Girocittà 2020

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56 GIROCITTÀ N. 6; ANNO V; DICEMBRE 2020. Responsabile editoriale: Andrea Giorgilli

In redazione: Anna Maria Di Carlo, Andrea Giorgilli, Fabio Magnelli, Sabrina Proietto, Marco Todini. Hanno scritto per noi: Roberto Ambrosi, Pietro Antonucci, Giulio Bianchini, Giulia D’Angeli, Sandro Figliozzi, Maria Giudici, Max e Francesco Morini, Raffaele Pompili, Fabio Salemme, Emiliano Tersigni, Rocco Torre, Leda Virgili. Contributi fotografici di: Archivio Adarte, Roberto Ambrosi, Archivio Adobe Stock, Giulio Bianchini, Sara Favilla di Reporter Gourmet, Sandro Figliozzi, Max Intrisano, Giovanni Isopi, Sabrina Proietto, Filippo Rondinara, Scatti di Gusto, Emiliano Tersigni, Marco Todini, Rocco Torre, Lido Vannucchi, Wikipedia, Ufficio Stampa Lazio Crea, yoghi68. Progetto Grafico: Marco Todini Web master: Fabio Magnelli Social Media Manager: Sabrina Proietto Responsabili commerciali: Raffaele Todini.

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Un ringraziamento speciale agli sponsor istituzionali che hanno permesso l’uscita di questo numero di Girocittà.

Girocittà è un progetto di Adarte e Raffaele Todini che ne detengono tutti i diritti. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o trasmessa in nessuna forma e con nessun mezzo senza il premesso scritto dell’editore. Società editrice: Ataji Srl - Copyright © 2020

202021

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3 L’anno che verrà

41 L’osservatorio di

4 Le spettacolari grotte

(di Giulia D’Angeli)

(di Andrea Giorgilli)

di Pastena e Collepardo e il Pozzo d’Antullo

(a cura della redazione)

44 Viaggio tra leggende e fantasmi di Ciociaria

12 Viaggio nelle città di

(di Pietro Antonucci)

(di Anna Maria Di Carlo)

(di Roberto Ambrosi)

21 L’Abbadia di San

51 I 13 borghi medievali

Saturno

Sebastiano, uno scrigno nascosto nel Medioevo

48 I diari della bicicletta del GAL. L’intervista al presidente

(di Rocco Torre)

(a cura della redazione)

25 La Ciociaria con gli

58 Alla ricerca delle proprie radici

(di Maria Giudici e Leda Virgili)

(di Giulio Bianchini)

28 Dante a Roma

60 Ruggine Ciociara. La

occhi di Dante

(di Fabio Salemme)

30 Fiuggi e i Monti

Ernici, un incontro ancora possibile? (di Emiliano Tersigni)

34 Confessioni di un cuciniere. Intervista a Salvatore Tassa

(di Andrea Giorgilli)

38 Giorgio Tupini,

l’ultimo “allievo” di De Gasperi (di Raffaele Pompili)

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Campo Catino alla scoperta delle stelle

bellezza della decadenza (di Sandro Figliozzi)

65 Scritti ciociari (di Pietro Antonucci)

67 Effetto Cappa.

Un racconto inedito ambientato a Fiuggi

(di Max e Francesco Morini)


Un anno difficile che, per fortuna, sta per finire. Effetto covid, effetto lockdown. Oltre al dolore per i morti, si registra una grave contrazione dei volumi d’affari su tutti i comparti dell’economia. Ma i settori più colpiti sono quelli della cultura, del turismo, della ristorazione, dello sport. Sono quelli che più si occupano del benessere psicofisico delle persone. Cinema, teatri, hotel, ristoranti, tutti chiusi. Ma allora da dove ripartire? Ripartiamo dai piccoli borghi, dalle comunità, dalle locande, dalle botteghe, dalle piste ciclabili, dalla natura, dai giovani. Ma facciamoci trovare pronti: definiamo un prodotto turistico moderno, occupiamoci di progettazione, facciamo sinergia, coordiniamo i servizi, coinvolgiamo operatori economici e istituzioni, ma andiamo avanti insieme.

L’anno che verrà. Ripartiamo da un posto bellissimo ma ancora poco conosciuto come l’Alta Ciociaria, dalla capacità di fare sistema per dare speranze alle nuove generazioni che da qui non sono fuggite. Ascoltiamoli, coinvolgiamoli di più i nostri ragazzi: solo con loro possiamo cambiare la cultura turistica con cui affrontare nuove sfide come l’innovazione tecnologica, il turismo esperienziale, i servizi alla persona, la narrazione dei luoghi, la sostenibilità. Perché poi lo spazio i ragazzi se lo prendono comunque, in alcuni centri qualcosa sta cambiando: nascono spontaneamente lounge-bar, bed and breakfast, enoteche, family hotel, piccoli laboratori digitali. I ragazzi sanno fare squadra: con loro c’è da definire un progetto di viaggio dove la destinazione ha ceduto il primato all’esperienza. Dove spesso il cosa fare conta più del dove andare. È su questa linea che si colloca la nuova edizione di Girocittà. Allora muoviamoci, perché il nuovo anno – come canta Lucio Dalla – porterà una trasformazione. E tutti quanti stiamo già aspettando. di Andrea Giorgilli

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In provincia di Frosinone, nel cuore della Ciociaria, si

trovano i comuni di Pastena e Collepardo con le loro celebri grotte caratterizzate da spettacolari formazioni

rocciose, stalattiti e stalagmiti, suggestive sale, colonne, e, a seconda della stagione, cascatelle e laghetti. L’origine dei geositi si perde nella notte dei tempi: dai ritrovamenti sappiamo che hanno ospitato insediamenti preistorici e, in epoche piÚ recenti, sono servite da rifugio durante l’epoca del brigantaggio, ma anche in occasione di conflitti e persecuzioni.

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Le spettacolari

Grotte di Pastena e Collepardo e il Pozzo d’Antullo a cura della redazione

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Un aumento record di visitatori nonostante le restrizioni Nonostante le chiusure imposte nel 2020 per il contrasto alla diffusione del Coronavirus, con la riapertura del 3 luglio le Grotte di Pastena e Collepardo e il Pozzo d'Antullo hanno segnato un aumento record di visitatori. Nonostante il lockdown, oltre 24 mila persone hanno visitato a oggi i due siti speleologici facendo segnare un +34% di presenze rispetto allo stesso periodo del 2019 grazie anche alla loro particolare conformazione che per-

mette il contingentamento delle visite, effettuate in totale sicurezza con guide turistiche specializzate. Un successo per la Regione Lazio che, grazie alle azioni messe in campo dal Presidente Nicola Zingaretti, ha portato all’accordo sottoscritto con il Parco Naturale Regionale dei Monti Ausoni e Lago di Fondi e i comuni di Pastena e Collepardo, e si è impegnata nelle attività di conservazione e valorizzazione dei siti affidandone la gestione alla sua società partecipata LAZIOcrea Spa. La nuova gestione ha lavorato in un’ottica di tutela e rilancio dei geositi mettendo in campo tutte le forze a disposizione, con un grande lavoro di promozione e valorizzazione e con una ricca programmazione di eventi al fine di coniugare turismo, natura e cultura.

6 Corridoio Franchetti - Pastena


Sala delle colonne - Pastena

Grotte uniche per maestosità e mistero Le Grotte di Pastena, scoperte nel 1926 dal barone Carlo Franchetti e meta turistica già a partire dal 1927, sono annoverate tra i maggiori complessi speleologici della nostra penisola. L'area in cui sono situate risulta una delle più pittoresche della Ciociaria, dove l'inclemenza degli eventi geologici ha determinato la formazione di un paesaggio tipico, paragonabile al Carso friulano, con bizzarre forme di erosione e pianure legate ad antichi laghi carsici. Il percorso turistico, che si articola tra un ramo attivo inferiore, dove scorre un fiume sotterraneo, e un ramo fossile superiore, ricco di concrezioni calcistiche, mostra ambienti di particolare interesse, unici per maestosità e mistero. Sono interamente percorribili, ma una parte del percorso è attraversabile solo da speleologi. Il tracciato dedicato ai visitatori è spettacolare sin dai primi passi con l’inghiottitoio, lo scenografico ‘ingresso’ in cui si riversano le acque del fosso Mastro. La Grotta di Collepardo, visitata anche dalla Regina d’Italia Margherita di Savoia nel 1904, affascina con le maestose volte ricche di stalattiti multiformi che spesso si collegano alle stalattiti che si innalzano verso di loro in un processo lentissimo e ancora attivo. Lo spettacolo delle stalattiti e stalagmiti è di un fascino ineguagliabile: per la singolarità delle forme che rievocano figure umane e zoomorfe sono conosciute oggi anche come "Grotte dei Bambocci”. Pochi anni fa alcuni rilievi archeologici hanno restituito decine di reperti dell’Età del Bronzo che hanno permesso di ricostruire un importante tassello della preistoria locale: il gran numero di reperti ossei umani rinvenuti fa supporre infatti che la grotta venisse impiegata come sepolcro.

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Salice piangente - Pastena

Pozzo D’Antullo - Collepardo

Il Pozzo d'Antullo, un'enorme voragine naturale di m.370.

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A questo sito si può associare la visita di un’altra formazione di origine carsica, il Pozzo d’Antullo: un’enorme voragine con una circonferenza di 370 m, un diametro di 140 e una profondità di circa 60 m, formatasi in seguito al crollo della volta di una grotta. Questa grande voragine carsica costituisce una singolarissima rarità naturale, unica in Europa per le sue dimensioni. Tra grandi massi franati dalla volta, le acque piovane scompaiono in un cunicolo, impraticabile anche per gli speleologi. Le pareti strapiombanti presen-


Collepardo

tano numerose stalattiti, alcune delle quali curve, generate probabilmente dal vento proveniente dai cunicoli laterali che modifica la deposizione dei cristalli di calcare. Il fondo è coperto da una ricca e lussureggiante vegetazione, con alberi alti fino a 20 m. Secondo un’antica tradizione e fino a qualche decennio fa, i pastori vi calavano le pecore lasciandole lì per mesi a pascolare. La voragine ha ispirato curiose leggende: una di esse narra che nel luogo dove è situato il pozzo, un tempo vi fosse un’aia dove alcuni contadini miscredenti, non onorando la festività della Madonna dell’Assunta, vollero battere il grano anche in questo giorno sacro. Per punirli la divina provvidenza fece sprofondare l’aia, dando vita all’enorme cavità.

Il magico incontro con stalattiti e stalagmiti che di volta in volta rievocano figure umane e di animali.

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A. Ruberti

Sul successo della gestione regionale delle Grotte di Pastena e Collepardo e del Pozzo d’Antullo, abbiamo intervistato Albino Ruberti, Capo di Gabinetto del Presidente della Regione Lazio.

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La gestione regionale delle Grotte di Pastena e Collepardo e del pozzo d’Antullo ha dato il via a un nuovo corso per i due siti speleologici. A quanto ammonta l’investimento della Regione Lazio? Nel 2019, grazie all’emendamento presentato dai consiglieri regionali Mauro Buschini e Sara Battisti, la Regione Lazio ha intrapreso un importante percorso per favorire la conservazione e la valorizzazione delle Grotte di Pastena e Collepardo, vere e proprie perle del frusinate.

In questo modo, abbiamo voluto dare una risposta ai problemi di gestione dei geositi, fino a quel momento garantita da un Consorzio istituito allo scopo nel 1989 e che da anni versava in condizioni di grande sofferenza economica e finanziaria. Perché questo immenso patrimonio naturalistico non venisse abbandonato, la Regione ha stanziato 500 mila euro per la gestione del pregresso del vecchio consorzio in liquidazione prevedendo altri interventi economici negli anni a seguire per la valorizzazione delle Grotte: 180 mila euro per il 2019 e 360 mila ogni anno per i successivi 20 anni.

Che cosa ha significato questo intervento per il territorio della Ciociaria? Le Grotte di Pastena e Collepardo e il pozzo d’Antullo devono restare aperti e fruibili. Questa è stata da sempre la priorità del Presidente Zingaretti. Con la gestione regionale di questi siti, affidata poi alla società in house LAZIOcrea, la Regione ha sottratto al rischio di abbandono tre dei luoghi più suggestivi del Lazio. A giugno 2019, è stato siglato un accordo per la regolamentazione delle iniziative destinate alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio speleologico dei geositi. Un documento che abbiamo sottoscritto con i comuni di Pastena e Collepardo, con il Parco naturale regionale dei Monti Ausoni e Lago di Fondi e LAZIOcrea. L’accordo, di durata ventennale, non solo ha specificato gli interventi che la Regione avrebbe messo in campo per difendere e valorizzare questi luoghi straordinari ma ha anche garantito, immediatamente, la continuità occupazionale per i lavoratori provenienti dal Consorzio e che fino a quel momento si erano occupati delle Grotte. Dopo circa un anno e mezzo dall’inizio della gestione regionale, inaugurata a luglio 2019, le Grotte hanno visto aumentare progressivamente il numero di visitatori, dal turista all’appassionato di speleologia, dalle famiglie alle scolaresche. Un risultato importante per tutti: non solo per la Regione ma anche e soprattutto per il territorio che, anche grazie all’importante sinergia instauratasi con i comuni di Pastena e Collepardo e con gli enti locali, ha visto crescere l’interesse per tre luoghi simbolo della Ciociaria e,

non da meno, l’intero indotto.

Non solo visite “ordinarie”: le Grotte di Pastena e Collepardo hanno ospitato anche diversi eventi speciali. Esattamente. Il percorso di tutela e valorizzazione delle Grotte passa anche attraverso un importante lavoro di promozione turistica sulla scorta dell’esperienza maturata in questi anni in altri luoghi di proprietà regionale: il Castello di Santa Severa, il WeGil di Roma e il Palazzo Doria Pamphilj di San Martino al Cimino. Per accendere l’interesse del pubblico anche oltre i confini provinciali, le Grotte di Pastena e Collepardo e il pozzo d’Antullo sono state inserite tra le location di eventi importanti come “Le Feste delle Meraviglie”, durante il periodo natalizio, e l’“Estate delle Meraviglie” della Regione Lazio. Tante sono state anche le iniziative di natura enogastronomica, per diffondere la cultura del buon cibo e far conoscere le tante eccellenze del territorio, ma anche le azioni sinergiche con altri attrattori ambientali e culturali di Pastena e Collepardo, come ad esempio il Parco Regionale dei Monti Ausoni e Lago di Fondi, il Museo della civiltà contadina e dell’ulivo e la Casa Manfredi (abitazione paterna dell’attore Nino Manfredi) a Pastena; il Museo naturalistico e della tradizione erboristica e l’Orto Sylvatico a Collepardo.

Prima della seconda ondata dell’emergenza sanitaria che ha costretto nuovamente alla chiusura, con la riapertura del 3 luglio le Grotte di Pastena e Collepardo e il pozzo d’Antullo avevano fatto registrare un’importante affluenza di pubblico. Abbiamo avuto una risposta straordinaria. Con la riapertura del 3 luglio, i geositi avevano registrato un notevole incremento delle richieste e delle presenze. Parliamo di numeri importanti: rispetto allo stesso periodo del 2019 e nonostante il lockdown, abbiamo registrato un aumento complessivo di visitatori del +34%, con un aumento di presenze anche nei giorni infrasettimanali. Solo nel mese di agosto, le Grotte hanno accolto oltre 13 mila persone: 8 mila a Pastena, con un aumento delle visite del 18% rispetto ad agosto 2019, e 5 mila a Colle-


pardo e al Pozzo d’Antullo che hanno visto un incremento delle presenze addirittura del 90% rispetto allo scorso anno. I numeri dimostrano che le scelte fatte erano giuste e che bisogna continuare su questa strada aiutando territori come la Ciociaria a diventare sempre più poli di attrazione turistica puntando sulle proprie singolarità. Siamo convinti che siti affascinanti come le Grotte possano diventare motore di sviluppo per tutto il comparto. Quando ci saremo lasciati alle spalle questa seconda ondata pandemica che ci ha visti costretti a chiudere di nuovo i tre geositi, la gente potrà tornare a vivere la bellezza. Per questo, stiamo continuando a lavorare affinché tutte e tutti possano scoprire in sicurezza questi luoghi straordinari del nostro territorio.

Nota di redazione

Le presenze fanno segnare un + 34% rispetto allo stesso periodo del 2019, grazie anche a una visita in totale sicurezza con guide specializzate

Al momento della pubblicazione dell'articolo, le Grotte di Pastena e Collepardo sono chiuse al pubblico in ottemperanza alle prescrizioni del Dpcm del 3 novembre 2020 contenente le misure per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid-19. Per restare aggiornati sulla riapertura e sulle prossime attività, è possibile consultare il sito www.grottepastenacollepardo.it

Collepardo

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“Primo venne Saturno dall'etereo Olimpo, fuggendo le

armi di Giove ed esule del regno usurpato.

Raccolse la stirpe indocile e dispersa per gli alti monti, e diede leggi e volle che si chiamassero Lazio le terre nella cui custodia era vissuto nascosto. Sotto quel re vi fu il secolo d'oro, che narrano; così reggeva i popoli in placida pace; finché poco a poco seguì un'età peggiore, che mutava in peggio il colore, e la furia della guerra e del desiderio di possesso.” (Virgilio, Eneide, VIII, 313-327)

Viaggio nelle città di Saturno di Anna Maria Di Carlo

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Le poetiche parole di Virgilio descrivono l’arrivo di Saturno nelle terre che saranno chiamate Lazio. Narrano il suo incontro con le popolazioni forti e fiere che vi abitano, a cui insegnerà l’arte dell’agricoltura e della costruzione e con l’aiuto dei suoi fratelli/figli i Ciclopi edificherà le cinque città che saranno potenti e pacifiche nel territorio. Inizia l’età dell’oro, un tempo magico e mitico a cui nei secoli successivi si farà riferimento come all’epoca migliore mai avuta sulla terra. Verranno fondate cinque città sulle colline, cinte di mura e chiamate con nomi che iniziano con la lettera A in onore del pentalfa simbolo magico che rappresenta gli elementi, caro alla Dea Madre perché simbolo di perfezione benefica. Città fondate sullo schema della costellazione dei Gemelli riportata e disegnata a terra facendo corrispondere le città agli oggetti astronomici che la caratterizzano e la disegnano nel cielo, costellazione casa del solstizio estivo e quindi simbolo di fertilità e ricchezza.

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Non sono solo qui nel Lazio le città edificate in opera poligonale, sono in tutto il mondo, ma qui da noi tutto assume un aspetto sacro, quasi religioso. Una terra ricca di leggende, il Lazio, che partono dai miti degli antichi; sono già gli scrittori storici romani e greci che danno a questo territorio un’aura di magia, di sacralità, di antichità precedente a tutto. Nell’ottocento vengono riprese ed ampliate creando un interesse quasi morboso nei viaggiatori del Grand Tour. Così

le voci corrono, si dà credito ai miti, e se ne inventano altri, in quel periodo in cui tutto era romanticamente permesso. Sarà difficile poi togliere velo dopo velo tutto quel che è stato detto e scritto per poter arrivare all’essenza delle cose, ed ancora a dire il vero ci sono difficoltà di interpretazione. Se siamo nel Lazio l’opera poligonale è accademicamente attribuita ai romani, in Toscana agli Etruschi e a seconda di dove ci si trovi si cambia attribuzione. Gli accademici ancora si accapigliano su date e costruttori, le teorie più intriganti vengono smontate a colpi di prove scientifiche e noi siamo qui invece ad immaginare proprio i grandi giganti che si davano voce da una collina all’altra, e sentiamo l’eco dei colpi di martello che spaccavano le pietre, e vediamo davanti ai nostri occhi l’imponenza millenaria di queste costruzioni e vorremmo aver visto quel che hanno visto loro, testimoni silenziose della storia. Ed a volte, usando al meglio la nostra immaginazione, la vediamo davanti ai nostri occhi quella storia in un caleidoscopio di colori, restandone affascinati per sempre.


Della sua epoca mitica oggi si vede poco, bisogna sapere dove andare a guardare, nelle cantine, nelle fondamenta di

case, chiese e palazzi. Quel che oggi è visibile ed intrigante è il suo aspetto fermo all’epoca

medievale in alcuni suoi

quartieri e la bellezza di altri più moderni ma ricchi sempre di storia. Oggi il suo gioiello più prezioso è la cripta di San Magno, la prima volta che entri quel che ti colpisce è il colore, poi pian piano scopri particolari ed ogni volta ne scopri di nuovi, in realtà dovresti vederla più e più volte per riuscire a carpire ogni significato nascosto ed ogni particolare rappresentato, in una scoperta infinita.

Anagni

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La città è la gioia di chiunque cerchi le sovrapposizioni temporali, qui si che

puoi giocare con la macchina del tempo e passare da una epoca all’altra. C’è tutto età mitica,

tempo romano, tempo medievale e modernità.

Tutto come se

fosse una torta a strati e tutti facilmente riconoscibili. Già dalla sua cinta muraria si può percepire che chi ha costruito dopo si è adattato ed ha utilizzato quel che era già stato edificato, come se nulla dovesse andare perso, anzi considerato come cosa preziosa da dover curare e conservare, come se fossero le fondamenta, le radici di un sapere millenario.

Antino (Ferentino)

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Due circuiti di cinta muraria in cui si vedono pietre di enormi proporzioni posizionate in modo da non lasciare spazi, ma

non regolari nel taglio o nell’ordito, tutto con una sorta di disordine studiato. Questa è la bellezza dell’opera poligonale, ed è qui che vedi i Ciclopi all’opera, li puoi quasi sentire scambiarsi voci e sentire il suono dei loro enormi martelli spaccare la roccia. Ma la città non è solo questo, trovi anche scorci medievali che ti lasciano senza fiato, ed una atmosfera particolare data proprio dalla millenaria presenza delle sue splendide mura.

Alatri

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Oggi della Potenza di un tempo, (Atina Potens

la chiamano Virgilio e Marziale) in realtĂ si vede poco anche qui bisogna sapere dove andare a cercare,

un

terremoto

la

distrusse

completamente ma la cittadina è un piccolo gioiello, curata ed accogliente. Circondata da un territorio ricco e fertile, si affaccia sulla Valle di Comino e ad essa strettamente collegata per storia e tradizione.

Atina

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Posta su due colline ed interamente circondata

da mura poligonali Arpino nella zona di Civita Vecchia ci fa fare proprio un salto nel mito a quella età dell’oro tanto narrata.

Potremmo incontrare Saturno o

vederne la sepoltura, il mito vuole che il dio riposi per sempre qui, ma la porta a sesto acuto ci dà certamente suggestioni greche, creando in noi quella serie di domande senza risposta che solo la curiosità e lo studio placheranno.

Arpino

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L’ Abbadia di

S. Sebastiano, Inizia con questo articolo la mia collaborazione con Girocittà grazie al-

l’amico Marco Todini, appassionato anche lui di montagne e di cartografie! La nostra passione comune, però, non

uno scrigno nascosto nel Medioevo di Rocco Torre

si è limitata alla passiva osservazione delle carte che rappresentano il nostro territorio ma, da sempre, ci ha portati ad una conoscenza diretta e approfondita di esso che ci ha permesso di avvicinarci anche agli aspetti storico – culturali che lo caratterizzano.

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Entrambi aderiamo al sodalizio del Club Alpino Italiano (CAI), nella sezione di Alatri, che ha come obiettivo la conoscenza e la valorizzazione dell’ambiente montano in senso stretto ma anche di quello prossimo ai territori più urbanizzati disseminati, per questo, di testimonianze storico – architettoniche che li caratterizzano. Da questo punto di vista, la Ciociaria è uno scrigno che racchiude tesori di notevole interesse. Uno di questi è l’Abbadia di S. Sebastiano che si trova sul rilievo collinare che domina la cittadina di Alatri da Est. Per descrivere l’importanze del sito, riporto alcuni tratti del lavoro di E. Fentress inserito in bibliografia. “La tradizione vuole che il monastero di S. Sebastiano fosse fondato dal patrizio Petrus M. Felix Liberius, che fu uno degli amministratori di maggior spicco dell’Italia del sesto secolo. (...) Liberio, da giovane, si allineò con il re barbaro Odoacre a cui rimase fedele anche dopo la sconfitta subìta da Teodorico nel 493. La rettitudine del suo comportamento servì a fargli guadagnare la fiducia del nuovo re ostrogoto tanto che fu nominato prefetto pretoriano dell’Italia, la prima funzione amministrativa del governo. (…) Nel 511, egli fu nominato prefetto pretoriano per la Gallia fino al 534. Qui egli collaborò con il rappresentante papale Cesario di Arles.” In questo periodo Cesario fondò due mo-


Dall’Acropoli di Alatri all’Abbadia, due ore di cammino alla ricerca delle antiche regole monastiche

nasteri e forse ciò indusse Liberio a seguire l’esempio del suo vescovo (…). Liberio posizionò il suo monastero sulle pendici dei monti Ernici ma “non intendeva gestire il suo monastero da sé e quindi nominò come abate Servando, un diacono. (…) Servando era legato a S. Benedetto da Norcia (…). E’ da uno dei racconti dello storico Gregorio Magno sulla vita del santo che veniamo a conoscenza dell’amicizia tra i due abati, Servando e Benedetto.” A questo punto cito il Prof. Sessa che aggiunge alcune informazioni di primaria importanza: “Avendo Liberio regalato a Servando la Regula Magistri, questa, dall’abate di Alatri fu trasmessa, durante la permanenza a S. Sebastiano, a Benedetto, che la rivide adattandola al proprio ordine. La Regula Magistri è, infatti, stata concepita nella cerchia di Cesario di Arles, non casualmente il testo presenta tracce di gallicismi significativi al riguardo. Se il lettore pone mente all’importanza del monachesimo benedettino, da ogni punto di vista, per la vita dell’Europa, riuscirà, altrettanto immediatamente, a comprendere le ragioni della rilevanza di questo luogo isolato e solitario”. Da diversi anni, ormai, l’Abbadia è diventata meta fissa di una escursione che la sede di Alatri del CAI ha inserito stabilmente nel suo programma annuale. Anzi, questo itinerario è stato intitolato al reli-

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San Benedetto qui fece tappa nel suo viaggio verso Montecassino

gioso, studioso di Archeologia, don Giuseppe Capone, che tanto ha fatto per la crescita culturale degli studenti che hanno frequentato le scuole pubbliche di Alatri prima e dopo la II° Guerra Mondiale. L’itinerario parte dall’Acropoli di Alatri e, lungo strade secondarie, arriva all’ABBADIA di S. Sebastiano dopo circa un paio di ore di un cammino, comunque, non particolarmente intenso. Dopo essere scesi lungo il ripido versante meridionale del colle su cui sorge Alatri, si attraversa una zona valliva nella cui porzione centrale scorre il Fiume Cosa. In corrispondenza dell’attraversamento fluviale si passa sui resti di un antico ponte, forse di epoca romana, che collegava Alatri con i monti verolani passando proprio dall’Abbadia di S. Sebastiano. Considerato che tra gli iscritti alla sede alatrense del CAI sono presenti diversi insegnanti, il Liceo “Luigi Pietrobono” di Alatri ha partecipato, con molti suoi alunni, alla escursione lungo il cosiddetto “sentiero Don Capone”. Hanno partecipato, nell’anno scolastico 2017/2018, circa 10 alunni mentre sono diventati circa 50 l’anno successivo. All’escursione del novembre 2017, a cui fanno riferimento le foto allegate, si contavano quasi cento partecipanti tra iscritti alla sezione CAI, alunni di diverse scuole del territorio e semplici cittadini.

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BIBLIOGRAFIA Sessa Giovanni, IL GENIUS LOCI DELL’ABBADIA DI SAN SEBASTIANO DI ALATRI. Fentress Elisabeth, L’Abbazia nel sesto secolo in Atti del Convegno, Dall’Abbazia di Liberio alla Villa di G. Tortelli, Fondazione L’Abbadia, Alatri, Tofani 2005.


La Ciociaria con gli occhi di

Dante di Maria Giudici e Leda Virgili

“

A quasi 700 anni dalla morte ripercorriamo il viaggio del Sommo Poeta nella campagna a sud di Roma

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La storia che stiamo per raccontarvi inizia tra il 1111 e il 1123 quando a Settefrati un bambino di

nome Alberico fu colpito da un malore molto grave. Durante il

coma, durato ben nove giorni, ebbe una visione dell’oltretomba e immaginò di intraprendere un viaggio attraverso le dannazioni dell’Inferno e le beatitudini del Paradiso, accompagnato da S. Pietro.

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A ricordare la visione di frate Alberico ed il legame con Settefrati, proprio qui, nella chiesa di S. Maria delle Grazie è presente un pregevole affresco che richiama il suo viaggio ultraterreno. In esso su tre registri sono visibili paesaggi infernali nella parte inferiore, nell’intermedia gli angeli che chiamano a raccolta le anime sottoposte a giudizio, mentre in alto altri angeli portano i simboli della passione e convergono verso la mandorla centrale con Cristo giudice. La zona mediana è singolare: qui, tra le schiere del popolo di Dio sono identificabili S. Francesco e S. Domenico, vicini ad alti prelati e figure femminili. Una volta che Alberico divenne frate presso il monastero di Montecassino, la sua visione fu trascritta in varie pergamene e conservate presso l’abbazia. Si può presumere che proprio durante un suo viaggio verso Napoli, Dante entrò in contatto con questa storia, che fu una delle fonti d’ispirazioni per la compilazione della Divina Commedia. Possiamo solo supporre la meraviglia di Dante che da Cassino, sulla “costa” del monte, alzando gli occhi, vide l’imponenza dell’abbazia fondata da S. Benedetto. Il poeta doveva essere stato colpito dalle forme e dalle architetture volute dall’abate Desiderio ma soprattutto dallo spirito contemplativo di S. Benedetto, considerato come uno dei grandi riformatori della Chiesa, la cui regola, secondo quest’ultimo, andava ad imbrattare solo polverose carte. Purtroppo non abbiamo la fortuna di ammirare l’abbazia che Dante vide, dal momento che fu cancellata da un terre-

moto nel 1349, ma colpisce ancora la tranquillità e la maestosità di un luogo che, malgrado diverse distruzioni e devastazioni, è rinato sempre sulle sue macerie, rimanendo un faro per l’umanità sia dal punto di vista religioso che culturale. Di certo Dante non fu influenzato solo da Montecassino, ma nel suo viaggio attraverso la Valle Latina fu colpito dai paesaggi brulli e selvaggi di questi territori, che malgrado tutto ospitavano nobili città, protagoniste di importanti eventi storici. Tra le prime che incontriamo nel nostro viaggio sulle orme di Dante è Ceprano, la Ceperan citata nella Nona Bolgia dell’Inferno. Questa è la città che vide prima Federico II essere assolto dalla scomunica nel 1230 e poi suo figlio, Manfredi umiliarsi e giurare fedeltà a Papa Innocenzo IV. Qui lungo le sponde del Verde Liri, ricordato nel Purgatorio, furono riportate, dopo una prima sepoltura, le sue ossa, quasi un ulteriore schiaffo a questo re, che, pur essendo morto, tornò da prigioniero sotto il dominio papale. Qui fu seppellito sotto i sassi lanciati dai soldati vincitori, che secondo i costumi dell’epoca era comunque un riconoscimento cavalleresco nei riguardi di un avversario prode ma sfortunato. Il Liri, partendo dall’Abruzzo, attraversa un vasto territorio del Basso Lazio, e ne costituisce uno dei confini più antichi, toccando diverse città. Questo fiume trova a Isola del Liri uno dei paesaggi naturalistici più suggestivi: qui, infatti, con un alto salto, le acque, dividendosi in due parti, formano diverse cascate, di cui la più imponente raggiunge circa trenta metri di altezza.

Durante i suoi viaggi lungo la Valle Latina, Dante fu suggestionato dall’imponenza del monte Cacume, l’altura su cui sorge la città di Patrica. Il poeta fu colpito dalla sua forma conica, dominata da un abitato o un castello scomparso attorno alla seconda metà del XIV secolo e di cui rimangono poche tracce sulla sommità. La ripida salita che affascinò Dante, offre ai vari escursionisti di oggi piacevoli passeggiate attraverso i diversi sentieri che portano a contemplare un paesaggio mozzafiato sulla Valle Latina e la zona della Marittima e una natura incontaminata, dove è possibile incontrare varie specie animali e preziose orchidee. Risalendo la valle attraversata dall’antico Trerus, non possiamo non soffermarci su Anagni, di cui Dante nella sua Commedia ricorda il famigerato oltraggio contro il vicario di Cristo, Bonifacio VIII. La città attuale offre al visitatore ancora tanti piccoli scorci di quello che doveva essere il centro antico, dominato dalla mole della Cattedrale e da palazzi che compongono il paesaggio del quartiere Caetani, in cui spicca la residenza di questa famiglia con le sue imponenti arcate rivolte verso i monti Ernici. Uno degli artisti che illustrò con i suoi disegni la Divina Commedia di Dante fu Gustave Doré che nel 1861 si lasciò affascinare dai brulli paesaggi verolani, che utilizzò nella rappresentazione di una parte dell’Inferno.

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Dante a Roma di Fabio Salemme

Inferno, canto VII - Illustrazione di G. Dorè

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come i Roman per l'essercito molto, l'anno del giubileo, su per lo ponte hanno a passar la gente modo colto, che da l'un lato tutti hanno la fronte verso 'l castello e vanno a Santo Pietro, da l'altra sponda vanno verso 'l monte. Il giubileo si sa è un evento che riesce a muovere milioni di pellegrini da ogni parte del mondo, tutto questo oggi ci sembra quasi normale considerando le tante comodità che la società moderna ci mette a disposizione e che ci permetteno di raggiungere posti lontanissimi in pochissimo tempo con il minimo sforzo. Dobbiamo però considerare che questa mole notevole di pellegrini, provenienti da ogni parte del mondo non è collegata alle comodità della società moderna ma al significato che l'anno santo assumeva per i fedeli e che corrispondeva alla remissione dei peccati. Questo percorso spirituale ha infatti portato da sempre (dal primo giubileo del 1300) milioni di pellegrini da ogni parte del mondo fino a Roma. A tal riguardo basti pensare ai tanti racconti dei cronisti di ogni epoca, si può ad esempio ricostruire che durante il primo giubileo la media delle presenze nella città eterna fu di circa duecentomila persone al giorno, una cifra enorme, tanto più significativa se si pensa che gli abitanti di Roma erano in quel periodo solo trentacinquemila. In questa moltitudine di pellegrini troviamo anche delle vere e proprie celebrità come: Cimabue,

Giotto, Carlo di Valois, fratello del re di Francia, con sua moglie Caterina ma soprattutto Dante che ci ha lasciato una descrizione quasi “fotografica” della città di quei tempi durante il giubileo del 1300. Per molti studiosi infatti, il sommo poeta venne a Roma come pellegrino, durante l’Anno Santo indetto da Bonifacio VIII e tra le varie ipotesi a sostegno di questa tesi c’è sicuramente un passaggio nel suo più celebre poema, la Divina Commedia. Dante riferisce nel suo poema (precisamente nell’inferno, 28-33) che l'afflusso di pellegrini a Roma fu tale che divenne necessario regolamentare il senso di marcia dei pedoni sul ponte di fronte a Castel Sant'Angelo: «come i Roman per l'essercito molto, l'anno del giubileo, su per lo ponte / hanno a passar la gente modo colto, che da l'un lato tutti hanno la fronte / verso 'l castello e vanno a Santo Pietro, da l'altra sponda vanno verso 'l monte.» Dante quindi paragona il procedere in senso opposto delle due schiere di peccatori della prima bolgia ai pellegrini che sul ponte Sant’Angelo, durante il Giubileo, si incrociavano, gli uni diretti a San Pietro, gli altri, di ritorno, diretti a (forse) Monte Giordano.

In conclusione tra le altre ipostesi che ci portano a ritenere quasi certo il suo viaggio del sommo poeta nella Città eterna c’è anche la mole di persone che visitarono Roma, sappiamo infatti che i pellegrini (i romei, per usare le parole di Dante: «chiamansi romei in quanto vanno a Roma») rimanevano affascinati dalla febbrile animazione e dalla ricchezza della città, dalla quantità e dallo splendore delle chiese. E’ quindi probabile che tra le migliaia di fiorentini che si recarono in pellegrinaggio a Roma nel 1300 vi fosse anche Dante. Bisogna però dire che in realtà, non ci sono documenti certi su questo “pellegrinaggio”, l’unica visita “attestata” di Dante a Roma avvenne l’anno successivo, precisamente nel settembre 1301, quando fece parte dell’ambasceria inviata da Firenze al Papa per ben disporne l’animo verso la città. Quindi tutte queste descrizioni potrebbero essere sia un ricordo diretto ma anche una rielaborazione di un racconto appreso dai pellegrini andarono in visita nella città santa o dai romani stessi l’anno seguente quando il sommo poeta si recò come ambasciatore a Roma.

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Sul finire degli anni Sessanta un

gruppo di studiosi guidato dal professor Mario Zocca,

ordinario di Storia dell’Urbanistica presso la facoltà di Architettura dell’Università di Napoli, licenziava il suo Studio per un piano di sviluppo turistico del Comprensorio denominato «Fiuggi-Monti Ernici», istituito dalla Cassa per il Mezzogiorno dopo la legge n. 717 del 1965, che aveva dilatato competenze e dotazione finanziaria degli organi dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno nel settore turistico.

Fiuggi e i Monti Ernici:

un incontro ancora possibile? di Emiliano Tersigni

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Monte Passeggio

Queste creste, a tratti affilate e alpestri, a tratti morbide e distese, invitano a lunghe traversate panoramiche di grande soddisfazione

L’obiettivo del gruppo di lavoro era, dopo un’attenta rassegna delle potenzialità turistiche offerte dal territorio, quello di superare la cosiddetta «insularità strutturale» di Fiuggi, vale a dire la tendenza della città termale ciociara, il cui sviluppo turistico, imperniato sulla vocazione idropinica delle sue acque, mostrava allora segni di saturazione, a isolarsi dal territorio circostante, che veniva percepito come mero e inanimato fondale privo di interesse. Lo scenario di quegli anni era però molto diverso dall’attuale anche per i Monti Ernici, sui quali si rifletteva l’eco del modernismo alpino e delle sue «mirabilia tecnologiche». Il Novecento aveva infatti portato anche su questi monti trasforma-

zioni radicali e agli esordi della frequentazione escursionistica e sciistica, negli anni Venti, era seguito un processo di infrastrutturazione della montagna, scandito dalla costruzione della strada Guarcino-Campocatino nel periodo prebellico, della stazione sciistica di Campocatino e della strada Veroli-Prato di Campoli nel periodo successivo alla Guerra, e di alcune infrastrutture idroelettriche e acquedottistiche sui due versanti della montagna (mentre pesanti iniziative di costruzione di villaggi residenziali non sarebbero andate fortunatamente ad effetto). Anche qui, dunque, la monocultura dello sci da discesa e le lusinghe di uno sviluppo urbanistico impetuoso legato al mito della seconda casa in mon-

tagna, aperto a strati sempre più larghi della popolazione italiana dai colpi di maglio di uno sviluppo economico che sembrava non dover avere fine, non avevano favorito l’integrazione e la reciproca comprensione tra Fiuggi e il suo entroterra montano, che rimanevano reciprocamente distinti e distanti. Nell’ultimo scorcio del secolo scorso lo scenario è doppiamente mutato: i fasti del turismo termale fiuggino sembrano definitivamente consegnati agli album dei ricordi del passato, non solo per gli sviluppi della retorica lotta dell’«acqua al popolo», ma per una tendenza generale della domanda di servizi turistici che ha reso marginali anche altre località termali celeberrime su scala europea. Sui monti non è andata diversamente, con il tramonto, a partire dagli anni Ottanta, della monocultura dello sci e del mito della seconda casa, amplificato da una congiuntura nivologica che soprattutto negli ultimi anni è stata estremamente avara. Tutto ciò ha permesso il delinearsi anche per questo territorio di un paradigma del tutto inedito, caratterizzato dalla ricerca di un nuovo equilibrio tra i due poli della conservazione e della fruizione/valorizzazione appoggiato a un mosaico quanto mai variegato di possibilità (dalle risorse naturali quali biodiversità, acqua, aria, geologia, specie vegetali e animali, a quelle storico-culturali come paesaggi,

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Vallone Rio

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beni, tradizioni, dialetti, alimentazione, in un coacervo di valori simbolici, di uso e potenzialmente di scambio), che ha aperto scenari nuovi che richiamano il territorio e suoi attori istituzionali ed economici a nuove e auspicabilmente nitide assunzioni di responsabilità. Tra il Lazio e l’Abruzzo, tra la Ciociaria e il profondo solco della Valle di Roveto, i Monti Ernici si ergono da nord-ovest a sud-est, offrendo all’osservatore una continua alternanza di lunghe dorsali ed estese faggete, altipiani erbosi e incisi valloni. Con le loro molteplici suggestioni paesaggistiche, naturalistiche, storiche, religiose, sportive ed eno-gastronomiche, queste creste, a tratti affilate e alpe-

stri, a tratti morbide e distese, in ogni caso facilmente percorribili sia d’inverno che d’estate, invitano a lunghe traversate panoramiche di grande soddisfazione. Un tempo teatro di scorribande brigantesche (nella Valle dell’Inferno, per esempio, trovò la morte il famigerato brigante sorano Chiavone, al secolo Luigi Alonzi, romantico protagonista della breve, ma intensa stagione del brigantaggio politico post-unitario), anche perché percorse dall’antico confine di Stato borbonicopontificio, questi monti hanno sempre rappresentato una importante cerniera fra le popolazioni dei due versanti, per secoli soggette a potestà politiche (e ancora oggi amministrative) diverse. Le co-

munità dei paesi che si raccolgono alle opposte falde della montagna comunicavano fra loro attraverso lunghe e faticose mulattiere di cui ancora resistono le opere d’arte (scavi in roccia, muri a secco, trincee). Gli stessi itinerari alimentavano le modeste economie paesane, quasi interamente imperniate sullo sfruttamento dei boschi e dei pascoli di alta quota, e servivano per gli spostamenti per ragioni devozionali. Le possibilità, come si accennava, sono molteplici. Questi monti, che più di novant’anni fa videro l’esordio del primo, pionieristico sci nella nostra provincia, offrono itinerari scialpinistici di grande fascino ed estremamente remunerativi: le


Monte Viglio - Macchialunga

L’integrazione tra lo straordinario retaggio di Fiuggi e le risorse offerte dai Monti Ernici richiede azioni sinergiche da parte degli operatori turistici e delle istituzioni

discese del M. del Passeggio sul Prato di Campoli sul versante laziale, quella dal Pizzo Deta a Rendinara per il Vallone del Rio e dal Viglio a Meta per il Vallone delle Portelle o per il Costone di Macchialunga, su quello abruzzese, non sono che le più lunghe e complete. Una singolare simmetria lungo l’asse longitudinale rappresentato dalla linea del displuvio riflette, sugli opposti versanti laziale e abruzzese, le due note stazioni termali di Fiuggi e Canistro, con diverse, ma forse complementari specializzazioni idropiniche, e, appena più a sud, le due riserve naturali del Lago di Canterno e di Zompo lo Schioppo, entrambe di eccezionale interesse naturalistico e legate al

carsismo, che ha modellato questi rilievi. La spettacolare cascata dello Schioppo, un salto verticale di oltre 80 m di altezza, nasce da una falda acquifera che scorre in un sistema di cavità sotterranee ancora sconosciute al di sotto del pianoro di Campocatino e, dopo un corso di pochi chilometri sotto il nome di Torrente Romito, si versa nel fiume Liri nel territorio di Canistro. Un modo impegnativo e ambizioso di esplorare gli Ernici è senza dubbio quello di percorrerne integralmente la linea di cresta dal valico della Serra S. Antonio fino al centro storico di Sora. Molteplici anche le possibilità di traversate dall’uno all’altro versante, dai centri laziali di Filet-

tino, Trevi nel Lazio, Guarcino, Vico nel Lazio, Veroli e Sora a quelli abruzzesi di Balsorano, Roccavivi, S. Vincenzo, Rendinara, Morino, Meta, Civitella Roveto, Pescocanale e Morino. L’integrazione tra lo straordinario retaggio anche simbolico del sistema alberghiero fiuggino e le risorse offerte dal vasto territorio ernico richiede azioni sinergiche da parte degli operatori turistici e delle rappresentanze istituzionali territoriali, ma anche un allargamento d’orizzonte nelle strategie di promozione: un’avanguardia di albergatori ha già incominciato, è auspicabile che non resti isolata fuori della trincea!

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Confessioni di un cuciniere di Andrea Giorgilli

La cucina come espressione della mia identità e della mia libertà, parola di Salvatore Tassa

Anche quest'anno Salvatore Tassa si è visto confermare la stella Michelin. Come si fa a portare avanti questa qualità nel tempo? Sono venticinque anni che mi confermano la stella. Il segreto è restare umili e coerenti con se stessi. Avere la capacità di interpretare il passaggio del tempo, senza porre traguardi finali. Se c’è una qualità in cui mi riconosco è quella di fare avanguardia anticipando le cose che verranno. Si definisce un libero cuciniere, lontano da ogni classificazione. Quanto si riconosce in questa definizione? In modo totale. Per me la libertà è l’espressione dell’individuo che si relaziona con il mondo intero. La relazione con gli altri mi permette di crescere, di scambiare idee, esperienze. La mia cucina è espressione della mia identità e della mia libertà. Per lavoro va spesso all’estero. Quanto sono importanti nella sua cucina le emozioni di un viaggio? Io quando vado in giro non faccio mai foto, non mi interessa. La vera essenza è nei momenti che vivi, nelle persone che incontri. È quello che ti rimane addosso. Dei luoghi, delle persone. Quella è la vera esperienza.

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Ci racconti un’esperienza che l’ha segnata in modo particolare. Mi piace scoprire come vivono altre persone, lontanissime da noi. Una cosa che apprezzo sempre è come molti popoli riescono a fare tanto con poco. Osservare in Guatemala due donne che macinano la farina di mais con una pietra lavoran-


Salvatore Tassa (ph.Sara Favilla)

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dola con una lastra di ferro. Imparare in Cina a usare il wok (particolare tegame cinese ndr) come fanno loro, con quella manualità eccezionale. La capacità di cucinare ad altissime temperature e dominare la fiamma attraverso il cibo. Ma quanto è importante la tecnica in cucina? La tecnica è importante, ma rende tutti uguali. Se non ci metti l’anima, il fuoco, il tuo carattere, resti in un limbo. Per questo mi piacciono le sperimentazioni, e i sapori decisi. Come nasce un piatto di Salvatore Tassa? Nasce sempre da un’ispirazione. Non c’è una regola, non cambio il menu perché è primavera. Il piatto nasce dalla volontà di esprimermi. Lo faccio per me, non per gli altri. Almeno nella fase iniziale. Poi c’è la fase sperimentale dove, come un alchimista, unisco e mescolo materie senza rispettare nessuna regola. Voglio essere libero dalle gerarchie della cucina.

Non è importante quello che metti nel piatto, ma le sensazioni che riesci a trasmettere

Con quale coraggio ha deciso, anni fa, di aprire un ristorante ad Acuto, nel cuore della Ciociaria? Sono figlio di questa terra. Mi riconosco nelle caratteristiche dei ciociari: testardi, orgogliosi ma anche generosi e inclusivi. Da autodidatta ho iniziato a lavorare in cucina con i prodotti del territorio. La scelta di restare qui è stata naturale, ed è stata la mia fortuna.

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Poi è arrivata la famosa cipolla. Siamo nel 1990. Nasce la cipolla sotto la cenere, un piatto umile con un sapore che piace a tutti. Ognuno ci trova quello che vuole: un ricordo, un’identità, un’emozione. Oggi è tradizione, allora

Stiamo perdendo quel senso di rispetto tipico della civiltà contadina

era avanguardia. Quando ha capito di essere entrato nell’alta cucina? Acquistai questa consapevolezza quando il Gambero Rosso mi nominò Prima Cucina nel Lazio per un raviolo di pecorino liquido con una salsa di finocchio. Da lì è iniziato un mio percorso professionale che sfugge ai canoni della cucina tradizionale. La mia cucina non è definibile. Come è cambiato nel corso di trent’anni il rapporto con la cucina? Io e il mio lavoro stiamo perennemente in lite. Anche perché io mi metto sempre in discussione, e questo stimola la mia ricerca. Nella sua vita a chi deve dire “grazie”? A due persone: a mia madre e a mio padre. A mia madre perché mi ha educato al buon gusto. E a mio padre perché mi ha fatto capire cos’è il lavoro e la fatica.

I tre piatti per cui vale la pena venire alle “Colline Ciociare” ad Acuto. “La passeggiata tra i Monti Ernici”, “Alla Fonte”, “il Vuoto e la Natura”. Sono i tre piatti emblematici del mio pensiero di oggi: la sostenibilità e il rispetto per l’ambiente. Che cos’è l’alta cucina? La capacità di cogliere l’essenza di un prodotto. Anche attraverso la tecnica, ma poi ci deve essere qualcosa di più, la capacità di plasmare ingredienti seguendo il proprio intuito. Lo ammetto: qui c’è l’egoismo del cuciniere, che fa le cose prima per se. Per la sua voglia di esprimersi. Cosa manca nella ristorazione di oggi? La cultura del territorio, che non si conosce mai abbastanza. E la voglia di osare, avere il coraggio di superare gli schemi. Non bisogna piacere a tutti i costi. Non è importante quello che metti nel piatto, ma le sensazioni che riesci a trasmettere.

La cucina ciociara è inclusiva e riflette tutta la cultura di questa terra


Dessert La Terra (ph.Lido Vannucchi)

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In questi giorni, di molti timori e poche certezze, lo si vede assai di rado. Effetti del coro-

navirus. Ma quando il pericolo sarà rientrato siamo certi che torneremo

ad incrociarlo a bordo della sua berlina nera. Con il fido Giorgio Tagliaferri al suo fianco che gli fa da autista e lo segue negli spostamenti. Con i suoi 98 anni, compiuti in Giugno, estremamente ben portati. Parliamo dell’Onorevole Giorgio Tupini, classe 1922, che ha scelto di trascorrere a Fiuggi gli anni della sua vecchiaia.

Giorgio Tupini,

l’ultimo “allievo” di

Alcide De Gasperi di Raffaele Pompili

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Nella cittadina termale lo conoscono un poco di più dal 10 Maggio scorso, quando l’Amministrazione Comunale, rimediando ad una improvvida dimenticanza, lo ha nominato cittadino “benemerito” e non onorario in quanto da tempo residente a Fiuggi. Tuttavia ancora in pochi sanno chi sia Giorgio Tupini e quale ruolo abbia svolto nell’Italia del dopoguerra fino alla fine degli anni 70.

Tupini è stato deputato della Democrazia Cristiana nella prima e seconda legislatura, primo Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’editoria, Presidente di Fincantieri dal 1959, Presidente e Amministratore Delegato di Leonardo-Finmeccanica dal 1968 al 1974, Presidente di Alitalia dal 1974 al ‘78. E’ stato insomma politico e grand commis, amministratore e boiardo di

stato, come si dice oggi con una brutta espressione, ma è stato soprattutto il collaboratore più assiduo di Alcide De Gasperi dal 1946 al ‘54. La vicinanza al grande statista trentino è stata, ma non solo, la splendida eredità del Padre Umberto, senatore e membro dell’Assemblea Costituente, più volte ministro e sindaco di Roma. Umberto Tupini amava trascorrere parte della sue vacanze a


Fiuggi e la passione per la nostra città fa parte anch’essa dell’eredità paterna per Giorgio Tupini, che dal 2000 ha trovato dimora nella bella villa in Via delle Mediole, nella parte alta del paese. Da li Tupini, fatta eccezione per lo stop forzato di questi giorni, si muove ogni giorno con il fido Giorgio al suo fianco. Lo si incontra al supermercato, come dal barbiere o dal giornalaio. Ed è proprio in prossimità dell’edicola di Piazza Frascara che ebbi il mio primo contatto con lui. Nel 2006 il quotidiano La Repubblica dedicò alla fine ingloriosa dell’Alitalia una ampia ed articolata inchiesta a puntate a firma di Alberto Statera. Ebbene, quando il racconto di Statera giunse a riassumere i 4 anni della presidenza Tupini la cronaca di un disastro con svariati contributi si trasformò nell’inattesa narrazione di un periodo di sviluppo e sana amministrazione, con il rafforzamento del prestigio e del ruolo della nostra compagnia di bandiera nello scenario internazionale, con l’incremento di voli e rotte transoceaniche unita ad una gestione attenta e rigorosa di risorse e investimenti. Quella mattina Tupini arrivò all’edicola e chiese la sua abituale mazzetta di giornali. Io ero lì per caso e conversando con un amico avevo dato una rapida occhiata all’inchiesta di Repubblica su Alitalia. A quel punto non persi tempo, mi avvicinai all’Onorevole e con una punta di sfrontatezza sibilai “… caro Onorevole oggi su Repubblica si parla e bene di Lei …..” Lui mi fissò fra il sorpreso e il compiaciuto e rispose con un deciso “Ah si ??....” per poi farsi raccontare brevemente il contenuto dell’articolo. Mi ringraziò con poche parole nel suo stile da gentiluomo d’altri tempi e prese congedo. Da allora ho avuto occasione di scrivergli spesso e di conversare con lui in qualche rara occasione, quasi violando la sua proverbiale riservatezza. Ho ricevuto, questo sì, una bella dedica che conservo gelosamente su una antologia edita dal Corriere della Sera e dedicata ai principali discorsi di De Gasperi, di cui uno pronunciato a Fiuggi al Consiglio Nazionale della DC nell’Agosto del 49. Quel che mi manca è non avere mai ascoltato, se non per brevi cenni, il racconto degli anni trascorsi al fianco di Alcide De Gasperi. Della lunga stagione vissuta accanto al più grande statista italiano del dopoguerra, il Presidente del Consiglio che ha lasciato un

segno indelebile, dopo Cavour e forse Giolitti, nella vita del nostro Paese. De Gasperi è l’uomo che restituì dignità e rispetto, speranza e fiducia ad un Paese ridotto in macerie uscito a pezzi da una guerra disastrosa; il politico capace di ricostruire da Ministro e da Presidente del Consiglio con il pieno sostegno delle sinistre un quadro politico ed una cornice istituzionale affidabile, prima delle inevitabili divisioni nell’Assemblea Costituente e soprattutto delle elezioni politiche dell’Aprile del ‘48. Ma fu soprattutto lo statista di straordinarie vedute capace di indicare al Paese da subito l’importanza della scelta atlantica a favore degli Stati Uniti come quella europeista, in aperta e solidale condivisione con il francesce Schumann ed il tedesco Adenauer.”Era un politico diverso da tutti gli altri”, ha ricordato Tupini con un filo di commozione sul finire della cerimonia in suo onore nel Maggio scorso in Comune. ”Era un uomo sereno dal temperamento d’acciaio, un falso calmo attento sempre a non promettere nulla che non potesse mantenere”. De Gasperi non volle mai governare da solo e si impegnò per tenere sempre il Partito Comunista nell’alveo costituzionale, nonostante i duri scontri con Togliatti, come non ebbe esitazioni, nella sua veste di cattolico difensore della laicità dello stato, ad opporsi alle pressioni di Papa Pio XII in occasione delle elezioni ammi-

R.Pompili - G.Tupini - L.Venuti

nistrative di Roma nel 1952. Anche in quella occasione gli elettori approvarono la condotta di De Gasperi “fondatore della Democrazia Cristiana come della democrazia repubblicana e del processo unitivo dell’Europa”, nello straordinario ritratto dello statista trentino e del suo fedele collaboratore tracciato dal prof. Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di S. Egidio, presente nel Maggio scorso in Comune alla cerimonia in onore di Giorgio Tupini. Si discute spesso di chi sia stato o siano stati gli eredi di De Gasperi. La storia ha dimostrato da un pezzo, purtroppo, che De Gasperi non ha avuto eredi in politica. Ha avuto, questo certamente, un fedele esecutore dei suoi insegnamenti in Giorgio Tupini. Dimenticarsene sembrava davvero un peccato troppo grosso e bene hanno fatto il Sindaco e Vicesindaco di Fiuggi Baccarini e Tucciarelli a rendere omaggio all’illustre concittadino. Scrisse un De Gasperi ormai fuori dalla battaglia politica al suo giovane collaboratore nell’estate del ‘54, poche settimane prima di morire: ”in queste ore sento più che mai, caro Tupini, il valore del tuo animo proteso verso ideali sentiti e disinteressatamente professati”. Giorgio Tupini ha tenuto fede ed ispirato la sua esistenza a questi ideali. In fondo è l’omaggio migliore al suo indimenticato Maestro, Alcide De Gasperi.

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ph. G.Isopi

L’osservatorio di Campo Catino

alla scoperta delle stelle di Giulia D’Angeli

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È grazie al lavoro di appassionati ricercatori che qui tutti possono provare l’emozione di riveder le stelle

Fin dalla sua origine, l'uomo è stato un implacabile cacciatore d'immenso. Dotato

di un'anima capace di guardare oltre, ha sempre avuto bisogno di viaggiare nell'insondabile ed è per questo che, tra il succedersi del giorno e della notte, ha get-

tato le basi di quella che Gianluca

Ranzini

(astrofisico,

giornalista scientifico) ha definito la "scienza di tutti".

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In passato però, essa era legata alla tradizione religiosa e non esisteva la figura dell'astronomo, erano i sacerdoti che si occupavano dello studio degli astri a occhio nudo per trarne auspici e predire il futuro. Oggi invece, grazie alla tecnologia, all'utilizzo di telescopi e osservatori astronomici, abbiamo assistito ad una vera e propria rivoluzione scientifica. Il primo osservatorio pubblico è stato costruito a Parigi nel 1667 per volere di Luigi XIV. Il nostro Paese ne ospita 58 ma uno in particolare ci sta a cuore ed è quello di Campo Catino in quanto è situato in quell'Italia minore fatta di borghi, tradizioni, arti e mestieri. Insomma quell'Italia autentica a "misura d'uomo". È nato dalla ristrutturazione di un vecchio edificio dell'Amministrazione Provinciale di Frosinone tra il 1985/86 ed è gestito da uno dei gruppi di astronomi più attivi nella nostra penisola: l'Associazione Astronomica Frusinate. È considerato uno dei più avanzati osservatori amatoriali italiani e europei in quanto utilizza sofisticati strumenti di ricerca tra cui il telescopio Ritchey-Chretien e la camera Baker-Schmidt. Inoltre i suoi 440 eventi scientifici e culturali sono stati seguiti da più di 100.000 persone di ogni età e posizione sociale.

Uno dei riconoscimenti più importanti, conferitogli dal presidente del Consiglio Regionale del Lazio Mauro Buschini, è stato quello relativo alla scoperta di ben tre nuovi pianeti nell’ambito del programma Tess della Nasa, precisamente una super-terra e due sub-nettuni. Questi corpi celesti hanno raggi che vanno da 1,3 a 2,4 volte quello della Terra ed orbitano intorno alla stella Tic 259377017, anche detta Toi 270, nella costellazione del Pittore, che è una delle più vicine e luminose nane rosse. Prima di questo traguardo sono stati scoperti altri 9 pianeti del sistema extra-solare e 35 asteroidi, uno dei quali identificato il 10 settembre 1999, è stato battezzato "Lazio" e riprodotto in copia 3D dalla Nasa. Il punto di forza di questa realtà risiede nell'unione di un piccolo gruppo di ricercatori che hanno tenuto e tengono tuttora accesa la fiamma della curiosità come arricchimento personale e collettivo. Un bagaglio non come oggetto di competizione bensì strumento di condivisione.

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I miti e leggende sono tipici di ogni regione, tramandate in via orale o in forma scritta di generazione in generazione. Storie

in grado di resistere all'usura del tempo, senza perdere smalto e fascino, assumendo quei ca-

ratteri immutabili che diventavano

poi

“saperi”

da

trasmettere a chi sarebbe venuto dopo di noi. Quando si pensa alla Ciociaria sono molti i pensieri che affollano la mente, dall’arte tipica culinaria ai monumenti storici fino ai racconti più nascosti dall’atmosferica magica. La terra ciociara conserva al suo interno millenni di storie e leggende ammalianti. Gli esempi più eclatanti li abbiamo sotto gli occhi, tutti i giorni: basta guardare le mura megalitiche in tante nostre città. A chi non viene in mente la forza straordinaria e mitica (è il caso di dirlo) dei Ciclopi? Oppure, frequentando il castello di Fumone, quante volte ci hanno parlato del fantasma di Francesco Longhi, il piccolo marchese che sarebbe stato ucciso dalle sorelle? E, ancora, famoso è l'intervento prodigioso di San Biagio che, il 2 febbraio del 1298, salvò Fiuggi dall'assedio dei Caetani, dando vita alla tradizione delle Stuzze. Pronti per questo viaggio? Si vola con la fantasia ma non solo.

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Viaggio tra

leggende e fantasmi di Ciociaria di Pietro Antonucci


Streghe, fate e gnomi si possono incontrare di notte nei misteriosi luoghi del Monte Schiavone

CORENO AUSONIO

VICALVI

Lo spirito di Alejandra tra le mura del castello Durante il periodo aragonese, nel '400, il castello di Vicalvi era abitato da Alejandra Maddaloni, moglie di un nobile di origine spagnola spesso distante da casa per i suoi impegni. Sola e triste, la castellana iniziò a riempire i tempi vuoti adescando giovani e aitanti uomini con la promessa di una notte d'amore: all'indomani, però, dei ragazzi non vi era più traccia, grazie anche alla complicità di un servo che nascondeva i corpi lontano dalla fortezza. Nel paese cominciarono a girare molte voci, che arrivarono anche all'orecchio del marito di Alejandra, il quale avviò un'indagine sulle presunti azioni deprecabili della donna. Una volta appurata la verità, l'uomo fu devastato dal dolore e decise di rinchiudere la moglie in una torre del bastione, dove Alejandra venne prima incatenata e poi murata viva. Lo spirito di Alejandra rimase così legato per sempre alle mura del castello. C'è chi di tanto in tanto racconta di aver intravisto, attorno alla rocca, una figura femminile, dai capelli neri e lunghi, preceduta da uno sferragliare di catene. Chi l'ha incontrata, la definisce una donna di una bellezza incomparabile, che attira i giovani offrendo loro una notte di passione... e una morte prematura.

Alejandra, donna di incomparabile bellezza, attirava giovani uomini promettendo una notte d’amore… ma con un segreto

La grotta delle fate A ridosso di Monte Schiavone, si trova una grotta naturale, nascosta e poco accessibile. Al suo interno, si trova un'enigmatica vasca, scavata in un unico blocco di marmo. Quale era la sua funzione? Le versioni sono differenti e non si è giunti ad una risposta conclusiva. È stato ipotizzato che fosse un sarcofago, per via di un piccolo avvallamento identificato come un poggiatesta e di alcuni incastri per l'appoggio della lastra di chiusura. Un'altra chiave di lettura la vede invece come una vasca votiva, nella quale il poggiatesta diventa un sedile e dove scorreva dell'acqua, elemento necessario per ogni forma di rituale. Un’acqua sacra perché arrivava direttamente dalla montagna, dalla Madre Terra, giunta qui con un trasporto preciso fin direttamente alla vasca, utero simbolico al cui interno ci si immergeva per rinascere a nuova vita. Viene considerato il luogo di culto della dea Marica, venerata dagli Aurunci. Tutti, però conoscono questo antro come la “grotta delle fate” perché, persa la memoria della funzione originaria di questo sito, si credeva fosse abitata da streghe, fate e gnomi...

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PONTECORVO

“Camèle” e il diavolo tentatore Verso la metà del XII secolo, in contrada “Gaude” a Pontecorvo, Giovanni Mele, detto “Camèle” stava lavorando nel suo terreno vicino alle sponde del Liri, quando fu tentato da Satana, apparso sotto le spoglie di un uomo ricco che lo invitava ad attraversare il fiume a nuoto promettendogli delle monete d'oro. Quando, ormai, “Camèle” stava per affogare, gli apparve un uomo che lo prese per mano e lo ricondusse a riva. Il demonio, allora, fu sprofondato nell'abisso con un fragore delle acque avvertito in tutta la zona. Sprofondando, lasciò una buca tanto profonda che – si diceva – se vi si gettava un'arancia, questa sarebbe sbucata alle foci del Garigliano. Il povero Giovanni chiese chi fosse il suo salvatore, che si presentò come San Giovanni Battista, esortando l'uomo a far edificare una chiesa in suo onore. I lavori iniziarono

qualche anno dopo e l'edificio sacro prese il titolo di San Giovanni Appàre. Oggi, purtroppo, la chiesa non c'è più, ma a maggio si celebra ancora la festa che ricorda la miracolosa apparizione. All’alba, parte la processione dalla Cattedrale di San Bartolomeo e, quando ormai si è nei pressi del punto dove avvenne il miracolo, i partecipanti escono a turno dalla folla per gettare dei sassi nel Liri gridando e battendosi il petto in segno di pentimento: “Tutte le peccàte méa abbàlle a sciùme!”. I sassi da buttare vengono scelti in base al peccato da espiare: più grande è la pietra, più grande è la colpa. Al termine della processione si procede alla distruzione dei due fantocci di “Camèle” e del diavolo che il sabato prima della festa, erano stati portati in giro per il paese. Fra spari e fuochi, lo spirito del male viene bruciato poiché è intervenuto quello purificatore del Battista.

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Quando stava ormai per affogare per la sua cupidigia, Camèle venne salvato dal Battista. E il diavolo sprofondò fragorosamente


ARCE

La chiesa costruita nel luogo sbagliato Immaginiamo che un Santo sia sempre contento, quando si innalza una chiesa a lui dedicata. Sì, ma attenzione a costruirla nel posto esatto, perché se si sbaglia il punto possiamo incorrere nelle ire dello stesso santo che ci potrà obbligare a... ricominciare daccapo! Come accadde nella leggenda di Arce, con protagonista il patrono Sant'Eleuterio, il pellegrino inglese che, una notte, apparve in sogno ad una vecchietta chiedendole di farsi promotrice della costruzione di una chiesa in suo onore. Cominciò la raccolta dei fondi, ma la costruzione iniziò in un punto diverso da quello indicato nel sogno. Le mura, costruite il giorno precedente, nel mattino successivo venivano trovate crollate, finché Sant'Eleuterio, in un nuovo sogno, indicò il perimetro della chiesa, che sarebbe stato delimitato da una fila immensa di formiche. Era quello l'indizio. Individuato il luogo giusto, da quel momento non ci furono più ostacoli e, in breve, la chiesa venne edificata.

Ogni mattina le mura costruite il giorno prima crollavano. Un prodigio o la precisa volontà di un Santo?

CANNETO

Per far bere il gregge della pastorella, la Madonna fece uscire dalla rupe un’acqua limpidissima che diede vita al fiume Melfa

Quella apparizione alla pastorella Il santuario di Canneto è uno dei più frequentati del Lazio ed è legato ad una leggenda che ha per protagonisti una giovinetta e la Madonna. Secondo la tradizione, una pastorella di nome Silvana, mentre pascolava le sue pecore vide una Signora sfolgorante che le ordinò di andare subito dall'arciprete di Settefrati per chiedergli di costruire una chieda dedicata alla Madonna. A quella visione Silvana restò stupefatta e tremante. La Madonna la rassicurò e fece sgorgare dell'acqua per abbeverare il gregge: toccò lievemente con le dita la rupe dalla quale iniziò uscire acqua limpidissima e fresca, quella che andò a formare il fiume Melfa. Dopo quel prodigio la pastorella corse verso il paese per raccontare la storia. I primi ad accorrere sul posto trovarono dell’acqua mai vista prima e, in mezzo, alle rocce una statua di legno. La statua, secondo Silvana, raffigurava l’immagine della Madonna da lei vista. Poiché la statua era molto bella, per non abbandonarla alle intemperie decisero di portarla in paese, ma appena ebbero imboccato il sentiero si appesantì e man mano che proseguivano pesava sempre di più, finché i portatori, sfiniti dalla fatica, la appoggiarono a una roccia, dove lasciò impressa l'impronta del capo. La roccia con la sua concavità è ancora oggi visibile e il luogo è chiamato “Capo della Madonna”, a poche centinaia di metri dal santuario.

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I diari della

La domanda che si fa chi non ha mai provato a viaggiare in bicicletta è “perché

dover faticare per andare in vacanza ?” Non è facile spiegare le sensazioni che si provano quando si pedala, e soprattutto quando si pedala verso una certa destinazione, in un viaggio dove raggiungere la meta, godendo dei paesaggi, è già la vacanza.

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bicicletta di Roberto Ambrosi

La bicicletta consente di avanzare con una andatura che, a ogni metro, ti lascia godere dei profumi, dei fragori della campagna e di assaporare quelle sensazioni che si provano sempre meno, data la frenesia che regola le nostre vite in un mondo che corre verso chissà quali traguardi. Oggi lo chiamano turismo lento; credo che tutti nella loro vita dovrebbero fare un viaggio in bicicletta. Un giorno un amico mi ha chiesto il perché avessi fatto un viaggio in bicicletta; ho risposto che amavo pedalare e amavo farlo per tanti chilometri; avrei potuto anche girare intorno a casa per tutto il giorno ma credendo fosse un po’ noioso, ho scelto una direzione e l’ho presa… Da soli o in compagnia, ciò che il cicloviaggio ti lascia dentro è qualcosa che resta custodito tra le tue sensazioni più intime per riaffiorare quando meno ci si aspetta. Un ricordo, un profumo, una sensazione o un pensiero del viaggio ti accompagneranno sempre. In realtà il viaggio comincia molto prima della partenza perché ha bisogno di tempo per essere organizzato, deve maturare e crescere. Purtroppo sull'intero territorio nazionale dobbiamo condividere, spesso in modo pericoloso, le strade con le auto perché ancora non esiste una rete di piste ciclabili che permetta di muoverci in tutta sicurezza. Una rete ciclabile nazionale avrebbe diverse ragioni d’essere: Trasportistica – porterebbe ad una mag-

giore diffusione dell’uso delle biciclette come mezzo di trasporto quotidiano e per di più pulito. Turistica – l’ Italia è il maggior produttore di biciclette in Europa ed il turismo è una delle maggiori risorse del nostro paese. Economie locali – nelle realtà di altri paesi europei, dove le piste ciclabili sono più presenti, si è stimato un aumento del 20% di visitatori del territorio ed un aumento delle economie territoriali come il ristoro e l’assistenza tecnica. La mia storia con la bicicletta iniziò quando presi atto che i miei bambini avevano imparato ad andare in bicicletta e così pensai che avrei dovuto acquistarne una anche io per andare a fare qualche passeggiata insieme a loro. Non avrei mai immaginato che grande passione sarebbe diventata già dalla prima passeggiata. La bicicletta ti entra dentro, ti da quella sensazione di libertà che nessun altro mezzo di locomozione ti può dare. Il mio primo viaggio l’ho fatto nel 2018 in solitaria da Fiuggi a Bologna, quasi 600 km in poco più di 5 giorni e con poco allenamento, ma ricordo sempre che non deve essere considerata una corsa e si possono fare anche pochi km al giorno così da poter godere di tutto quello che ci circonda. In questi viaggi ci sono momenti in cui ci perdiamo su una salita, o mentre guidiamo in mezzo alle curve, è in quei momenti che l'uomo e la bici diventano una cosa sola.


Tutto quello che serve per un viaggio in bici

CAMPEGGIO Filo e mollette, Cuscinetto per dormire, Presa corrente, Tenda, Sacco a pelo Telo idrorepellente sottotenda ABBIGLIAMENTO BICI Casco, Scarpe MTB, Bandana o scalda collo, Calzini, Maglie e Pantaloni bici, Kway leggero, Pantalone antipioggia, Smanicato, Guanti, Occhiali da bici, Cappellino, Fasce catarifrangenti per caviglie, Manicotti ABBIGLIAMENTO Boxer, Magliette, Maglia e Pantaloncino per dormire, Pantalone per uscire, Costume, Infradito

TOILETTE Salviette umidificate, Fazzoletti di carta, Asciugamano telo fibra piccolo e grande, Borsetta bagno (spazzolino, dentrificio, sapone, deodorante, burro cacao), Carta igienica, Crema solare FARMACIA Disinfettante, Aspirina, Cerotti, Garze, Nimesulide, Buscopan, Cicatrizzante, Arnica, Integratori salini, Barette energetiche ATTREZZI BICI Multitool, Camera d’aria, Pompa, Testina gonfiaggio e cartucce, Co2, Smagliacatena e maglia per catena, Luci anteriori e posteriori, Borracce

ATTREZZI VARI Coltellino svizzero, Accendino, Guanti in lattice, Forbici piccole, Nastro isolante, Fascette da elettricista ELETTRONICA Multi presa, Action camera, Penna e block notes, Smartphone, Cuffiette, Tablet, Caricabatterie, Powerbank, Ciclocomputer BORSE Borse posteriori, Borsa manubrio, Telo per borse posteriori, Borsa telaio, Lucchetti bici, Corde elastiche

ph. R. Ambrosi

La bicicletta insegna cos’è la fatica, cosa significa salire e scendere, insegna a vivere. Il ciclismo è un lungo viaggio alla ricerca di se stessi.

Ivan Basso

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Ogni luogo ha una storia nascosta. I 13 borghi medievali dell'Alta Ciociaria ce la raccontano

Scopri l’anima di

questa antica terra a cura della redazione

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L'intervista a Giovanni Rondinara, Presidente del GAL Ernici Simbruini Presidente Rondinara vuole raccontarci che cos’ è il GAL e come nasce l’idea di creare il GAL? Il GAL Ernici Simbruini è un’associazione senza scopo di lucro tra partner pubblici e privati, nata nel dicembre del 2002 dal Programma di Iniziativa Comunitaria LEADER PLUS grazie al quale il Gal gestisce finanziamenti europei per promuovere il territorio di cui oggi fanno parte 13 comuni: Acuto, Alatri, Collepardo, Filettino, Fiuggi, Fumone, Guarcino, Piglio, Serrone, Torre Cajetani, Trevi nel Lazio, Trivigliano e Vico nel Lazio. Quali sono, ad oggi, gli impegni del GAL e quali gli obiettivi del Piano di Sviluppo Locale?

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Attualmente siamo impegnati nell’attuazione del Piano di Sviluppo Locale (PSL), 2014/2020, il cui obiettivo principale è rafforzare l’economia locale nei settori agricoltura, artigianato, turismo, servizi e commercio, e permettere alle persone e ai turisti di usufruire di servizi legati agli itinerari naturalistici, archeologici, enogastronomici, culturali e religiosi. Ritengo che l’attività di promozione del territorio sia fondamentale, per questo motivo abbiamo deciso di partecipare a due progetti, che hanno proprio questo scopo: la pubblicazione della Guida ai piccoli borghi dell’Alta Ciociaria (già presente presso enti di promozione turistica e strutture ricettive dei 13 paesi GAL, e online sul nostro sito web) e la campagna di promozione “Fiuggi e Dintorni”. Inoltre due nuove figure dello staff - “animatori territoriali” - cureranno la promozione delle attività del GAL sul territorio sia attraverso i social che con un calendario di eventi che, Covid-19 permettendo, andremo a realizzare nei 13 comuni nei prossimi mesi, finalizzati alla promozione del Turismo.

Turismo termale, sportivo, congressuale, religioso, turismo sostenibile ed enogastronomico. Quali scenari per il 2021? Esistono diverse opportunità per gli enti locali, per le associazioni e i privati che hanno un’idea progettuale economicamente sostenibile. Per dare un segnale concreto a queste realtà, il GAL ha da poco pubblicato 3 delle 10 misure previste nell’ambito della Misura 19 “Sostegno allo sviluppo locale LEADER” che prevede tutta una serie di interventi in diversi ambiti, tra cui investimenti per le piccole e medie aziende agricole, la riqualificazione urbana, aiuti all’avviamento aziendale non agricolo, la cooperazione sociale, investimenti per infrastrutture ricreative e turistiche e tutta un’ altra serie di interventi che troverete pubblicati sui nostri canali istituzionali e sul nostro sito internet www.galernicisimbruini.it nella sezione bandi.

G.Rondinara (ph. F. Rondinara)

Sul nostro sito web abbiamo pubblicato bandi per il sostegno alle aziende, alla riqualificazione urbana e per le infrastrutture turistiche


IL SENTIERO DELLE PIRAMIDI

Appena entrato ad Acuto prendi la panoramica che sale verso il laghetto del Volubro. Per chi ha voglia di natura e silenzio, le colline intorno sono il luogo ideale. Parcheggia vicino al lago e segui l’inizio del percorso. Dopo qualche minuto di cammino ti si aprirà davanti l’orizzonte. Sei circondato da cielo e montagne. Prosegui lungo il sentiero di erba e sassi, incontrerai delle piramidi formate da pietre: tradizione vuole che ogni viandante ne lascerà una sulla piramide. Di buon auspicio per la vita che verrà.

ACUTO

A spasso tra le stelle

PIGLIO

Perdersi tra vigneti e cantine

Il paese dipinto sulla pietra

LE COLLINE DEL CESANESE

Il Cesanese del Piglio può vantare l'esclusività nel Lazio come vino rosso riconosciuto DOCG, era il 2008. Una tradizione generazionale, fatta di uomini, vigneti e cantine, che oggi è possibile visitare seguendo la ”Strada del Vino Cesanese”. La produzione si divide in tre tipologie: Cesanese base, Superiore e Riserva. Caratterizzato dal colore rosso rubino e riflessi violacei, profumo floreale con sentori di frutti di bosco. Il gusto morbido e leggermente amarognolo al finale lo rendono ideale per l'abbinamento con carni rosse, formaggi mediamente stagionati, polenta e piatti della cucina romana come l'agnello al forno, coda alla vaccinara e porchetta arrosto.

LA ROCCA DEI COLONNA

Recentemente inserita nella “rete delle dimore storiche del Lazio” insieme al parco perimetrale, è ciò che rimane dell'antica cinta muraria del XV sec d.C. La torre, costruita in pietra su rocce e un terreno estremamente scosceso, presenta feritoie e camminamenti sulla ronda necessari per avvistare le truppe nemiche. La posizione panoramica sulla valle e la maestosità della struttura, raggiungibile da una scalinata appena a ridosso del centro storico, rendono il parco circostante una delle terrazze naturali più suggestive della zona.

SERRONE 53


Un parco a cielo aperto

FILETTINO L’INCANTEVOLE NATURA DEL PARCO DEI SIMBRUINI

Salendo sui Monti Simbruini dove nasce l'Aniene, entriamo nella bellissima Riserva Naturale del Parco dei Simbruini piena di ruscelli d’acqua limpidissima che attraversano valli incontaminate. Filettino è lì, a 1075 metri, che vi aspetta con l'orgoglio tipico di una bellezza desiderata. Aria buona, paesaggi mozzafiato, casette in pietra e ottimo cibo sono dei buoni motivi per essere frequentato da vacanzieri in fuga dalla città. Tappa d’obbligo la vicina stazione sciistica di Campo Staffi, frequentata dagli amanti del trekking soprattutto in estate.

Incanto e bellezza di un borgo LA CASCATA DI COMUNACQUE

TREVI NEL LAZIO Wellness e sport per viaggiatori

Se sali fin quassù, sugli splendidi Simbruini, oltre a fare una visita al caratteristico borgo Trebbano, con la sua aria da villeggiatura di montagna, e con il suo Castello Caetani, non puoi perderti un vero incanto della natura, laddove le acque dell’Aniene si tuffano in un laghetto sgorgando meravigliosamente da una roccia. Siamo in località Comunacque, a pochi km da Trevi, sede di un’importante area archeologica: intorno alla cascata ci sono opere e manufatti antichissimi, tra cui quelli del tratto iniziale dell’acquedotto romano dell’Anio Novus, che riforniva di acqua l’antica Roma.

FIUGGI

L’APERTURA DI PALAZZO FIUGGI

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È ormai prossima l’apertura di Palazzo Fiuggi, ex Palazzo della Fonte, uno degli alberghi più prestigiosi d’Europa. L’albergo dove il Re Vittorio Emanuele III firmò la dichiarazione di neutralità italiana, che ha ospitato Pirandello e Sofia Loren e tanti altri personaggi illustri, finalmente riapre al pubblico. E lo fa ponendosi con una proposta wellness dedicata alla rigenerazione completa della persona. Cucina affidata allo chef stellato Heinz Back. Siamo tutti in attesa perché Fiuggi possa tornare un punto di riferimento in ambito internazionale.


IL CASTELLO TEOFILATTO

Questo piccolo borgo medievale tutto aggrappato ad una roccia sui Monti Ernici, si sviluppa intorno al Castello, che già nel 529 fu tappa di San Benedetto nel suo viaggio verso Montecassino. Tra il 900 e il 1100, appartenne alla famiglia romana del senatore Teofilatto prima di diventare, alla fine del XIII secolo, feudo dei Caetani per volere del Papa Caetani Bonifacio VIII. Finito il lockdown, sarà possibile visitare il Castello che tornerà ad essere una location molto ambita per matrimoni ed eventi dalle fascinose atmosfere medievali.

Alla corte dei Caetani

Ascoltare il suono della natura

TRIVIGLIANO

La rocca inespugnabile

TORRE CAJETANI

I FORMAGGI DAL SAPORE AUTENTICO

Oltre ad essere diventata una zona di belle residenze di campagna, Trivigliano è un luogo ideale dove andare a fare una passeggiata nelle giornate di sole, seguendo i percorsi lungo il lago di Canterno, da fare a piedi o in bici. Aria buona, tanta natura e un caratteristico centro storico la rendono una località piacevole da visitare. Da non perdere l’assaggio di formaggi di pecora e capra dal sapore intenso e autentico. Una specialità del posto.

IL FANTASMA DEL MARCHESINO

Si narra che nel Castello di Fumone ci siano 18 fantasmi. Il più famoso dei quali è senza dubbio quello del marchesino Francesco Longhi, morto a metà del 1800, vittima di un delitto misterioso, forse ucciso dalle sorelle. La notte si sentono pianti e lamentele provenire dal Castello: sono quelle della Duchessa Emilia Caetani, madre di Francesco, che piange il suo bambino. Il corpo del marchesino imbalsamato è custodito nell’Archivio, tutt’ora visitabile insieme alle altre sale dell’antichissima dimora storica.

FUMONE 55


Un gioiello custodito da 25 torri IL BORGO E LE TORRI

Il borgo medievale di Vico nel Lazio è uno dei più belli e caratteristici di tutta la Ciociaria. Praticamente rimasto intatto nel tempo, questo feudo dei Colonna, con la sua cinta muraria, le sue 25 torri, le chiese, i vicoli e le case in pietra, evoca atmosfere di cavalieri e dame, duelli e intrighi di palazzo. Un centro oggi animato da piccole botteghe e tipiche locande. Non perdetevi un’avventurosa passeggiata lungo il perimetro esterno delle mura, sulle antiche torri: vi sembrerà di essere un arciere a difesa della fortezza di Vico!

VICO NEL LAZIO

Le confidenze della montagna IL MONASTERO DI SAN LUCA

Oltre alla montagna di Campo Catino e al suo famoso amaretto, Guarcino presenta dei gioielli non molto conosciuti come il monastero benedettino di San Luca. Arrivarci attraverso i sentieri è già molto bello, ma è entrando nei suoi giardini che si respira un’atmosfera di pace e meditazione. Costruito a picco sul fiume Cosa, il convento (anche uso foresteria) è circondato dai verdi boschi degli Ernici, ma è in quella chiesetta tutta in pietra che si raggiunge la vera contemplazione.

GUARCINO 56


ACROPOLI E LA PORTA DEI FALLI

Città mosaico per i tanti punti di interesse (l’Acropoli con le sue Mura in opera poligonale, l’enigmatico Cristo nel Labirinto, la Chiesa di Santa Maria Maggiore), Alatri è custode delle più antiche tradizioni ciociare, a cui aggiunge una particolare attenzione per l’istruzione. L’Acropoli, in posizione dominante, spazio sacro e presidio difensivo, presenta due porte d’accesso: Porta Maggiore e Porta Minore, cosiddetta Porta dei Falli per le incisioni presenti, simbolo di fertilità per chi percorre la scalinata della porta senza mai fermarsi.

ALATRI La terra con il mito dei ciclopi

Contemplare la bellezza e vivere felici SANTUARIO MADONNA DELLE CESE

Collepardo è in una posizione incantevole in mezzo alle montagne. Oltre alla meravigliosa Certosa di Trisulti, presenta siti di grande interesse come le grotte, il pozzo d’Antullo, l’ecomuseo. Qui segnaliamo il Santuario della Madonna delle Cese, piccolo eremo incastonato in una grotta, raggiungibile in venti minuti da un sentiero che parte dal piazzale della Certosa. Quasi un pellegrinaggio verso questo luogo sacro, dove – secondo la tradizione popolare - nel VI secolo apparve la Vergine ad un eremita, lasciando la sua immagine scolpita nella pietra.

COLLEPARDO 57


Negli ultimi anni, sempre più persone per i motivi più vari, anche dall’estero, sentono

la necessità di riscoprire le proprie origini familiari sperando di trovarle negli archivi.

Nell’ambito dell’amministrazione archivistica italiana, gli Archivi di Stato, articolati su base provinciale, rappresentano i più importanti istituti di conservazione e valorizzazione della documentazione pubblica statale.

Essi conservano gli archivi degli Stati italiani pre-unitari, i documenti degli organi giudiziari ed amministrativi, centrali e periferici dello Stato, non più occorrenti alle necessità ordinarie del servizio, tutti gli altri archivi e singoli documenti, pubblici e privati, che lo Stato ha in proprietà o ha ricevuto in dono o in deposito, come archivi di famiglie, di imprese, di corporazioni religiose e di enti pubblici non statali. All’interno di questa enorme massa documentaria, moltissime sono le fonti, sia pubbliche che private, indispensabili per la ricerca genealogica e per la storia di singole famiglie e persone. Le principali sono: - lo Stato civile con i relativi indici, annuali e decennali; - la documentazione relativa all’arruolamento e alla carriera militare; - gli archivi notarili; - gli archivi di famiglia e di persona; - fonti nominative e fonti per l’emigrazione. I registri dello stato civile venivano redatti in doppio originale dai comuni; uno rimaneva ai comuni stessi ed il secondo veniva inviato nel Tribunale competente per territorio e, in seguito, negli Archivi di Stato per la conservazione permanente. In particolare l’Archivio di Stato di Frosinone conserva i registri dello Stato civile, nascita, matrimonio, morte, versati dai Tribunali di Frosinone e Cassino, le liste di leva ed i registri dei ruoli matricolari prodotti dal Distretto Militare di Frosinone.

La serie dello stato civile conservata a Frosinone così come quella di tutti gli altri Archivi di Sato italiani è stata microfilmata nel corso degli anni ’90 dalla Genealogical Society of Utah nell’ambito di un progetto di collaborazione con l’allora Ministero dei Beni Culturali. Grazie all’evoluzione tecnologica, un successivo accordo siglato nel giugno 2011 fra la Direzione Generale degli Archivi del Ministero dei Beni e Attività Culturali e Family Search, braccio operativo della Genealogical Society of Utah (Società genealogica dello Utah) ha previsto la trasformazione delle immagini su pellicola microfilm in digitale di tutti i registri dello stato civile e la loro pubblicazione nel portale Antenati (www.antenati.san.beniculturali.it). Per recuperare informazioni e documenti sulla propria storia familiare, nel risalire i secoli, si devono fare i conti con enormi ostacoli: le fonti documentarie, soprattutto per l'epoca più antica, sono rare e i dati anagrafici sono molto instabili. Il cognome, in particolare, solo nella tarda epoca moderna, secc. XVIII-XIX, acquisisce un consolidamento di natura giuridica, con la creazione dei primi catasti e dello stato civile. Altro problema è quello della dislocazione delle fonti documentarie che rende difficoltosa la ricerca. Dal 2012 il portale costituisce la principale risorsa online per la ricerca genealogica e per le storie di famiglia in Italia. Ad oggi, sul portale Antenati sono stati pubblicati circa 99.000.000 di immagini di quasi 1.400.000 registri di stato civile conser-

Alla ricerca delle proprie

radici di Giulio Bianchini

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vati in 64 Archivi di Stato italiani, che l’utente può consultare gratuitamente dalla propria casa. Nel giro di qualche mese anche i registri conservati nell’Archivio di Stato di Frosinone saranno resi disponibili sul portale Antenati. L’Archivio di Stato di Frosinone, inoltre, mette a disposizione degli utenti la possibilità di consultare gli indici dei nominativi presenti sui registri dei ruoli

matricolari del Distretto Militare di Frosinone. Dai registri è possibile ricavare le seguenti informazioni: cognome e nome del soldato, paternità, maternità, data e luogo di nascita, altezza, capacità toracica, forma e colore dei capelli, naso, mento, occhi, colorito, dentatura, professione e alfabetizzazione, seguite da quelle riguardanti la vita militare, sia di addestramento, sia dell’eventuale servizio in guerra. Ulteriori annotazioni riguar-

dano i cambiamenti di residenza, in quanto erano necessarie a giustificare il controllo, da parte dell’amministrazione militare, sui soggetti in congedo illimitato provvisorio, sia in patria che all’estero. Il Distretto Militare di Frosinone istituito con R. D. del 8-7-1883 aveva competenza sui Circondari di Frosinone, Velletri e Sora per un totale di 117 comuni. Questo lavoro iniziato, già da qualche anno, anche con la collaborazione di molti Istituti scolastici nell’ambito del progetto di alternanza scuola lavoro, comincia con la classe di nascita dell’anno 1877. Finora sono stati trascritti oltre 130.000 nominativi che sono a disposizione degli interessati sul sito dell’Archivio di Stato di Frosinone (www.archiviodistatofrosinone.beniculturali.it). Per proseguire la ricerca per i secoli XVI-XVII-XVIII, oltre la documentazione notarile, è necessario consultare i Liber baptizatorum, Liber confirmatorum, Liber matrimoniorum, Liber mortuorum e Status animarum che, all’indomani del Concilio di Trento, quindi seconda metà del 1500, sono stati compilati da tutti i parroci delle nostre chiese ed attualmente sono conservati negli archivi parrocchiali o in quelli diocesani.

Sul sito web dell’Archivio di Stato di Frosinone c’è la possibilità di consultare gli oltre 130.000 nominativi presenti sui registri dei ruoli matricolari del Distretto Militare di Frosinone

Registro Atti di nascita (ph. G.Bianchini)

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Il progetto fotografico Ruggine Ciociara va avanti da oltre due anni.

Siamo un gruppo di fotografi non professionisti, appassionati dei luoghi remoti e abbandonati del territorio ciociaro. Le nostre foto testimoniano le condizioni sociali del passato e l’evoluzione dei costumi. Tuttavia gli scatti non

Ruggine ciociara,

la bellezza della decadenza di Sandro Figliozzi - (ph.Sandro Figliozzi)

hanno alcuno scopo documentale né sociologico ma vogliono evocare sentimenti, colgono la bellezza delle abitudini, fissano le lentissime dinamiche

delle

case

abbandonate, il fascino delle bottiglie e la ruggine dei tappi per la conserva, ammucchiati per terra da tempo immemore.

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A monte vi è un lavoro di ricerca dei luoghi da visitare a cui seguono esplorazioni, il sabato pomeriggio. Le foto migliori vengono pubblicate su Flickr, in cui abbiamo creato il gruppo “foto ciociare” aperto al contributo fotografico di tutti. Lì è possibile anche lasciare messaggi per segnalazioni di luoghi ed essere coinvolti nelle escursioni. Moltissimi sono i siti sconosciuti che abbiamo scoperto seguendo questa passione: Forglieta e Montecoccioli di Arpino, Cortignale e La Caputina di Alvito, il borgo nuvoloso di Terelle, solo per citarne alcuni. Nelle varie scorribande fotografiche abbiamo constatato la desolazione affascinante di tanti centri storici, la devastazione dell’illusione industriale, lo sviluppo turistico, ed il successivo declino delle seconde case, il fascino dei muri scavati per ricavare spazi ormai inutili.


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Spesso le foto ritraggono pietre levigate dalla pioggia, che le bagna da secoli, perché la Ciociaria è fatta di sassi, ora conquistati dai rovi. Ovunque, sui colli e sui monti, i contadini vivevano una povera esistenza rurale secondo le possibilità concesse dalla pietra, ammucchiata in macerie, ora sono andati via da quei borghi montani. Sono rimaste però testimonianze fortemente evocative di quelle povere vite. L’esodo è iniziato più di un secolo fa, proseguendo sino a tempi più recenti. Molti sono andati via con l’idea di tornare, lasciando nei bauli i loro abiti poi sparsi a

terra dai profanatori di quelle abitazioni in cui il focolare, a volte, è rimasto in ordine. In poco più di due anni, io e i miei compagni abbiamo raccolto molte immagini. Radici della nostra terra. Scarpe consunte ed abbandonate dove poter rintracciare il nostro DNA. Sono simboli di vita scivolata altrove, come i rigagnoli di ruggine attorno a serrature ormai inutili. Frantoi improduttivi, oggetti inutilizzati che suscitano emozioni e riflessioni profonde. Buona parte dei fotografi colgono l’attimo, l’irripetibile. Al contrario, noi cerchiamo di catturare il flusso del tempo,

l’accumulo della polvere, la ruggine, la muffa, ciò che si consuma. Abbiamo una mappa dei posti fotografati e speriamo che, tornandovi, nessuno abbia avuto l’idea di spostare, spolverare, pulire alcunché. Di solito, in verità, non capita. L’accumulo è destinato a proseguire e così osserviamo la bellezza della decadenza. Materiali, oggetti, effetti personali divenuti affascinanti perché non toccati e indenni da ogni tentativo di conservazione. Cose abbandonate a se stesse. Così una semplice bottiglia diviene poesia.


Anche il legno, in questi contesti, assume un fascino particolare con il fascino della rugosità, risultato del processo di pietrificazione, la perdita delle parti molle e l’indurirsi delle altre. Non resisto al fascino dell’osservazione dell’evoluzione dei sistemi di chiusura delle porte, non più considerate “degne” di nuove serrature. Il divenire lento, che trasforma le cose senza però snaturarle completamente, è il focus del nostro lavoro. La vestigia, in sé, non ci interessa. I portoni e le finestre in rovina sono simboli di questi luoghi remoti e silenziosi

Oggetti personali divenuti affascinanti perché indenni da ogni tentativo di conservazione. Così una semplice bottiglia diviene poesia.

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dove la natura si riappropria lentamente delle cose. I rovi si insinuano ovunque. All’interno e all’esterno incapsulano travi, creano fessure e generano i presupposti per muffe, licheni e umidità uniformante. E’ la nuova bellezza dell’avanzare del tempo. Si attua così una rigenerazione continua, lenta, saggia, gratificante e rassicurante per chi, come noi, non è più ragazzino. Le fotografie diventano pittoriche, paradossalmente simili all’arte materica contemporanea.

Tra le nostre foto ci sono pochi paesaggi, anche perché, in Ciociaria, essi sono spesso compromessi, soprattutto nel fondo valle. Sono gli effetti della pseudo industrializzazione, documentata, invece, nel suo decadimento. Sarebbe bello se qualcun altro volesse unirsi a noi per condividere questa nostra passione. Segnalateci, se volete, altri borghi e caseggiati da esplorare, per noi preziosi al pari di siti archeologici in cui rintracciare, oltre che tracce di memoria, anche quella spiritualità, semplice e ge-

nuina, capace di penetrare laicamente nel profondo, che sempre abbiamo rinvenuto nei paeselli sperduti e nelle contrade abbandonate della Ciociaria. Questo è, per sommi capi, quel che facciamo, sapendo che i tappi per la conserva sono e resteranno lì, per terra a Fiumefreddo di Fontana Liri, dove fra dieci anni torneremo ad osservarli e fotografarli, ancor più affascinanti e solo un po’più arrugginiti.


Scritti ciociari di Pietro Antonucci

Piccola guida a libri di storia locale

Arte / Biografie “Juana Romani. La petite italienne. Da modella a pittrice nella Parigi finde-siècle” Marco Nocca, Gabriele Romani, Alessandra De Angelis L'Erma di Bretschneider, 2017, 350 pagine, 98 euro Juana Romani fu la pittrice donna più celebre a Parigi dal 1895 al 1905, poi sulla sua figura cadde l'oblio. Questo testo, catalogo della mostra svoltasi a Velletri, ci porta a (ri)scoprire l'opera e la figura dell'artista veliterna, figlia di un brigante ciociaro, affermatasi nei Salons con una pittura che nell'ultimo ventennio dell'800 guardava alla grande tradizione seicentista, poi spazzata via dall'Impressionismo e dalle Avanguardie. Conturbante ed enigmatica, ma anche fragile nella sua sfera più intima, Juana trasse ispirazione per la sua arte da una profonda riflessione sull'universo femminile, rivendicando infine la parità di genere, conquistata sul campo nelle lotte con gli artisti uomini, come emerge dallo studio dei suoi quadri.

Narrativa “La guerra delle due lune” Maria Scerrato D’Amico Editore, 2018, 254 pagine, 13 euro

Saggistica “Una Strada per il Parco” Emiliano Tersigni Edito in proprio, 2020, 419 pagine, 20 euro Il volume Una Strada per il Parco. Sessant’anni di un’incompiuta (1959-2019) di Emiliano Tersigni ripercorre, nelle diverse fasi politiche, economiche e sociali nelle quali essa si snoda, la lunga storia della strada a scorrimento veloce Sora-Pescasseroli e della superstrada Sora-Frosinone, a partire dall’idea di un collegamento veloce fra Roma e Pescasseroli lanciata nell’estate 1959 dal celebre architetto romano Luigi Moretti. (a cura della redazione)

Siamo a Gaeta, nel novembre 1860, all’alba dell’Unità d’Italia, la città è stretta dalla morsa d’assedio delle truppe piemontesi. In aiuto del giovane re Francesco accorrono i rampolli dell’aristocrazia europea. Tra costoro vi è una giovane contessina francese che intende realizzare un sogno di indipendenza personale, aderendo ad una causa irresistibilmente romantica e prendendo parte a varie vicende militari. Il romanzo di Maria Scerrato è la narrazione avvincente di uno dei più controversi periodi della storia d’Italia ed introduce una riflessione sul legittimismo straniero ed i rapporti con il brigantaggio. Se l’intrepida eroina è una protagonista di fantasia, autentici e fedelissimi sono lo sfondo storico, i luoghi, le vicende e tutti i personaggi coinvolti.

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Storia “Questo piatto di grano. La colonizzazione dell'Agro Pontino. Nomi, volti, origini delle famiglie che si insediarono” Giulio Alfieri Atlantide Editore, 2018, 372 pagine, 25 euro

Guide “Monti Lepini. Natura, storia, borghi, itinerari” Stefano Ardito Iter Edizioni, 2018, 144 pagine, 10 euro Questa guida ha l’ambizione di promuovere un territorio vasto, con una popolazione di 150.000 abitanti, che ricomprende un’area geografica ricadente su tre province: Roma, Latina e Frosinone. È l'area dei Lepini, con i suoi tratti identitari ben definiti e le sue radici che affondano in una storia millenaria con antichi borghi, aree archeologiche, produzioni tipiche e itinerari culturali storici, artistici ed ambientali tutti da scoprire. La guida, realizzata da Stefano Ardito in collaborazione con la “Compagnia dei Lepini, rappresenta un valido strumento di divulgazione turistica, delle potenzialità storiche, artistiche ed ambientali di una zona meno nota rispetto ad altre e fin qui lontana dai grandi circuiti turistici.

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Frutto della ricerca su migliaia di documenti e testimonianze, la storia della colonizzazione dell'agro pontino negli anni '30 e '40 del Novecento ne esce per molti aspetti diversa dalla narrazione tradizionale. Le lamentele, le proteste delle famiglie coloniche, che, in luogo delle promesse di vita migliore, trovarono la miseria di sempre, nonostante gli immani sacrifici per trarre raccolti da terreni che si dimostrarono, troppo spesso, scarsamente produttivi. Viene contestata anche l'idea di una colonizzazione conclusa brillantemente nel 1939. Nel narrare le fasi della colonizzazione, il focus resta puntato sulle conseguenze che le decisioni ebbero sulle famiglie coloniche, le vere protagoniste di quella vicenda. Ad esse quest'opera vuol rendere giustizia.

Storia “Treba. Storia di Trevi nel Lazio dalle origini al Medioevo” Paolo D’Ottavi Edilazio, 2018, 223 pagine, 20 euro Le vicende e la cultura dell'antica popolazione italica degli Equi, il rapporto tra il paese e San Benedetto, le origini della diocesi locale, poi soppressa. C'è questo e tanto altro in questo lavoro che riassume anni di fatiche e ricerche territoriali cui si è dedicato con passione Paolo D'Ottavi, ex sindaco di Trevi nel Lazio e scomparso da qualche tempo, che ci racconta la sua cittadina attraverso un lungo cammino nei secoli, tra cambiamenti e vere e proprie trasformazioni. L'impostazione del libro riflette il percorso originario compiuto dall'autore nell'impegno a ridare voce ad un passato ancora in buona parte da comprendere. Significativo e interessante, per gli studiosi del territorio, anche l'apparato bibliografico delle fonti.


Effetto Cappa di Max e Francesco Morini

Io c’ero. Quella mattina, il 21 ottobre del 1945, c'ero. E seb-

bene ormai siano passati molti anni, non posso dimenticare.

Perché l'Effetto Cappa non mi abbandonerà mai. La memoria degli esseri umani è una bestia strana, è un piccolo animale cattivo che si agita nelle mente e compie le sue evoluzioni impietose al centro dello stomaco, facendo riemergere passioni che credevi ormai sopite. Ha la faccia di questa o quella persona, di uno o l’altro luogo, ti prende senza lasciare la presa, a volte ti abbandona, ma poi ritorna. Sempre. Io c’ero, e l’animale si è rifatto vivo, più carogna che mai. A. Graziosi

Per questo voglio raccontare.

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Volevo rivederla, anche solo per qualche minuto. Era un desiderio inutile, stupido, da adolescente cocciuto, lo stesso adolescente che aveva preteso, quindici anni prima, che lei, l’agognata fidanzatina di tante estati, lo baciasse in riva al mare di Vasto. Ma lei non l’aveva baciato, ferendolo con un diniego impertinente, ma leggero, dolce, così come era il suo carattere. Mi aveva rifiutato. Quel rifiuto il ragazzino se l’era portato appresso per tutta l’estate, senza riuscire a cancellarlo neanche al ritorno a Roma i primi di Settembre. Per fortuna poi ci furono l’inizio della scuola, la quarta ginnasio al Liceo Mamiani, le carezze nascoste a una biondina della quarta C, i nuovi compagni di classe e la neonata Italia fascista, che lentamente avevano spazzato via quell'amarezza. Mi diplomai a pieni voti, e a pieni voti realizzai il sogno di mio padre, che da sempre voleva che continuassi la tradizione di famiglia: medicina, frenologia, apprendistato al San Camillo, poi con il passare degli anni sempre più in alto, fino ad arrivare allo studio privato in Prati. Uno degli scapoli “d’oro” più ambiti dalle famiglie e dalle ragazze della buona borghesia romana. Fascistissime, si intende. Lei ormai era scomparsa dalla mia vita; in quegli anni della mia formazione umana e professionale non pensai neanche per un secondo di cercarla. E forse era meglio così, le delusioni d’amore adolescenziali sono le più dolorose. Abbiamo bisogno di attenzione e di amore. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica che siamo unici. Di qualcuno che scelga noi, solo e proprio noi. Poi una sera della primavera del ‘43, un mio carissimo amico mi invitò all’Eiar, dove lavorava: "Vieni, è un bell'ambiente, pieno di belle ragazze! Vedrai che ti diverti!" Andai e lì la rividi, dopo tutti quegli anni. La piccola bestiola della memoria si ri-


mise subito al lavoro, senza tanti complimenti, e l’amarezza dei quel rifiuto tornò subito a galla prepotente, disegnando sul mio viso un sorriso sbilenco e finto quando ci stringemmo la mano. Era lì perché si era sposata con un musicista più grande di lei di otto anni: Arnaldo Graziosi, un pianista di fama nazionale; quella sera il mio amico mi concesse il privilegio di vederlo suonare per una registrazione radiofonica. Maria con il passare degli anni si era fatta donna, una donna nel fiore dell’età, i fianchi ben modellati, il seno piccolo ma sodo, la camminata di femmina consapevole della sua sensualità. A parte questo, mi sembrava sempre la stessa ragazzina dolce e scanzonata che mi aveva rifiutato a Vasto molte estati prima. Ma poi, mentre ascoltavamo Graziosi al di qua del vetro che separava la sala registrazioni dagli ospiti, studiandola meglio vidi che i suoi occhi scuri erano cambiati. La sua dolcezza era diventata una maschera sotto la quale nascondeva una insondabile malinconia. Le chiesi dove abitavano, se avevano figli; sì, ne avevano, una bambina di un anno, “il mio piccolo angelo”, disse lei con trasporto. Io le raccontai di me e della mia carriera, ovviamente; mi fece i complimenti. Avvertii un lieve stordimento quando dopo la registrazione mi presentò al marito, fui solo capace di balbettare qualche parola smorzata: Graziosi invece mi fissava con sguardo inespressivo, gli occhi azzurri gelidi, sembrava totalmente estraneo a quell'incontro. E persino alla moglie stessa: non capivo come Maria potesse aver deciso di condividere la sua vita con un uomo del genere. Poi, improvvisamente, il pianista mi salutò portandomela via. L’animale si era risvegliato, ricominciava a scalciare. I giorni seguenti all’incontro provai con tutte le forze a dimenticare, in fin dei

conti si era trattato di una innocua rimpatriata a sorpresa. Cosa mi dovevo aspettare da lei? Le persone dopo tanti anni cambiano. “Cambiano”, ripetei quella parola tra me e me come per esorcizzare la tempesta di emozioni che sentivo in arrivo; “cambiano”, “cambiano”... E più che darmi conforto, la parola mi sembrava invece una punta di metallo sottile che infieriva su tutto il mio corpo. In quei giorni uscivo con Teresa, la primogenita di un primario di cardiochirurgia, eravamo in procinto di annunciare il nostro fidanzamento. Ma l’incontro con Maria mi aveva reso nervoso e suscettibile, non facevo che trovare pretesti per iniziare una discussione che magari poi si trasformava in litigio; poco dopo, le dissi che avevo bisogno di starmene da solo per un po’ di tempo, adducendo la scusa dello stress da troppo lavoro. E invece pensavo sempre a Maria, Maria Cappa, me la sognavo tutte le notti: l’ Effetto “Cappa” aveva preso di nuovo il sopravvento su di me, e io lasciavo che dilagasse, senza opporre nessuna resistenza. Passò un anno, un anno come tanti altri. E poi un altro ancora. Sembrava quasi che il tempo, nonostante tutte le violente trasformazioni sociali e politiche e il loro rumore, mi stesse scivolando addosso. Questo e il mio lavoro mi permisero di mettere in un cassetto della mia mente Maria. L'animaletto era in letargo. Quel cassetto, se avessi voluto, potevo riaprirlo quando volevo, certo. E lo riaprii, ogni tanto, perchè non potevo non farlo, ma in maniera assolutamente innocente; intanto mi ero sposato con Teresa e il suo amore mi aiutò a ridimensionare quella ossessione. Graziosi, era sempre in tournée in giro per l’Italia, spesso sui rotocalchi vedevo le sue foto in compagnia della moglie. Lei, Maria Cappa, il mio segreto inconfessabile. Lei con quello sguardo impertinente e malinconico allo stesso tempo, in piedi, impettita accanto al coniuge dagli occhi di ghiaccio.

Un pomeriggio di metà Ottobre del ‘45, dopo una mattinata faticosissima all’ospedale, decisi di andare all'Eiar, che adesso si chiamava Rai; la guerra era appena finita e l’Italia andava ricostruita, in tutto. Avevo lavorato troppo, avevo bisogno di svago e quello era l'ambiente giusto. Senza nemmeno telefonargli prima, feci una sorpresa al mio amico Marcello, con il quale ero sempre rimasto in contatto; mi accolse con la consueta simpatia. Era di ottimo umore, mi parlò con entusiasmo di una serie di nuovi progetti e di una probabile, imminente, promozione. Sarebbe diventato dirigente. Ma io non lo ascoltavo, fissavo la parete a vetro che ci separava dalla sala di registrazione in cui un trio vocale stava incidendo, tornando con la mente alla silhouette di Maria che si rifletteva proprio lì sopra un paio di anni prima. Così, senza nemmeno accorgermene, con nonchalance feci scivolare il discorso su Graziosi e sul fatto che adesso che il regime era caduto poteva finalmente suonare anche il jazz tanto avverso al fascismo. Marcello mi disse che erano diventati buoni amici con il tempo; Graziosi lo aveva invitato a passare un fine settimana di vacanza, il 20 e 21 Ottobre, a Fiuggi, all’Hotel Igea; il pianista aveva confidato al mio amico che negli ultimi tempi aveva lavorato troppo e aveva bisogno di una pausa nella città dell’acqua miracolosa insieme alla moglie e alla figlia. Fu in quel momento che l'animaletto della memoria uscì fuori dalla tana. Non ero mai stato a Fiuggi. Tre anni prima ero stato invitato a un convegno medico sulle proprietà benefiche dell’acqua locale, ma avevo declinato. Stavolta il convegno me lo inventai, per giustificare a Teresa la mia improvvisa assenza da Roma per due giorni. La stessa scusa, pensai, che avrei usato con Arnaldo e Maria, se fossi riuscito a incontrarli. Non sarebbe stato difficile, certo: quando Marcello mi disse che aveva declinato l'invito e che non sarebbe andato a

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Fiuggi, mi organizzai e prenotai una camera all'Hotel Igea nei giorni che mi aveva detto. Avevo riaperto il cassetto, finalmente, e ne ero felice. Una felicità dal retro gusto adolescenziale, dal sapore ormai dimenticato di una marachella da liceale, ma che sotto covava quella eterna ossessione. E poi c'era un inquietante misto di curiosità e gelosia per Arnaldo, l’iceberg umano che lei aveva scelto come marito e padre di sua figlia. Non sapevo, una volta lì, cosa avrei fatto, come avrei agito. Mi sentivo confuso e irrequieto, come mai ero stato. Ero pronto a tutto.

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Sabato 20 Ottobre alle 19, mi trovai davanti alla bella facciata liberty dell’Hotel Igea con il cuore in gola. Entrai nel cortile, confermai la mia prenotazione alla reception e mi sistemai in una bella e ampia camera. Dissi sfacciatamente che ero un amico dei Graziosi e che avrei preferito una camera sullo stesso piano. Fui accontentato, le camere erano molto vicine effettivamente. Così, le possibilità di incontrarla aumentavano. Mi cambiai e alle 20 in punto scesi nel ristorante dell’albergo, con la speranza di vederla. Mi batteva il cuore all’impazzata, esitai prima di entrare nell’ampia sala ristorante, il frastuono delle voci dei presenti, unito all’emozione, mi stordiva. Così attesi qualche minuto, nascosto dietro le foglie di una gigantesca pianta sotto un arco di legno all’ingresso del ristorante. La cercai con gli occhi lungamente, poi, alla fine, la vidi: era sola al tavolo, dov'erano il marito e la figlia? Li stava aspettando o erano già saliti in camera? Si torceva nervosamente le belle mani affusolate; mi sembrò che guardasse insistentemente in direzione di un altro tavolo, occupato da una figura femminile di spalle, i capelli raccolti in uno chignon, il bel collo nudo che affiorava da un ele-

gante abito color verde. Maria, la mia dolce Maria, aveva gli occhi liquidi, ma a quella distanza non riuscivo a capire se stesse piangendo o cosa. Con gesto deciso, estrasse dalla borsetta in pelle appoggiata su una sedia accanto a sé una penna , poi iniziò a scrivere nervosamente su un tovagliolo. Un cameriere si avvicinò al tavolo della donna in verde, chiedendole se desiderasse qualcos’altro, notai Maria sobbalzare alle parole del cameriere; la signora di spalle si alzò improvvisamente dal suo tavolo passando accanto al suo, ora potevo vederle il viso; doveva avere sui 45 anni, lo sguardo severo e accigliato, dominato da due grandi occhi scuri. Le lanciò un’occhiata rapida, di finta indifferenza e Maria strinse con la mano la penna più forte che poteva. A quel punto mi feci avanti, vincendo tutte le mie paure e il mio imbarazzo: eravamo soli, io e lei, finalmente, dopo tanti anni. Non restò sorpresa nel vedermi, evidentemente era troppo assorta in quella sua strana, indecifrabile sofferenza e nella foga di scrivere. Le spiegai perché mi trovavo lì; finse il suo sorriso impertinente e mi disse svogliata di essere felice per la mia carriera di medico. Neanche mi invitò a sedermi. Fui sopraffatto dall’emozione, non l’avevo né vista né mai immaginata in quello stato, mi muovevo goffamente, senza controllare una gestualità esagerata che non mi era mai appartenuta fino ad allora; con un gesto incontrollato della mano destra, feci cadere un bicchiere ancora colmo di acqua sul tovagliolo dove lei stava scrivendo: Maria rise di un riso forzato, prese il tovagliolo bagnato, ne fece un cartoccio e lo buttò sul tavolo. Poi si scusò, mi disse che doveva raggiungere il marito e la figlia in camera per cambiarsi, più tardi sarebbero andati al cinema. Ci salutammo, e appena lei scomparve sullo scalone dell’albergo, mi fermai per qualche minuto nell’atrio; la donna in verde, dallo sguardo impenetrabile, era nel cortile dell’Hotel, fumava nervosamente una sigaretta dentro un lungo

bocchino color avorio guardando fissa verso i balconcini dei piani alti dell’albergo. Poi rientrò subito dopo, prendendo le scale. Cenai non poco turbato dall'incontro e poi mi ritirai nella mia stanza. Non era andata certo come sperato. L'Effetto Cappa mi stava travolgendo, trascorsi una notte insonne; mi girai e rigirai nel letto un’infinità di volte, tormentato senza tregua da un dormiveglia allucinato, dominato dai volti di Maria e dell’altra donna, la signora in verde. E da domande senza risposta, sempre le stesse: cosa stava scrivendo Maria? E perché era così triste? Chi era l'altra donna ? C'era un legame che le univa? Andò avanti così per ore, finché accadde l’imprevedibile. Sì, l'imprevedibile, che prese forma in un colpo di pistola verso le sei e tre quarti. Poi, a seguire, un silenzio terribile che durò solo qualche minuto, ma che a me sembrò eterno. Uscii subito dalla mia camera, in vestaglia, e senza sapere neanche il perché, come guidato da un presentimento, corsi in direzione della camera dei Graziosi, lo sguardo ancora appannato dal poco sonno che ero riuscito a fare. Mi bloccai come un imbecille davanti alla porta: cosa stavo facendo? Dalla camera filtrava la luce di una lampada. Stavo per bussare, poi rinunciai e in uno stato confusionale decisi di tornare nella mia stanza. Mi vestii più in fretta che potei, uscendo dalla mia camera dieci minuti dopo; nel corridoio ancora quel silenzio devastante. Scesi nell’atrio, alcuni ospiti si erano accalcati nel cortile, tutti con lo sguardo verso l’alto, compreso il portiere dell’albergo, con il viso trasfigurato dalla paura. Mi feci coraggio e li raggiunsi, assistendo a una scena assolutamente inattesa: Arnaldo Graziosi, vestito di tutto punto, con in braccio la figlioletta, ci fissava in piedi dal balconcino della sua camera, leggermente accigliato, senza dire nulla. Una signora anziana ruppe quell’atmosfera surreale lanciando un urlo soffocato.


Avv. G.Porzio

Il portiere era accanto a me; bofonchiò un lamento impercettibile e poi disse che Graziosi solo qualche minuto prima gli aveva detto freddamente che la moglie si era appena suicidata con un colpo di pistola. Poi erano saliti insieme nella sua camera dove aveva visto il tragico spettacolo. "Un colpo di pistola", ripetei fra me e me sottovoce, "un colpo di pistola", "un colpo di pistola"... Ero scioccato e non capivo cosa stesse succedendo: se era vero che Maria si era suicidata, perché adesso Graziosi si trovava lì, sul balcone con la figlioletta in braccio? In me e in quella piccola folla, che lentamente diventava più numerosa, si faceva largo il terrore che volesse buttarsi giù dal balcone con la figlia. L’Effetto “Cappa” allora prese il sopravvento nella mia mente, con una sequenza di immagini rapide che si sovrapponevano allo sguardo di Graziosi lassù sul balconcino, sempre immobile, in silenzio, lo sguardo intrappolato in un blocco di ghiaccio: Maria che sulla spiaggia aveva rifiutato il mio bacio, Maria che mi aveva presentato il marito alla radio, Maria che solo poche ore mi prima mi guardava al tavolo del ristorante dolce, indifesa e confusa. Poi, al suono sgraziato della sirena di un auto dei Carabinieri, l’incanto svanì all’istante, e lo vidi finalmente muoversi, lassù sul balconcino; Arnaldo Graziosi ora guardava verso l’alto, sempre con la figlioletta tra le braccia, cullandola lentamente, come se fosse una bambola. E vidi con la coda dell’occhio anche lei, la signora in verde, al posto di guida della sua macchina sportiva, il volto contratto in una smorfia di disprezzo, sgommare impietosamente verso l’uscita dell’albergo. Arnaldo Graziosi si disse sempre innocente, ma nella sua versione c'erano troppe incongruenze: una donna può decidere di spararsi nella stessa camera in cui dormono il marito e la figlia piccola? E come mai Graziosi non aveva urlato,

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non si era spaventato né aveva soccorso subito la moglie? Dove aveva trovato la freddezza e la forza di vestirsi così inappuntabilmente e di avvertire il portiere prima di farsi vedere sul balcone? Fu ritrovata anche una lettera di addio di Maria: «Quando leggerete queste righe il mio martirio sarà finito. Troppo a caro prezzo sto pagando la sola leggerezza della mia vita. Per mia figlia, per quelli che mi amano io debbo andarmene. Ora sono stanca mortalmente: basta con tutto. Desidero che tutti quelli che mi conoscono non sappiano di questo e abbiano sempre un buon ricordo di Maria» La lettera non era firmata e le perizie calligrafiche furono discordanti. Come presunta causa del suicidio si parlò di sifilide con cui Maria avrebbe contagiato il marito e la figlia. Non avrebbe retto la vergogna. O l'orgoglio di Graziosi non avrebbe retto il rapporto extra-coniugale con quello che ne era conseguito. Ma si parlò anche di una giovane allieva di Graziosi, con il quale il pianista aveva una relazione, che avrebbe giustificato l'uccisione della moglie. Nel 1947 Graziosi fu condannato a 24 anni per omicidio; poi nel 1959 ottenne il perdono della famiglia Cappa e la grazia del Presidente della Repubblica. Ricominciò la sua vita di musicista e si risposò. Nel 1997, a 84 anni, si suicidò gettandosi dal balcone del suo appartamento di Grottaferrata. Era vestito di tutto punto, come quel 21 Ottobre del ‘45, all'Hotel Igea. Alla fine, il suo Effetto Cappa aveva vinto. Lo aveva tormentato per anni, con un peso opprimente e continuo. Solo lui sapeva la verità, solo lui sapeva se Maria si era suicidata o era stato lui a ucciderla. Anche se era alla fine della sua vita, non poteva reggere più quel peso. Ma io sì. Io posso perché io c'ero quella mattina. L' Effetto Cappa e Maria non mi abbandoneranno mai. Mai.

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I fratelli Morini Tra i tanti autori che hanno accompagnato l’associazione culturale Trovautore nel suo processo di crescita occupano un posto speciale Max e Francesco Morini , fratelli, scrittori, autori teatrali e televisivi che dirigono da più di dieci anni l’"Accademia del Comico di Roma" e dal Gennaio 2019 la scuola di scrittura "Punto e a capo". Nel 2016 esordiscono nella narrativa con “A spasso nella Storia. Segreti, vizi e curiosità di romani d’ogni tempo” per Albeggi Edizioni; nel marzo del 2107 esce invece Nero Caravaggio per Newton Compton, primo giallo della serie con protagonista il libraio Ettore Misericordia, che diventa presto un best-seller e al quale segue, per lo stesso editore, nel luglio 2018 “Rosso Barocco” e nell'estate 2019 “Il giallo di ponte Sisto” e nel 2020 “Il mistero della casa delle civette”. Hanno scritto per GIROCITTA' un racconto inedito ambientato nella città di Fiuggi. (a cura di Trovautore) Trovautore L’associazione culturale Trovautore di Fiuggi si concepisce, prima di ogni cosa, come un percorso, un’avventura coinvolgente, una bella storia di passione e con l’omonima rassegna letteraria che si svolge da 5 anni si prefigge il preciso scopo di far vivere uno scambio continuo tra scrittori e lettori, e possa essere un elemento di mobilitazione, di unione e coinvolgimento per tanti cittadini e possa essere, ancor di più, un modo per inserire la nostra comunità nella più grande realtà del mondo letterario italiano. Il nostro obiettivo è fare di Fiuggi un centro culturale, vivo e proiettato verso l’esterno, capace di raccogliere e veicolare prospettive nuove, occasioni di bellezza. Il nostro percorso continua con l’organizzazione insieme all’ Assessorato alla Cultura del Comune di Fiuggi del concorso letterario “RaccontiAmo Fiuggi” arrivato quest’anno alla seconda edizione; inoltre quest’anno ha visto la nascita del premio “Jack Caravelli” che verrà assegnato ogni anno a personalità del mondo della ricerca e del giornalismo che si siano occupate dei complessi temi della politica internazionale in chiave divulgativa.




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