosch e altri fiamminghi restaurati, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Ducale, maggio-agosto ), contributi di Umberto Franzoi, Caterina Limentani et al., Venezia, Il Cardo, , schede , , ; Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, DĂźrer, Tiziano, catalogo della mostra


GLORIA VALLESE

Di non altrettanta fortuna ha goduto finora, nonostante le sue interessanti prerogative sia formali che iconografiche, la piccola tavola raffigurante Cristo al Limbo conservata al Museo Correr, attribuita ad Anonimo fiammingo del XV secolo, e avvicinabile al momento stilistico dei Sette Peccati Capitali. Il trittico con la Santa crocifissa (figg. - ) si trovava a Palazzo Ducale giĂ nel , dove è individuato senza possibilitĂ di equivoco da Marco Boschini, che nelle sue Minere della pittura descrive: Un altro quadro in tre comparti, oue si vede il martirio d’una Santa in Croce, con molte figure, & in particolare uno in terra caduto in suenimeÂŻ to, sostenuto da diuersi: & è dipinto da Girolamo Basi.

Il suo resoconto è ripreso e ampliato nel dallo Zanetti, che ricorda nello stesso luogo (ovvero nel ÂŤTransito, che ci conduce alla Sala dell’Eccelso Conseglio de’ XÂť), un trittico con ÂŤun San Girolamo, e altri due SantiÂť, a firma di Bosch; egli riferisce peraltro al Civetta ÂŤli quattro bislunghi, con bizzarre invenzioniÂť, che oggi ci appaiono tra i piĂš squisiti e originali, pur se frammentari, autografi di Bosch. La storica collocazione in Palazzo Ducale fa pensare che possa trattarsi di opere provenienti dalla collezione del cardinale Domenico Grimani, che alla morte, nel , lasciò alla cittĂ il suo antiquarium e la sua quadreria perchĂŠ se ne facesse quello che nel suo progetto doveva divenire il primo museo pubblico d’Europa. Solo dopo parecchi lustri, peraltro, e per pressante interessamento del nipote, il cardinale Marino Grimani, i marmi antichi andarono a costituire il notevole antesignano di quello che è oggi il Museo Archeologico Nazionale di Venezia; i quadri invece, fra i quali si annoveravano numerose opere “alla ponentinaâ€?, furono depositati in alcune casse al pianterreno di Palazzo Ducale e ivi, a quanto pare, dimenticati. Solo parecchio piĂš tardi, nel , furono rinvenute casualmente ÂŤnella camera del Cavaliere del DogeÂť alcune casse contenenti ÂŤdiverse pitture antiche di buona ed eccellente manoÂť, che furono allora, per ordine del Consiglio dei X, (Venezia, Palazzo Grassi, settembre - gennaio ), a cura di Bernard Aikema e Beverly Louise Brown, Milano, Bompiani, , in part. schede e - . Sottolineano l’omogeneitĂ stilistica del gruppo, e la contiguitĂ stilistica con il Trittico di Lisbona: M. Cinotti, L’opera completa di Bosch, cit., p. e cat. - ; Le Delizie dell’Inferno, cit., e FrĂŠdĂŠric Elsig, Jheronimus Bosch: la question de la chronologie, GenĂŠve, Librairie Droz, , pp. sgg. Sul Cristo al Limbo del Museo Correr: Michelangelo Muraro, La Quadreria del Museo Correr, Venezia, Ongania, , p. ; Gloria Vallese, Follia e Mondo alla Rovescia nel Giardino delle Delizie di Bosch, ÂŤParagone/ArteÂť, , maggio , pp. - ; Caterina Limentani, scheda in Le Delizie dell’Inferno, cit. (nega il possibile riferimento a Bosch, attribuendo l’opera ad anonimo brussellese). Antonio Maria Zanetti, Descrizione di tutte le pubbliche pitture della cittĂ di Venezia, Venezia [ ], pp. - . Un accurato regesto e discussione delle fonti circa le opere di Bosch giĂ in Palazzo Ducale, e la loro possibile provenienza dalla collezione di Domenico Grimani, in Lorne Campbell, Notes on Netherlandish pictures in the Veneto in the fifteenth and sixteenth centuries, ÂŤThe Burlington MagazineÂť, CXXIII, , , pp. - . Gli antichi inventari di Palazzo Ducale, che ricostruiscono la vicenda delle ÂŤcasse otto de quadri bollade, et sigillade, piene de quadriÂť di cui alle citazioni seguenti, furono riportati in luce da Rodolfo Gallo, Le donazioni alla Serenissima di Domenico e Giovanni Grimani, ÂŤArchivio VenetoÂť, s. V, L-LI, , pp. .


LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA

restaurate e appese alle pareti; lo testimonia un dipinto di Gabriel Bella oggi alla Pinacoteca Querini Stampalia, che mostra una sala in Palazzo Ducale con alle pareti i due trittici. Se questa storia fa ragionevolmente supporre che i dipinti di Bosch oggi in Palazzo Grimani provengano dal legato del cardinale Domenico, occorre d’altra parte una certa cautela nell’identificare queste opere con quelle descritte da Marcantonio Michiel nella sua Notizia d’opere d’arte del disegno. Il Michiel asserisce di aver visto nel , in casa del cardinale Domenico Grimani, ÂŤla tela dell’inferno con la gran diversitĂ de’ mostri de Jeronimo Bosch / la tela delli sogni de man de l’istesso... la Fortuna con el ceto che ingiotte GionaÂť. Ăˆ questa la piĂš antica menzione documentaria di dipinti di Bosch in collezioni veneziane; ma notiamo che il Michiel parla di opere su tela, mentre i dipinti giĂ in Palazzo Ducale sono tutti su tavola. Su tela erano anche gli altri dipinti di Bosch che poco piĂš tardi, nel , Marcantonio vide a casa di Marino Grimani. Poteva forse trattarsi dunque di beschreve cleeren o lienzos, ovvero di quei dipinti a tempera su tela non preparata, di cui gli antichi inventari spagnoli attribuivano a Bosch un gran numero; erano molto diffusi nella tradizione nordica, ma, a causa dell’elevata deperibilitĂ , sono pervenuti fino a noi solo in rari esemplari. Spesso a soggetto didascalico-morale, molto ricercati ed esportati in varie parti d’Europa, i beschreve cleeren oggi perduti potrebbero costituire la spiegazione della comparativa scarsitĂ di opere che è stata osservata nella prima parte della carriera di Bosch. Quanto ai soggetti menzionati dal Michiel, se ÂŤla tela dell’inferno con la gran varietĂ de’ mostriÂť e ÂŤla tela delli sogniÂť possono dubitativamente evocare i dipinti frammentari oggi a Palazzo Grimani, i due trittici non vengono menzionati, a meno di non voler forzare al punto da identificare la nostra Santa crocifissa con la ÂŤSanta Caterina sulla ruota nel paesaggioÂť vista dal Michiel in casa Grimani e da lui attribuita al Patinier; nĂŠ sussiste, tra le opere pervenute, una “Fortunaâ€? (cioè una tempesta di mare), con la balena (ceto) che inghiotte Giona. Il cardinale Domenico Grimani, committente del bellissimo breviario fiammingo miniato, che è oggi una delle gemme della Libreria Marciana, è noto per Marcantonio Michiel (ed. Th. Frimmel), Notizia d’opere d’arte del disegno..., ÂŤQuelleschrifQuelleschriften fĂźr KunstgeschichteÂť, Wien, , p. . Jennier Fletcher, Marcantonio Michiel: His Friends and Collection, ÂŤThe Burlington MagazineÂť CXXIII, , , pp. - . Ernst H. Gombrich, Le origini del paesaggio, in Norma e Forma/Studi sull’arte del Rinascimento ( ), trad. it. Torino, Einaudi, , pp. - . Ernst H. Gombrich, Il Giardino delle Delizie di Hieronymus Bosch. La prima descrizione del Trittico ( ), in L’ereditĂ di Apelle. Studi sull’Arte del Rinascimento, trad. it. Torino, Einaudi, , pp. - . Sui lienzos nelle fonti relative a Bosch e lo sviluppo della pittura didascalico-morale nei Paesi Bassi: Otto Kurz, Four Tapestries after Hieronymus Bosch, ÂŤJournal of the Warburg and Courtauld InstitutesÂť, XXX, , pp. - : ; sulla collocazione del genere nella produzione artistica neerlandese fra Quattrocento e Cinquecento, Hanns Floerke, Studien zur niederlandischen Kunst- und Kulturgeschichte. Die Formen des Kunsthandels, das Atelier und die Sammler in den Niederlanden vom .- . Jahrhundert, MĂźnchen-Leipzig, Georg MĂźller, , in part. pp. - .


GLORIA VALLESE

la straordinaria apertura di gusto che lo rendeva avido collezionista sia di reperti classici che di pittura contemporanea, italiana e “ponentinaâ€?. Egli può dunque ben essere stato il primo proprietario dei dipinti oggi a Palazzo Grimani e di altre opere di Bosch, sparse nelle sue diverse residenze in cittĂ e nell’entroterra, senza che questo ci obblighi a interpretazioni forzate di descrizioni che non sembrano corrispondere. Opere di Bosch, in ogni caso, sono all’origine di echi e citazioni molto precoci nell’arte italiana e di alcune mode figurative, tra cui quella dei ÂŤpaesi da fogo, che par che abbruscino le mani approsimandosi per tocargliÂť, ovvero le scene con alberi ed edifici resi incandescenti da incendi notturni di cui si fa menzione negli antichi inventari; quelli di Ferdinando Gonzaga Duca di Mantova annoverano ben venti opere di questo genere, comprate tutte in una sola volta. Quanto al complesso tema della versione a “grandi testeâ€? di scene della vita di Cristo, che in uno stesso torno d’anni, poco dopo il , coinvolge Leonardo, DĂźrer, Bosch, Giorgione e numerosi artisti della scuola veneziana in una complessa rete di echi e rimandi, si tratta di un fenomeno singolare e rilevante, ma impossibile anche solo da riassumere nei limiti del presente articolo. I dipinti di Jheronimus Bosch giĂ in Palazzo Ducale sono in condizioni non ottimali, danneggiati dal fuoco di un antico incendio (probabilmente quello che distrusse gran parte del palazzo nel ). Un’antica parchettatura ha obliterato per sempre il lato esterno dei due trittici. Le quattro ante raffiguranti scene paradisiache e infernali, dal a Palazzo Grimani, sono frammenti di perduti insiemi e si presentano accorciate in alto e in basso. Il trittico della Santa crocifissa (l’identificazione del personaggio permane incerta) mostra inoltre di essere stato rimaneggiato in antico dallo stesso Bosch, che per qualche ragione cancellò due figure maschili di committenti raffigurati sulle ante laterali (tornate però visibili grazie ai raggi X), ridipingendole rispettivamente con due figure di persecutori che deridono la martire e con una tentazione di sant’Antonio. Secondo Leonard Slatkes ( ), questi committenti indossano vesti italiane; egli osservò inoltre che, fra le martiri che subirono la crocifissione, vi è una santa Giulia di Corsica particolarmente venerata a Brescia, cittĂ dell’entroterra veneziano. La sua conseguente ipotesi di un viaggio di Bosch al di qua delle Alpi Sulla profonda relazione formale tra Bosch e Giorgione, oltre a V. Sgarbi, Bosch a Palazzo Grimani, cit., pagine classiche in Roberto Salvini, Leonardo, i fiamminghi e la cronologia di Giorgione, ÂŤArte VenetaÂť, XXXII, , pp. - . Su Bosch e i “paesi da fogoâ€? nelle collezioni italiane: E.H. Gombrich, Le origini, cit, pp. - . Roger H. Marijnissen, Peter Ruyffelaere, Bosch, Milano, Rizzoli, , pp. . Immagini ai raggi X, riflettografie e fotografie all’infrarosso dei dipinti oggi a Palazzo Grimani sono disponibili nel sito boschproject.org. Dal , il Bosch Research and Conservation Project (BRCP), coordinato dal Dr. Matthijs Ilsink, fotografa e documenta le opere di Bosch in tutto il mondo con metodi scientifici standardizzati. Al gruppo partecipa per Venezia il museo di Palazzo Grimani, con il laboratorio tecnico-scientifico coordinato da Maria Chiara Maida. Leonard Slatkes, Hieronymus Bosch and Italy, ÂŤArt BulletinÂť, LVII, , pp. - .


LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA

poco dopo il , pur non comprovata da fonti documentarie, è oggi ritenuta verosimile da una parte consistente della critica, e anzi ha guadagnato sempre piĂš credito in anni recenti, anche a seguito degli approfondimenti biografici e delle revisioni di dati sviluppatesi a partire dalla mostra di Rotterdam e dal convegno di ’s-Hertogenbosch del Un indizio di connessione con l’ambito veneziano, importante anche se spesso sorvolato dalla letteratura successiva, è stato messo in luce nel da Phillis Williams Lehmann. La studiosa statunitense notò che la giraffa dai tratti singolari raffigurata nel pannello di sinistra del Giardino delle delizie di Bosch, con le sue proporzioni minute e le corna che terminano in un grosso pomello, deriva da un taccuino di appunti del viaggiatore Ciriaco d’Ancona, corredato da preziosi disegni di rari animali esotici, che circolava manoscritto nella bottega dei Bellini a Venezia. Difficile pensare dove, se non a Venezia e per accesso diretto, Bosch avrebbe potuto trascrivere questa particolare rappresentazione del raro animale. I due sportelli del trittico della Santa crocifissa si presentano, nella versione attuale, abbastanza scollegati dallo scomparto centrale. A sinistra, in particolare, Bosch sembra aver rilavorato il paesaggio e le figure di astanti in secondo piano nel pannello centrale per meglio adattarli all’atmosfera cupa dello scenario notturno, desolato e punteggiato da incendi, rappresentato nel laterale attiguo, nel quale egli ha fatto sprofondare nel buio, insieme al committente, anche la cittĂ tipicamente nordica che appariva alle sue spalle e che forse fungeva da identificativo. Nessun dubbio comunque sulla stupenda autografia “alla primaâ€? di molti dei nuovi dettagli; Bosch disegna qui direttamente col pennello, evocando sinteticamente a rapidi tocchi di luce, non meno di quanto faccia Giorgione nello stesso torno d’anni nella Laura o nella Tempesta. In entrambi i trittici di Palazzo Grimani gli incendi notturni sulla sinistra, con gli alberi trasfigurati dal bagliore, sono stilisticamente molto vicini a quelli di un capolavoro maturo come il celebre trittico delle Tentazioni di sant’Antonio di Lisbona, giustamente considerato da buona parte della critica strettamente contiguo ai quadri di Venezia (figg. - ). La Santa in croce, che domina la composizione dall’alto col suo volto sereno, ha ai suoi piedi un gruppo di figure che mostrano un contrapposto di emozioni e attitudini: a destra di chi guarda, i due dignitari che hanno con ogni evidenza deciso la sua sorte sembrano ora commentarla con gelido distacco. A sinistra, invece, la scena è pervasa dal dolore e dall’orrore degli amici della martire, che appaiono variamente feriti nei sensi: uno si porta le mani alle tempie, uno si tura il naso coi lembi del copricapo; un altro, un giovane in ricche vesti, cade al suolo in deliquio, travolgendo un compagno (in consonanza con il gruppo dello “svenimento della Vergineâ€? che spesso appare nelle scene della Crocifissione di Cristo). Ibid.; discussione in F. Elsig, Jheronimus Bosch, cit., e G.C.M. van Dijck, Op Zoek naar Jheronimus van Aken, cit. Phyllis Williams Lehmann, Cyriacus of Ancona’s Egyptian Visit and its Reflections in Gentile Bellini and Hieronymus Bosch, Locust Valley (NY), J.J. Augustin,


GLORIA VALLESE

Le figure sono abbigliate con vesti esotiche di fantasia, ma osserviamo che il giovane svenuto esibisce un dettaglio di moda squisitamente veneziano: porta infatti “calze alla divisaâ€?, di diverso colore, su una delle quali è ricamata alla coscia un’impresa, ornata da uno sprazzo di perle (fig. ). Era questa l’insegna delle Compagnie di Calza, associazioni di giovani patrizi veneziani che si riunivano per intervenire nella vita pubblica allestendo accoglienze, feste e spettacoli. Le compagnie si distinguevano per un caratteristico abbinamento di calze di diverso colore (dette appunto “alla divisaâ€?, da cui si origina il termine moderno), che i membri si obbligavano a portare dal momento in cui una compagnia “levava la calzaâ€?, ovvero si costituiva: Portava ciascuno dei patrizi aggregati una calza appunto quartata di colori diversi, o ricamata di perle e gioie fino a mezza gamba, e facevano conoscere il loro pensiero particolare con qualche ingegnosa impresa, piĂš o meno a gara secondo la disposizione del loro animo.

Inizialmente, vi fu a Venezia una sola Compagnia di Calza, fondata nel ; ma la situazione si andò differenziando nel corso del XV e XVI secolo, tanto che il Sansovino, scrivendo nel , ne annoverava ben quarantatrĂŠ. Spesso banalizzate sotto la categoria di “festeâ€?, le attivitĂ delle Compagnie erano invece un originale capitolo di quei rituali civili per i quali Venezia si distingueva, palestre di stile per i giovani destinati ad alte carriere. Nelle accoglienze squisitamente coreografate di personalitĂ straniere, nei donativi, nei balli, nelle feste organizzate dai Compagni, l’attivitĂ diplomatica, la dedizione al pubblico e l’orgoglio privato delle grandi famiglie veneziane si saldavano in un unico, caratteristico insieme. Nei dipinti di Carpaccio, i Compagni di Calza figurano in gran numero, con le loro calze “alla divisaâ€? e le imprese ricamate e riccamente ornate di gioielli e perle su varie parti del vestiario: sulle maniche, sulla berretta, all’interno del cappuccio. Nel telero dell’Incontro dei fidanzati e partenza dei pellegrini ( ) dal Ciclo di sant’Orsola, Antonio Loredan, figlio di Nicolò, il committente, appare in atto di indicare al pubblico il filatterio con la data e la dedica del ciclo. Sulla sua manica è ricamata l’impresa dei Fratelli Zardinieri: fra le iniziali “Fâ€? e “Zâ€?, una dama dall’alto copricapo alla borgognona in atto di annaffiare un alberello entro un hortus conclusus, mentre in alto scocca fra le nubi il fulmine divino. Sulla sua calza sinistra, di scarlatto, si leggono le iniziali S.A., che lo Zorzi interpreta come “Societas Amicorumâ€?(fig. ). Anche l’amico in piedi accanto a lui ha un’impresa ricamata e riccamente ornata di gioie, non sulla calza, ma sulla berretta rossa che tiene in mano; si tratta Sulle Compagnie di Calza a Venezia: LionelloVenturi, Le Compagnie della Calza (secc. XV-XVI), Venezia, Istituto Veneto di Arti Grafiche, ; Giuliana Chesne DauphinĂŠ Griffo, I costumi della Compagnia della Calza dipinti dal Carpaccio nel ciclo delle Storie di S. Orsola: immagine di Venezia nel Rinascimento, ÂŤQuaderni di TeatroÂť, XIV, nov. , pp. - . Questo dettaglio del dipinto, e l’emblema dei Fratelli Zardinieri, sono studiati in Ludovico Zorzi, Carpaccio e la rappresentazione di sant’Orsola, Torino, Einaudi, , pp. - .


LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA

dell’affiliato a un’altra compagnia, i Fruttuosi o Sempiterni, che ÂŤavevano la testa coperta di una Beretta Nera, o Rossa, ricamata d’oro con GioieÂť. In un altro telero di Carpaccio, il Miracolo della Croce a Rialto, si nota un giovane che porta, ricamata all’interno del cappuccio, un’impresa formata da una sirena e da un doppio spegnitoio, accompagnata dal motto ÂŤCon TempoÂť. PiĂš a sinistra, un altro giovane dalla folta zazzera inanellata lunga fino alle spalle porta calze alla divisa, con un ricamo a filo d’oro (che s’intravede appena, essendo la figura di spalle) sulla coscia destra (fig. , ). La stessa fonte manoscritta ci permette di identificare anche questi due come affiliati dei Fruttuosi: Questi ultimi portavano invece del mantello ducale una specie di Veste, o di picciolo Tabarro, dalle cui spalle pendeva un lungo cappuccio, nel quale al di dentro con Riccamo di seta, o d’oro, era marcato a suo gusto un emblema: verbigrazia, una Pallade; o un Cupido; un Sole; o un picciolo Animale, o altro. Uno vi pose una Sirena col motto: Con Tempo. Li capelli erano allacciati con un cordone di seta, et il soprapiĂš era di Veluto, o altra stoffa con maniche tagliate, da cui ussiva ciò, che vi era soto, et queste legate con cordelle, e tessute con oro, anzi il tutto era guernito d’oro, di Pietre, e di Perle. La calza era di diversi colori addornata con rilucenti gioie, e Perle con Oro, et Argento; e fra’ Compagni vi era ardente gara per far risplendere in Venezia la loro magnificenza.

Similmente, poco piĂš oltre, sempre a proposito della Compagnia dei Fruttuosi: L’anno vestivano con un Cappetto, da cui verso le spalle pende un cappuccio, nella parte di cui è con ricamo espresso il simbolo o impresa di ciascuno. In capo un berrettone o rosso, o nero, pendente da una parte. Li capelli lunghi talvolta erano ligati con un nastro. Il giubbone era di bombace, o di seta, ricamata d’oro; nelle maniche del quale, trinciate, appariva la camicia. Le calze erano ricamate, e una di esse fino alla metĂ ornata di gioie.

Il giovane Compagno di Calza nel dipinto di Bosch a Palazzo Grimani ha scelto come impresa per la sua calza destra, di color verde oliva, una civetta posata su un ramo spinoso, commentata da un filatterio (il motto non vi appare, a causa dell’esiguitĂ del dettaglio) e sottolineata da uno sprazzo luminoso di perle traslucide. Ăˆ proprio l’effetto visuale di quest’ultimo particolare a far pensare che Bosch abbia avuto occasione di osservare dal vivo questo dettaglio veneziano cosĂŹ caratteristico. La calza sinistra del personaggio, invece, è ÂŤnegraÂť: nel dipinto, questo dettaglio può essere casuale, ma segnaliamo in ogni caso che la ÂŤcalza zanca negraÂť distingueva la Compagnia dei Concordi, fondata nel Venezia, Biblioteca Correr, MS Cicogna , f. , c. . Ivi, f. , c. . Ivi, cc. - . “Zancaâ€? è veneziano per “sinistraâ€?. Le Compagnie annoveravano generalmente fra i dieci e i venti membri; ma quella dei Concordi si “serròâ€? sui nomi di soli cinque cittadini: ÂŤZ. Fontana


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La calza negra in sĂŠ connotava “corruccioâ€?, lutto, dissenso; come si osservò quando alcuni membri dei Fruttuosi, in dissapore con gli amici, ÂŤstrazzorno i capitoliÂť della Compagnia e dalla mattina seguente ÂŤalzorno calze negreÂť; la protesta, comunque, rientrò qualche giorno dopo. Per quanto riguarda l’impresa con la civetta ammonitrice, rimane da scoprire se essa sia esistita nella realtĂ , al di fuori di questo dipinto, e, in tal caso, quale compagno l’abbia “divisataâ€?. La civetta posata sul ramo di spine appare spesso nei dipinti di Bosch; da un certo punto in poi, questo dettaglio sembra divenire anzi un elemento ricorrente, quasi una sigla personale dell’artista. Essa vigila sull’incoscienza degli amanti nel Carro di fieno, fa capolino dalla Fonte del Paradiso nel Giardino delle delizie, appare, non vista, fra le travi sconnesse della capanna nell’Epifania del Prado. Nel Trittico degli Eremiti di Palazzo Grimani, è annidata sul capo di un “grilloâ€? formato da una testa che se ne va in giro direttamente attaccata ai piedi, commentando con il suo sguardo attonito la scena popolata di parvenze (fig. ). La civetta è protagonista anche nei tre disegni “umanisticiâ€? di Bosch: l’allegoria Il bosco che sente e vede (Berlino, Staatliche Museen, KDZ r, fig. ), le Tre civette (Rotterdam, Museum Boymans-Van Beuningen, Prentenkabinet, N. r), e la paradossale Visione dell’uomo-albero (Vienna, Albertina, inv. ), quest’ultima cosĂŹ simile nel carattere alle allegorie politiche disegnate negli stessi anni da Leonardo. Appollaiata, come qui, su un ramo spoglio, la civetta è silenziosa testimone della penitenza di san Girolamo nel bel dipinto di Bosch al Museo di Gand (fig. ). L’opera è notevole, oltre che per il grande fascino dello scenario, anche per la singolare posa di prosternazione profonda del protagonista ai piedi del crocifisso. Si tratta di un dettaglio originale, unico nell’iconografia cinquecentesca della penitenza di san Gerolamo, e tuttavia non inventato: la prosternazione apparteneva, infatti, al costume dei devoti hieronymiti dell’etĂ moderna, che la praticavano rifacendosi a un’esperienza descritta dal santo stesso nelle sue lettere. Durante il suo periodo di mortificazione nel deserto della Palestina, per combattere i pensieri lascivi che lo assalivano a onta delle privazioni piĂš dure, Gerolamo si gettava in ideale prostrazione ai piedi di Cristo, rigandoli di lacrime di pentimento (ÂŤad Iesu iacebam pedes, rigabam lacrimisÂť). Il fatto che numerose figure nel trittico della Santa crocifissa indossino preziosi velluti veneziani non è in sĂŠ una prova di rapporto diretto con la cittĂ lagunare, q.m Andrea; Anzolo Anzelieri q.m Giacomo; Francesco Inzegner q.m Zuanne; Vettor Ziliol q.m Alessandro; Antonio Dolce q.m AlviseÂť, ibid. L.Venturi, Le Compagnie della Calza, cit., pp. - . F. Elsig, Jheronimus Bosch, cit., pp. - ; Otto Benesch, Der Wald, der sieht un hĂśrt: zur Erklärung einer Zeichnung von Bosch, ÂŤJahrbuch der Preussischen KunstsammlungenÂť, , , pp. - . Stephen D. Bowd, Reform before the Reformation: Vincenzo Querini and the religious Renaissance in Italy, Leiden, Brill, . San Girolamo, Lettere, introduzione e note di Claudio Moreschini, Milano, Rizzoli, , p. . Si tratta della celebre Epistola XX, Ad Eustachium, contenente un’esortazione alla verginitĂ .


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dato che queste stoffe erano assai ricercate e viaggiavano ovunque; ma osserviamo che a partire da questo gruppo di opere l’artista sembra subirne in modo particolarmente intenso la fascinazione: motivi caratteristici dei tessuti, profilature e sprazzi di perle trasmigrano dalle stoffe ad altri dettagli della composizione: animali, piante, creature soprannaturali (tav. I). Un’altra possibile suggestione veneziana si può notare nel Trittico di Lisbona, uno dei capolavori maturi dell’artista e stilisticamente molto vicino, come giĂ osservato, ai dipinti di Palazzo Ducale (fig. ). Il Trittico di Lisbona è l’esempio piĂš rilevante della trasformazione da parte di Bosch del tema delle tentazioni di sant’Antonio in chiave contemporanea: la figura dell’anacoreta tentato da visioni ingannevoli, duramente percosso e perfino trascinato in volo dalle forze demoniache, diviene simbolo dell’uomo contemporaneo negli anni della preriforma, tormentato dai comportamenti dissoluti e folli di una Chiesa sempre piĂš corrotta e vacillante nella sua autoritĂ morale. Bosch elabora i momenti salienti della leggenda con una scrittura pittorica corsiva e veemente, che si discosta spesso dal disegno preparatorio seguendo il filo di un’affascinante ideazione subitanea. Nel laterale sinistro, Bosch sviluppa il noto episodio del volo e della caduta del Santo; in quello destro, Antonio appare in preghiera, assalito da parvenze femminili e da visioni di mense imbandite. Nel pannello mediano, il tema trova un’inflessione inedita, piĂš direttamente connessa all’idea della corruzione ecclesiastica contemporanea. Troviamo qui, fra l’altro, alcune torve rappresentazioni della messa degenerata, celebrata da animali putrescenti, o ridotta a un sozzo banchetto. Senza scomporsi, dal centro della ridda delle apparizioni, Antonio si volge verso lo spettatore e indica al pubblico col gesto fermo di due dita benedicenti l’interno della sua cella, in cui Cristo stesso, apparendo come in visione, esorta a contemplare il Crocifisso eretto su un piccolo nudo altare. Commentare nel suo insieme la complessa iconografia del Trittico eccede gli scopi del presente articolo. Ci limitiamo qui a far notare che nel pannello mediano, appena piĂš a destra del centro della composizione, sulla facciata di un palazzo gotico-rinascimentale che sorge dall’acqua, appare il minuscolo particolare di un orologio murale coi segni dello zodiaco intorno al quadrante, e il fondo cosparso da minuti punti luminosi (figg. ). Può trattarsi di un riferimento al famoso “astrariusâ€? di Gian Carlo e Gian Paolo Ranieri da Reggio, collocato nel su una torre appositamente costruita a Venezia, in Piazza San Marco, all’imboccatura delle Mercerie (fig. ).

Ana Maria Mesquita, Carmo et Pedro Antunes de Souza, Le triptyque de la Tentation de Saint Antoine de Jheronimus Bosch. La photographie et la rÊflectographie infrarouges dans la dÊtection du dessin sous-jacent, e Jeanne van Waadenoijen, The Lisbon Triptych by Jeroen Bosch: an annotation, entrambi in JÊrôme Bosch et son entourage et autres Êtudes, a cura di HÊlène Verougstraete e Roger Van Schoute, Leuven, Paris - Dudley (MA), Peeters, , rispettivamente alle pp. - e - .


GLORIA VALLESE

A partire dalla fine del Trecento, gli orologi meccanici avevano cominciato ad apparire in giro per l’Europa, ma al tempo di Bosch non erano ancora molto diffusi; è pertanto agevole constatare che solo una piccola parte di quelli esistenti all’epoca includeva la rappresentazione dello zodiaco, e solo quello di Venezia associava la rappresentazione dello zodiaco al manto di stelle in bronzo dorato su un prezioso fondo di azzurro oltremarino. Riproduzioni dell’orologio veneziano cominciano ad apparire subito dopo il ; ma il dettaglio delle stelle tradotto nel dipinto di Bosch in un vibrare di punti luminosi si direbbe una reminiscenza visuale diretta, piĂš che desunta da una stampa o da un disegno. L’orologio di Bosch ha anche un’altra singolaritĂ , forse in relazione con l’episodio raffigurato nel pannello di sinistra: tra tutti i segni zodiacali, appena accennati, uno solo è chiaramente delineato, il toro; la lancetta lo sottolinea, indicandolo allo spettatore. Nel pannello di sinistra del Trittico di Lisbona, in alto, ha luogo l’episodio del volo e della caduta di sant’Antonio: trascinato nell’aria da esseri mostruosi e provocato da acrobati osceni, il padre degli anacoreti resiste, rigido e come pietrificato nel suo atteggiamento di preghiera. Al centro, tramortito dopo il terribile volo, l’asceta viene ricondotto alla sua dimora da alcuni fedeli; a sostenerlo sono alcuni monaci antoniti, e un laico, che volge lo sguardo all’osservatore con espressione amara e risentita (fig. ). La Vita Antonii di sant’Atanasio menziona piĂš volte quest’amico che veglia a rispettosa distanza sulla vita del grande anacoreta. Dopo l’epica battaglia con i demoni che lo sollevano in aria e poi lo sbattono a terra con violenza, lasciandolo tramortito, è l’anonimo seguace a soccorrere Antonio, a riportarlo al villaggio, a medicare le sue ferite; ma l’asceta, riprendendo conoscenza dopo diverse ore, gli chiede soltanto, con brevi parole, di essere riaccompagnato al suo deserto. Le perifrasi suggeriscono di identificarlo con l’autore stesso della leggenda, sant’Atanasio; il quale piĂš tardi, divenuto vescovo di Alessandria, soleva indossare sotto i solenni paramenti pontificali la melòte (pelle di capra) consunta che era stata la veste di Antonio nelle solitudini.

Nicolò Erizzo, Relazione storico-critica della Torre dell’Orologio di San Marco in Venezia corredata di documenti autentici e inediti, Venezia, Tipografia del Commercio, ; Restauro della Torre dell’Orologio, a cura di Giandomenico Romanelli, Venezia, Musei Civici Veneziani, , p. . L’astrarius veneziano, meraviglia tecnologica della sua epoca, mostrava i moti dei pianeti, delle costellazioni e le fasi giornaliere e mensili della luna. Costruito in accordo al sistema tolemaico, subĂŹ nei secoli vari rimaneggiamenti che interessarono anche il quadrante, fino al recente restauro del - . I segni zodiacali e le stelle attualmente visibili sono originali del secolo XV, in rame sbalzato e dorato, sullo sfondo parzialmente preservato in blu oltremare. Un altro quadrante piĂš semplice, che include solo le ventiquattr’ore, ma richiama il caratteristico fondo blu a stelle dorate, si trova sulla facciata nord della Torre dell’Orologio, dal lato delle Mercerie; identico a quest’ultimo, il quadrante dell’orologio collocato nel cortile interno del Fondaco dei Tedeschi (figg. , ). Glossario, ad vocem, in Detti e fatti dei padri del deserto ( ), a cura di Cristina Campo, Piero Draghi, trad. it. Milano, Rusconi, ; [Atanasio], Vita di Antonio, introduzione di Christine


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Nel dipinto di Bosch, mentre il gruppo varca il ponticello che oltrepassa un rigagnolo, si moltiplicano intorno, quasi a stabilire un confronto, gli accenni a una religione moderna corrotta e degradata. In un celebre dettaglio, prelati bestiali incedono verso un corpo umano trasformato in un’osteria-bordello. Proprio sotto il ponticello, nell’acqua fangosa, un alto prelato (o papa?) grottesco appare in atto di cospirare con due compari inquietanti e ridacchia, leggendo insieme a loro un documento (figg. ). Immagini allusive a una generale iniquitĂ , ma in particolare all’aviditĂ e alla lussuria, si addensano intorno. Come il “pesce grosso mangia pesce piccoloâ€? che appare sulla sinistra: elevato a sistema, si direbbe, e tradotto in una perversa, carnevalesca macchina da guerra, oscena e viscida, che sembra materializzarsi d’un tratto nel mezzo del sentiero. In primo piano, la desolazione dilaga: a sinistra, un uccello-mostro ingoia i suoi nati appena escono dall’uovo; a destra, un altro uccello mostruoso, incedendo azzardatamente su pattini sopra una crosta di ghiaccio sottile, mette in evidenza il messaggio che porta infilato nel suo becco storto, forse destinato proprio al cattivo prelato immerso nel fango del rigagnolo (figg. ). Chi sono questi personaggi? Nonostante la forte deformazione caricaturale, alcuni di essi presentano fisionomie particolari e ben caratterizzate. Con le sue insolite orecchie a foglia di cavolfiore, ad esempio, il prelato sotto il ponte sembra trovare corrispondenza nel noto disegno per la figura di un papa (Berlino, Staatliche Museen, KDZ ), che DĂźrer eseguĂŹ a Venezia nel , in preparazione per la sua Pala del Rosario (fig. ). Com’è noto, il dipinto, commissionato nel per la chiesa di San Bartolomeo a Rialto, chiesa nazionale della comunitĂ germanica a Venezia, era destinato a celebrare un munifico gesto della Serenissima: il Fondaco dei Tedeschi, distrutto da un incendio nella notte del gennaio , era stato ricostruito a tempo di record a spese della Repubblica veneziana, e veniva da essa donato alla comunitĂ dei mercanti d’oltralpe (figg. ). La Pala del Rosario di DĂźrer è pervenuta fino a noi e mostra il Papa e l’Imperatore inginocchiati ai piedi del trono della Vergine, con un importante seguito di personalitĂ veneziane e tedesche. Lo stato di conservazione, purtroppo, è molto mediocre; vaste aree della superficie originale, cadute, sono state sostituite da pesanti ridipinture che hanno interessato anche i volti di numerosi protagonisti (fig. ). Mohrmann, testo critico e commento a cura di Gerhardus J.M. Bartelink, trad. it. di Pietro Citati e Salvatore Lilla, Roma-Milano, Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori, . Albrecht DĂźrer, Lettere da Venezia, a cura di Giovanni Maria Fara, Milano, Electa, , pp. - e nota ; Fedja Anzelewsky, Hans Mielke, Berliner Museen Preussischer Kulturbesitz / Albrecht DĂźrer, Kritischer Katalog der Zeichnungen, Berlin, Hartmann, , scheda , Kopf des Papstes aus dem Rosenkrantzfest. Su DĂźrer a Venezia e la Pala del Rosario: Ludwig Grote, Albrecht DĂźrer. Reisen nach Venedig, MĂźnchen, Prestel, ; Katherine Crawford Luber, Albrecht DĂźrer and the Venetian Renaissance, Cambridge (MA), Cambridge University Press, . Albrecht DĂźrer, The Feast of the Rose Garlands - , a cura di Olga KotkovĂĄ, Praga, NĂĄrodni Galerie v. Praze, . Sul rapporto tra disegni preparatori e disegno soggiacente rivelato


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Sussistono peraltro i molti affascinanti disegni, ricchi di notazioni realistiche, con cui DĂźrer si preparò, con la diligente applicazione che gli era propria, all’esecuzione dei singoli personaggi. Per dare un volto all’imperatore Massimiliano I, che doveva divenire il maggiore committente dei suoi anni maturi, DĂźrer si basò su un disegno di Ambrogio De’ Predis, il collaboratore di Leonardo; l’artista milanese aveva avuto occasione di ritrarre dal vivo l’imperatore accompagnando in Austria la principessa Bianca Maria Sforza, nipote di Ludovico il Moro, andata sposa a sua maestĂ cesarea nel . Per quanto riguarda invece l’effigie del Papa, il profilo dal naso ricurvo e mento sfuggente corrisponde a quello di Alessandro VI nelle monete, medaglie e nei ritratti ufficiali a noi noti (dove però le orecchie risultano sempre accuratamente nascoste, o di forma regolare). Nel disegno di DĂźrer, il dettaglio delle orecchie di forma cosĂŹ inusuale sembrerebbe rispondere a un intento veridico, ma non sappiamo a quale fonte l’artista abbia attinto (tav. II). Nel dipinto, oggi a Praga, le orecchie grottesche permangono, ma il profilo è divenuto quello di Giulio II, succeduto nel ad Alessandro, dopo il breve interregno del senese Pio III. Come provano le copie antiche, il cambio d’identità è imputabile a un’iniziativa d’intento devoto del restauratore ottocentesco, che peraltro ha preservato le esecrabili orecchie. Il prelato di Bosch indossa la mozzetta rossa, ma il suo zucchetto (un copricapo che viene anche detto solideo, perchĂŠ si toglie solo dinanzi a Dio) non è dello stesso rosso come sarebbe proprio del papa, oppure bianco, ma del particolare viola paonazzo che tuttora contraddistingue i vescovi. All’epoca queste distinzioni non erano forse ancora cosĂŹ rigorose come divennero in seguito, ma è possibile che il dettaglio non sia casuale. Di un presunto patto col diavolo fatto dal futuro papa Alessandro quand’era ancora vescovo si conserva memoria in un testo teatrale popolare italiano, modellato probabilmente su leggende correnti. La grottesca storiella narra che Rodrigo Borgia, certo di gabbare anche il diavolo, aveva sottoscritto un patto col maligno, apparsogli nelle sembianze di un misterioso abate, promettendogli l’anima in cambio del pontificato. AllorchĂŠ però il diavolo si presentò, molto prima del tempo stabilito, per riscuotere il suo premio, si trovò a non poterlo fare, perchĂŠ papa Alessandro si era premunito e portava a contatto del suo corpo, sotto le vesti, certe sante reliquie dalle quali non si separava mai e che per allora tennero a distanza l’avversario. Ma venendo infine a morte, ne fu spogliato; la notte stessa un enorme cane nero che abbaiava senza tregua e un infernale strepito sul tetto annunciarono l’impazienza del

dalla riflettografia all’infrarosso, e sul metodo artistico di DĂźrer nel comporre il dipinto, K. Crawford Luber, Albrecht DĂźrer, cit., in part. pp. - . Albrecht DĂźrer, The Feast of the Rose Garlands, cit., in part. pp. , - , dove è presentato uno schema delle parti originali conservate a cura della restauratrice PaulĂ­na StrnadovĂĄ; Olga KotkovĂĄ, ‘The Feast of the Rose Garlands’: what remains of DĂźrer?, ÂŤThe Burlington MagazineÂť, CXLIV, , , pp. - .


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maligno. Gli accudienti, spaventati, lasciarono solo il corpo, che sarebbe scomparso insieme al cane nero, nĂŠ sarebbe stato mai piĂš ritrovato. Per strano che possa sembrare, considerata la rilevanza storica della Pala del Rosario, solo un piccolo numero di altri personaggi è stato finora identificato con certezza. Inequivocabile lo stesso DĂźrer, che appare sotto l’albero in secondo piano a destra, coi lunghi capelli inanellati e un elegante abito italiano, reggendo il cartello in maiuscole latine che gli attribuisce la paternitĂ del dipinto: ÂŤEXEGIT QUINQUEMESTRI SPATIO ALBERTUS DĂœRER GERMANUS MDVI ADÂť. Un altro personaggio sulla cui identificazione tutti concordano è l’architetto incaricato della ricostruzione del Fondaco: individuato dalla squadra che tiene in mano, si trova subito accanto all’uomo in azzurro inginocchiato alle spalle dell’imperatore. Anche il volto dell’architetto purtroppo è molto restaurato; e anche in questo caso, un piĂš puntuale riferimento è costituito dal disegno preparatorio, tra i capolavori della ritrattistica del maestro (Berlino, Staatliche Museen, KDZ , fig. ) . Scrive Erwin Panofsky: L’architetto vicino al margine destro, i cui tratti nervosi e la cui suprema indifferenza alla trascuratezza del proprio aspetto formano uno strano contrasto con l’ambiente maestoso, può essere identificato come maestro Hieronymus, il costruttore del nuovo Fondaco dei Tedeschi: il disegno dal vero che ci è pervenuto è un capolavoro di penetrante caratterizzazione.

Il misterioso “Hieronymo Thodeschoâ€? (o “Todeschoâ€?) è un personaggio che gli storici dell’architettura non sono ancora riusciti a individuare con certezza tra le personalitĂ note; il che non ha mancato di causare perplessitĂ . Strano infatti che una commessa di livello cosĂŹ alto e politicamente cosĂŹ sensibile come il Fondaco sia potuta andare a una figura non altrimenti nota, o non abbia lasciato traccia alcuna nelle biografie di personalitĂ conosciute; come è il caso di quel Hieronymus van Augsburg che viene spesso citato al riguardo, ma che nulla mostra di avere in comune – a parte la coincidenza del nome – con la costruzione veneziana. L’ignoto tedesco non sembra, peraltro, aver lasciato una particolare impronta nella costruzione e la sua vicenda a Venezia non fu, forse, del tutto serena. “Hieronymo Thodeschoâ€? viene incaricato del progetto a seguito di una pressante richiesta ufficiale (ÂŤgrande istanziaÂť) della comunitĂ germanica, cui la Serenissima delibera di accondiscendere, considerando – si dichiara – che in definitiva

Alessandro D’Ancona, Origini del teatro in Italia, seguite da un’appendice sulle rappresentazioni del contado toscano, Firenze, Successori Le Monnier, , p. Fedja Anzelewsky, Hans Mielke, Berliner Museen Preussischer Kulturbesitz. Albrecht DĂźrer, Kritischer Katalog der Zeichnungen, Hartmann, , scheda (“Bildnis Eines Baumeistersâ€?). Erwin Panofsky, La vita e l’opera di Albrecht DĂźrer ( ), trad. it. di C. Basso, Milano, Abscondita, p. .


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- . Jheronimus Bosch, Santa crocifissa, trittico, insieme e particolari, firmato nel pannello centrale Jheronimus Bosch, Venezia, Palazzo Grimani (Š foto Scala, Firenze, su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali).


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. Vittore Carpaccio, Incontro dei fidanzati e partenza dei pellegrini, dal Ciclo di Sant’Orsola, part., tempera su tela, firmato e datato , Venezia, Gallerie dell’Accademia (Š foto Scala, Firenze, su concessione del Ministero per i Beni e le AttivitĂ Culturali).


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Vittore Carpaccio, Miracolo della Croce a Rialto, particolari, tempera su tela, Venezia, Gallerie dell’Accademia (Š foto Scala, Firenze, su concessione del Ministero per i Beni e le AttivitĂ Culturali).


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. Jheronimus Bosch, Trittico degli Eremiti, part. del pannello sinistro, olio su tavola, firmato nel pannello centrale Jheronimus Bosch, Venezia, Palazzo Grimani (Š foto Cameraphoto / Scala, Firenze). . Jheronimus Bosch, Allegoria (Il Bosco che sente e vede), disegno a penna e bistro, Berlino, Staatliche Museen - Preussischer Kulturbesitz, Kupferstichkabinett, KDZ r (Š foto Scala, Firenze / BPK - Bildagentur fßr Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin).


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. Jheronimus Bosch, San Gerolamo in preghiera, olio su tavola, Gand, Museum voor Schone Kunsten (foto Scala, Firenze).


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Jheronimus Bosch, Tentazioni di sant’Antonio, trittico, insieme a sportelli aperti, olio su tavola, firmato nel pannello centrale Jheronimus Bosch, Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga (De Agostini Picture Library / Scala, Firenze).


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Jheronimus Bosch, Tentazioni di sant’Antonio, trittico, part. del pannello centrale, Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga (De Agostini Picture Library / Scala, Firenze) . . Jheronimus Bosch, Trittico degli Eremiti, pannello sinistro, part., Venezia, Palazzo Grimani (Š foto Cameraphoto / Scala, Florence, su concessione del Ministero per i Beni e le AttivitĂ Culturali).


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. Jheronimus Bosch, Tentazioni di sant’Antonio, trittico, part. del pannello centrale, Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga (De Agostini Picture Library / Scala, Firenze).


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. Jheronimus Bosch, Tentazioni di sant’Antonio, trittico, part. del pannello centrale, Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga (foto José Pessoa, Instituto Português de Museus, Divisão de Documentação Fotográfica). . Gian Paolo e Gian Carlo Ranieri da Reggio, orologio, quadrante verso la piazza, , Venezia, Torre dell’Orologio (foto John Volpato). . Gian Paolo e Gian Carlo Ranieri da Reggio, orologio, quadrante verso le Mercerie, Venezia, Torre dell’Orologio (foto Paolo della Corte).


GLORIA VALLESE

. Venezia, Fondaco dei Tedeschi, facciata verso il Canal Grande (foto Paolo della Corte). . Venezia, Fondaco dei Tedeschi, interno (foto Paolo della Corte). . Venezia, Fondaco dei Tedeschi, orologio (foto Paolo della Corte).


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Albrecht Dßrer, Pala del Rosario, olio su tavola, firmato e datato nel pannello centrale, Praga, Nårodní Galerie (foto Scala, Firenze). . Jheronimus Bosch, Tentazioni di sant’Antonio, trittico, part. del pannello sinistro, Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga (foto Scala, Firenze).

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. Albrecht DĂźrer, Testa del papa per la Pala del Rosario, penna, inchiostro e biacca su carta azzurra veneziana, monogrammato “ADâ€? e datato , Berlino, Staatliche Museen-Preussischer Kulturbesitz, Kupferstichkabinett, KDZ (foto JĂśrg P. Anders). . Jheronimus Bosch, Tentazioni di sant’Antonio, trittico, part. del pannello sinistro, Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga (foto Scala, Firenze). . Albrecht DĂźrer, Ritratto di architetto per la Pala del Rosario, disegno, Berlino, Staatliche MuseenPreussischer Kulturbesitz, Kupferstichkabinett, KDZ (foto JĂśrg P. Anders). . Jacques Le Boucq (attribuito a), Ritratto di Jheronimus Bosch, dal Recueil d’Arras, iscrizione coeva ÂŤJeronimus Bos painctreÂť, carboncino e pastello rosso su carta, Arras, Bibliothèque de la ville, MS , f. (Š foto Scala, Firenze).


GLORIA VALLESE

. Jheronimus Bosch, Tentazioni di sant’Antonio, trittico, particolari del pannello sinistro, Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga (foto Scala, Firenze).


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6 7. Jheronimus Bosch, Tentazioni di sant’Antonio, trittico, particolari del pannello sinistro, Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga. 6 7 Jheronimus Bosch (atelier), Tentazioni di sant’Antonio, trittico, particolari del pannello sinistro, Bruxelles, MusÊes Royaux des Beaux-Arts, inv. (foto J. Geleyns - RoScan, Bruxelles).


GLORIA VALLESE

. Testo della deliberazione del Senato del giugno che affida a ÂŤHieronymo ThodeschoÂť la ricostruzione del Fondaco, Archivio di Stato di Venezia, Senato di Terra, reg. , c. v (foto ASV).


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Palmette e perle, dall’alto a sinistra in senso orario: Bosch, Trittico degli Eremiti, Venezia, Palazzo Grimani, due particolari; Trittico della Santa Crocifissa, Venezia, Palazzo Grimani; Carpaccio, Il Miracolo della Croce a Rialto, Venezia, Gallerie dell’Accademia; Bosch, Trittico della Santa Crocifissa; San Giovanni Evangelista a Patmos, Berlino, Staatliche Museen (Š foto Scala, Firenze / BĂśhm/BPK Bildagentur fĂźr Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin).


II.

Orecchie di papa Alessandro VI, dall’alto a sinistra, in senso orario: Pinturicchio, Vaticano, Appartamento Borgia, part.; Scuola spagnola, sec. XVI, Roma, Pinacoteca Vaticana; Anonimo tedesco, sec. XVI, Dijon, MusĂŠe des Beaux-Arts (in controparte); Bosch, trittico di Lisbona, part.; DĂźrer, disegno per la testa del Papa, part., Berlino, Staatliche Museen, KDZ ; Anonimo, Ritratto di Alessandro VI, Firenze, Uffizi (Š foto Scala, Firenze; De Agostini Picture Library / Scala, Firenze; Kupferstichkabinett Staatliche Museen zu Berlin).

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III.

Naso di Bosch, dall’alto a sinistra, in senso orario: Albrecht DĂźrer, Ritratto di “Hieronymo Thodeschoâ€?, estruso in grafica D e ruotato in posizione frontale (Š Tim Faltemier & Bob Schmitt, ); copia da presunto ritratto di Bosch, dal Recueil d’Arras di Jacques le Boucq, estruso in grafica D e ruotato in posizione frontale (ŠTim Faltemier & Bob Schmitt, ); presunto autoritratto nel cosiddetto uomo-albero del Giardino delle delizie, in controparte, Madrid, Museo del Prado, estruso in grafica D (ŠTim Faltemier, Bob Schmitt, ); presunto autoritratto come “amico del Santoâ€?, Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio, pannello sinistro, ruotato di circa ° in senso antiorario e in controparte, Lisbona; Albrecht DĂźrer, Ritratto di “Hieronymo Thodeschoâ€? (foto JĂśrg P. Anders). Per agevolare il confronto, i due autoritratti sono stati rovesciati specularmente, in modo da raffigurare il volto nello stesso verso dei ritratti. Nelle immagini si osserva la frattura che ha deviato il setto nasale, causando una rientranza sul lato sinistro rispetto a chi osserva e l’emergere di una sporgenza carnosa dal lato opposto; le narici sono a livello asimmetrico, la destra rispetto a chi guarda piĂš alta. Setto deviato, sporgenza e narice sollevata si osservano anche nel ritratto di DĂźrer e (nonostante le dimensioni minori e il ductus piĂš sintetico) anche nel possibile “autoritrattoâ€? del Trittico di Lisbona.


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il dono del Fondaco viene fatto per compiacere i mercanti d’Oltralpe e importa che sia soprattutto gradito e utile a loro. Nelle note del diarista Marin Sanudo, che si estendono lungo l’arco di diversi mesi, la Serenissima appare divisa tra il desiderio di accattivarsi il favore della potente comunitĂ tedesca in una congiuntura internazionale oltremodo delicata e quello di mantenere il controllo sul progetto. Questione d’importanza era infatti l’esterno del Fondaco, che sarebbe venuto a trovarsi in uno dei punti piĂš visibili della cittĂ , ai piedi del ponte di Rialto; ma non meno delicata era la ridefinizione degli spazi interni, sui quali sarebbe andata a riflettersi la partita diplomatica e di potere in atto, che vedeva i mercanti di Augusta capitanati dai Fugger in ascesa, da una parte, e dall’altra quelli di Norimberga e di tutte le altre cittĂ germaniche. Comunque sia, la commessa a “Hieronymo Thodeschoâ€? viene ufficializzata dal Senato veneto il giugno ; l’uomo del disegno veneziano di DĂźrer (monogrammato e datato ) riappare anche nella Pala del Rosario, terminata fra il agosto e l’ settembre di quell’anno. L’ignoto cui questo volto corrisponde viene quindi, a tutti gli effetti, celebrato dal dipinto commemorativo come responsabile del Fondaco ricostruito. Nella realtĂ storica però, a quanto risulta, le cose andarono diversamente. Dopo il suo trionfo nominale, infatti, “Hieronymo Thodeschoâ€? scompare dalla storia del Fondaco e al suo posto riaffiora, nelle cronache della conduzione dei lavori, un veneziano, il concorrente sconfitto Giorgio Spavento, il potente protho di San Marco (ovvero l’architetto in capo della Serenissima), a cui il progetto rimane in pratica affidato. Scrive McAndrew nella sua Storia dell’Architettura: Quello che è certo, è che nel furono presentati dei modelli, due di Spavento e uno di “Hieronymo tedescoâ€?, un tedesco altrimenti sconosciuto, di cui come architetto si sono poi perse le tracce. Il suo schema fu preferito a entrambi quelli di Spavento per la sua composizione elegante e ingegnosa [...]. Gerolamo il Tedesco potrebbe aver avuto un ruolo equivalente a quello di Celestro il Toscano nelle Procuratie; in altre parole egli può aver concepito la generale disposizione degli spazi. I tedeschi, cortesemente consultati, preferirono naturalmente il loro compatriota. In quanto straniero, egli doveva essere affiancato da un veneziano, o meglio sottoposto a un veneziano, e quello prescelto fu Spavento, proto dei potenti Procuratori. Troppo impegnato per potersi dedicare esclusivamente a questo nuovo grande progetto, egli scelse come sostituto soprintendente Scarpagnino, per il quale richiese ed ottenne il doppio della paga abituale [...]. PiĂš congeniale come mentalitĂ ai mercanti tedeschi , giugno: ÂŤFu posto, et visto im Pregadi, li modeli dil fontego di todeschi; che ’l colegio habi libertĂ di comprar quelle caxe lĂŹ atorno, a ducati [...] per cento, e se li pagi di danari di la Signoria nostra, acciò si grandissa e fazi piĂš belo il fontego; et che, examinato il colegio ben li modelli dil Spavento e dil Todescho, poi si vegni a PregadiÂť; a di’ : ÂŤFu posto, per li savij, parte zercha il fontego di todeschi; sier Antonio Trun, savio dil consejo, andò in renga, dicendo quest’altra septimana si verĂŹa con le opinion; et cussĂŹ fo indusiato. Et noto, il colegio Ă comprĂ le caxe lĂŹ a presso, a raxon di per Âť, Marin Sanuto, Diarii, t. VI, a cura di Guglielmo Berchet, Venezia, , c. e passim.


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di qualsiasi italiano, Gerolamo (o Hieronymus) si sarebbe trovato nella situazione piĂš adatta a realizzare un programma pratico, attuando una funzionale disposizione degli spazi, e stabilendone dimensione e accostamenti. Solo Spavento, tra i suoi contemporanei veneziani, non avrebbe sofferto per le restrizioni imposte dal Senato e avrebbe potuto trovare la forma piĂš adatta a rivestire, in un insieme armonioso, le idee pratiche di Gerolamo.

In realtĂ , la decisione dovette risultare meno indolore di quanto appaia da questa lettura dei fatti. Come attestano i diari del Sanuto, infatti, il tedesco e Giorgio Spavento presentarono la loro visione sia dell’interno che dell’esterno del nuovo Fondaco, attraverso i rispettivi modelli, che furono allestiti in Palazzo Ducale e attentamente esaminati dal Consiglio. Si venne cosĂŹ ai termini molto calcolati della deliberazione finale del giugno . Dopo alcune lodi di maniera, essa assegna il progetto al tedesco, ma in pratica lo costringe a rivedere/annientare il suo intero disegno esterno. Il progetto viene assegnato a lui, e si precisa che sia la costruzione che eventuali modifiche e adattamenti futuri, sia da parte veneziana che tedesca, dovranno scrupolosamente attenersi al suo modello; ma poi parte la richiesta di una significativa serie di varianti. Gli viene innanzitutto prescritto di circoscrivere il perimetro della nuova costruzione con ambienti da adibire a botteghe e magazzini aperti verso l’esterno, ÂŤcome sta negli altri modelliÂť (ovvero i due presentati da Giorgio Spavento); dettaglio rilevante, perchĂŠ la cittĂ se ne sarebbe riservata il lauto affitto. Cosa forse piĂš importante, gli viene vietato di dare all’erigendo Fondaco connotati palaziali, ordinandogli senza mezzi termini e con dettagliate prescrizioni di ricondurre l’esterno ai tratti tipici, dimessi e disadorni, della costruzione utilitaria veneziana: nudo laterizio e, dove occorre, pietra bianca semplicemente squadrata e martellata al grezzo, nient’altro (ÂŤdove la caderĂ , far se debi in piera viva batuda de grosso et da benÂť). Gli viene proibito espressamente, in particolare, l’utilizzo di ornamenti e trafori “de marmoroâ€? (ÂŤnon se possi in esso fontego far cossa alcuna de marmoro, nĂŠ et laoriero alcuno intagliado de straforo, over altro per alcun modoÂť; si veda il testo integrale, riprodotto qui di seguito, p. ). Ne risulta perciò, stando ai termini della deliberazione, un edificio nudamente funzionale, sul genere dell’umile Fondaco del Megio, o altre strutture simili tuttora esistenti: uno scatolone di mattoni rossi, merlato, con semplici rinforzi di pietra bianca agli spigoli. Dimesso al punto da presentare un profilo forse fin troppo basso per il Canal Grande in quel punto, tanto che nel giro di pochi anni la Signoria penserĂ bene di rendere l’esterno piĂš rappresentativo intonacando la facciata e adornandola con gli affreschi moderni di Giorgione e Tiziano, di cui oggi si conservano soltanto esigui frammenti. John McAndrew, L’architettura veneziana del primo Rinascimento ( ), trad. it. Venezia, Marsilio, . M. Sanuto, Diarii, cit, c. e passim.


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Di fatto, quindi, al Tedesco viene concesso di operare a suo modo solo nella distribuzione degli ambienti interni, su cui Venezia concede opportunamente mano libera agli ospiti transalpini (fornendo, con l’occasione della radicale innovazione, un probabile assist ai potenti Fugger, che andranno a occupare le stanze e della nuova costruzione). Ecco i termini della deliberazione (fig. ), che val la pena di rileggere per intero: Havendose cum diligentia visti et ben esaminati i modeli del fontego di Thodeschi apresentadi alla Sig.ria Nostra; et considerĂ non esser gran differentia di spesa da luno et laltro: l’è ben conveniente satisfar a la grande Instantia facta p. li mercadanti de esso fontego; i quali dovendo esser quelli che lo hanno a galder et fruir, hanno supplicato se voglj tuor el modello fabricado per uno dei suoi nominato Hieronymo, homo intelligente et practico, per esser non manco de ornamento di questa cittĂ et utele de la Sig.ria Nostra, che comodo ad loro, sĂŹ per la Nobel, et Ingeniosa composizione et constructione de quello, come per la quantitĂ e qualitĂ de le camere, magaceni, volte et botteghe se faranno in esso, delle qual tute se tracerĂ ogni anno de affitto bona summa de denari. Perhò andrĂ parte per autoritĂ de questo consiglio la fabrica del fontego soprascritto far se debbi iuxta el modello composto per el prefato Hieronymo Thodescho, et accadendo quello conzar over modificar in parte alcuna ad beneficio della Sig.ria Nostra et comodo delle mercadantie, haveranno ad star in esso: sia dĂ libertĂ al colegio Nostro a bossoli e ballotte, passando i do terci, posserlo fare sĂŹ come li parerĂ expediente, cum questo però, che la faça et rive da la banda davanti non sia in parte alcuna alterada nĂŠ mossa, immo sia facta et reducta secondo la forma de esso modello, tuttavolta chel no se possi venir piĂš fuori in Canal grando cum li scalini de le Rive de quello è al presente la fondamenta. Et ulterius, dove da basso sono magaceni da la parte de fuori, Redur si debbi in tante botege, et volte, come stanno i altri modelli: nĂŠ se possi in esso fontego far cossa alcuna de marmoro, nĂŠ et laoriero alcuno intagliado de straforo, over altro per alcun modo; ma dove la caderĂ , far se debi de piera viva batuda de grosso et da ben, sĂŹ come serĂ bisogno.

Viene da chiedersi se, in mancanza di altri candidati credibili, non valga la pena di provare a far coincidere il misterioso maestro “Hieronymo Thodeschoâ€? con l’artista neerlandese Hieronymus van Aken, alias Bosch. Si deve tener conto che, in quel torno d’anni, il mondo tedesco, quello neerlandese e quello spagnolo erano, per ragioni dinastiche, strettamente interrelati. Al momento dei fatti, Bosch aveva appena ricevuto una commessa di rilievo dal reggente asburgico dei Paesi Bassi Filippo il Bello, figlio dell’imperatore Massimiliano (settembre ). A partire da marzo , l’imperatore risiede per diversi mesi nei Paesi Bassi, presso Filippo, cui era andato a dar man forte nella guerra di Gheldria; l’ambasciatore veneziano vedeva pressochĂŠ quotidianamente entrambi. Sempre nel , Filippo dona al padre un dipinto delle Tentazioni di sant’Antonio, verosimilmente di Bosch; altri dipinti dell’artista sono documentati prima del nelle collezioni di

Venezia, Archivio di Stato, Senato di Terra, reg. , c. v.


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Isabella di Spagna, suocera di Filippo. Bosch ha tra i suoi committenti e collezionisti, in quel momento e in seguito, gli intimi dell’arciduca alla corte di Bruxelles: la sorella Margherita d’Austria, il conte Hendrick III di Nassau-Breda e don Diego De Guevara, raffinato e colto gentiluomo spagnolo-fiammingo, maestro di casa di Filippo, e ÂŤuno de li cari habbia sua maestĂ Âť. Fra il e il , don Diego risulta iscritto alla Confraternita di Nostra Signora a ’s-Hertogenbosch, la stessa di cui il nostro pittore fece parte per tutta la vita e della quale divenne uno dei notabili; è quella l’occasione in cui si presume che abbia commissionato a Jheronimus il Carro di fieno oggi al Prado, databile al - . Di discendenza spagnola, ma nato nelle Fiandre, presumibilmente prima del , don Diego De Guevara fu un diplomatico e negoziatore d’alto rango, tra i piĂš attivi fautori dell’avvicinamento tra la casa d’Asburgo e quella dei re cattolici. Nel , don Diego aveva preparato il doppio matrimonio tra Giovanni di Castiglia e Margherita d’Austria da una parte, e Filippo il Bello e l’infanta Giovanna la Pazza dall’altra. Oratore della Serenissima presso Filippo il Bello in quegli anni è un personaggio abbastanza sorprendente: quel giovanissimo Vincenzo Querini, dottore in lettere, molto erudito e fluente nell’eloquenza latina, che coltivava un’ardente inclinazione per un rinnovamento profondo nel mondo cristiano e per la vita ascetica, tanto che, avendo fatto voto di castitĂ fin dal , abbandonò il mondo e prese a vivere come eremita camaldolese nel . A partire dal marzo , quando presenta le sue credenziali a Filippo il Bello ad Hagenau presso Strasburgo, dove l’arciduca si intratteneva attendendo l’arrivo dell’imperatore, Vincenzo Querini aggiorna assiduamente la Signoria sull’incontro e i colloqui tra l’imperatore Massimiliano, il figlio Filippo e la nuora Giovanna. Nell’agosto-settembre, da ’s-Hertogenbosch, egli riferisce in dettaglio le loro giornate, che trascorrono tra ricevimenti, giostre e banchetti, seguendo quindi le loro maestĂ a Bruxelles ( settembre).

ÂŤSeptembre l’an XVC quatre A Jeronimus van Aeken dit Bosch paintre de(meurant) au Bois le Duc la somme de trente-six livres dudict pris en prest et paiement a bon compte sur ce qu’il pouvoit et pourroit etre deu sur ung grant tableau de paincture de neuf pietz de hault et onze pietz de long, ou doit estre le Jugement de dieu assavoir paradis et infer que icellui (Seigneur) lui avoit ordonnĂŠ faire pour son tres noble plaisir. Pour ce icy par sa quictancy rend(ue) ladicte somme de xxxvj l(ivres)Âť. Rijssel, Archives dĂŠpartementales du Nord, Archives du Nord, cĂ´te B. , f. v. G.C.M. Van Dijck, Op zoek naar Jheronimus van Aken, cit., pp. - : . Il dipinto in questione non è stato identificato con certezza tra quelli pervenuti; ma i termini della commessa, cioè un Giudizio finale “assavoir Paradis et Enferâ€?, che l’alto committente ordina “pour son trĂŠs noble plaisirâ€?, fanno pensare che l’artista avesse giĂ stabilito l’altro dei filoni di genere che, assieme alle Tentazioni di sant’Antonio, l’avrebbero reso famoso a raggio europeo: i Giudizi finali che da quadri da chiesa si trasformano in dipinti di meditazione laica, rassegne in tre fasi delle follie che caratterizzano il passaggio dell’umanitĂ sulla terra, come il Carro di fieno e il Giardino delle delizie. Vincenzo Querini, Dispaccio da Hagenau, aprile , in Die Depetschen der Venetianischen Botschafters Vincenzo Quirino, a cura di Constantin R. von HĂśfler, ÂŤArchiv fur Ă–sterreichischen GeschichteÂť LXVI, , pp. - , scheda , p. .


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In seguito, partito l’imperatore, Vincenzo Querini accompagna Filippo nel suo viaggio in Inghilterra e quindi in Spagna, dove il sovrano andava per far valere i suoi diritti ereditari sul regno di Castiglia; ivi, a Barcellona, concluderĂ la sua missione nell’agosto del . Oratori della Serenissima presso l’imperatore Massimiliano furono Francesco Cappello e Pietro Pasqualigo; alla corte di Spagna, quel Gerolamo Contarini che, con Vincenzo Giustiniani e lo stesso Querini, forma a Venezia il gruppo di punta della preriforma. Questi umanisti sinceramente cristiani, preoccupati del rinnovamento della Chiesa, trovarono probabilmente molto consentaneo al loro gusto e alla loro sensibilitĂ il mondo tedesco e quello dei Paesi Bassi, che dello spirito della preriforma erano giĂ cosĂŹ pervasi. Alcuni di questi personaggi si immaginano bene come destinatari ideali di dipinti di Bosch sul tema degli eremiti o dei suoi cosiddetti “disegni umanisticiâ€?, giĂ citati: l’allegoria Il bosco che sente e vede, le Tre civette, o la Visione dell’uomo-albero (in cui è un minuscolo anacoreta nascosto tra le rupi a contemplare la paradossale apparizione del mostro che si staglia enorme nel paesaggio). Se mai Jheronimus van Aken, alias Bosch, visitò Venezia, sembra piĂš che naturale che abbia gravitato intorno al Fondaco dei Tedeschi e alla chiesa di San Bartolomeo, e che abbia avuto rapporto con la locale comunitĂ dei transalpini, tedeschi e neerlandesi, oltre che con la societĂ veneziana. Concedendo qualche tempo per la realizzazione dell’importante Giudizio finale per Filippo il Bello, si arriverebbe intorno al - come epoca per il possibile viaggio a Venezia. Ăˆ quello, in effetti, il momento piĂš verosimile per il gruppo delle cosiddette “pale eremiticheâ€? che include anche i dipinti di Palazzo Grimani; quando le attinenze con la pittura veneziana, in particolare con Giorgione, sembrano farsi piĂš intense e dirette, e la circolazione di motivi tra Bosch, Leonardo, DĂźrer e l’ambiente veneto diviene piĂš che mai evidente. Prove documentarie del passaggio di Bosch a Venezia non sono finora emerse; ma, per nuovi indizi al riguardo, rimane da riconsiderare l’evidenza stilistica offerta dai dipinti stessi, ben lontana ancora dall’essere esplorata per intero. L’edificio del trittico di Lisbona su cui spicca l’orologio zodiacale, trasformato in un albergo di lusso per gaudenti, è forse l’immagine del Fondaco veneziano come Bosch l’aveva immaginato? La veemenza e l’ironia amara e graffiante che si leggono nel dipinto sono forse innescate da uno spunto autobiografico? Nello sportello di sinistra, il perfido uccello in primo piano reca appuntato sulla spalla uno scudetto che lo designa come messaggero (fig. ). Lo stemma nello scudetto non è stato identificato finora, ma osserviamo che la figura che vi appare, in nero su fondo oro, è quella nota in araldica come archipenzolo (o archipendolo). Si tratta di una squadra munita di filo a piombo, uno strumento usato da architetti e capomastri fin dall’antichitĂ per controllare l’orizzontalitĂ dei piani, la giustezza degli angoli, alcuni tipi di allineamenti ecc. Dai mosaici pom-


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peiani fino al secolo XIX, l’archipendolo appare molto di frequente come simbolo dell’architettura (e talora, in senso figurato, della giustizia e della rettitudine). Il breve infilato nel becco reca la parola, scritta a rovescio e variamente interpretata finora, “protioâ€? (o “prothoâ€?, leggendo il segno dopo la “tâ€? come “hâ€? connessa da una legatura alla “oâ€? che segue; figg. A-B). Ăˆ possibile che questo bieco animale alluda al “prothoâ€? di San Marco? Bosch non gli attribuisce connotati positivi; per lui è uno stolto ingannatore (come indica l’imbuto azzurro in testa) che procede spericolatamente sul ghiaccio sottile (proverbiale indice di imprudenza in ambito neerlandese), in atto forse di tramare col bestiale prelato sotto il ponticello. In una copia del dipinto ai MusĂŠes Royaux des Beaux Arts di Bruxelles, l’iscrizione sul breve che l’uccello porta nel becco è sostituita da una diversa, che ha finora eluso i tentativi di interpretazione; forse perchĂŠ si tratta di una parola italiana, anche in questo caso scritta a specchio e a rovescio. Suggerisco di leggervi “smaniosiâ€? (ovvero “pazzi, dissennatiâ€?); l’inizio della parola è un po’ consunto, ma le lettere interpolate ad alcune eleganti minuscole cancelleresche (come la “sâ€? molto allungata) sono capitali romane, ulteriore tratto allusivo al mondo italiano (figg. A-B). Quanto all’“amico di Antonioâ€?, il personaggio che, ostentando un ginocchio denudato, simbolo d’iniziazione, incede al centro del pannello aiutando a sorreggere il santo e guarda fuori dal dipinto con espressione amara e risentita, si tratta di una delle figure tradizionalmente considerate autoritratto ideale dell’artista (cosĂŹ come il viandante all’esterno del trittico del Carro di fieno, il Figliol prodigo di Rotterdam, e l’uomo-albero presente nel disegno dell’Albertina e nel pannello destro del Giardino delle delizie). Ăˆ soprattutto l’atteggiamento di testimone turbato di questo personaggio, che si distacca dalla rappresentazione per una sorta di appello diretto all’osservatore, che ha indotto a vedere nel suo singolare volto incavato e dalla fisionomia angolosa un autoritratto dell’artista. Si tratta peraltro, anche in questo caso, di materia congetturale; non sono infatti pervenuti ritratti certi di Jheronimus Bosch coi quali effettuare un confronto. Unica possibile testimonianza circa le fattezze del maestro di ’s-Hertogenbosch viene considerato un disegno incluso nel cosiddetto Recueil d’Arras, album in cui il francese Jacques Le Boucq ( - ), pittore araldico di Carlo V, raccolse Sull’imbuto azzurro come copricapo del ciarlatano nel dipinto La cura della follia, si veda M. Cinotti, L’opera completa di Bosch, cit., scheda , p. ; il colore azzurro come emblematico della follia nel dipinto i Proverbi fiamminghi (Berlino, Gemäldegalerie) di Bruegel il Vecchio; il simbolismo del ghiaccio sottile come insidia per gli incoscienti nel suo quadro I pattinatori (Bruxelles, MusĂŠes Royaux des Beaux Arts) e in dipinti di genere dello stesso tema del Seicento olandese. Roger H. Marijnissen, Peter Ruyffelaere, Bosch. The Complete Works, Antwerp, TabardPress, Mercatorfonds, , p. e nota . La questione dei possibili autoritratti di Bosch è discussa in G.C.M. Van Dijck, Op zoek naar Jheronimus van Aken, cit., cap. , “Jheronimus en Zijn Portretâ€?, pp. - .


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una serie di effigi di personaggi illustri storici e contemporanei, fra cui uno identificato dall’iscrizione di mano antica come ÂŤJeronimus Bos painctreÂť (BibliothĂŠque Municipale, Arras, MS , f. ; fig. ). Il disegno di Le Boucq risale al circa, cioè a molti anni dopo la morte di Bosch; ma lo si direbbe diligentemente desunto da un perduto originale di intento realistico e oggettivo, che raffigurava l’artista giĂ anziano. PoichĂŠ pareva interessante tentare comunque, a titolo di esperimento, un raffronto fra il presunto ritratto del Recueil d’Arras, il “testimoneâ€? nel Trittico di Lisbona, e il “meester Hieronymusâ€? di DĂźrer, ho chiesto a Bob Schmitt, specialista di Visual Face Recognition, di sottoporre le tre effigi a un esperimento di confronto. La sua discussione è riprodotta nell’articolo che segue. Le sue elaborazioni grafiche, alle quali ha dato un importante contributo Andrea Chiarato, iscritto al biennio specialistico di Nuove Tecnologie per l’Arte dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, hanno messo in evidenza fra l’altro che il volto di Jheronimus Bosch presentava i segni di una caratteristica frattura del setto nasale che lo rende inconfondibile; questa particolaritĂ anatomica diviene un elemento determinante nel collegare alcune delle immagini fra loro (tav. III). Che Bosch possa essere identificabile con “Hieronymo Thodeschoâ€?, coinvolto, almeno in fase iniziale, nella ricostruzione del Fondaco e visto da DĂźrer a Venezia nel , rimane comunque per il momento non molto piĂš che un castello congetturale, un’ipotesi in attesa di piĂš solide conferme documentali. In ogni caso, oltre al nome, peraltro piuttosto comune, di Hieronymus e a un cognome che suona indubitabilmente tedesco, “van Akenâ€? (ovvero “da Aquisgranaâ€?, la cittĂ renana da cui la famiglia proveniva), Bosch sembra avere avuto almeno un ulteriore requisito per candidarsi al ruolo: l’esser stato legato in quegli anni da relazioni di committenza al piĂš alto livello con la corte asburgica (il che può render ragione delle raccomandazioni pressanti, la “grande istanziaâ€?, fatte dai mercanti tedeschi per fargli ottenere l’incarico). Ma, si potrĂ obiettare, se Bosch giunse a Venezia come artista giĂ cosĂŹ importante, perchĂŠ allora la deliberazione del Senato veneziano non individua “Hieronymo Thodeschoâ€? in qualche modo come pittore o artista, ma semplicemente come ÂŤhomo intelligente et pratichoÂť? Probabilmente perchĂŠ, fino al momento del viaggio in Italia, Bosch, pur apprezzato da Filippo il Bello e dalla sua cerchia, quindi dai membri di un’altissima ĂŠlite internazionale, non era forse ancora generalmente “famosoâ€? nel senso in cui lo fu piĂš tardi. Come è stato osservato, egli comincia apparentemente solo in quel torno d’anni a firmare i dipinti con la caratteristica segnatura che conosciamo, e che peraltro è un nome d’arte; a darsi cioè un’identitĂ , di carattere geografico, come

Vedere discussione e bibliografia in RKD Images, : http://explore.rkd.nl/nl/explore/ images/ .


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è stato notato, distaccandosi dal patronimico van Aken, che condivideva col padre e coi numerosi fratelli, anch’essi artisti. Le sue opere, che pure non sfuggirono all’occhio di qualche collezionista veneziano di rango, come il cardinale Grimani e suo nipote Marino, prive come sono di desinenze anticheggianti, e gravi invece di inflessioni morali e di calembour visuali ispirati a modi di dire della lingua olandese, devono essere risultate abbastanza ostiche, o anche del tutto indifferenti, a molti conoscitori d’arte di gusto italiano. Una serie di indizi, che vanno dal contenuto generale della sua produzione a quella scarruffata segnatura in grandi minuscole gotiche (un legame col mondo del libro nordico coevo, sia a stampa che manoscritto), ci rende difficile immaginarlo versante nelle cose italiane al modo in cui lo fu DĂźrer; in atto, cioè, di comprarsi abiti alla moda, di compitare frasi in veneziano e di prendere anche qualche lezione di ballo, come fece il collega di Norimberga. Contrariamente a quanto parrebbe, la qualifica di “Thodeschoâ€? non costituisce invece ostacolo all’identificazione di un brabantino come lui. All’epoca, le definizioni geografiche erano diverse da quelle attuali; la parola “tedescoâ€? indicava non un ambito territoriale, ma piuttosto un ceppo linguistico che includeva l’intero bacino del Reno fino al mare del Nord. Lo precisa, fin dal titolo, il fiorentino Ludovico Guicciardini, nipote del piĂš celebre Francesco, pubblicando nel la sua Descrizione di tutti i Paesi Bassi, altrimenti detti Germania inferiore. All’aprirsi del Cinquecento, i popoli che abitavano l’area corrispondente alla Germania d’oggi erano definiti “tedeschiâ€?, ma venivano altrettanto facilmente designati come “sudditi del Re dei Romaniâ€?, o “del Sacro Romano imperatoreâ€?. PiĂš seria può essere l’obiezione che le fonti d’archivio finora note individuano Bosch sempre e soltanto come pittore, mai come architetto; anche se nella sua famiglia, una dinastia di artisti/maestri attiva da piĂš generazioni nell’ambito delle grandi fabbriche gotiche di ’s-Hertogenbosch, le attivitĂ di pittura e architettura non debbono essere mai state intese come nettamente distinte, nel modo in cui le pensiamo oggi. Considerata anche la lacunositĂ della documentazione pervenuta, non si può a nostro avviso escludere che Jheronimus van Aken, alias Bosch, abbia potuto cimentarsi all’occasione nell’architettura oltre che nella pittura; per di piĂš nell’ambito di un progetto sui generis come quello della ricostruzione del Fondaco veneziano dei Tedeschi. Certo è, che Bosch si mostra al corrente di alcuni dettagli segreti gelosamente custoditi e noti solo agli iniziati appartenenti alla massoneria cosiddetta “operativaâ€?, ovvero alla fraglia internazionale dei costruttori del tardo Medioevo. Com’è noto, le compagnie di costruttori derivavano dalle organizzazioni G.C.M. van Dijck, Op zoek naar Jheronimus van Aken, cit., cap. , “Jheronimus op reis?â€?, pp. - ; F. Elsig, Jheronimus Bosch, cit., p. Lodovico Guicciardini, Descrizione di tutti i Paesi Bassi altrimenti detti Germania inferiore, Anversa, Guglielmo Silvio, .


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romane, di cui avevano conservato attraverso l’Alto Medioevo la capacità operativa e la struttura gerarchica; in virtù del possesso di “segreti” circa il trattamento del materiale lapideo, dalla cava alla scienza architettonica, avevano visto rispettata la loro autonomia anche dai re barbarici, e si erano poco a poco costituite in un vero e proprio autorevole ordine laico, che dialogava con le giurisdizioni sia civili che ecclesiastiche da una posizione di forza. L’esclusiva dei “segreti” della professione era dunque un valore vitale per la fraglia, che lo custodiva con estrema determinazione, regolando rigidamente sia l’accesso iniziale che i gradi della gerarchia interna. Il massone che si fosse trovato in viaggio per apprendistato, o nel suo Wanderjahr, presentandosi per amicizia e assistenza alla loggia di una città straniera, doveva provare la propria genuinità rispondendo a un’interrogazione fatta di domande e risposte apprese a memoria, di cui rimane eco nei rituali massonici delle età successive. Il derisorio “grillo” architetto del Trittico di Lisbona sembra delineato per designarlo, punto per punto, come ignaro (o traditore). Il dialogo di accoglienza, infatti, si apriva con le parole: «Degno confratello muratore, tu sei uno che si presenta con una lettera [ein Briefer], o con un saluto [ein Grüsser]?» «Con un saluto». E invece il grillo, protho, che si annuncia apertamente come adepto per lo scudetto che ha alla spalla, porta una lettera! Altri dettagli posti più oltre, nel cuore del dialogo massonico, precisano in modo inequivoco la falsità morale del nostro personaggio, col suo becco storto al posto della bocca, e in testa, come cappello, l’imbuto azzurro della follia: «Che genere di Muratore sei tu?» «Uno con la bocca» [Ein Mund-Maurer]. «Come lo sapremo?» «Dal mio saluto, dalle parole che pronuncerò con la mia bocca». [...] «Cosa porti sotto il cappello?» «Una lodevole saggezza». «Cosa porti sotto la lingua?» «Una lodevole onestà».

Ma a quale pubblico Bosch potrebbe aver indirizzato dettagli allusivi così riservati? Il loro contenuto sarebbe stato comprensibile a ben pochi al di fuori della professione. Uno dei pochi era l’imperatore Massimiliano, che nel a Strasburgo aveva incontrato i capi della massoneria operativa, e confermato le libertà e gli antichi privilegi della fraglia. Un altro ideale destinatario di queste frecciate beffarde era proprio il protho veneziano, che dalla sua posizione di potere aveva forse posto al confratello straniero, una dopo l’altra, le domande dell’interrogazione rituale: «Perchè ti presenti a noi?» «Per onorevole promozione, istruzione, e onestà». «Che cosa sono istruzione e onestà?» «L’usanza e la consuetudine dell’Arte». «Quando cominceranno?»


LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA

«Appena avrò onestamente e fedelmente terminato il mio apprendistato». «Quando finiranno?» «Quando la morte spezzerà il mio cuore». «Da che cosa riconosceremo un Maestro Muratore?» «Dalla sua onestà». [...]

L’interrogazione rituale per un massone viaggiante è nota dagli atti della loggia Archimedes di Altenberg: J.G. Findel, History of fremasonry [sic], from its rise down to the Present Day, Appendix A, Examination of a German “Steinmetz”, pp. - ; www.co-masonry.org/Site/English/History.aspx (traduzione in italiano di chi scrive). Per il termine “Grüsser” (con fraseologia relativa alla domanda «Grüsser oder Briefer?»), cfr. Deutsches Rechtswörterbuch-DRW online, www.rz.user.uniheidelberg.de, ad vocem, con bibl.


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