Caos nr.0/2016

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Presentazione Ipse dixit

di Francesca Tempesta

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Editoriale di Giuseppe Calabrese

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Congresso Nazionale sui servizi ADR II edizione - Memorial Domenico Bruni

Camera dei Deputati Nuova Auletta dei Gruppi Parlamentari 17 dicembre 2015 14

Lectio Magistralis di Michele Vietti

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Intervento del Presidente Antonio Catricalà

Università & Ricerca 22

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Il fisco promozionale per la composizione media-conciliativa dei conflitti

Impresa sociale e innovazione sociale

L’importanza dell’uso dei sistemi ADR nel Settore della Sanità e della Socio sanità

Omicidio e lesioni stradali

di Antonio Felice Uricchio

di Beatrice Ghisolfi

di Alberto De Santis

di Natale Argirò


Convegno

“La Giustizia alternativa, emancipazione e razionalizzazione” Camera dei Deputati, Sala del Refettorio, Palazzo San Macuto 15 marzo 2016 37

Relazione introduttiva di Francesca Tempesta

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Una Riforma necessaria: il sistema delle Garanzie mobiliari ed il modello UNCITRAL

L’Italia e la Cina per lo sviluppo degli scambi internazionali

L’organismo di composizione della crisi

La Giustizia alternativa, emancipazione e razionalizzazione

di Lucio Ghia

di Carlo Capria

di Paolo Petrosillo

di Enrico Giannotti

Giurisprudenza 64

Commento alla Giurisprudenza di Ivan Giordano


Direttore Responsabile Giuseppe Calabrese giuseppe.calabrese@adr-agency.it DIRETTORE SCIENTIFICO Francesca Tempesta Caos@adr-legal.it Redazione

(sede temporanea)

Via Dante Alighieri, 11 Barletta (BT) Stampa Grafica 080 Via dei Gladioli, 6 Z.I. ASI Lotto F1/F2 70124 Modugno (BA) Tel. 0805326000 info@grafica080.com

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Finito di stampare nel mese di Aprile 2016

ISBN 9788868710682

Copia omaggio a scopo dimostrativo del progetto rivista “Caos”


Comitato Scientifico ARGIRO’ Natale, Avvocato, già Questore e Presidente Consiglio Scientifico Dipartimento Mediazione sociale dell’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR AURICCHIO Antonio, Avvocato e Managing Partner dello Studio Legale Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners BARBANTINI Gustavo Francesco, Avvocato e Responsabile dell’Organismo di mediazione Mediaostiensis BATTAGLIA Giammario, Vice Presidente esecutivo dell’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR, Socio professionale e Fondatore di ADR LEGAL B&T Slp BOSIO Giorgio Maria, Avvocato ed esperto dei servizi ADR CALIENDO Giacomo, Senatore e Vicepresidente della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari nonché membro della Commissione Giustizia del Senato, già Magistrato CAPRIA Carlo, Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica Economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri CAPUTO Antonio, Avvocato, già Difensore Civico della Regione Piemonte, responsabile del Dipartimento di mediazione amministrativa dell’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR CARRERA Dario, CEO The Hub Roma srl CASTELLI Guido, Avvocato e Presidente dell’IFEL dell’ANCI, Vice Presidente TECLA, Sindaco di Ascoli Piceno CUCCA Luigi Salvatore, Avvocato, Senatore, membro della Commissione Giustizia, Consigliere Regione Sardegna DE MASI Ercole, Medico, esperto in medicina difensiva e mediatore sanitario DE SANTIS Alberto, Presidente ECHO, ANASTE, FEDERSALUTE di Confcommercio, Vice Presidente dell’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR FRANZA Enea, Dottore Commercialista e dirigente CONSOB GHIA Enrica Maria, Avvocato e Presidente di TMA Italia GHIA Lucio, Avvocato, Docente universitario e responsabile per l’Italia dell’Uncitral GIORDANO Ivan, Imprenditore, docente e membro del Board dell’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR, Responsabile dell’Organismo di Mediazione ICAF GRAZIANO Riccardo Maria, Avvocato e Segretario nazionale Ente nazionale per il Microcredito IORLANO Gerardo, Avvocato, Responsabile dell’Organismo di Mediazione ISC NASCHI Vincenzo, Imprenditore e Presidente ECR ITALIA PAGANO Riccardo, Professore Ordinario e delegato per il Polo Universitario Jonico dell’Università degli Studi di Bari PUCCI Emanuele, Amministratore delegato Teleskill Italia srl SANDULLI Piero, Docente Universitario di ruolo, Avvocato e Presidente Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR URICCHIO Felice Antonio, Rettore Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” VAZIO Franco, Avvocato e Vicepresidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati VEDANA Fabrizio, Avvocato e Vice direttore generale Unione Fiduciaria Spa VIOLA Luigi, Avvocato e docente, Direttore scientifico della rivista La Nuova Procedura Civile VIETTI Michele, docente di diritto commerciale UNINT, già vice presidente del CSM ZACCARIA Laura, Direttore Centrale, Responsabile Direzione Norme e Tributi ABI – Associazione Bancaria Italiana

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Presentazione

Ipse dixit

di Francesca Tempesta

Francesca Tempesta Nel 2013 si è laureata in Giurisprudenza con una tesi sperimentale sulla mediazione civile e commerciale ed è stata premiata al Senato della Repubblica, nella giornata dedicata all’inaugurazione dell’anno della mediazione. Nel 2014 ha fondato l’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR, Ente di diritto pubblico per innovazione sociale, ricoprendo il ruolo di Vice Presidente con delega ai Dipartimenti. Nel 2015 ha fondato e amministra ADR LEGAL B&T Slp, la prima società d’avvocati sorta in Europa per l’erogazione di servizi B2B e B2C. Arbitro delle controversie, mediatore civile e commerciale, possiede capacità organizzative e relazionali, flessibilità, attitudine al problem solving ed al teamworking. Buona dialettica, comunicatività e capacità redazionali. Settori di competenza: ADR, trattative negoziali, rapporti con enti governativi.

“Scrutando attentamente i segni dei tempi, cerchiamo di adattare le vie ed i metodi... alle accresciute necessità dei nostri giorni ed alle mutate condizioni della società”, queste le parole di Paolo VI, riprese da Papa Francesco durante la cerimonia di beatificazione di Giovanni Battista Montini. Il cambiamento è, quindi, un processo assolutamente naturale e inevitabile del ciclo di vita delle creature e se, invece di considerarlo uno stravolgimento senza ratio, lo metabolizzassimo come un nuovo modo di vedere le cose, scopriremmo di avere di fronte la possibilità di contribuire nel processo di costruzione, anche della legalità. Non a caso, la sesta edizione della Leopolda si è aperta con la citazione di Antoine de Saint-Exupery, “Essere uomo vuol dire sentire che posando la propria pietra si contribuisce a costruire il mondo“, tratta dal suo libro “Terra degli uomini”, che ha dato il titolo alla kermesse renziana che si tiene ogni anno alla stazione Leopolda di Firenze. L’ostacolo è dato dalla novità … la paura della novità e, quindi, di innovare, è causata inevitabilmente dall’orrore derivante dalla destabilizzazione dell’ordine esistente, che porta al venir meno della capacità di osare, spesso necessaria per guardare con occhi nuovi a soluzioni nuove. “Se si vuole, si può fare” ci dicevano una volta, quando la coperta della solidarietà riscaldava il disagio

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diffuso delle periferie urbane e dei paesi svantaggiati; la stazione Leopolda di Firenze si è fatta ricordare per essere diventata, altresì, un simbolo della riscossa morale di un gruppo di giovani inquisiti per reati minori e affidati a un’associazione che, grazie anche all’agricoltura biodinamica, aiuta i ragazzi ad uscire dal giogo della devianza minorile. Il progetto si chiama “In Three” e vede la realizzazione del primo giardino verticale, frutto di una sperimentazione avviata nel 2011 con l’obiettivo di orientare i giovani alle professioni relative ai profili legati al mantenimento del verde pubblico, all’agricoltura biodinamica e, in particolare, alla manutenzione degli edifici pubblici. Un esempio di coraggio e speranza che ci dimostra come “uscirne fuori è una condizione sempre possibile”. Qui possiamo, infatti, orgogliosamente raccontare una bella Italia, capace di remare anche controcorrente, spina dorsale di quella società minuta che vuole ricostruire i ponti per una migliore convivenza, senza rassegnarsi alla decadenza di quelli che chiamiamo ancora valori. Così come la Leopolda, anche il Salone della Giustizia si pone quale obiettivo primario la cultura della legalità. Tale evento istituzionale offre a politica e magistratura, ordini professionali e imprenditori, lo spazio per ritrovarsi e liberarsi dalla paura di innovare…


discutendo pubblicamente e liberamente di idee, progetti, problemi e iniziative nonché affrontando i temi maggiormente sentiti dalla collettività. Si tratta, infatti, di un laboratorio di pratiche e idee teso a promuovere soluzioni in grado di generare innovazione sociale. A questo proposito, in una delle prime edizioni del Salone della Giustizia, quella del 2010, il Ministero della Giustizia presentava i primi risultati di un progetto sperimentale nell’ambito del processo penale, che vedeva l’applicazione di soluzioni tecnologiche estremamente innovative, così come ci verrà raccontato dal dott. Enrico Giannotti nelle pagine seguenti. Ci piace pensare come la legalità sia – come affermato in un documento della CEI del 1991 - «insieme rispetto e pratica delle leggi». Non solo rispetto di norme imposte dall’alto, quindi, ma pratica quotidiana di regole condivise. Così intesa - continua il documento - «la legalità è un’esigenza fondamentale della vita sociale per promuovere il pieno sviluppo della persona umana e la costruzione del bene comune». La legalità rappresenta l’anello che salda la responsabilità individuale alla giustizia sociale; per questo non bastano le regole, le regole funzionano se incontrano coscienze critiche, responsabili, capaci di distinguere, di scegliere, di essere coerenti con quelle scelte. Il diritto non è solo forma, immutabile ed universale, ma anche contenuto, mutabile ed adattabile ai cambiamenti sociali; la certezza o meno del diritto dipende dalla copertura della norma giuridica che altro non fa che assegnare forza giuridica ad una norma della realtà estranea all’ordinamento. Ma se parliamo di giustizia, esso assume significato diverso in ogni contesto sociale di riferimento. Non si può definire una volta per tutte cosa sia giusto o no, ma ogni epoca storica ed ogni contesto sociale matura, o per convenzione o per rappresentazione sociale inconscia, un senso di giustizia che si pone di volta in volta quale fondamento del diritto. È più facile comprendere, quindi, come in questo contesto parlare di giustizia alternativa meriti una sua specifica valutazione, così abbiamo potuto ascoltare nella Lectio Magistralis tenuta dal prof. Avv. Michele Vietti, durante il II Congresso Nazionale sui servizi ADR, Memorial Domenico Bruni, che si è tenuto il 17 dicembre 2015, in Roma, alla Camera dei Deputati nella Nuova Auletta dei Gruppi Parlamentari. Se desideriamo, quindi, che attraverso gli strumenti ADR si realizzi effettivamente, all’interno della Giustizia, il principio di sussidiarietà e, quindi, il ricorso alla Giustizia ordinaria solo come estrema

ratio, allora dobbiamo senza paure continuare questo processo di “privatizzazione” provvedendo, in primis, ad attribuire uno status al genus ADR nonché a costituire un Codice Unico in materia ADR, con la finalità di provvedere ad armonizzare e razionalizzare le diverse fonti normative e ad istituire un Organismo di Vigilanza sui soggetti più idonei ed in possesso di capacità professionali e relazionali adeguate a condurre le parti ad una soluzione condivisa in campo stragiudiziale e giudiziale. Di qui, la richiesta dell’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR di istituire un tavolo di lavoro multi stakeholder per l’istituzione di un Testo unico in materia ADR dove, all’interno, siano disciplinate uniformemente tutte le procedure, nonché gli aspetti fiscali e di premialità. Strumenti che incentivano l’uso della Giustizia alternativa e che saranno oggetto di approfondimento all’interno della rivista con il Magnifico Rettore dell’Università Aldo Moro di Bari, il prof. Antonio Felice Uricchio. Quindi, specializzazione ed armonizzazione degli istituti affinché tali strumenti possano essere utilizzati dai cittadini e dalle imprese e, soprattutto, dai funzionari della pubblica amministrazione. Il prof. Antonio Catricalà, durante il Congresso ADR ha affermato proprio questo, ovvero che, indubbiamente, vi è un favor per tali strumenti, ma occorre necessariamente creare un sistema che consenta ai pubblici funzionari la potestà di utilizzarli e di difendersi davanti alla Corte dei Conti con gli strumenti assicurativi. La rivista dedica poi, come in ogni numero, uno spazio dedicato ad una giovane neo laureata in Economia e Direzione delle imprese con indirizzo Marketing e Management dell’Università di Torino, che ha presentato la sua tesi sperimentale su tematiche di imprenditorialità sociale e social innovation per poi seguire, sul filone della ricerca, con due articoli scritti dai Responsabili di due Dipartimenti dell’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR: dott. Alberto De Santis per il Dipartimento per la conciliazione europea delle controversie stragiudiziali in ambito sanitario e l’Avv. Natale Argirò per il Dipartimento per la mediazione sociale. Dopo il successo del II Congresso Nazionale sui servizi ADR, al quale ha fatto seguito, il 15 gennaio 2016, il Workshop di Milano sul tema: “La Giustizia alternativa in ambito tributario”, l’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR ha realizzato il 15 marzo 2016, sempre all’interno della Camera dei Deputati, ma nella prestigiosa “Sala del Refettorio” di Palazzo San Macuto, una giornata di studio ed approfondimento sul tema: “La Giustizia alternativa, emancipazione e razionalizzazione” dall’organizzazione del

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“modello contenzioso” nell’ambito della funzione Giustizia. È proprio in quest’ultima occasione che il prof. Avv. Lucio Ghia ha affrontato la tematica riguardante la privatizzazione di una parte del processo esecutivo con l’istituzione, ad esempio, delle garanzie mobiliari possessorie – già presenti in Inghilterra, Germania, USA - e di un registro unico, di cui è possibile scorgere un opportuno approfondimento nell’articolo da quest’ultimo elaborato e, per la riforma delle procedure concorsuali, l’Avv. Paolo Petrosillo ha condotto, invece, una precisa analisi dello schema di disegno di legge delega elaborato dalla Commissione Rordorf che, per far fronte alle crisi d’impresa, ha deciso di puntare sugli Organismi di Composizione della Crisi.

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Trattasi, entrambe, di tematiche con un elevato grado di innovazione che introducono nel nostro ordinamento interessanti “alternative” che, affinchè possano effettivamente incidere nel rilancio dell’economia, necessiterebbero di essere inglobate all’interno di normative organiche volte alla semplificazione ed all’efficientamento. Un discorso a parte, meritevole di essere affrontato sotto diversi punti di vista e che verrà affrontato a più riprese nel corso dei numeri successivi, riguarda la Cina, il suo rapporto con l’Italia e l’imperdibile occasione di favorire lo sviluppo degli scambi commerciali utilizzando i servizi ADR quale motore cardine di uno sviluppo economico che vede nell’aumento di FIDUCIA all’acquisto il suo principale propulsore.


Editoriale di Giuseppe Calabrese Direttore Responsabile della rivista “Caos” Direttore Editoriale “Ad Maiora”

Giuseppe Calabrese È nato a Barletta (BT) il 23 settembre 1973. Background di indirizzo umanistico, lettore e viaggiatore appassionato. Tra i fondatori, con Giuseppe Pierro, del marchio Ad Maiora, caratterizzato dal filo diretto tra l’area distributiva e le aree professionali di riferimento, in continua specializzazione settoriale, con pubblicazioni dedicate al settore tecnico-giuridico e alle aree di mercato di maggior interesse. Realtà imprenditoriale dinamica nella quale ha rivestito ruoli di amministratore legale e direttore editoriale, coniugando gli elementi di una idealità pragmatica ad una visione professionale eticamente proiettata sull’innovazione. Direttore responsabile della rivista “Caos” fondata nel 2015; organizzatore del memorial “Domenico Bruni”; responsabile organizzativo del Dipartimento ricerca, sviluppo e formazione dell’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR.

Una rivista è un contenitore di idee, di progetti, di contenuti. Può essere un vacuo ripetitore o scegliere di essere, coraggiosamente, generatore delle stesse. Umilmente ed orgogliosamente, “Caos” percorrerà la seconda strada. Tenterà di essere la voce di professionisti, Istituzioni e liberi cittadini che credono in un progetto di innovazione sociale e che vedono nell’ADR uno strumento di grande efficacia per realizzare questo importante obiettivo. Fabrizio de Andrè sosteneva di aver vissuto sempre “in direzione ostinata e contraria”; questo, da editori, ci ha entusiasmato dell’attività dell’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR, ovvero la ferma caparbietà di perseguire un obiettivo che appena due anni fa appariva un percorso in una direzione “ostinata e contraria”. Oggi non è più così.

Oggi, tante figure di riferimento del mondo politico, istituzionale, imprenditoriale ed accademico dialogano tra di loro all’interno di questo sinergico contenitore, conferendo a questo progetto autorevolezza, credibilità e spessore. Caos ne sarà un vettore, un organo di divulgazione scientifica. In sostanza, sarà la voce di chi tenta di essere parte integrante di un processo di innovazione, necessario per un paese come il nostro che attraversa una fase di dolorosa transizione e che richiede l’apporto di soggetti autorevoli per trovare soluzioni alla crisi attuale. È, quindi, motivo di grande orgoglio fare parte di questo importante processo di cambiamento. L’augurio all’Osservatorio, ed a noi stessi, è quello di poter raccontare, attraverso queste pagine, la cronaca di un cammino difficile, faticoso, fino alla realizzazione di quella che fu una fantastica visione.

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Dagli atti del Congresso Nazionale sui servizi ADR - 17 dicembre 2015

Lectio Magistralis* relazione di Michele Vietti

Michele Vietti Professore straordinario di diritto delle Società presso la Facoltà di Scienze giuridiche della UNINT – Roma, Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura dal 2010 al 2014 e suo componente dal 1998 al 2001, è iscritto all’Albo degli avvocati di Torino ed all’Albo dei Cassazionisti. È stato Deputato per quattro Legislature, Sottosegretario di Stato al Ministero della Giustizia e al Ministero dell’Economia e delle Finanze e Presidente delle Commissioni ministeriali per la riforma del diritto societario e del diritto fallimentare. Specializzato nel diritto commerciale, industriale e fallimentare è stato Docente presso numerose università ed è autore di pubblicazioni nel campo del diritto dell’economia e dell’Ordinamento giudiziario.

Saluti. L’Italia vive ormai da qualche anno una situazione di crisi, diffusa e preoccupante. Non è solo l’economia a patirne le conseguenze: la recessione ha ormai eroso le riserve di benessere ed i cittadini stanno cominciando ad accorgersi delle conseguenze negative nella loro vita quotidiana. Ecco perché la crescita è un’urgenza per questo Paese: un’urgenza improrogabile, per uscire finalmente dalla crisi. Per farlo occorre che tutte le leve utili a stimolare la ripresa di domanda e di dinamismo imprenditoriale vengano attivate. E tra queste leve c’è la giustizia. È finito il tempo, semmai vi è stato, in cui si poteva considerare la giustizia come una sorta di variabile indipendente dell’economia, una sorta di “rito per iniziati” che si celebra in palazzi a cui hanno accesso soltanto gli addetti ai lavori. Non è così. La giustizia è uno degli snodi da cui passa la crescita e la competitività del Paese e dunque il suo funzionamento rappresenta un tassello fondamentale per questo processo, su cui tutto il Paese deve impegnarsi. La giustizia è l’istituzione fondamentale che fa da sfondo a tutti gli interventi, perché ne garantisce l’efficace applicazione (enforcement). * È stata mantenuta nel testo la forma parlata della relazione orale.

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Il nostro sistema economico chiede oggi alla giustizia fondamentalmente due cose: prevedibilità e tempestività. Il cittadino, ha bisogno che la risposta di giustizia si conformi a canoni di ragionevolezza e non appaia una sorta di “lotteria” in cui, a seconda di imprevedibili variabili, si può ottenere un esito o il suo opposto. C’è bisogno di uniformità nella risposta di giustizia, perché l’uniformità garantisce la prevedibilità e la prevedibilità è la condizione dell’affidamento nel sistema delle regole. Se la risposta non è prevedibile è il sistema complessivo che diventa inaffidabile e dunque porta con sé conseguenze di scarsa appetibilità, di scarsa attrattività, di scarsa fiducia verso l’intero sistema-paese. Il secondo elemento invece, il tempo, o meglio la tempestività, non è più - se mai lo è stato - una variabile indipendente del sistema di giustizia. I termini entro cui interviene la risposta giudiziaria sono fondamentali per la natura stessa della risposta. Una risposta intempestiva, fuori tempo massimo, giunge quando ormai gli interessi in conflitto hanno, nella generalità dei casi, trovato una loro composizione diversa, più o meno precaria, al di fuori dal sistema giudiziario. Di una risposta tardiva i protagonisti della lite giudiziaria non sanno più che cosa farsene. Ecco che la tempestività diviene requisito imprescindibile per avere fiducia nel sistema delle regole:


quando interviene un contenzioso c’è bisogno che la sua composizione intervenga in un tempo ragionevole, come dice la stessa Costituzione all’articolo 111. Sono viceversa noti i poco incoraggianti risultati ottenuti dal nostro sistema giustizia secondo la graduatoria della Banca Mondiale: il rapporto Doing Business 2016 ci colloca infatti all’111 posto su 189 economi esaminate. Secondo lo Scoreboard 2015 della Commissione Europea sui sistemi giudiziari dei Paesi membri, la giustizia italiana – nonostante un’alta produttività dei magistrati – resta una delle peggiori del continente con una media di 608 giorni per risolvere un processo civile o commerciale in primo grado (peggio di noi solo Cipro e Malta…). Del resto la mole del contenzioso in Italia è spropositata e la più alta d’Europa in assoluto e in proporzione al numero di abitanti. Occorre poi tener conto del profondo mutamento del contesto socio-economico e giuridico che si è verificato negli ultimi decenni e che ha profondamente mutato la natura del contenzioso. Abbiamo assistito ad una vera e propria law explosion nel momento in cui si è passati da una giustizia per pochi a una giustizia di massa, caratterizzata dall’emergere e dal riconoscimento di una pluralità di nuovi diritti (tutela delle minoranze, questioni di genere, immigrazione), fonte di un numero di controversie dalla durata incontrollabile, che l’impegno dei giudici non può fronteggiare più di tanto; né si possono indefinitamente aumentare le risorse per farvi fronte. Si è moltiplicata una micro-conflittualità che sta completamente fuori dagli schemi classici della contrattazione. Il contratto, così come lo abbiamo studiato nelle Istituzioni del diritto privato, è in profonda crisi evolutiva ed è stato sostituito in larga misura da schemi di relazioni più flessibili, più fluidi, più indistinti, che spesso sfuggono alle classificazioni tradizionali. Al giudice si richiedono competenze sempre più specialistiche, perché gli si sottopongono conflitti regolati sempre più da normative di dettaglio che, dunque, richiedono un’approfondita conoscenza; il giudice generalista è una figura che ha fatto il suo tempo. Bene si è fatto ad introdurre i cosiddetti “tribunali delle imprese”, che vanno nella direzione della specializzazione. Ecco perché, per inciso, è stato necessario mettere mano alla geografia giudiziaria: i lavori della Commissione ministeriale che il Ministro Orlando mi ha fatto

l’onore di presiedere, si stanno muovendo proprio nella logica dell’efficienza e della specializzazione, per razionalizzare le risorse e redistribuirle in modo congruo sul territorio: non possiamo avere una distribuzione delle risorse che corrisponde all’assetto socioeconomico di due secoli fa. Gli investimenti sull’informatizzazione e sul processo telematico avranno ragione anche della pietosa bugia secondo cui non si potrebbero accorpare gli uffici perché i cittadini si troverebbero in difficoltà a raggiungere i tribunali. Il modello di Stato che abbiamo conosciuto, che organizzava la risposta di giustizia tradizionale, cioè assolutamente centralizzata, non c’è più: oggi il modello, ci piaccia o no, è quello dello Stato decentrato, in cui proliferano istanze e, dunque, contenziosi che fanno riferimento a fonti normative di secondo o terzo livello, rispetto alle quali il sistema centralizzato fatica ad adattarsi, sia per la sua organizzazione, sia per la sua regolamentazione. Questo vale nell’articolazione dal basso delle istanze e dei livelli di decentramento ma anche dall’alto, perché nel frattempo alla normativa nazionale, peraltro da leggersi alla luce della Costituzione, si è sovrapposta quella sovranazionale, quella dell’Unione Europea, quella della Corte dei diritti dell’Uomo, quella della Corte di Strasburgo creando quello che è stato definito dal prof. Manes “il labirinto del giudice”, dove il riferimento normativo non è più quello tradizionale, ma un intrico di norme frantumate in una “legislazione puntiforme” e dove il contributo della giurisprudenza diventa diritto vivente e tessuto che lega e complica ulteriormente questa trama normativa. La sfida della modernità ci dice che la risposta tribunale-centrica è ormai insufficiente, inadeguata. La lettura dell’articolo 24 della Costituzione per cui tutto passa dalla soluzione giurisdizionale del contenzioso, è assolutamente insostenibile. Il diritto di adire il sistema giudiziario non esclude – questo mi pare il passaggio in cui si inserisce la legittimazione della mediazione – ma addirittura presuppone delle alternative a quella giudiziaria, che rimane ovviamente una soluzione accessibile sì ma come extrema ratio, e che prevede prima il ricorso ad altri sistemi di composizione dei conflitti: meno drastici, meno estremi, meno onerosi, meno lunghi. Questo ci suggerisce la direttiva europea sulla mediazione del 2008. Certo, bisogna trovare un’equilibrata relazione tra la mediazione e il processo; però non possiamo eludere questa sfida. E allora, alla luce di questi ragionamenti per far funzionare a pieno regime l’intero sistema giustizia, dico

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subito che mi iscrivo al partito della mediazione! Consentitemi di fare qualche riflessione razionale, uscendo dal vizio nostrano dello schieramento per tifoseria. Basti ricordare il percorso, a dir poco tortuoso, che è stata costretta a seguire la mediazione nel nostro Paese. Si era iniziato con l’introduzione della mediazione obbligatoria che, nei suoi primi anni di applicazione (2011-2012), aveva dato risultati incoraggianti. Ma, come è noto, a seguito della pronuncia della sentenza della Corte Costituzionale 272/2012, che ha stabilito l›incostituzionalità, per eccesso di delega, della mediazione obbligatoria (art. 5, c. 1, D.lgs. 28/2010) e nonostante la sua reintroduzione, a settembre del 2013, con il c.d. «decreto del fare», non solo la creazione di nuovi centri è risultata molto contenuta, ma è stata di gran lunga superata dal numero di organismi cancellati: nel 2013 sono stati registrati solo 33 nuovi Centri, contro i 43 che sono stati cancellati nello stesso anno, nel 2014 i nuovi Centri risultano solo 9, a fronte dei 55 che risultano cancellati, una tendenza che prosegue anche nel corrente anno. La giustizia alternativa ha comunque saputo conquistarsi un suo spazio in termini di numero di domande, di qualità del servizio e di rapidità nella risposta alla domanda di giustizia. Di sistemi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile il nostro ordinamento ha infatti estremo bisogno, se si vuole creare una pre-condizione per garantire al sistema giurisdizionale un recupero di efficienza. Superare le resistenze culturali non è facile, ma dico ai mediatori che la sfida che hanno di fronte è molto seria e va giocata con la messa in campo di uno straordinario apparato di competenze. La mediazione può funzionare se i mediatori saranno soggetti con competenze specifiche, preparati, continuamente aggiornati, selezionati, non generalisti: non imitiamo quel modello di giudice generalista che, per la stessa giurisdizione ordinaria, è superato. Dovranno essere riconoscibili come competenti, attrezzati e professionali dagli interlocutori i quali, diversamente, faranno fallire la mediazione. Questa è la stessa sfida del giudice: l’autorevolezza frutto di professionalità è la fonte della legittimazione della magistratura, ma lo è anche dei mediatori. Qualche rischio c’è, perché la procedura vigente non prevede un catalogo ministeriale che favorisca quella specializzazione mio parere indispensabile. La conciliazione, oltre a queste attrezzature di carattere tecnico, esige un di più: quella virtù conciliativa

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che rende il mediatore un po’ affine al diplomatico, che fa della mediazione non un inutile passaggio burocratico ma un’opportunità di reale composizione dei conflitti e degli interessi divergenti. Va dato atto ai mediatori che dopo la sua reintroduzione la conciliazione ha ripreso slancio, sebbene depauperata delle liti stradali (che credo potessero rappresentare invece proprio il paradigma della materia affidabile ad una soluzione non giudiziaria del contenzioso, specie quelle ove non vi sono danni alla persona). Dal Rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa emerge chiaramente che le domande di ADR presentate nel 2014 sono state 267.000, con una crescita rispetto all’anno 2013 di ben 101%. Ancora maggiore è l’incremento nello stesso periodo delle domande di mediazione (+331%). Cresce anche la conciliazione camerale (+20%). Ed anche i centri di risoluzione italiani sembrano marciare molto bene, se è vero che l’incremento delle procedure dal 2012 in poi non si è arrestato (fonte Isdaci, Istituto scientifico per l’arbitrato, la mediazione e il diritto commerciale). Analizzando i dati esposti, è possibile constatare che la giustizia alternativa ha saputo conquistarsi un suo spazio in termini di numero di domande - in crescita negli anni o quantomeno stabili all›interno di un range, comunque, significativo -, di tempi davvero contenuti e di esiti. Tuttavia, se la giustizia alternativa viene interpretata solo in termini deflattivi o di disincentivazione del ricorso al giudice togato e viene, pertanto, posta a confronto con i numeri della giustizia ordinaria, si rischia di perderne le peculiarità e di penalizzarla nel confronto. Mentre, la giustizia alternativa merita una sua valutazione sia come strumento in sé, diverso dalla giustizia togata, sia quale forma d’incentivazione dell’accesso alla giustizia, in quelle ipotesi in cui potrebbe essere antieconomico rivolgersi al giudice togato o quando vi sono altri interessi in gioco da perseguire, quali la riservatezza o la relazione tra le parti (come nella mediazione), o si desidera la decisione di un terzo specializzato e la pronuncia di una decisione pressoché definitiva (come nell’arbitrato), sia, infine, quale forma di realizzazione del principio di sussidiarietà della giurisdizione, che vede il rivolgersi al giudice togato come l’ultima chance a disposizione di chi voglia far valere i propri diritti. In altri termini, dopo anni di sviluppo e avendo maturato una significativa esperienza, sicuramente ancora


suscettibile di miglioramento, è forse arrivato il tempo che la giustizia alternativa si emancipi dal raffronto e che le si riconosca una dignità autonoma, indipendentemente dal fatto di costituire un’alternativa alla giustizia ordinaria. Certo va considerato che le oscillazioni del legislatore e della giurisprudenza non hanno certamente favorito la positiva percezione dell’istituto nella pubblica opinione. Ma il bilancio dell’ultimo anno sembra incoraggiare un sicuro dell’istituto. In attesa di decisioni di carattere strutturale sui principi fondamentali del nostro processo (tre gradi di giudizio per ogni controversia sono obiettivamente un lusso che non possiamo più permetterci), è certo che le soluzioni alternative delle controversie rispetto alla via giudiziaria vanno perseguite in modo coraggioso, come si è iniziato a fare con la media conciliazione, che va incentivata. Sul fronte delle novità legislative va altresì considerata l’entrata in vigore (3 settembre 2015) della normativa sulla risoluzione alternativa delle controversie (D. Lgs 130/215), connessa al recepimento nel Codice di consumo della direttiva 2013/11/UE: più in particolare, la direttiva è ispirata alla finalità di garantire ai soggetti consumatori l’opportunità, a livello transfrontaliero, di avanzare reclami innanzi ad organismi indipendenti, imparziali, trasparenti ed efficaci, per la risoluzione delle controversie fuori dalle aule di giustizia, attenuando le linee di confine tra gli stati anche in tale ambito. Mi preme altresì ricordare come il tema della mediazione sia entrato anche nei lavori della Commissione ministeriale sulla Crisi d’Impresa voluta dal Ministro della Giustizia e di cui mi onoro di far parte. Si è voluto immaginare una vera e propria “procedura extragiudiziale di allerta e di mediazione” al fine di raggiungere uno tra i principali obbiettivi posti dal decreto istitutivo della Commissione e dalla Raccomandazione n. 2014/135/UE: quello di “consentire alle imprese sane in difficoltà finanziaria di ristrutturarsi in una

fase precoce, per evitare l’insolvenza e proseguire l’attività”. Si mira a creare un luogo d’incontro tra le contrapposte – ma non necessariamente divergenti – esigenze, del debitore e dei suoi creditori, secondo una logica di mediazione e composizione, non improvvisata e solitaria, bensì assistita da organismi professionalmente dedicati alla ricerca di una soluzione negoziata, con tutti i riflessi positivi che ne possono indirettamente derivare, anche in termini deflattivi del contenzioso civile e commerciale. Il tribunale, naturalmente, resta sullo sfondo, pronto a fornire tutela giudiziale in chiave risolutiva dei possibili conflitti tra diritti ed interessi, anche di terzi, siano essi potenziali o già in essere. Anche le caratteristiche salienti delle procedure di allerta e mediazione dovrebbero essere concepite in modo da incoraggiare l’imprenditore ad avvalersene. Perciò si è previsto che siano contrassegnate da confidenzialità e si è preferito collocarle al di fuori del tribunale, per evitare il rischio che l’intervento del giudice possa essere percepito dal medesimo imprenditore o dai terzi quasi come l’anticamera di una successiva procedura concorsuale d’insolvenza. Si è quindi scelto di affidarle ad un’apposita sezione degli Organismi di composizione della crisi, già oggi contemplati dalla normativa in tema di sovra indebitamento, i quali, naturalmente, dovrebbero essere adeguatamente rafforzati e resi idonei all’espletamento di questo nuovo compito. La strada intrapresa è senza ritorno e non ha alternative. Ce lo impongono la quantità di contenzioso del nostro Paese, i limiti alla produttività e al numero dei magistrati, l’esigenza di quella tempestività di risposta che ho richiamato, l’inevitabile e indifferibile esigenza di accelerazione della risposta di giustizia che, diversamente, condanna il nostro sistema giudiziario, ad essere una palla al piede del sistema economico e produttivo del Paese. Se così com’è il sistema non funziona, il cambiamento è inevitabile e la mediazione ne fa parte a pieno titolo. Vi ringrazio.

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Dagli atti del Congresso Nazionale sui servizi ADR - 17 dicembre 2015

Intervento del Presidente Antonio Catricalà Antonio Catricalà Laureato con lode in legge all’età di 22 anni, è stato assistente del prof. Pietro Rescigno ed ha studiato economia, sociologia, storia e scienza dell’amministrazione presso l’Istituto Luigi Sturzo di Roma. A 24 anni ha vinto il concorso in magistratura e ha superato l’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense. Ha vinto i concorsi per procuratore dello Stato e, a 27 anni, per avvocato dello Stato. Ha vinto il concorso per consigliere di Stato con decorrenza dal 1982. Dal 2006 al 2014 è stato Presidente di sezione del Consiglio di Stato. Ha presieduto il IV Collegio della Commissione Tributaria Centrale. Presidente e componente di collegi amministrativi, ha collaborato con l’Ufficio legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è stato Capo di Gabinetto e consigliere giuridico nei Ministeri. È stato segretario generale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. È stato Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. È stato Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e Vice Ministro dello Sviluppo Economico. Già professore presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tor Vergata, lo è oggi presso la facoltà giuridica di LUISS Guido Carli Roma. È iscritto all’Ordine degli Avvocati di Roma ed è abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori.

Il 9 marzo 2015 la Commissione Europea ha resto noto il quadro di valutazione Ue della giustizia. I dati, relativi al 2013, erano, per il nostro Paese, sconfortanti, sia in comparazione con gli altri Paesi, sia in relazione agli anni precedenti: terzultima per i tempi della giustizia civile, ventiduesima sui ventotto Paesi dell’Unione per percezione di imparzialità dei giudizi, al terzo posto tra gli Stati europei con il maggior numero di cause civili pendenti. Con in media 608 giorni necessari per arrivare ad una sentenza di primo grado in una causa civile o commerciale, l’Italia è il Paese più lento, prima solo di Cipro e Malta. E la situazione continua a peggiorare: nel 2010 erano necessari 493 giorni, nel 2012 già 590. Ebbene, sono convinto che la prossima rilevazione darà un quadro ben diverso, grazie alla reintroduzione della mediazione obbligatoria e delle misure di degiurisdizionalizzazione introdotte con il decreto legge 12 settembre 2014 n.132 (arbitrato e negoziazione assistita). Secondo i primi dati disponibili già nel 2014 si è registrata una diminuzione delle cause civili su tutto il territorio nazionale di circa il 12%. In base alle informazioni fornite dal Governo al Parlamento anche nel 2015 viene confermata la tendenza alla riduzione

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dell’iscrizione delle cause a ruolo, pari, su base nazionale, al 20 per cento. In questo contesto i dati maggiormente rilevanti sono certamente quelli relativi al diritto di famiglia: si è infatti rilevato un andamento tendenziale decrescente delle iscrizioni a ruolo di cause di separazione e divorzio, che registrano una flessione del 30 per cento, sempre su base nazionale. Questi dati aggregati nulla dicono però sul ricorso a strumenti ADR da parte della PA. La mia esperienza sul campo mi lascia però supporre che su questo aspetto la nostra pubblica amministrazione sia indietro. Di recente il mio studio ha chiuso un importante arbitrato irrituale tra due società private in soli due mesi. Si trattava di società che non dovevano rispondere ad alcun giudice contabile. Chiamati invece a dare un parere ad altra società, sottoposta al controllo della Corte dei Conti, sulla scelta tra giudizio ordinario o strumento di risoluzione alternativo della controversia, abbiamo consigliato la seconda opzione, avvertendo che davanti al giudice ordinario la soccombenza si profilava certa. Alla domanda su come il magistrato contabile avrebbe valutato il ricorso a uno strumento ADR non abbiamo tuttavia potuto escludere una visione restrittiva (e dunque negati-


va) da parte di quest’ultimo. La società ha optato per il giudizio ordinario, ha perso la causa, ma ha ritenuto più prudente e meno rischioso per i patrimoni dei singoli amministratori attuare una sentenza esecutiva di condanna. Personalmente non condivido una visione dell’azione amministrativa prudenziale e di salvaguardia delle responsabilità del singolo, ma non possiamo pretendere dai dirigenti pubblici atti di eroismo. Le assicurazioni per la responsabilità professionale ad esempio, benché costosissime, non coprono qualora venga ipotizzato, o sia possibile ipotizzare, l’abuso d’ufficio. Non è accettabile che un dirigente pubblico sia messo, senza alcun paracadute, davanti a responsabilità così grandi. Forse la nostra pubblica dirigenza non sarà la più preparata al mondo ma sicuramente è la più esposta. Dunque c’è una responsabilità politica che non si può ignorare. E’ la stessa politica che lamenta di essere frenata dalla burocrazia ma poi fa sì che i singoli dirigenti vengano condizionati dal rischio di dovere rispondere, anche penalmente, in una situazione in cui le leggi cambiano continuamente, senza dar loro la possibilità di far valere realmente le proprie ragioni, con la necessaria assistenza legale. Credo che in questo meccanismo ci sia un peccato originale che indebolisce la dirigenza pubblica, rappresentato dallo spoils system. Financo i direttori delle Agenzie, che sono organismi tecnici e che, a differenza dei capi dipartimento, non devono godere della fiducia del ministro, sono stati sottoposti a spoils system. Si può obiettare che altrove, come negli Usa, il modello è consolidato e funziona: quando cambia il presidente degli Stati Uniti cambia il capo della Fbi e anche il responsabile della concorrenza all’interno del Dipartimento della Giustizia. Ma in quel Paese molte funzioni amministrative sono elettive e i titolari delle cariche politiche sono anche capi dell’amministrazione. L’alternativa è un’amministrazione indipendente dalla politica e una politica indipendente dall’amministrazione. In Italia ha prevalso un modello ibrido che ha visto la separazione teorica tra amministrazione e politica, ma in realtà è stata introdotta la dipendenza della pubblica amministrazione dalla politica che si è però resa irresponsabile. Facendo un paragone mi sembra che quest’ultima si comporti come i generali durante la prima guerra mondiale quando mandavano a combattere oltre la trincea poveri contadini armati di fucile e baionetta

contro gli austriaci, che avevano la mitragliatrice, e quando questi tornavano indietro, perché tutto era perduto, davano ordine ai carabinieri di fucilarli come disertori! Dunque perché gli strumenti di ADR possano funzionare realmente occorre cambiare qualcosa perché l’ADR è un’assunzione di responsabilità forte che può portare a conseguenze forti. E’ un fatto che il decreto legge già citato introduca meccanismi normativi tesi a incentivare l’utilizzo di arbitrato e negoziazione assistita. Mi riferisco in particolare al terzo capoverso dellart.1 laddove è scritto che “nei casi in cui sia parte del giudizio una PA il consenso di questa alla richiesta di promuovere il procedimento arbitrale avanzata dalla sola parte privata si intende in ogni caso prestato, salvo che la pubblica amministrazione esprima il dissenso scritto entro trenta giorni dalla richiesta”. Ancora, il favor del legislatore verso l’utilizzo delle ADR da parte della PA si rinviene nel comma 1 bis dell’art.2 laddove è scritto che è fatto obbligo per le amministrazioni pubbliche “di affidare la convenzione di negoziazione alla propria avvocatura, ove presente”. Tale mutamento del panorama legislativo non è tuttavia da solo sufficiente. Né da solo il coraggio (eventuale) della dirigenza pubblica può bastare. Occorre un orientamento più deciso del legislatore a favore dell’utilizzo di strumenti ADR. Il ricorso al giudice ordinario non può essere considerata una scelta ineluttabile. L’amministrazione può scegliere di pagare prima, per esempio utilizzando la transazione. Certo la transazione può scontentare un po’ tutti perché c’è l’aliquid datum e l’aliquid retentum e il giudice contabile che esamina ex post la transazione guarda a quanto si è concesso e non a quanto si è ottenuto o a quanto si è rischiato di perdere. Per questo occorre cambiare passo. Intanto affermando il principio che il dirigente pubblico non può essere mandato a casa senza motivazione (rivedendo dunque il concetto di spoil system); che la Corte dei Conti, quando deve individuare il responsabile di danni erariali, deve operare in modo tale da consentire al soggetto inquisito di difendersi realmente anche con gli strumenti assicurativi che in Italia non funzionano e in altri Paesi sì. Si può infine ipotizzare che venga riconosciuta, in capo alla PA, una potestà conciliativa che prescinda completamente da valutazioni successive. Su questo fronte qualcosa si sta muovendo. Penso alla proposta di legge n.120, di iniziativa della Giunta regionale del Lazio, sulla conciliazione nelle controversie sanitarie e in materia si servizi pubblici, che è ora al vaglio dell’Aula. La legge prevede l’istituzione della Camera regionale di conciliazione, che

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avrà il compito di comporre in via stragiudiziale le controversie fra i cittadini e i soggetti erogatori di servizi pubblici che riguardano il mancato rispetto degli standard di qualità previsti dalla Carte dei servizi e l’erogazione di prestazioni sanitarie fino a diecimila euro. La Camera di conciliazione sarà composta da un direttivo di tre persone, nominate dal presidente della Regione secondo modalità disciplinate dalla legge. Il direttivo, a sua volta, dovrà redigere la lista dei conciliatori. Mentre per i cittadini sarà ovviamente facoltativo scegliere la procedura di conciliazione, l’amministrazione dovrà intervenire obbligatoriamente nel procedimento. Soluzioni quali quella indicata possono tranquillizzare la dirigenza pubblica perché eliminano la discrezionalità del ricorso a strumenti ADR da parte della PA. Si tratta del resto di modelli che funzionano molto bene in altri Paesi europei: in Germania, ad esempio circa la metà dei casi di responsabilità medica viene risolto attraverso la mediazione e l’altra metà va davanti al giudice. Intanto è attualissimo un primo banco di prova della capacità della PA di far funzionare sistemi di risoluzione alternativa della liti. Dal 3 settembre 2015 è infatti in vigore il dlgs 6 agosto 2015 n.130 che attua la direttiva 2013/11/Ue sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori. La direttiva nasce dalla necessità di offrire una soluzione semplice, rapida ed economica alle controversie tra consumatori e imprese. La nuova normativa che integra e modifica il Codice del Consumo afferma inderogabilmente che il consumatore non può essere privato in alcun caso del diritto di adire il giudice competente, qualunque sia l’esito della procedura di composizione extragiudiziale e inoltre chiarisce che che

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non si può imporre al consumatore che voglia accedere a una procedura Adt di rivolgersi esclusivamente a un’unica tipologia di organismi ADR o a un unico organismo ADR. I nuovi organismi dovranno essere iscritti in un apposito elenco istituito presso ciascuna Autorità competente. Le Autorità individuate (ministero della Giustizia, unitamente al ministro dello Sviluppo Economico, la Consob, l’Aeegsi, l’Agcom e la Banca d’Italia) definiscono il procedimento per l’iscrizione e verificano il rispetto dei requisiti di stabilità, efficienza, imparzialità nonché il rispetto del principio di tendenziale non onerosità, per il consumatore, del servizio. Le Autorità possono promuovere e svolgere la formazione dei soggetti incaricati degli ADR e devono monitorare i programmi della formazione se alla stessa vi provvedono gli organismi ADR. I principi fondamentali cui devono uniformarsi tutti i sistemi di ADR sono quelli di rendere tali procedure di risoluzione alternativa delle controversi indipendenti, imparziali, trasparenti, efficaci, rapide ed eque. È fondamentale che le Autorità incaricate riescano a far decollare il nuovo sistema. Mi domando se la vicenda delle quattro banche messe in liquidazione con l’involontario contributo degli obbligazionisti subordinati avrebbe avuto, dal punto di vista dei risparmiatori coinvolti, la medesima conclusione se i sistemi di ADR fossero già stati operativi. Ora, in ogni caso, la vicenda deve risolversi attraverso arbitrati. Personalmente sono convinto che non si possano portare avanti arbitrati per ogni singolo risparmiatore coinvolto, come sembra prevedere la legge. Sarebbe preferibile ipotizzare un arbitrato per banca, verificare quali erano i comportamenti tenuti allo sportello nelle singole banche, e rimborsare tutti quelli che hanno sottoscritto le obbligazioni subordinate senza che venisse data la corretta informazione. Non credo che si possa distinguere il trattamento in base all’ammontare di risparmio investito perché il tema è unico, cioè la tutela del risparmio.


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Il fisco promozionale per la composizione media-conciliativa dei conflitti di Antonio Felice Uricchio Magnifico Rettore, Università degli Studi di Bari Aldo Moro Le attività di composizione delle liti si articolano secondo due modelli: l’uno contenzioso, in forza del quale il conflitto viene superato attraverso uno o più atti del giudicante (vale a dire di quelli attraverso cui determinati fatti, atti o comportamenti sono accertati e valutati da organi inseriti in un’apposita organizzazione giudiziaria pubblica); l’altro di carattere mediatorio-transattivo (c.d ADR alternative dispute resolution), in cui un accordo realizzato attraverso l’intervento di un soggetto terzo, che lo facilita, o direttamente raggiunto dalle parti supera la lite, assorbendola anche attraverso reciproche concessioni. Tra i due modelli, resta sicuramente migliore quello della pacificazione dei conflitti che, facendo esplodere l’accordo e ripristinando il corretto rapporto tra le parti. appare certamente meritevole di essere destinataria di disposizioni che ne favoriscano l’accesso e ne promuovano la conclusione. Tale esigenza sembra finalmente apprezzata dalla legislazione più recente, che ha largamente regolamentato strumenti di mediazione e di conciliazione, mutuando e recuperando esperienze straniere e recependo indirizzi fortemente sostenuti in ambito comunitario. Il favor per il modello media-conciliativo passa per più ordini di ragioni: economiche, sociali, politiche, dando luogo a risparmi di spesa, contrazione dei tempi di definizione delle controversie, facilitazione di traffici e attività commerciali. Al contrario, la devoluzione delle controversie alla magistratura implica costi di diversa natura ed entità, i quali devono essere coperti direttamente dalle parti litiganti o devono essere addossati all’intera collettività anche attraverso tributi di natura giudiziaria, sempre più esosi (contributo unificato, tassazione di registro, ecc.). In questa direzione si collocano gli artt. 17, commi 1-3, e nell’art. 20, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, recante disposizioni in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali. Tali norme disciplinano tre diverse tipologie di agevolazioni tributarie; due, sul fronte della fiscalità indiretta, contemplano sgravi fiscali per gli atti del procedimento di mediazione (esenzione totale dall’imposta di bollo e esenzione parziale dall’imposta di registro, quest’ultima applicabile al verbale di mediazione); la terza, invece, in materia di imposizione diretta, che prevede un credito d’imposta commisurato all’indennità corrisposta dalle parti all’organismo di mediazione. Le agevolazioni fiscali delineate dalla normativa più recente, nell’intento di deflazionare il contenzioso, configurano un sistema di «premialità positiva», che, utilizzando la leva fiscale, può indurre «le parti ad

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adottare lo strumento della mediazione in alternativa a quello giudiziale». Insomma, tra le ragioni che possono spingere le parti a ricorrere al procedimento di mediazione, per prevenire una controversia dinanzi agli organi giurisdizionali, assumono senz’altro rilievo i benefici fiscali ricordati. Peraltro, le agevolazioni non operano in maniera uniforme, ma producono effetti diversi in base al tipo di lite, al valore economico della contesa, alle caratteristiche dei soggetti coinvolti e alla loro volontà di registrare l’accordo. È evidente che il vantaggio dello strumento deflattivo è legato alla volontà delle parti di pervenire ad un accordo amichevole, con l’ausilio del mediatore e dei consulenti, onde evitare le lunghe ed onerose procedure giurisdizionali. In sostanza, per un percorso realmente deflattivo, è indispensabile la coesistenza di efficienza, rapidità e riservatezza del procedimento, elementi che consentono alle parti di addivenire ad un accordo celere e conveniente. Il risultato presuppone mediatori e consulenti dotati di comprovata professionalità e un aggiornamento professionale costante, sostenuto nei percorsi formativi dalla riflessione scientifica.

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Impresa sociale e innovazione sociale

Università & Ricerca

articolo di Beatrice Ghisolfi Beatrice Ghisolfi Nata ad Alba l’11 gennaio 1990, vive ad Torino. Nel 2016 si è laureata in Economia e Direzione delle imprese, con una tesi di ricerca sulle tematiche di imprenditorialità sociale e social innovation, a cui è particolarmente interessata. L’indirizzo di specializzazione intrapreso è Marketing Management perché in linea con i propri interessi, ma durante il percorso universitario ha avuto la possibilità di arricchire le proprie conoscenze attraverso esperienze lavorative soprattutto nel campo della finanza: inizialmente presso uno studio di commercialisti a Torino e in seguito nell’area contabilità clienti presso l’azienda Ferrero S.p.A., imparando ad inserirsi adeguatamente all’interno di un team di lavoro e sviluppando maggiormente le proprie capacità di comunicazione e di problem solving.

Nell’ultimo decennio l’istituzione delle cooperative sociali e l’incremento delle attività d’impresa ad esse connesse hanno rappresentato il terreno fertile per la nascita e il conseguente sviluppo delle imprese sociali, le quali costituiscono un fenomeno complesso che coinvolge un’ampia gamma di attori e che promette di diffondersi in modo sempre più incisivo nelle nuove forme d’imprenditorialità. In Italia le prime forme d’impresa sociale nascono principalmente come iniziative private di persone impegnate in attività di volontariato, per far fronte ai bisogni trascurati dalle imprese profit e come risposta alla crisi dei sistemi di welfare concernenti la crescita della spesa per coprire i costi di sistemi di protezione, il cambiamento dei principali fattori demografici su cui si basa l’equilibrio dello stato sociale e l’aumento di costi della produttività manifatturiera per la produzione di servizi alla persona. In tale contesto, individuando l’impresa sociale come attore innovativo, è sempre più forte la tendenza di diversi studiosi a sostenere che i concetti di “impresa sociale” e “innovazione sociale” siano contigui - ed in parte sovrapponibili – ed a diffondere la convinzione che entrambi coincidano e l’uno sia addirittura sinonimo dell’altro. Se considerassimo in modo approfondito le due definizioni concettuali, potremmo giungere alla conferma che in realtà esistono ragioni che permettono di poter trattare entrambi in modo separato, distinti

negli scopi e nelle azioni che dirigono le loro attività, pur potendo coesistere in alcuni contesti. Nel mio lavoro di tesi, per esplicitare tale assunto, ho focalizzato l’attenzione sul panorama regionale, considerando tre esempi d’imprese che rivestono la qualifica di impresa sociale e sono operanti sul territorio piemontese. Tali organizzazioni presentano anche aspetti di social innovation, facendo uso di tale approccio in modo diretto o indiretto. L’obiettivo del mio studio è stato quello di realizzare una comparazione che permetta di osservare come le dinamiche prese in considerazione (impresa sociale e social innovation) possano essere concretizzabili nel panorama contemporaneo e locale. La metodologia che ho utilizzato per comporre la scheda anagrafica di ogni impresa si sviluppa attraverso la selezione di criteri chiave, raccolti tramite interviste che, prioritariamente, definiscono l’origine dell’impresa stessa nonchè rappresentano la storia e le risorse professionali dell’azienda descrivendone i mutamenti avvenuti nel corso degli anni, le strategie di posizionamento, le forme di comunicazione. Attraverso il metodo dell’intervista è stato possibile realizzare un’interazione comunicativa tra i soggetti, finalizzata all’acquisizione di informazioni e caratterizzata da una forte flessibilità. In particolare, il fatto di effettuare interviste di persona mi ha permesso di sfruttare tutti i vantaggi e le potenzialità della comunicazione interpersonale ed ha

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consentito una maggiore libertà all’intervistatore di aggiungere informazioni non direttamente richieste o fare riferimenti ad informazioni che non erano state preventivate. Le tre imprese, oggetto di analisi, ricoprono la qualifica d’impresa sociale nel settore dei servizi e rivestono tre profili differenti; ogni impresa è sorta per ragioni distinte e la sfera d’azione in cui agisce riflette gli interessi che soggiacciono alle formazioni professionali o alle esperienze dello staff operativo. Le imprese, oggetto di questa analisi, hanno fornito la loro esperienza ed espresso le loro opinioni sulle questioni esaminate e, pur risultando tra loro differenti, hanno favorito una visione più ampia dell’argomento e ne hanno permesso di far emergere i loro tratti più distintivi. L’impresa sociale SocialFare® nasce nel 2013 per dare vita ad una visione di innovazione della Congregazione dei Giuseppini del Murialdo che, sin dalla fine del XIX secolo, hanno investito sui giovani per offrire loro un’opportunità e un possibile futuro imprenditoriale. Da un lato, lo scenario economico italiano e mondiale, caratterizzato ormai da anni da pressanti sfide sociali, di sostenibilità e di innovazione, dall’altro, il lungo tramonto del welfare erogato, hanno richiesto una nuova condivisione e progettualità rispetto all’elaborazione di nuovi modelli con linguaggi contemporanei di ideazione e sviluppo, reti di sperimentazione territoriale e internazionale. In questo contesto di sfide, competenze e opportunità, il tema della Social Innovation diviene uno strumento di attivazione sinergica importante, ma anche un ecosistema nel quale creare alleanze e progettualità - anche sperimentali - a favore del bene comune. L’impresa sociale sopra citata utilizza l’approccio di social innovation partendo dalla necessità di individuare un bisogno latente espresso dalla comunità e lavorando con essa per trovare una soluzione a impatto sociale che generi bene collettivo, generando una tipica procedura di inclusione attraverso un approccio dal basso in tutto il processo. La soluzione è ideata e co-partecipata con chi il bisogno lo vive tutti i giorni ed è resa possibile attraverso la creazione di prototipi veloci per vedere se la stessa possa essere un modello o un prodotto o un servizio fisico. La social innovation, d’altronde, fa parte del suo DNA in quanto applica la definizione data dalla commissione europea, dando la possibilità alle persone con

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i loro bisogni di essere attori del cambiamento che si vuole generare: il risultato è quello di produrre soluzioni che possono trasformarsi in imprese sociali, in ricerche, in prototipi. Il team ha fatto una conoscenza approfondita e reciproca utile ad evidenziare ed a far leva su un knowhow territoriale: da una parte, tradizione sociale del territorio torinese e piemontese, dall’ altra parte, vocazione e anche esperienza territoriale tecnologica. SocialFare® comprova il fatto che un cambiamento sociale, se è presente sia la qualifica di impresa sociale sia l’approccio di innovazione sociale, è più deciso perché si unisce una forma legale a degli aspetti d’ingaggio valoriali molto forti. Kalatà, invece, è un’impresa sociale che opera nel settore dei beni e delle attività culturali fornendo, ad enti pubblici ed a soggetti privati, servizi di progettazione, gestione, reperimento fondi e promozione, ricerca di finanziamenti per riuscire, poi, nel concreto, a sostenere l’iniziativa che si sviluppa anche nel comunicare e promuovere le attività stesse. Dalle ricerche effettuate ho potuto dedurre che essa può essere considerata come un caso d’impresa che, pur non riconoscendo come sua prerogativa l’approccio di social innovation, ne fa uso in modo indiretto e quasi naturale, attraverso la valorizzazione e portando rinnovamento nei beni culturali. La cultura non si era mai spinta così tanto verso l’imprenditoria ed all’impresa sociale interessa non solo questo ambito, ma anche nuovi meccanismi, che vanno a riposizionare il prodotto culturale sulle basi di logiche di mercato. La gestione culturale, prima, era in mano all’Ente comunale o a fondazioni bancarie e per i prodotti culturali non si tenevano in considerazione le esigenze o i gusti del pubblico e vi era, quindi, una bassa innovazione. Nel fare impresa ci si deve confrontare con le richieste della popolazione ed, in questo caso, il prodotto si modella in quest’ottica. In Italia, infatti, non si valorizza con la dovuta attenzione il prodotto culturale, ritendendolo a bassa valenza economica e, quindi, non sempre interessante dal punto di vista imprenditoriale. Non si riteneva appropriato che la cultura producesse utile e si considerasse un bene fruibile in modo gratuito; recentemente, invece, si è rivisto nell’ottica culturale come promotrice di benessere economico e sviluppo delle energie del territorio.


L’esperienza di Kalatà dimostra che un’impresa può creare innovazione attraverso la cultura proponendo soluzioni che servano a rinnovare l’offerta turistica in un determinato luogo che, per motivi di scarsa attrattività, risultino poco fruibili. Torino Nord Ovest è una delle prime imprese sociali nate in Piemonte e viene fondata con l’idea di costruire un centro di ricerca con la mission di sviluppare studi sociali ed economici utili allo sviluppo del piano strategico. L’impresa sviluppa alcuni filoni complementari fra i quali si annovera anche il lavoro sulla social innovation, che viene studiata più che praticata. Svolge, altresì, attività legate alla corporate social responsability ovvero bilanci sociali e disseminazione di progetti scientifici; ne deriva un universo di progetti dove non sempre è possibile rintracciare un solo filo comune. Torino Nord Ovest non fa social innovation perché non è nel suo interesse, ma nella sua attività di divulgazione ha avviato un progetto di formazione di una piattaforma per l’informazione, comunicazione e animazione culturale sulla social innovation, aperto al sistema locale e di supporto alla giovane imprenditoria sociale. L’innovazione all’interno dell’impresa è vista come base per ricercare modalità di attuazione dei progetti, introducendo elementi sperimentali entro pratiche consolidate al fine di potenziarne l’efficacia. In questa logica, per il riconoscimento come soggetto “terzo”, sono stati inoltre incaricati a costruire un tavolo di cooperazione fra tutte le organizzazioni cittadine che si occupano di social innovation per farli comunicare. Lo specifico del loro lavoro è costruire forme di rapporto finalizzate a obiettivi di comunicazione fra diversi stakeholder, aggregandoli su obiettivi comuni; il punto fondamentale è che sono sempre attivi più di una persona, più di un’organizzazione, più di un punto di vista.

La loro particolare convinzione è che per social innovation s’intende quella modalità per cui vengono affrontati problemi di welfare in maniera nuova e diversa, attraverso l’ausilio della tecnologia: la differenza sta nel trasformare un bisogno sociale diffuso in una o più risposte che, attraverso l’identificazione di un modello di business e funzionamento completamente diverso dal passato, possono risultare remunerative per soggetti privati o per il privato sociale e non facilmente affrontabili con risorse pubbliche. Sorge spontaneo chiedersi se, però, non sia da considerarsi social innovation anche il fatto di costruire forme di rapporto pubblico-privato nuove e diverse dal passato, efficaci e capaci di progettare servizi nuovi per la società. Il fattore che le unisce e che, nel contempo, rappresenta l’autentico limite, è l’assenza della distribuzione degli utili, che rimarca la natura ibrida di questa tipologia d’impresa anche perché non consente di poterla classificare in modo chiaro come impresa profit o non profit. Tutto ciò potrebbe essere risolto da un’eventuale riforma del Terzo settore che, attualmente, è ancora allo studio delle istituzioni e che potrebbe proporre soluzioni efficaci per la risoluzione di tale problematica. Per ora rimane un altro limite, che riguarda la creazione e l’applicazione di strumenti specifici per valutare e monitorare l’efficacia di tali profili d’impresa dal momento che si tratta di forme nuove ed in un certo senso ancora non così strutturate; resta da comprendere se si possano utilizzare strumenti studiati su una tipologia di impresa profit. Infine, possiamo affermare che un’innovazione che si dimostri sociale nelle modalità in cui gli attori interagiscono, dimostra un livello di socializzazione maggiore e l’impresa sociale non può che essere l’organizzazione più adatta, per la sua visione multistakeholder, ad adottare in modo conveniente tale paradigma.

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L’importanza dell’uso dei sistemi ADR nel Settore della Sanità e della Socio sanità articolo di Alberto De Santis Presidente dell’ANASTE - ECHO e FEDERSALUTE

Prof. Alberto De Santis Ricopre dal 2000 la carica di Presidente Nazionale Anaste - Associazione Nazionale Strutture Terza Età – dal 2010 Presidente di Federsalute, Federazione di Settore della Sanità di Confcommercio – dal 2000 Presidente E.C.H.O EUROPEAN CONFEDERATION OF CARE HOME ORGANISATIONS, alla quale l’ANASTE aderisce con sede: 30, Avenue Marnix B- 1000 Bruxelles. Ha frequentato il corso di Economia e Commercio presso l’Universita’ degli studi sociali “Pro Deo” oggi denominata “LUISS”. Da 1990 si occupa del settore Socio Assistenziale e Socio Sanitario con preciso riferimento alla Terza Età ed alla L.T.C. Ha organizzato convegni Nazionali ed Europei di settore e partecipato a numerosi convegni Nazionali sulla Socio Sanità in qualità di relatore. Ha partecipato a varie edizioni di PTE EXPO’ a Verona, ad EXPO’ SANITÀ a Bologna, Forum Risk Management in Sanità in Arezzo e Forum N.A. a Bologna. Direttore Editoriale della rivista trimestrale dell’ANASTE “PRO TERZA ETÀ”. L’Anaste è l’Associazione nazionale che rappresenta le imprese private accreditate di assistenza residenziale agli anziani, sia auto che non autosufficienti.

Abbiamo aderito con particolare interesse all’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR al fine di facilitare l’erogazione e la promozione di interventi, servizi e strumenti che offrono i sistemi ADR nell’ambito del sistema delle politiche della Socio assistenza, della Socio sanità e della Sanità. Particolare attenzione va rivolta ai servizi di alta integrazione socio sanitaria e di supporto alla non autosufficienza. In questi settori, infatti, sono divenuti ormai importanti i servizi volti alla risoluzione alternativa delle controversie (ADR – Alternative Dispute Resolution) per le vertenze che insorgono nell’ambito di tutte le strutture pubbliche e private socio sanitarie italiane ed europee. L’erogazione dei servizi ADR consentirebbe, inoltre,

un indotto relativo alla formazione ed all’abilitazione professionale per l’esercizio dell’attività di conciliatore italiano ed europeo in ambito Socio sanitario e Sanitario condiviso con le Istituzioni Nazionali ed Europee. Questa sensibilizzazione in atto in ANASTE (Associazione Nazionale Strutture per la Terza Età) si sta diffondendo in ECHO (European Confederation of Care Home Organisations) e in FEDERSALUTE (Federazione di Settore della Sanità Nazionale della Confcommercio Imprese per l’Italia alla quale aderiscono dieci Associazioni di Categoria che abbracciano l’80% della Sanità Nazionale). Il Sistema si sta promuovendo attraverso l’ECHO presso il Parlamento Europeo in considerazione che la proposta di risoluzione europea sui servizi ADR, approvata in data 10.10.2011, richiedeva alla Commissione Europea di armonizzare le normative ADR degli Stati.

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Stiamo sensibilizzando gli europarlamentari, di diverso schieramento politico, affinchè presentino la proposta di risoluzione e la trasmettano per conoscenza alle istituzioni nazionali con i seguenti obiettivi: - Invitare l’Unione Europea a regolamentare i servizi ADR ed a costituire un’Unica Authority; - Invitare gli Stati ad attribuire al Servizio ADR lo status giuridico di servizi di interesse economico generale (SIEG), a definirne le “species” e ad emanare un codice unico in materia. Per l’Italia attraverso una legge delega: - Costituire Tribunali Arbitrali ISDS in grado di dirimere le controversie tra Stati investitori in deroga al diritto nazionale; - Invitare gli Stati a sostenere tramite lo studio e la ricerca, condotta da Osservatori ad hoc gli effetti che tale istituzione avrà sull’economia; - Sperimentare la costituzione di Tribunali Arbitrali ISDS specialistici come dovrebbero essere quelli per i settori della Sanità, della Socio sanità e della Socio assistenza; - Formazione degli operatori ISDS. Riteniamo particolarmente importante che il Parlamento Europeo intervenga in maniera risolutiva sull’argomento in quanto l’ECHO ha promosso due particolari argomenti, condivisi da tutte le Nazioni aderenti: le “Linee guida per la piattaforma europea della terapia del dolore” e il “Medical Travel”. Il primo progetto consentirà di avere un database sul dolore cronico, non oncologico, delle persone residenti in

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Strutture Socio sanitarie, consultabile da tutti. L’idea è scaturita e voluta dall’Italia avendo partecipato al meeting di tutti i Paesi europei sul dolore ed in considerazione che l’Italia è l’unico Paese europeo che si è dotato della Legge 38/2010 sul dolore e sulle cure palliative. Il secondo, l’abbiamo recentemente presentato in un convegno nel Parlamento Europeo dal tema “Medical Travel: a New European Challenge”, organizzato dall’European Medical Association e da Active Citizenship Network e condiviso dalle altre Associazioni che hanno partecipato. Il progetto prevede la possibilità di ospitare gli anziani fragili dei Paesi del Nord Europa nelle strutture residenziali dei quattro Paesi mediterranei aderenti all’ECHO: Portogallo, Spagna, Italia e Grecia. Ciò consentirebbe agli ospiti di godere di località amene e calde a prezzi sostenibili e con la possibilità di usufruire di località provviste di Terme, di fanghi e di acque salsobromoiodiche. Questa operazione consentirebbe di rimettere in moto l’economia europea sia nell’ambito della mobilità sia nell’ambito della ricettività alberghiera e turistica. Quindi, la necessità, nel caso di controversie tra le parti provenienti da Stati diversi, di costituire di affidarsi ad Organismi di mediazione specializzati. Questa enorme movimentazione di attività e di persone potrebbe indiscutibilmente provocare contenziosi facilmente risolvibili attraverso i servizi ADR.


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Omicidio e lesioni stradali Da DDL a legge dello stato: una rivoluzione sociale

articolo di Natale Argirò

Natale Argirò è nato a S. Maria Capua Vetere (Caserta) l’11 settembre 1945. A 20 anni è entrato nell’Accademia della Polizia a Roma da dove, dopo aver frequentato il quadriennio di formazione, è uscito con il grado di Tenente. Ha percorso tutta la carriera militare fino al grado di Dirigente Superiore della P.S./Generale di Brigata assumendo il comando della Regione Calabria e della Regione Campania nei servizio di Polizia Stradale. Laureato in Giurisprudenza, Avvocato e Giornalista, è autore di numerosi libri, articoli e saggi, ed ha curato diverse pubblicazioni in materia di sicurezza pubblica. È stato Questore di Benevento, Reggio Emilia e Trieste e Direttore dell’Ispettorato Viminale presso il Ministero dell’Interno. È stato docente di discipline giuridiche e tecniche in varie Scuole delle Forze di Polizia e Istituti di alta formazione. È stato nominato Commendatore della Repubblica Italiana e decorato con diploma di Benemerenza e medaglia dal Capo dello Stato per l’assistenza alle popolazioni colpite dal sisma del 1980. Numerosissimi i pubblici riconoscimenti in Italia e all’estero per l’attività svolta. Nominato dal Consiglio dei Ministri Dirigente Generale di Pubblica Sicurezza /Generale di Divisione, ha concluso a 65 anni la carriera presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri a Roma. Successivamente ha diretto l’Osservatorio Sicurezza e Legalità istituito presso la Provincia di Caserta per tutta la durata della consiliatura. Ora è Consulente della Commissione Speciale “Terra dei Fuochi e Ecomafie” Regione Campania - Napoli; Presidente dell’Organismo di Vigilanza di Publiservizi SrL per la Fiscalità locale - Roma e Presidente del Comitato Scientifico - Dipartimento Mediazione Sociale dell’Osservatorio sui Servizi ADR - Roma

Cosa cambia rispetto alla legislazione precedente e quali le osservazioni in merito? La materia era regolata dagli artt. 589 e 590 c.p. Art. 589. Omicidio colposo “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni . Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sul-

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la disciplina della circolazione stradale da: 1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni (valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro g/l). 2) soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici”.


Art. 590. Lesioni personali colpose Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239 . Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni. Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni. Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque. Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale. Francamente la disciplina appariva esaustiva atteso che era ispirata dal principio fondamentale, vigente nel nostro ordinamento, della “proporzione” che deve caratterizzare l’infrazione e la relativa sanzione. Si era scelta la via della predisposizione di misure volte a punire il conducente ebbro, rieducarlo e, soprattutto, prevenire la sua condotta “ante delictum” senza doverlo per forza considerare come un criminale, senza dover spostare l’oggetto del giudizio di colpevolezza dal fatto all’autore che contrasta con i più elevati principi del nostro panorama giuridico, anche alla luce delle coordinate costituzionali di riferimento. A ragionare diversamente, infatti, si ritornerebbe ad una visione “lombrosiana” dell’uomo delinquente (stradale) che si sperava aver superato da almeno due secoli.

Invece, ora, si è scelto di seguire un’altra strada, quella di introdurre una fattispecie “ad hoc” avente ad oggetto omicidio e lesioni stradali che sicuramente ottiene un consenso mediatico, ma non conferisce certamente né razionalità né legittimità alle scelte del legislatore e, soprattutto, costituisce una “ratio” politico-criminale non facilmente compatibile con una compiuta democrazia penale. La nuova Legge modifica l’art. 589 c.p, 2° comma sopprimendo le parole “sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle” e abrogando il 3° comma. Introduce, quindi, l’art. 589-bis – Omicidio stradale – che così recita: “Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni. La stessa pena si applica al conducente di un veicolo a motore di cui all’articolo 186bis, comma 1, lettere b), c) e d), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, il quale, in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera b), del medesimo decreto legislativo n. 285 del 1992, cagioni per colpa la morte di una persona. Salvo quanto previsto dal terzo comma, chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. La pena di cui al comma precedente si applica altresì: 1) al conducente di un veicolo a motore che, procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa la morte di una persona; 2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, cagioni per colpa la morte di una persona; 3) al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa la morte di una persona. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti la pena è aumentata se il fatto è commesso da persona non munita di patente di guida o con patente sospesa o revocata, ovve-

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ro nel caso in cui il veicolo a motore sia di proprietà dell’autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora l’evento sia conseguenza anche di una condotta colposa della vittima, la pena è diminuita fino alla metà. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni a una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni diciotto. La nuova Legge modifica anche l’art. 590 c.p, 3° comma sopprimendo al primo periodo le parole “sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle” e abroga il secondo periodo del 3° comma. Inoltre modifica l’art. 582 c.p.. Lesioni personali, aumentando il minimo della pena da tre a sei mesi. Introduce quindi l’art. 590-bis – Lesioni personali stradali gravi o gravissime – che così recita: “Chiunque cagioni per colpa ad altri una lesione personale con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da tre mesi a un anno per le lesioni gravi e da uno a tre anni per le lesioni gravissime. Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa a taluno una lesione personale, è punito con la reclusione da tre a cinque anni per le lesioni gravi e da quattro a sette anni per le lesioni gravissime. Le pene di cui al comma precedente si applicano altresì al conducente di un veicolo a motore di cui all’articolo 186-bis, comma 1, lettere b), c) e d), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, il quale, in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera b), del medesimo decreto legislativo n. 285 del 1992, cagioni per colpa a taluno lesioni personali gravi o gravissime. Salvo quanto previsto dal terzo comma, chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa a taluno lesioni personali, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a tre anni per le lesioni gravi e da due a quattro anni per le lesioni gravissime. Le pene di cui al comma precedente si applicano altresì: 1) al conducente di un veicolo a motore che, procedendo in un centro urbano ad una

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velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa a taluno lesioni personali gravi o gravissime; 2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, cagioni per colpa a taluno lesioni personali gravi o gravissime; 3) al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa a taluno lesioni personali gravi o gravissime. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti la pena è aumentata se il fatto è commesso da persona non munita di patente di guida o con patente sospesa o revocata, ovvero nel caso in cui il veicolo a motore sia di proprietà dell’autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni lesioni a più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni sette”. L’esigenza di introdurre nuove ipotesi di reato avrebbe richiesto una tipizzazione più rigorosa anche in ragione delle attuali incertezze giurisprudenziali circa la qualificazione (dolosa-colposa) delle fattispecie. Ora sembra che il legislatore abbia optato, invece, per una colpevolezza fondata sul binomio guidare ebbro- accettare il rischio, ove la colpevolezza sembra celare un’ipotesi di “responsabilità oggettiva occulta”. Poi, l’inasprimento delle sanzioni penali non sembra osservare il principio della proporzionalità e mentre si potrebbe concordare sulle maggiori sanzioni da applicare eventualmente per la guida in stato di ubriachezza, non sembrano adeguate le pene previste per la guida in stato di ebbrezza, ma il legislatore evidentemente non ha voluto prevedere diversificazioni di sorta. Sotto il profilo sanzionatorio è poi da notare l’equiparazione al conducente ebbro, con un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro g/l, degli autotrasportatori di persone e cose ancorchè rispondenti ad un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro (g/l). In particolare, la norma riguarda i conducenti che esercitano l’attività di trasporto di persone, di cui agli articoli 85, 86 e 87; quelli che esercitano l’attività di trasporto di


cose, di cui agli articoli 88, 89 e 90; i conducenti di autoveicoli di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 t, di autoveicoli trainanti un rimorchio che comporti una massa complessiva totale a pieno carico dei due veicoli superiore a 3,5 t, di autobus e di altri autoveicoli destinati al trasporto di persone il cui numero di posti a sedere, escluso quello del conducente, è superiore a otto, nonchè di autoarticolati e di autosnodati. Altra equiparazione di pena si prevede fra il conducente di un veicolo a motore che circola con tasso alcolemico superiore a 0,8 ma non superiore a 1,5 grammi per litro (g/l) e quello che procede in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa la morte di una persona; 2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, cagioni per colpa la morte di una persona; 3) al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua. Tutte ipotesi che richiedono evidentemente un accertamento tecnologico o comunque tecnico da parte degli Organi di Polizia Stradale e quindi di difficile configurazione. Quanto all’omissione di soccorso e fuga del conducente dopo l’incidente, trattasi di ipotesi che era disciplinata dell’art.189 Cds. Art. 189. Comportamento in caso di incidente: 1.L’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona. 2. Le persone coinvolte in un incidente devono porre in atto ogni misura idonea a salvaguardare la sicurezza della circolazione e, compatibilmente con tale esigenza, adoperarsi affinché non venga modificato lo stato dei luoghi e disperse le tracce utili per l’accertamento delle responsabilità. 3. Ove dall’incidente siano derivati danni alle sole cose, i conducenti e ogni altro utente della strada coinvolto devono inoltre, ove possibile, evitare intralcio alla circolazione, secondo le disposizioni dell’art. 161. Gli agenti in servizio di polizia stradale, in tali casi, dispongono l’immediata rimozione di ogni intralcio alla circolazione, salva soltanto l’esecuzione, con assoluta urgenza, degli eventuali rilievi necessari per appurare le modalità dell’incidente. 4. In ogni caso i conducenti devono, altresì, fornire le proprie generalità, nonché le altre informazioni utili, anche ai fini risarcitori, alle persone

danneggiate o, se queste non sono presenti, comunicare loro nei modi possibili gli elementi sopraindicati. 5. Chiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, non ottempera all’obbligo di fermarsi in caso di incidente, con danno alle sole cose, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 254.030 a lire 1.016.140. 6. Chiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi è punito con la reclusione fino a quattro mesi. Il conducente che si sia dato alla fuga è in ogni caso passibile di arresto. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre mesi ad un anno. 7. Chiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, non ottempera all’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite è punito con la reclusione fino a dodici mesi e con la multa fino a lire 2.000.000. 8. Il conducente che si fermi e, occorrendo, presti assistenza a coloro che hanno subito danni alla persona, mettendosi immediatamente a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, quando dall’incidente derivi il delitto di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, non è soggetto all’arresto stabilito per il caso di flagranza di reato. Invero la disposizione ben si armonizzava con il dettato legislativo in vigore e, soprattutto, il comma 8 aveva evitato il verificarsi di frequenti casi di omissione di soccorso e fuga perché il conducente che si fermava per prestare assistenza a coloro che avevano subito danni alla persona non era soggetto all’arresto per il caso di flagranza di reato. Invece il legislatore ha ritenuto di intervenire in materia prevedendo un inasprimento delle pene previste da fattispecie “ad hoc” e introducendo la misura dell’arresto obbligatorio per il caso di omicidio stradale. La nuova legge prevede infatti due nuove ipotesi di reato nel Codice penale: Art. 589-ter. Fuga del conducente in caso di omicidio stradale. “Nel caso di cui all’articolo 589-bis, se il conducente si dà alla fuga, la pena è aumentata da un terzo a due terzi e comunque non può essere inferiore a cinque anni”. Art. 590-ter. Fuga del conducente in caso di cui all’articolo 590-bis, se il conducente si dà alla fuga, la pena è aumentata da un terzo a due terzi e comunque non può essere inferiore a tre anni”. La stessa legge sostituisce il comma 8 dell’art. 189 con il seguente: Il conducente che si fermi e, occorrendo presti assistenza a coloro che hanno subito danni alla persona, mettendosi a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, quando dall’incidente derivi il

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delitto di lesioni personali colpose, non è soggetto all’arresto per il caso di flagranza di reato”. Il legislatore è inoltre intervenuto aggiungendo ai casi di arresto obbligatorio in flagranza per delitti non colposi previsti dall’art. 380 c.p.p., quello del delitto di omicidio colposo stradale previsto dall’art. 589-bis c.p. 2° e 3° comma (pena della reclusione da 8 a 12 anni) e a quelli di arresto facoltativo in flagranza per delitti non colposi previsti dall’art. 381 c.p.p. quello del delitto di lesioni stradali gravi o gravissime previsto dall’art. 590-bis c.p., 2°,3°,4°,5° comma, evitabile ai sensi dell’art. 590-ter. È di tutta evidenza, quindi, che la vera “rivoluzione sociale” sta nell’introduzione dell’obbligo d’arresto in flagranza per il delitto di omicidio, ma alcune considerazioni appaiono necessarie al riguardo. Perché si debba procedere all’arresto obbligatorio in flagranza da parte della Polizia Giudiziaria occorre però che il delitto di omicidio stradale sussista connotato da tutti i propri elementi costitutivi, sia oggettivi (condotta umana, evento e rapporto di causalità tra condotta ed evento) che soggettivi (colpa). Laddove la condotta consiste nel porsi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica, con un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro g/l, (per gli autotrasportatori di persone e cose con un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro g/l) o di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, cagionando per colpa la morte di una persona. L’evento è appunto la morte mentre il rapporto di causalità è il nesso che lega la condotta tenuta dal conducente e l’evento che ne è conseguenza certa. L’elemento soggettivo è la colpa: inosservanza della principio di diligenza, di prudenza o di perizia; evitabilità dell›evento mediante l›osservanza delle regole stradali; esigibilità della loro osservanza da parte dell›agente. Allora, perchè l’accertamento del reato possa consentire alla P.G. di procedere all’arresto in flagranza si deve presumere che sussistano contemporaneamente le seguenti condizioni: 1. Il conducente deve trovarsi sul posto per essere sottoposto agli accertamenti sul proprio stato

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psico-fisico, ipotesi questa remota per varie ragioni (volutamente assente per sfuggire a tali accertamenti, assente perché ferito o perché impegnato a soccorrere i feriti propri trasportati, o spaventato o in stato confusionale, ma anche volutamente assente proprio per sfuggire all’arresto visto che è passibile di tale misura coercitiva nonostante si fermi a prestare soccorso, ponendosi a disposizione della P.G., ecc.); 2. L’evento-morte sia stato accertato sul posto o immediatamente dopo, ma i tempi non sono così brevi da trattenere (fermare?) il presunto responsabile (in attesa che intervenga sul posto il medico legale ovvero che venga rilasciato il certificato di morte dall’ospedale); 3. L’evento-morte deve essere causa certa della condotta del conducente, ma l’esperienza insegna che in moltissimi casi la morte attribuita ad un sinistro stradale era invece preesistente o sopraggiunta per altre cause (grande responsabilità, perciò, a carico della P.G. e del medico legale che per questo motivi sono molto prudenti nell’esprimersi), senza contare che sovente la persona deceduta è risultata da successivi accertamenti tecnici di Polizia Stradale essere ella stessa l’autore del reato. 4. L’evento-morte deve essere stato cagionato per colpa del conducente. Ebbene l’accertamento degli elementi della colpa non deve e non può essere così rapido da definirsi sul posto dove dovrebbe essere eseguito l’arresto, esso richiede invece lo studio e l’approfondimento dei rilievi tecnici eseguiti sul luogo del sinistro quali “atti irripetibili”, la valutazione e i riscontri delle eventuali testimonianze e delle stesse dichiarazioni rese dai protagonisti. Insomma la definizione di un comportamento come colposo e quindi causa primaria, diretta ed efficiente per la produzione dell’evento-morte ha sempre richiesto un certo tempo di riflessione (e non era previsto l’arresto obbligatorio), oggi evidentemente si richiede ancora più tempo necessario proprio per il rispetto costituzionalmente protetto dell’inviolabilità personale. Il legislatore ha poi aggiunto nuove misure sanzionatorie sulla patente, che può essere revocata anche per 15 o 30 anni. Raddoppiano anche i tempi di prescrizione, raddoppiano e cadono alcune restrizioni in merito alla possibilità di effettuare prelievi biologici per verificare la sussistenza di alcol o droga nel guidatore colpevole.


Dagli atti del Convegno del 15 marzo 2016

La Giustizia alternativa, razionalizzazione ed emancipazione Con il patrocinio del Ministero della Giustizia e del Consiglio Nazionale Forense Camera dei Deputati, Sala del Refettorio, Palazzo San Macuto 15 marzo 2016

Introduzione agli interventi istituzionali a cura di Francesca Tempesta Buongiorno a tutti, ringrazio l’avv. Antonio Auricchio per l’intervento di saluto ed il Magnifico Rettore dell’Università di Bari Aldo Moro, prof. Antonio Felice Uricchio, per la Sua relazione. Intervenire subito dopo codesti interventi è assai arduo, ma ci proverò. Ringrazio l’On.le Gennaro Migliore, Sottosegretario alla Giustizia e delegato dal Ministro On.le Andrea Orlando; il dott. Roberto Garofoli, Capo di Gabinetto del Ministro dell’Economia e delle Finanze; l’On.le Sergio Boccadutri, deputato e responsabile dell’area innovazione del PD; il dott. Stefano Amore, qui presente e delegato dal Giudice costituzionale Prof. Avv. Giulio Prosperetti, l’On.le Mario Baccini, Presidente dell’Ente Nazionale per il Microcredito, nonché gli illustri relatori che seguiranno e tutti voi qui presenti. Oggi, trovare un equilibrio tra la necessità di tagliare la spesa pubblica e la tutela dei diritti non è certamente semplice, soprattutto se la collettività pone all’attenzione del Legislatore nuove aspettative e nuove rivendicazioni, che intendano assurgere al ruolo di nuovi diritti, ovvero quelli che Norberto Bobbio, nel suo Saggio “L’età dei diritti”, edito nel 1990, avrebbe chiamato diritti della terza generazione - oramai quinta - e che stanno portando ad un’ipertrofia normativa. Un’ipertrofia normativa non voluta perché causata dalla globalizzazione ed il cui effetto più drammatico si manifesta non tanto nell’indebolimento del potere legislativo a vantaggio dell’espansione del potere dei

giudici - di chi interpreta la norma - ma nell’incertezza del diritto e, quindi, della Giustizia. Incertezza della Giustizia determinata dall’ignorantia legis, che secondo Niklas Luhmann - uno dei maggiori esponenti della sociologia tedesca del XX secolo - non è prerogativa esclusiva dei cittadini, ma delle stesse Corti giudiziarie. «Ignorare in tutto o in parte le leggi sembra ormai divenuta una condizione necessaria per emettere sentenze». Sebbene questa affermazione non sia un postulato matematico, di certo, potrebbe rappresentare, però, una valida provocazione, una chiave di lettura a disposizione, soprattutto, di alcuni organi di stampa che, a seconda delle circostanze, si divertono a scaricare le colpe dell’inefficienza della macchina della Giustizia o sul Legislatore o sulla Magistratura, creando contrapposizioni inutili ed inefficaci per il bene del nostro Paese. Se gli investitori stranieri non investono in Italia a causa dell’incertezza della Giustizia, la verità è che non vi sono colpevoli perché viviamo, fortunatamente, in uno Stato democratico, che assicura la dialettica e che opera non per la compressione dei diritti, ma per la loro espansione. Accolgo, quindi, con insoddisfazione il piazzamento del nostro Paese al 111° posto nel rapporto DOING BUSINESS della Banca Mondiale. Gli organi di stampa e, di conseguenza, gli italiani, forse, dovrebbero lasciarsi meno condizionare da

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queste statistiche ed avere più fiducia nelle nostre Istituzioni democratiche. Dobbiamo avere fiducia nelle nostre Istituzioni, lo dico a ragion veduta, perché nonostante, alcune volte, i toni siano sopra le righe, stiamo assistendo, nell’ambito della riorganizzazione della macchina della Giustizia, ad un profondo tentativo di cooperazione, di collaborazione, di coprotagonismo da parte del Governo, dei Giudici, degli Avvocati; un tentativo, seppur faticoso, di uscire fuori dall’autoreferenzialità. Un esempio tra tutti, i Protocolli d’intesa siglati il 17 dicembre 2015, tra la Corte di Cassazione ed il Consiglio Nazionale Forense, uno per la materia civile e tributaria, uno per la materia penale, con l’obiettivo di favorire la chiarezza e la sinteticità degli atti processuali e di formulare raccomandazioni per la redazione dei ricorsi funzionali a facilitarne la lettura e la comprensione da un lato ed a fornire maggiori certezze agli avvocati circa l’ammissibilità degli stessi dall’altro. Dieci anni fa, la Corte di Cassazione avrebbe mai potuto dire ad un avvocato come scrivere un ricorso di parte? Sarebbe stata accusata di voler attaccare la libertà individuale nell’esposizione delle ragioni a difesa di una posizione individuale. O a un giudice, spiegargli come scrivere una sentenza? Sarebbe stato oltraggio alla Corte. Questo, invece, oggi è possibile grazie ad un dialogo fecondo tra avvocatura e magistratura e, direi, anche, grazie all’Università. A tal riguardo, desidero citare la nascita in Puglia del Laboratorio Università-Mondo del Lavoro che vede protagonisti l’Università di Bari, il mondo delle imprese e quello delle professioni legali per sperimentare un’integrazione formativa nuova e in linea con le nuove esigenze di mercato. Stiamo assistendo, pertanto, ad un profondo “mutamento di paradigma e ad importanti e significative cessioni parziali di quote di sovranità”, così come affermato dal dr. Giovanni Canzio, Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione. Per il presidente del Consiglio Nazionale Forense, Avv. Andrea Mascherin “l’Avvocatura e la Magistratura stanno dimostrando di sapere ricercare soluzioni comuni nell’interesse del sistema Giustizia”. A tal riguardo, nei giorni scorsi, ho ascoltato con molta attenzione l’intervento che proprio il Presidente, Andrea Mascherin, ha tenuto alla Cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2016, organizzata dal Consiglio Nazionale Forense. Un intervento volto a sollecitare tutti noi ad “abbondare l’idea che le democrazie avanzate si misurino in Pil piuttosto che

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attraverso il grado di equità sociale”. Il diritto, avendo sostanzialmente il fine di garantire condizioni minimali di ordine, è portato, per forza di cose, a postulare un’idea di società di tipo “comunitario”, caratterizzata da comunanza di valori e da diffuso costume di cooperazione e solidarietà. Come avrebbe detto Curzio Giannini, economista e dirigente della Banca d’Italia, scomparso nel 2003: «Togliere ad un giurista il “valore” della comunità sarebbe probabilmente come togliere ad un cardiologo il “valore” di un’ordinata circolazione sanguigna». È necessario, perciò, continuare ad innovare mantenendo inalterata la “circolazione sanguigna” del paziente Italia. Per colpa di una deformazione culturale, quando si usa la parola innovazione nel nostro Paese, tutti fanno riferimento a quella tecnologica, a quella scientifica o a quella organizzativa, mai a quella sociale. Un vulnus sottolineato, più volte, dal professor Stefano Zamagni, illustre economista, che desidero qui citare testualmente per una riformulazione del modello di welfare di riferimento: «Le innovazioni possono essere di processo, di prodotto e di rottura (disrupting innovation). Queste ultime sono quelle di cui c’è bisogno oggi in generale in Italia. Nel comparto industriale tutti sanno di cosa si tratta: l’iPad è una innovazione di rottura, ad esempio. In ambito sociale, innovazione di rottura vuol dire trovare i modelli di governance necessari per realizzare la sussidiarietà circolare». Un sistema di governance, pubblico e privato, in grado non solo di dialogare ma anche di progettare e gestire insieme tutta una serie di servizi nell’ambito del welfare, inteso in senso ampio e, quindi, non solo sanità e assistenza, ma tutto ciò che riguarda il benessere delle persone: dalla cultura ai beni comuni, e, non per ultimo, la Giustizia. Tra questi servizi in grado di generare un nuovo welfare di comunità vi sono i servizi ADR, che realizzano indiscutibilmente il principio di sussidiarietà nell’ambito della funzione Giustizia e che fanno parte della cosiddetta Giustizia Alternativa. Anzi, per il Presidente Giovanni Canzio, Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, tali servizi, più che come strumenti di una “Giustizia alternativa”, sono strumenti di una “Giustizia parallela”. Simul stabunt vel simul cadent (Insieme staranno oppure insieme cadranno). Oggi, così come per il Presidente Giovanni Canzio, anche per l’avv. Giovanni Legnini, Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, non si può pensare alla funzione della Giustizia senza promuo-


vere l’uso e la razionalizzazione dei servizi ADR. Quando si parla di razionalizzazione della Giustizia, il pensiero corre immediatamente a possibili tagli e sacrifici. Questo, invece, è l’unico caso in cui la c.d. razionalizzazione dei servizi ADR non fa paura, anzi è evocata da tutti senza riserva, perché si tratta di armonizzare un sistema di norme che hanno la funzione esclusiva di contribuire non solo a deflazionare il carico della Giustizia, ma a migliorare la qualità della vita dei cittadini. Il Ministro della Giustizia, On.le Andrea Orlando, a tal riguardo, il 3 marzo 2016, proprio in tema ADR, ha affermato che “La materia è stata oggetto di ripetuti interventi normativi. La necessità di armonizzare razionalizzare il quadro normativo ha suggerito l’opportunità di costruire un gruppo di studio sull’argomento che si insedierà nei prossimi giorni”. E poiché, abbiamo qui la fortuna di avere il Sottosegretario alla Giustizia, On.le Gennaro Migliore, ci auguriamo che l’Osservatorio ADR possa essere invitato, con i suoi esperti, a partecipare ai lavori e a fornire il suo contributo. Per chiudere, mi sia consentito salutare con profonda stima l’On.le Sergio Boccadutri, con il quale, da tempo, stiamo lavorando sul tema della “sussidiarietà circolare” nell’ambito delle PA locali, per trovare solu-

zioni che possano contribuire all’allocazione perfetta delle risorse, anche attraverso l’uso dei sistemi ADR opportunamente “adattati” in ambito economico. A tal riguardo, la promulgazione dell’art. 24 del D.Lgs. 164/2014, che ha introdotto il “baratto amministrativo”, ci ha dato la possibilità di promuovere un nuovo tipo di servizio, denominato “mediazione economica”, per il potenziamento delle filiere locali attraverso la massimizzazion della domanda in rete, eliminando l’asimmetria informativa presente nel mercato, realizzando, di fatto, un’economia circolare ed aiutando l’economia locale a trarre vantaggio dal mercato locale e di più ampio respiro. Nel corso del primo panel di lavoro avremo modo di parlarne con il Sindaco di Taranto, il dott. Ippazio Stefano ed il Sindaco di Ascoli Piceno e Presidente dell’IFEL, l’avv. Guido Castelli, presentando un progetto ad hoc che parteciperà al Bando UIA (Urban Innovative Actions) dell’Unione Europea. In conclusione, servizi ADR intesi come strumenti in grado di generare un nuovo welfare di comunità e sussidiarietà circolare nell’ambito della funzione Giustizia ed in ambito economico. Vi ringrazio, ancora, per l’attenzione concessami e cedo volentieri la parola agli illustri relatori qui presenti al tavolo per completare, correggere, integrare quanto da me, modestamente, esposto.

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Le Garanzie mobiliari non possessorie Alla luce delle evidenze empiriche sullo stato del credito “garantito” in Italia si è resa necessaria una compiuta riflessione sulla necessità di riformare, ordinare e semplificare la disciplina delle garanzie mobiliari in generale ed, in particolare, rafforzare i c.d. collateral di natura non possessoria. Appare utile innovare la disciplina delle garanzie mobiliari non possessorie, introducendo alcune deroghe al principio della determinabilità dell’oggetto del privilegio. La necessità di un intervento normativo è sentita da più parti, sia a livello internazionale che nazionale. La riforma prospettata potrebbe produrre benefici in termini di competitività per il nostro sistema economico e giuridico. Infatti, un efficiente sistema di garanzia sui beni dell’impresa potrebbe migliorare l’accesso al credito e quindi essere funzionale a fornire uno stimolo per la crescita economica del Paese.

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Una Riforma necessaria: il sistema delle Garanzie mobiliari ed il modello UNCITRAL articolo di Lucio Ghia Lucio Ghia Nato a Napoli il 4 giugno 1942. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma nel 1966, “Licentiatus” cum laude in Iure Canonico presso la Pontificia Università degli Studi “San Tommaso d’Aquino” nel 1969, è oggi Professore di Diritto Commerciale Internazionale presso l’Università Guglielmo Marconi di Roma. Avvocato specializzato nelle aree del diritto civile, bancario, concorsuale e commerciale internazionale, esercita da oltre 40 anni la professione legale nelle due sedi dello studio, a Roma e Milano, offrendo la sua consulenza a soggetti istituzionali e privati, italiani ed esteri. Rappresentante del Ministero degli Esteri presso l’UNCITRAL (United Nations Commission on International Trade Law), Gruppi di Lavoro V (Insolvency Law) e VI (Security Interests), è stato Commissario Governativo per la riforma della legge fallimentare. Fellow dell’American College of Bankruptcy, è membro del Board of Directors dell’International Insolvency Institute e del TMA - Turnaround Management Association.

Era il maggio del 2002 quando, su mandato del nostro Ministero degli Esteri, ebbi il privilegio di sedere al tavolo della prima sessione del VI Gruppo di Lavoro dell’UNCITRAL, dedicato ai Security Interests, diremmo noi, alla Finanza garantita. Da allora molti progetti sono stati portati a termine. Primo tra tutti l’elaborazione della Guida Legislativa del 2007, cui hanno poi fatto seguito alcuni supplementi su temi specifici ed estremamente rilevanti, quali le Garanzie reali in materia di proprietà intellettuale (2010) e l’implementazione dei Registri unici delle garanzie (2013), fino all’elaborazione, tutt’ora in corso, della Legge Modello sulle garanzie mobiliari, di diretta derivazione dalla Guida Legislativa. La Guida Legislativa, ben accolta dalla Comunità internazionale e riconosciuta quale strumento internazionale di soft law, ha certamente favorito il recepimento da parte degli Stati di numerosi principi delineati in sede UNCITRAL, al punto che numerosi Paesi hanno già riformato la propria legislazione nazionale traendo ispirazione dagli standard in essa delineati. Tra questi ricordo i più recenti, quali Messi-

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co, Afghanistan, Cambogia, Chile, Repubblica Ceca, El Salvador, Australia, solo per citarne alcuni. L’importanza di dette norme di uniformazione, elaborate in seno alle organizzazioni internazionali in via multilaterale, è infatti ormai pacifica e consolidata, tanto da essere diffusamente utilizzate quali benchmarks di riferimento per la valutazione ed il ranking dei Paesi, misurati in relazione all’efficienza normativa e alla capacità attrattiva degli investimenti stranieri (tra i più noti, il Doing Business della Banca Mondiale). Adottarli e far sapere al mercato di averlo fatto ha dunque di per sé un effetto positivo sulla valutazione del Paese, con una serie di benefici corollari di assoluta rilevanza. Benché tali iniziative abbiano impresso una forte spinta al dibattito tra gli “addetti ai lavori”, aprendo anche in Italia un confronto sulle opportunità che gli strumenti internazionali di uniformazione in campo commerciale sono in grado di offrire per la modernizzazione e l’efficientamento del Sistema Paese, la normativa in materia di garanzie mobiliari è rimasta ad oggi pressoché invariata rispetto al codice


post-unitario del 1865. Diffusa è la convinzione, in dottrina e tra gli operatori del mercato, della necessità di un suo ammodernamento in base agli standard internazionali, che ne migliori la coerenza, la chiarezza e garantisca la prevedibilità della disciplina applicabile, con effetti benefici, in particolare, per le piccole e medie imprese, rispetto alla possibilità di accesso al credito, la cui contrazione, in un quadro economico e degli scambi profondamente trasformato, costituisce un fattore frenante per lo sviluppo dell’economia e dell’occupazione. Si tratta, in estrema sintesi, di regolamentare la possibilità di concedere garanzie sui beni del debitore, o di terzi, senza spossessamento, in particolare sui beni aziendali, a favore di terzi finanziatori. Tra gli ostacoli più insidiosi per l’efficienza del sistema di finanziamento delle imprese vi è, infatti, per noi, proprio la frammentarietà della disciplina delle garanzie reali mobiliari, da ricercare in primo luogo nella disorganicità delle regole vigenti, sparse in una pluralità di fonti, anche di derivazione comunitaria, e in un articolato corpus di pronunzie giurisprudenziali. Sul piano sostanziale, fattori di particolare criticità della disciplina codicistica sono certamente ravvisabili nell’articolo 2786 c.c., che subordina la costituzione del pegno allo spossessamento del costituente - impedendo che i beni oggetto di garanzia possano essere utilmente impiegati nel processo produttivo e nello svolgimento dell’attività d’impresa - nonché nei limiti posti alla costituzione di garanzie su beni non determinati e per crediti non distintamente indicati nell’atto di costituzione, in virtù del principio di specialità; da ultimo, con effetti fortemente repressivi per il mercato del credito, il divieto del patto commissorio sancito dall’articolo 2744 c.c., che rende notevolmente più gravosa ed incerta la soddisfazione del credito garantito, scoraggiandone la concessione. In tale prospettiva, una riforma che volesse recepire gli orientamenti espressi dalla dottrina e dalla Guida Legislativa UNCITRAL, al pari di molte esperienze straniere, dovrebbe innanzitutto prevedere il superamento del requisito dello spossessamento, sostituendolo con un regime di pubblicità personale tramite l’introduzione di un apposito registro informatizzato, salvo disciplinarne i requisiti, ivi compresa la necessità di stabilirne le forme, le modalità di costituzione, nonché le regole di opponibilità ai terzi ed il concorso con gli altri creditori muniti di cause di prelazione.

In tal modo, la costituzione del privilegio, l’atto genetico, viene separato dalla sua iscrizione nel registro (elettronico), che può anche precedere il perfezionamento del negozio costitutivo. Il registro informatizzato – previa la definizione delle forme, dei contenuti, requisiti ed effetti dell’iscrizione – dovrebbe risultare direttamente accessibile per via telematica secondo modalità che salvaguardino la protezione dei dati, al fine di consentire le operazioni di consultazione, iscrizione, annotazione, modifica, rinnovo ed estinzione delle garanzie, nonchè la regolazione del concorso conseguente ad eventuali annotazioni plurime. Un’ulteriore misura dovrebbe prevedere l’affievolimento del principio di specialità e la previsione – con l’eccezione dell’ipotesi del debitore consumatore – dell’ammissibilità di una garanzia mobiliare avente ad oggetto beni materiali o immateriali, anche futuri, determinati o determinabili, salva la specifica indicazione dell’ammontare massimo garantito, individuati anche per tipologie o categorie funzionali (ad esempio beni in corso di lavorazione, riserve di magazzino, ecc.) e in relazione al loro valore. L’implementazione di un efficiente registro informatizzato, consentirebbe di costituire una garanzia mobiliare per uno o più crediti, determinati o determinabili anche in relazione a rapporti futuri. Ferma restando la specifica indicazione dell’ammontare massimo garantito, potendosi prefigurare anche una garanzia mobiliare «ricaricabile», con possibilità di utilizzo della garanzia a beneficio di crediti diversi o ulteriori rispetto a quelli individuati nell’atto costitutivo. Il superamento del principio codicistico dello spossessamento consentirebbe altresì, salvo il diverso accordo delle parti, che il soggetto costituente la garanzia continui ad utilizzare i beni oggetto di garanzia, nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza nonché della destinazione economica (fino ad ammettere la disposizione del bene, con surrogazione reale della prelazione dai beni originari a quelli risultanti all’esito degli atti di disposizione, ivi compresi somme di denaro o accrediti bancari, nel caso il costituente sia un imprenditore). Da ultimo, al fine di meglio tutelare le prerogative dei creditori garantiti, dovrebbe prevedersi la deroga al divieto del patto commissorio, consentendo – nel quadro di una complessiva semplificazione ed effi-

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cientamento delle tecniche di realizzo dei diritti creditori – di escutere stragiudizialmente la garanzia, a condizione che il valore dei beni e/o il loro prezzo di vendita siano determinati in maniera oggettiva e trasparente, e salvo l’obbligo di restituire immediatamente al debitore, o ad altri creditori, l’eventuale eccedenza tra il valore di realizzo o assegnazione e l’importo del credito, previa l’adozione di specifiche misure volte alla tutela degli interessi del debitore concedente, con particolare riguardo alle ipotesi in cui debitore sia un consumatore. In ogni caso, al fine di garantire le posizioni giuridiche soggettive di tutti i soggetti coinvolti, la disciplina così innovata andrebbe coordinata con le disposizioni normative vigenti, definendo i rapporti tra la stessa e le procedure esecutive forzate e concorsuali, prevedendo altresì forme di tutela dei terzi contraenti in buona fede. In tale prospettiva la Guida sulle Secured Transactions è di grande aiuto poiché fornisce nel suo Commentario un’ampia casistica di best practices offerte ai legislatori dei vari Paesi.

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Gli Stati che hanno già sperimentato l’introduzione ed il funzionamento del registro elettronico per le garanzie mobiliari non possessorie, hanno puntato sulla semplicità di accesso, sulla trasparenza e sui bassi costi operativi, con evidenti vantaggi sul piano del coordinamento con i diversi registri preesistenti, cartacei ed elettronici, realizzando una maggiore trasparenza in ordine alla situazione debito-creditoria delle imprese, con ricadute positive anche di carattere fiscale. Al fine di incoraggiare il ricorso al registro elettronico, non solo per l’annotazione, modifica, rinnovo ed estinzione delle garanzie ma anche e sopratutto per agevolarne la consultazione, estendendone al massimo la pubblicità e la facilità di accesso, molti dei Paesi che ne hanno deciso l’istituzione hanno optato per la consultazione del sistema a costo zero o, comunque, subordinata al pagamento di un importo di modesta entità, sufficiente ad assicurare la copertura delle spese di gestione del registro.


L’adozione del registro elettronico e l’iscrizione di garanzie non possessorie su beni mobili comporterebbe, anche per l’Italia, un’importante incremento della sua posizione nel ranking predisposto dagli organismi misuratori di efficienza che, per quanto attiene all’indicatore getting credit, ci vede relegati alla 97a posizione contro la 28 a posizione della Germania o la 2a degli Stati Uniti, secondo i report del Doing Business 2016 della Banca Mondiale. In linea con quanto sopra richiamato, in un contesto di crisi economica globale e di contrazione del credito, recependo alcuni degli orientamenti espressi dalla dottrina e dalla Guida Legislativa UNCITRAL, nel 2014 il Governo italiano aveva proposto una profonda revisione della disciplina delle garanzie mobiliari e la costituzione di un sistema di pubblicità tramite registro elettronico (disegno di legge delega, atto Camera n° 2092/2014). Il progetto, assai ambizioso e dalle complesse implicazioni di carattere sistematico, era stato da ultimo

inserito nel disegno di legge recante “delega al governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza”, trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 24 dicembre scorso, rispetto al quale, però, all’esito di un ulteriore approfondimento, è stato accantonato. A parere di chi scrive, il progetto di riforma, rispetto all’impostazione precedentemente elaborata, dovrebbe ispirarsi maggiormente agli indirizzi della Guida Legislativa sia nella parte che prevede la revisione dei privilegi, sia evitando il rinvio a complessi decreti e regolamenti attuativi: l’area dei privilegi – che pure andrebbe notevolmente bonificata, risultando oggi ridondante ed ancorata a tutele, se non a rendite di posizione, non più difendibili perché inattuali e superate – potrebbe far parte di un separato percorso normativo, mentre la regolamentazione successiva, ispirata alla Guida e alle sue “Raccomandazioni”, potrebbe essere inglobata direttamente in una normativa organica sulla Finanza garantita, il cui avvento concorrerebbe senz’altro al rilancio dell’economia attraverso la semplificazione e l’efficientamento.

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L’età dell’oro tra Italia e la Cina L’istituzione del Business Forum Italia/Cina (inaugurato dai due Capi di Governo nel giugno 2014) rappresenta una piattaforma di interazione innovativa dal potenziale enorme. Esso potrà garantire un salto di qualità nella partnership economica e industriale di cui Italia e Cina avvertono forte bisogno, per superare – insieme e con gradualità – le esistenti asimmetrie del rapporto bilaterale. Gli imprenditori d’Italia e Cina hanno a disposizione un foro permanente - prima inesistente - che si affianca al dialogo intergovernativo, per facilitare scambio d’informazioni, conoscenze, proposte industriali e investimenti reciproci, ivi compresa partnership strategiche anche su mercati terzi. La stessa ICE ha sottolineato l’esistenza di grandi opportunità per le PMI: «La digitalizzazione è una chiave davvero utile per aprire le porte del mercato mandarino, con piattaforme e-commerce che possono fungere da catapulta capillare anche per prodotti realizzati da piccole realtà del territorio».

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L’Italia e la Cina per lo sviluppo degli scambi internazionali articolo di Carlo Capria Carlo Capria Classe 1952, Dottore in Lettere, Commendatore della Repubblica, dal 1985 si occupa di strumenti finanziari a sostegno delle piccole e medie imprese e di internazionalizzazione delle stesse, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nel corso della sua ventennale esperienza nell’ambito degli incentivi e dell’internazionalizzazione dei mercati ha rivestito importanti e strategici ruoli quali Capo Segreteria Tecnica e Coordinatore dell’Osservatorio della PMI della Presidenza del Consiglio dei Ministri . Ha collaborato con Ice, Simest, Sace, Confindustria, Unioncamere, Confai, Ipi, Ficei, Club Distretti Industriali e Ministeri interessati. Nel 2005 assume l’incarico speciale conferitogli dall’On Ministro dello Sviluppo Economico di Dirigente Responsabile dell’Ufficio Studi e Ricerche della Direzione Generale per il Coordinamento degli Incentivi alle Imprese presso il Ministero delle Attività Produttive. Svolge intense attività in Italia e all’Estero in qualità di relatore in convegni presso Università, Enti Economici e Finanziari e Istituti sopra indicati Oltre al proprio patrimonio di competenze tecniche, Carlo Capria è un profondo conoscitore della cultura e delle dinamiche relazionali della Cina, della Russia, dei Paesi del Mediterraneo; attualmente è reduce dello straordinario successo della missione da lui organizzata e coordinata in sostegno delle Grandi Firme dell’Alta Moda Italiana nel più importante distretto industriale del tessile e dell’abbigliamento delle Cina; Shenzhen e Zhuzhou, dove sono già in corso fattive collaborazioni tra imprese italiane e cinesi. Attualmente è nel Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica Economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Commercio e presenza italiana Cina e Italia sono due paesi di antica civiltà, legati da una lunga storia di scambi e profonda amicizia. 2000 anni fa, la via della seta che collegava l’Asia e l’Europa, avvicinava Cina ed Antica Roma favorendo costanti scambi commerciali e culturali. In seguito, i nostri legami si sono rafforzati grazie a Marco Polo e Matteo Ricci, altri ambasciatori culturali che hanno lasciato testimonianze impressionanti nella storia degli scambi bilaterali e che hanno creato il ponte della amicizia tra Cina e Italia. 45 anni fa, Cina e Italia, hanno stabilito le relazioni diplomatiche, creando una nuova pagina delle relazioni sino-italiane. Nel 2004, Cina e Italia hanno stabilito il Partenariato Strategico Integrale. In questi anni, le relazioni politiche tra i due paesi sono salde, i contatti istituzionali ad alto livello si rafforzano, la fiducia tra i due governi si intensifica, le due parti mantengono stretti contatti e coordinazione nelle importanti problematiche regionali e in-

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ternazionali, l’ammontare del commercio tra i nostri Paesi è cresciuto dai centoventi milioni di dollari ai quarantotto miliardi di dollari odierni. La cooperazione finanziaria è cresciuta rapidamente; sono, infatti, già più di 5 mila i progetti d’investimento italiani in Cina, nei settori automotive, elettrodomestici, industria chimica, tessile, abbigliamento. Con i veloci passi delle aziende cinesi verso l’estero, l’Italia è diventata una delle principali destinazioni degli investimenti cinesi in Europa, il secondo paese d’investimenti in Italia. La cooperazione commerciale è entrata nella nuova fase dello sviluppo di mutuo vantaggio dalle intese tra giganti, verso tutto il mondo. Gli scambi culturali si intensificano costantemente, le cooperazioni nel settore di tecnologia, cultura, istruzione, tutela ambientale e turismo sono altri importanti motori nelle relazioni bilaterali. L’Expo di Milano ha avuto un grande successo: il padiglione cinese ha attirato più di 3 milioni turisti, ha promosso i contatti tra le aziende cinesi e quelle ita-


liane, è diventato uno dei padiglioni più popolari e visitati dell’EXPO. Per quanto riguarda la cooperazione culturale ed educativa, in questo momento, quasi 20 mila studenti cinesi si trovano in Italia e 3000 studenti italiani sono in Cina, 11 Istituti Confucio e 20 classi di confucio sono operative in Italia. Nel 2006 nasce a Roma il primo Istituto Confucio in Italia, l’unico centro di lingua e cultura cinese ufficialmente riconosciuto dalla Repubblica cinese e finanziato dal Ministero dell’Istruzione di Pechino. Ora ci sono quasi quaranta voli diretti che fanno la spola tra l’Italia e la Cina ogni settimana, e sono più di due milioni cinquecento mila i viaggiatori cinesi che raggiungono l’Italia ogni anno. La cooperazione tra i governi locali dei 2 paesi è andata crescendo senza sosta, 79 coppie di città, provincie e regioni cinesi e italiane hanno stabilito le relazioni di gemellaggio. In 2000 anni di storia di scambi amichevoli dei nostri Paesi, 45 anni potrebbero significare un attimo, tuttavia in questo tempo, le relazioni sino-italiane hanno ottenuto progressi senza precedenti; adesso il popolo cinese sta lavorando per la realizzazione del sogno del grande rinascimento della nazione cinese. La quinta sessione plenaria del 18° Comitato centrale del Partito Comunista Cinese ha elaborato il grande piano dello sviluppo fino al 2020. La Cina ha avviato la riforma della ristrutturazione economica, ed anche l’economia italiana presenta segni di ripresa. La cooperazione sino italiana ha un’occasione senza precedenti. L’Italia, che è stata il punto finale della antica via della seta, è il nuovo punto d’incontro tra la striscia economica della via della seta e la via marittima della seta del ventunesimo secolo. Cina e Italia devono sfruttare i vantaggi e le opportunità di cooperazione nel settore del commercio, degli investimenti, dell’alta tecnologia, degli scambi culturali e personali, dei governi locali, unendo le capacità produttive e i vantaggi dei costi vantaggiosi dell’industria produttiva cinese, con la tecnica avanzata italiana e la grande esigenza del mercato dei paesi lungo una striscia e una via, intensificando le cooperazioni di capacita produttiva, sviluppando i mercati terzi, nel favorire la connettività e la liberalizzazione degli scambi nel continente euroasiatico al fine di realizzare un mutuo vantaggio. Un proverbio cinese recita: ”le persone con le stesse idee non pensano mai alla lunghezza ed alla fatica del viaggio.” Lo spazio e il tempo non rappresenteranno un ostacolo per lo sviluppo delle relazioni tra Cina e Italia.

La storia d’amicizia che dura da 45 anni, testimonia che le relazioni bilaterali potranno avere una base stabile, potranno creare uno sviluppo costante e vantaggi concreti per entrambi i paesi e i popoli, a condizione che si rispettino e si comprendano le rispettive posizioni e che ci si tratti con buona fede, amicizia, uguaglianza. È partito due anni fa da Shanghai, capitale finanziaria della Cina, il piano fortemente voluto dal governo con l’incontro: “Riforme per la Cina, opportunità per il Mondo”, al quale hanno partecipato studiosi di politica ed economia di tutto il mondo, convinti che la prossima sfida della Cina sarà la costruzione di una leadership mondiale ancora più forte. Sono venuti tutti, perché attratti da uno slogan del Presidente Xi Jinping: “One Belt One Road”, che si può tradurre con “Le Nuove Vie della Seta”. Attorno a questo slogan si sta costruendo tutta la futura politica economica di espansione della Cina e per la forza di questo enorme paese è una questione che riguarda il mondo intero. “La linea guida promulgata One Belt One Road, non solo promuove ed incentiva il cambiamento della Cina, ma rappresenta un’opportunità per il mondo intero. Fino a qualche tempo fa erano i cinesi ad apprendere dagli stranieri, oggi il rapporto si è rovesciato, sono gli stranieri ad apprendere da loro. Si insegna e si impara la lingua cinese. Si studia il fare, in base alle modalità cinesi nel lavoro. Nel mondo cinese degli affari la rete di relazioni fra le varie parti che cooperano insieme e si sostengono a vicenda (con il reciproco scambio di favori) prende il nome di Guanxi. È, pertanto, un concetto importante per comprendere la società cinese. Nel fare affari in Cina, è il giusto “Guanxi” che fa la differenza per il successo delle imprese. Con il giusto “Guanxi”, l’organizzazione può minimizzare problemi, ostacoli e rischi; spesso è l’acquisizione di “guanxi” con le autorità competenti che determina la posizione concorrenziale di una organizzazione nel lungo periodo in Cina. Per questo motivo, il giusto “Guanxi” è così vitale per il successo di qualsiasi strategia di business in Cina. Sviluppare il “guanxi” richiede l’impegno di molto tempo e molte risorse, ma vale la pena investirci! Tutte le persone della società vogliono estendere il loro “guanxi” con fornitori, rivenditori, banche e funzionari del governo locale: questa sarà la chiave del successo a livello personale e aziendale. I Cinesi preferiscono trattare con persone che conoscono, di fiducia: ciò

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non sembra essere molto diverso dal modo di condurre gli affari nel mondo occidentale. In realtà, il ricorso massiccio alle relazioni implica che le società occidentali dovranno farsi conoscere dai Cinesi prima di intraprendere qualsiasi attività; questo rapporto non è semplice né tra le imprese nè a livello personale, tra gli individui. Il rapporto non si instaura solo prima di una vendita, ma richiede un processo evolutivo. La società deve mantenere le relazioni se si vuole aumentare gli affari con i Cinesi. Alcuni suggerimenti per ottenere il giusto “Guanxi” per la nostre aziende: 1- avviare, prestare particolare attenzione al rapporto con i Cinesi e cercare di stabilire buone relazioni con essi, che possono indirettamente far accedere a nuove conoscenze e risorse informative; 2- non deve essere basata sul denaro; 3- trattare qualcuno con rispetto, mentre altri lo trattano ingiustamente potrebbe tradursi in un buon rapporto; 4- mostrare l’affidabilità dell’individuo o della società: ad esempio, è importante fornire ciò che si dichiara nei tempi promessi; 5- dovrebbe essere come tra amici, che possono contare gli uni negli altri sia nei momenti favorevoli che in quelli difficili; 6- i Cinesi si sentono obbligati a fare affari con i loro amici più vicini, pertanto sono necessari contatti frequenti, comprensione e rispetto. Dal momento che il “guanxi” e le relazioni potrebbero funzionare come una rete di informazioni, le aziende con ampi “guanxi” e relazioni spesso ottengono risultati molto superiori rispetto alle aziende con poche o scarse relazioni con i Cinesi. Il “Guanxi” può assumere molte forme, ma non deve basarsi sul denaro. È completamente legale nella cultura cinese e non viene considerato corruzione, pertanto non c’è bisogno di sentirsi a disagio nel ricercarlo. L’affidabilità e il rispetto delle promesse fatte sono aspetti molto importanti, perché come detto i Cinesi si sentono quasi obbligati a fare affari con i loro amici più vicini. Tuttavia, questo sistema presenta anche dei rischi: quando qualcosa va male, i rapporti peggiorano e le amicizie scompaiono rapidamente. Quando il “Guanxi” è rovinato, vi è il rischio di ottenere una fattura per il doppio del dovuto. Mantenere un giusto “guanxi” è, dunque, un fattore determinante per il successo in Cina. Il punto di vista è che la Cina possa rappresentare un serbatoio di conoscenze, un sapere anche di natura industriale e del tutto cinese, che è diventato globale. Delle nuove vie della seta esiste una mappa che

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indica le linee di espansione che via terra e via mare arrivano dalla Cina fino nel cuore dell’Europa passando per l’Italia. Ma qual è il potenziale d’investimento? Quanti soldi la Cina metterà in campo per costruire la sua One Belt One Road? Intanto si cerca di facilitare la presenza del Mae della Banca d’Italia, entità economiche come La Cassa Depositi e Prestiti, ma non perché queste abbiano bisogno bensì per aumentare il numero di canali che risulta molto utile, perchè anziché parlare di politiche astringenti bisogna parlare di politiche di lungo respiro. La Cina cambia più velocemente, il prossimo ciclo di trasformazione economica passa per il sistema finanziario. Il fiume di denaro di investimenti all’estero che serviranno alla Cina per costruire le nuove vie della seta e aumentare la qualità del suo sistema produttivo è destinato a crescere in maniera esponenziale. Si ragiona sui 100 miliardi di euro all’anno di flusso, mentre lo stock accumulato, previsto da qui al 2020 (6 anni), viene citato intorno a 1000/1200 miliardi. Questa via della seta è lastricata da questi miliardi. Questo è il grande asset che la Cina in questo momento può offrire, si tratta di volumi enormi di risorse, non possono investirli tutti negli Usa, proprio per motivi politici perché è rischioso eccessivamente esporsi sugli Stati Uniti. L’Europa in questo senso è il Country-Point della loro strategia, è l’altro posto dove si può investire, l’Italia è in una posizione particolare, il mediterraneo è in fiamme, noi siamo l’approdo naturale dopo Suez per entrare in Europa. In termini di scambi commerciali l’Italia rappresenta il 15° partner commerciale della Cina a livello mondiale e 4° a livello europeo. Il settore di punta è quello della meccanica strumentale, seguito dalla moda e dal settore auto. Nel corso del 2014 le esportazioni italiane sono cresciute del 6,6% mentre le importazioni dalla Cina sono aumentate del 8,6% (dopo la riduzione del 7% registrata nel 2013). Le imprese italiane stabilitesi in Cina, attraverso le varie modalità di presenza, sono circa 2.000 alle quali sono complessivamente riconducibili oltre 60.000 posti di lavoro e un fatturato di circa 5 mld Euro. Dal punto di vista settoriale, gli investimenti italiani sono abbastanza diversificati, con quote significative per la meccanica e il tessile. Noi come paese abbiamo un potenziale che in parte la Grecia adesso sta esprimendo e noi molto meno e qui, se vogliamo, qualche responsabilità politica c’è, siamo un paese che sta tardando a cogliere questo ciclo perché sugli investimenti si appoggiano i trasporti e la logistica. La logistica è estremamente labor intensive; richie-


de persone, quindi farebbe lavorare gli italiani, siamo molto lenti a recepirli. Non bisogna pensare che la Cina sia necessariamente sempre un’opportunità, credo che, però, per discriminare laddove c’è un’opportunità e laddove c’è rischio, si debba conoscere il paese e in questo senso non lo conosciamo abbastanza, ma non ci avviciniamo neanche abbastanza. Il singolo attore che in questo momento altera equilibri consolidati dopo la fine della guerra fredda è questo, e li altera per adesso senz’altro nel bene. La Cina, non soltanto è un paese che vuole la stabilità del Mondo perché ne ha bisogno per poter crescere in modo stabile lei stessa, ma è un paese che tradizionalmente non ha avventurismo militare, è un paese che ha bisogno di una crescita economica e pertanto vede con sospetto qualunque attività che la metta a repentaglio, quella all’interno e quella globale e soprattutto è un paese che fino adesso ha cercato di esprimersi come potenza responsabile, non sempre, non su tutti i teatri, ma certamente sulla stragrande maggioranza dei teatri sì. Raccontare la Cina capofila dell’innovazione, della ricerca, dello sviluppo, per poi preoccuparci leggendo tutte le mattine sulle colonne dei giornali il crollo delle borse asiatiche, crollo questo che fa crollare anche le nostre borse, potrebbe far pensare che ci stiamo impiccando ad una Cina più fragile di quello che immaginiamo? In realtà, tutti gli analisti più importan-

ti sia italiani che esteri, concordano su un fatto, per quanto riguarda il crollo delle borse cinesi. Punto Primo, non era un fatto inatteso solo nell’ultimo anno, esempio la Borsa di Shanghai era salita del 150%, tantissimo, per cui è chiaro che gli investitori siano passati all’incasso pensando che la borsa, prima o poi, non sarebbe cresciuta così velocemente. Secondo punto, la Cina dispone di riserve valutarie grandissime, parliamo di 3.300 miliardi di dollari, quindi il Governo dovrebbe essere in grado di intervenire laddove le borse dovessero scendere velocemente. Sappiamo che prima del crollo delle borse la cifra era molto più alta, si stimano 700 miliardi di dollari. Quello che spaventa non è solo la finanza, ma l’economia reale; il Pil sta rallentando e anche la domanda interna non sta crescendo così velocemente rispetto alla diminuzione dell’export. Questo perché la Cina è ancora un paese con grandi diseguaglianze economiche, ci sono i ricchissimi, i ricchi e la classe media, ma ci sono milioni di poveri che vivono soprattutto nelle zone rurali. È proprio questa la sfida per i prossimi anni. La sfida di fronte ad un paese con un 1 miliardo e 400 milioni di persone, è quella di diventare un’economia dove cresce il mercato interno, una sfida che ci interessa molto da vicino.

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Crisi da sovraindebitamento La Commissione ministeriale istituita dal Ministero della Giustizia con decreto 28 gennaio 2015, nota anche come Commissione Rordorf, ha elaborato uno schema di disegno di legge delega che non solo rappresenta una evoluzione dell’ultima revisione della legge fallimentare contenuta nel D.L. n. 83/2015, ma riscrive interamente la disciplina delle procedure concorsuali all’interno di un quadro sistematico, nel quale trovano spazio tra gli altri anche l’istituto dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese e il sovraindebitamento del consumatore e degli altri debitori non assoggettati al fallimento. Quest’ultimo istituto, in particolare, si pone quale obiettivo quello di dare l’opportunità ai debitori che si trovano in situazioni critiche di riacquistare un ruolo attivo nell’economia e nella società, senza restare schiacciati dal carico dell’indebitamento preesistente. La riforma si è resa necessaria per porre rimedio alla disomogenea stratificazione normativa succedutasi dal 1942, alle rilevanti difficoltà applicative e alla mancanza di indirizzi giurisprudenziali consolidati.

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Dagli atti del Convegno del 15 marzo 2016

L’organismo di composizione della crisi

Da organismo di “mediazione” ausiliario del giudice a dominus delle nuove procedure di allerta articolo di Paolo Petrosillo

Paolo Petrosillo È avvocato specializzato in contenzioso con particolare riferimento al diritto commerciale e societario. Ha maturato una specifica competenza negli arbitrati nazionali ed internazionali, in particolare in arbitrati amministrati dalla ICC. È componente del consiglio direttivo dell’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR, ente di ricerca per l’innovazione sociale, istituito il 19 maggio 2014, con la finalità di costituire nuove organizzazioni funzionali alla risoluzione alternativa delle dispute.

La legge n. 3 del 27 gennaio 2012 (di seguito, la “Legge”) ha introdotto la possibilità, per i debitori non assoggettabili alle procedure previste dall’art. 1 della c.d. legge fallimentare, di raggiungere un accordo di ristrutturazione del debito con i creditori, sulla base di un piano che assicuri il regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo stesso. La Legge, in particolare, ha attribuito un ruolo centrale all’organismo di composizione della crisi (di seguito, anche, l’“organismo”), il quale secondo la versione iniziale della stessa Legge: - assume ogni iniziativa funzionale alla predisposizione del piano di ristrutturazione, al raggiungimento dell’accordo ed alla buona riuscita dello stesso1; - si “interfaccia” con i creditori, dai quali riceve le relative accettazioni della proposta di accordo ed ai Così recitava il precedente art. 17, comma 1 della Legge; nella versione attuale della Legge, la previsione modificata è contenuta nell’art. 15, comma 5.

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quali trasmette la relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento delle percentuali2; - verifica la veridicità dei dati contenuti nella proposta e attesta la fattibilità del piano3; - svolge funzioni di ausiliario del giudice curando la pubblicità4, proponendo la nomina di un liquidatore che dispone dei beni sottoposti a pignoramento utilizzati per la soddisfazione dei crediti5 e trasmettendo la relazione definitiva sulla fattibilità del piano6. Le funzioni attribuite agli organismi di composizione della crisi erano molteplici e tali da far sorgere, sin da subito, dubbi sui possibili conflitti di interessi: si pensi che, da un lato, l’organismo si affianca al debitore, Cfr. articoli 11 e 12 della Legge. Nella precedente versione della Legge la previsione era contenuta nell’ art. 17, comma 2; nella versione attuale si veda l’art. 15, comma 6. 4 Nella precedente versione della Legge la previsione era contenuta nell’art. 17, comma 3; nella versione attuale si veda l’art. 15, comma 7. 5 Art. 13, comma 1 della Legge. 6 Art. 12, comma 1 della Legge. 2 3


svolgendo una funzione di “ausilio” (come recita l’art. 7 della Legge) e, dall’altro, allo stesso organismo sono attribuiti compiti che richiedono necessariamente un profilo di indipendenza, quali, come visto, la verifica della veridicità dei dati e l’attestazione della fattibilità del piano. La Legge inoltre non determinava i requisiti dell’organismo e le modalità di determinazione del compenso. Salvo, infatti, la previsione della possibilità per i soli enti pubblici di costituire organismi di composizione della crisi (da iscrivere in un apposito registro tenuto dal Ministero della Giustizia), la Legge rinviava ad un regolamento dello stesso Ministero, per la formazione dell’elenco, l’iscrizione nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi. Nei fatti, l’assenza di tale regolamento ministeriale e la previsione transitoria7, che consentiva ai professionisti (o società di professionisti), dotati dei requisiti di cui all’art. 28 della legge fallimentare, ovvero ai notai di svolgere le funzioni e i compiti attribuiti all’organismo di composizione della crisi, ha portato i soggetti interessati a rivolgersi al Tribunale per la nomina di tali professionisti8. Le modifiche del c.d. Decreto Crescita 2.0 Con il decreto legge n. 179 del 18 ottobre 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 221 del 17 dicembre 2012 (di seguito, il “Decreto Crescita 2.0”), il legislatore ha reso vincolante l’accordo di ristrutturazione per tutti i creditori anteriori all’esecuzione della pubblicità della proposta ed ha introdotto: - una procedura alternativa di liquidazione dei beni9; - per i soli consumatori, la possibilità di presentare un piano del consumatore che non richiede l’accordo dei creditori10. Anche in relazione agli organismi di composizione della crisi le novità sono state rilevanti. Nel solco tracciato dalla prima versione della Legge e delle molteplici competenze attribuite all’organismo di composizione della crisi, il Decreto Crescita 2.0 ha assegnato allo stesso organismo: - le funzioni di liquidatore, quando il giudice lo dispone11; - il compito di redigere una relazione particolareggiata, da allegare rispettivamente al piano del conContenuta nell’art. 20 comma 2 della versione iniziale della Legge. Cfr. Tribunale di Vicenza, 8 luglio 2013, in www.ilcaso.it. 9 Cfr. artt. 14 – bis e seguenti della Legge. 10 Cfr. art. 7, comma 1 – bis della Legge. 11 Cfr. art. 15, comma 8 della Legge. 7 8

sumatore ed alla domanda di liquidazione12. Anche in ragione della perdurante assenza del regolamento ministeriale, il Decreto Crescita 2.0 inoltre ha previsto in via definitiva che i compiti dell’organismo possono essere svolti da un professionista o una società tra professionisti in possesso dei requisiti previsti per i curatori fallimentari ovvero da un notaio13. Tali modifiche normative hanno di fatto acuito i dubbi sui possibili conflitti di interessi: basti solo pensare che nel caso del piano del consumatore, gli organismi di composizione della crisi: - svolgono una funzione di “ausilio” nella proposizione del piano; - devono redigere una relazione particolareggiata che riporta valutazioni di natura discrezionale quale “l’indicazione della diligenza impiegata dal consumatore nell’assumere volontariamente le obbligazioni” o “l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte”; - da ultimo, dovrebbero14 continuare a svolgere la funzione attestatoria della veridicità dei documenti e della fattibilità del piano. Nel caso della procedura di liquidazione il contrasto tra le funzioni sembra ancora più stridente se si tiene conto che, da una parte, è richiesta all’organismo una relazione particolareggiata con i contenuti già visti per il consumatore e, dall’altra, l’organismo può svolgere le funzioni di liquidatore. Il regolamento ministeriale Con decreto ministeriale n. 202 del 24 settembre 2014, infine, è stato emesso il regolamento recante i requisiti di iscrizione nel registro degli organismi di composizione della crisi da sovrindebitamento (di seguito, il “Regolamento Ministeriale”). Nello specifico sono stati: - fissati i requisiti per l’iscrizione nel registro ed i requisiti di qualificazione professionale dei gestori della crisi15; - individuati gli obblighi dell’organismo e gli speculari obblighi del gestore della crisi16;

Cfr. art. 9 comma 3 – bis ed art. 14 – ter, comma 3 della Legge. Cfr. art. 15, comma 9 della Legge. 14 Il condizionale è d’obbligo in quanto l’art. 9, comma 2 della Legge richiamato dal nuovo art. 15, comma 6, parlando genericamente di “proposta” sembra riferirsi tanto alla proposta di accordo con i creditori quanto alla proposta di piano del consumatore. 15 Cfr. art. 4 del Regolamento Ministeriale. 16 Cfr. rispettivamente gli articoli 10 e 11 del Regolamento Ministeriale. 12 13

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- stabiliti i criteri di determinazione dei compensi17. L’intento del Regolamento Ministeriale è stato sicuramente meritorio, ma ci si chiede se sia sufficiente a superare i possibili conflitti di interessi la sottoscrizione di una dichiarazione da parte dell’organismo “dal quale risulta che l’organismo non si trova in conflitto di interessi con la procedura” e, per i gestori della crisi, una dichiarazione di indipendenza. Quale è inoltre il grado di responsabilità richiesto ad entrambi i soggetti? Il disegno legge della c.d. Commissione Rordorf L’iter legislativo che ha interessato gli organismi di composizione della crisi si conclude con il disegno di legge recante la “Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza” elaborato dalla commissione ministeriale istituita dal Ministero della Giustizia con Decreto 28 gennaio 2015 (di seguito, “Commissione Rordorf”). L’articolo di interesse è il 4 (Procedure di allerta e composizione assistita della crisi) che prevede, in particolare, - l’assegnazione della competenza per tali procedure a sezioni specializzate degli organismi di composizione della crisi, con opportuni adattamenti e richiedendo il possesso da parte dei suoi componenti di requisiti di competenza tecnica, esperienza ed indipendenza, anche rispetto a situazioni di conflitto di interessi, nonché l’osservanza dell’obbligo di riservatezza; - l’obbligo degli organismi – a seguito delle segnalazioni ricevute dagli organi di controllo societari, dal revisore legale ovvero dai creditori qualificati (agenzia delle entrate, agenti per la riscossione delle imposte) di convocare immediatamente in via riservata e sotto vincolo del segreto professionale, anche, occorrendo, in deroga all’art. 331 c.p.p. quanto ai reati inerenti all’esercizio di impresa, il debitore per individuare le misure idonee a porre rimedio allo stato di crisi; - il potere dell’organismo di affidare ad un soggetto scelto tra persone di adeguata professionalità, iscritto presso l’organismo, l’incarico di favorire una soluzione concordata della crisi tra debitore e creditori entro un congruo termine, prorogabile solo a fronte di positivi riscontri, precisando anche le condizioni in base alle quali gli atti istruttori della procedura possono essere utilizzati nell’eventuale fase giudiziale. Per i fini che ci interessano, è bene evidenziare che il disegno legge elaborato dalla Commissione Rordorf 17

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Cfr. artt. 14 e seguenti del Regolamento Ministeriale.

prevede, all’art. 9, una serie di criteri direttivi per il riordino e la semplificazione della disciplina del sovraindebitamento di cui alla Legge. Nulla è previsto in tale articolo per la riforma della disciplina degli organismi di composizione della crisi prevista dalla stessa Legge. Dopo questo excursus, possiamo concludere che all’esito dell’esercizio della delega da parte del governo (e sull’assunto che la disciplina degli organismi di composizione della crisi risultante dalla Legge e dal Regolamento Ministeriale rimanga tale) avremo dunque due tipi di organismi o, meglio, due sezioni specializzate dell’organismo. La prima è rappresentata dalla sezione che si occuperà delle crisi da sovraindebitamento a cui, in base alla Legge, sono attribuiti una serie di ruoli rispettivamente: - nella fase preliminare; - nella fase di valutazione da parte del Giudice dei requisiti di ammissibilità; - nella fase di esecuzione del piano e dell’accordo ovvero nella fase di esecuzione della procedura di liquidazione. La seconda sezione sarà quella competente per le procedure di allerta e composizione concordata della crisi. In questo caso non siamo di fronte ad un soggetto “ausiliario” prima del debitore e poi del giudice ma ad un soggetto che sembra sostituirsi all’organo giurisdizionale. La terminologia utilizzata nel progetto di riforma è indicativa in tal senso (“sezioni specializzate” degli organismi, “audizione” del debitore, “atti istruttori della procedura”), come pure il riconoscimento all’organismo del potere – dovere: - di convocare immediatamente del debitore al fine di individuare le misure idonee a porre rimedio allo stato di crisi; - all’esito dell’audizione e su istanza del debitore, di affidare l’incarico ad un soggetto iscritto all’organismo medesimo di favorire. In questa procedura “confidenziale e stragiudiziale”, inoltre, il ruolo del giudice sembra essere limitato all’adozione di misure protettive necessarie per condurre a termine le trattative in corso18. Restano tuttavia alcuni punti aperti. Il primo riguarda la funzione di pubblico ufficiale riconosciuta ai soggetti coinvolti: plurimi elementi sistematici fanno discendere tale natura per l’organismo di composizione della crisi (da ultimo il richiamo fatto dal disegno legge della Commissione Rordorf all’art. 331 c.p.p.); nulla è invece, ad oggi, previsto per i gestori della crisi per i quali il Regolamento Ministeriale 18

Cfr. lett. f ) dell’art. 4 del disegno legge della Commissione Rordorf.


prevede esclusivamente un obbligo di riservatezza e di rispetto degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro instaurato con l’organismo, il divieto di assumere diritti e obblighi connessi, un obbligo di indipendenza nonché un obbligo di corrispondere ad ogni richiesta del responsabile del registro. Il secondo punto riguarda i rapporti tra la procedura di allerta e composizione della crisi e la successiva eventuale fase giudiziale. Chi valuta la positività dei riscontri delle trattative e chi concede la proroga del congruo termine per la soluzione concordata della crisi? Se rimaniamo fermi al testo della lettera e) dell’art. 4 sembrerebbe che tale potere debba spettare all’organismo che ha incaricato l’esperto di trovare una soluzione favorevole. Quali saranno inoltre la natura giuridica e gli effetti dell’eventuale accordo per la soluzione concordata della crisi sull’assunto che dovrebbe mancare una omologazione da parte del Tribunale? Quali saranno infine i poteri del giudice per il riconoscimento delle misure protettive necessarie per condurre a termine le trattative in corso? Il rischio potrebbe essere quello di riconoscere al giudice poteri di sindacato tali da portare a valutare, tout court, lo svolgimento della procedura di allerta e composizione della crisi, vanificando il ruolo ed i poteri dell’organismo. Non resta che attendere dunque di vedere quello che sarà il testo definitivo del disegno legge e come il governo intenderà esercitare il potere di delega tenendo ben a mente, sul punto, i precedenti interventi della Corte Costituzionale19.

Il riferimento, ovviamente, è alla sentenza n. 272 del 6 dicembre 2012, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 nella parte in cui aveva previsto il carattere obbligatorio della mediazione.

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Dal “parlato” allo “scritto” Una delle quattro aziende italiane che hanno partecipato al progetto di sperimentazione di nuovi strumenti tecnologici, promosso dal Ministero della Giustizia presso i tribunali di Roma, Milano Torino e Brindisi, volto a migliorare il servizio di verbalizzazione del processo penale ed a ridurne i costi, è la Cedat 85. Si tratta di una soluzione innovativa che consente di ottimizzare la procedura di lavorazione e di produrre quello che viene definito “il verbale multimediale” ovvero un testo, che è frutto della trascrizione di quanto viene detto nel corso dell’udienza grazie a un sistema di riconoscimento automatico del parlato spontaneo, e che rimane legato in una simbiosi indissolubile con l’audio cui si riferisce. Obiettivo ultimo è la sostanziale eliminazione del possibile errore causato dall’intermediazione umana in quanto la natura multimediale del verbale consente non solo una maggiore affidabilità del verbale stesso, ma anche la sua ‘navigabilità’ grazie a innovativi sistemi per l’indicizzazione automatica e la ricerca su archivi audio (o audiovideo) e testo.

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Dagli atti del Convegno del 15 marzo 2016

La Giustizia alternativa, emancipazione e razionalizzazione articolo di Enrico Giannotti

Enrico Giannotti Direttore Generale di CEDAT 85, ha condotto l’impresa ad ottenere un ampio riconoscimento in Italia come azienda leader nella fornitura di servizi e nello sviluppo di tecnologie nel campo del riconoscimento vocale. Oltre a ricoprire un ruolo direttivo strategico, Enrico è impegnato nel diffondere e avvalorare la diffusione della tecnologia della trascrizione automatica in Italia e all’estero, nel settore pubblico e in quello privato. Ha contribuito a progettare e lanciare sul mercato nuovi servizi e applicazioni in cui il riconoscimento automatico del parlato è la tecnologia abilitante (verbalizzazione automatica, analisi dei media, monitoraggio della qualità nei call center, interazione vocale uomo-macchina, sistemi di comunicazione per sordi e ipoudenti). Prima di questo incarico in CEDAT 85, ha ricoperto ruoli con respiro internazionale in Telecom Italia Mobile e Colt Telecom. Enrico dopo aver conseguito la laurea in Economia presso l’Università di Pisa, ha assolto gli obblighi di leva come Ufficiale di complemento della Guardia di Finanza presso gli uffici dello Stato Maggiore del Comando Generale. È Membro del Dipartimento Ricerca & Sviluppo dell’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR.

Negli ultimi anni le nuove tecnologie hanno trovato applicazioni nei settori più disparati contribuendo a risolvere problemi, ottimizzare i processi di lavorazione e ridurre i costi, migliorando complessivamente le attività umane. Nel vasto settore della giustizia e di tutte le attività ad essa correlate, uno degli eventi più interessanti e aperti all’innovazione è il Salone della Giustizia. Una manifestazione che per tutti i ricercatori, imprenditori, giuristi non è una semplice vetrina, ma come dichiarato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, rappresenta “una preziosa occasione di confronto”. Si tratta, infatti, di un laboratorio di pratiche e idee teso a promuovere soluzioni in grado di generare innovazione sociale. A questo proposito, vale la pena ricordare una delle prime edizioni del Salone della Giustizia, quella del 2010, in cui il Ministero della Giustizia presentava i primi risultati di un progetto sperimentale nell’ambito del processo penale, cui anche la società Cedat

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85 ha contribuito applicando soluzioni tecnologiche estremamente innovative. Con l’introduzione del nuovo Codice di procedura penale alla fine degli anni ‘80, si stabilisce che la prova debba formarsi nel corso del dibattimento. L’oralità del processo penale assume dunque un ruolo centrale nella formazione della prova. Attualmente, per conservare il contenuto delle udienze dibattimentali, ogni processo penale viene fonoregistrato per poi essere trascritto da personale tecnico esterno all’amministrazione del Tribunale. Alcuni di questi operatori producono il verbale per mezzo della stenotipia; altri, invece, procedono alla trascrizione dell’audio tramite un comune editor di testo elettronico. Sebbene la stenotipia consenta una prima bozza di trascrizione grezza già in aula, in entrambi i casi la produzione del verbale avviene sostanzialmente attraverso due passaggi: una prima fase di acquisizione dell’audio in formato digitale, e una fase successiva in cui ogni operatore riascolta l’audio e ne produce una trascrizione fedele. Entro 48 ore dalla fine di ogni udienza deve essere consegnato il verbale corretto in Cancelleria, sia


in versione cartacea, sia in formato elettronico. Per quanto riguarda l’audio, la copia su CD o DVD viene conservata dalla Cancelleria separatamente dal fascicolo che contiene le trascrizioni, le quali, dal momento in cui vengono depositate, diventano di fatto l’unica documentazione realmente utilizzata dai soggetti giudiziari. Negli ultimi anni questo sistema di verbalizzazione ha rivelato numerose criticità, sia sul piano dell’organizzazione del lavoro, sia per quanto riguarda la trascrizione dei dibattimenti in sé. In particolare, la pianificazione e lo svolgimento dell’attività quotidiana di verbalizzazione comportano una serie di difficoltà fra cui: - una forte variabilità (in qualità e quantità) del materiale da registrare e di quello da trascrivere, in maniera totalmente imprevedibile; questo rende estremamente difficoltosa la pianificazione del lavoro, nonché il dimensionamento delle risorse umane, col rischio di provocare gravi disservizi; - una discrepanza fra le risorse necessarie per lo svolgimento del servizio e i criteri di retribuzione del servizio stesso: il compenso calcolato solo sulle pagine di verbale prodotto non rispecchia l’effettivo lavoro svolto dalle imprese per garantire l’intero servizio in tutte le sue parti (presenza di operatori in aula durante la registrazione, distribuzione dell’audio e coordinamento dei trascrittori, stampa delle copie cartacee dei verbali, consegna fisica del verbale negli uffici di Cancelleria) - assenza di controlli di qualità sia sul servizio svolto, sia in sede di assegnazione di appalto. A questo si aggiungono le molte criticità che fanno parte del lavoro di trascrizione in sé: si tratta di un’attività di cruciale importanza dal punto di vista giudiziario e ad alto livello di specializzazione dal punto di vista linguistico, poiché consiste nel rendere in forma scritta un testo orale che – come è noto agli studiosi del linguaggio – ha caratteristiche profondamente diverse dalla lingua dello scritto. Nel caso dei dibattimenti penali, poi, sono presenti alcuni fattori di difficoltà aggiuntivi, quali: 1. frequenti sovrapposizioni di voci; 2. presenza di più parlanti di cui non sempre si conoscono i nomi, ma la cui identificazione nel verbale è di grande importanza; 3. alta frequenza di nomi propri di persone, enti e luoghi, non sempre italiani e, a volte, dalla grafia incerta; 4. presenza di sequenze mal comprensibili a causa di un cattivo utilizzo dei microfoni;

5. presenza di parlanti non madrelingua italiani (stranieri, dialettofoni esclusivi); 6. mancanza di un sistema di norme di trascrizione condiviso a livello nazionale; 7. tempi di consegna estremamente ristretti. L’emergere di tutte le criticità sopra menzionate ha imposto una riflessione sull’intero sistema di verbalizzazione; da qui l’idea di realizzare una sperimentazione in cui si è testato l’impiego di nuovi strumenti tecnologici nel campo della verbalizzazione del processo penale. Nel progettare la propria soluzione, Cedat 85 è partita con un approccio il più possibile conservativo. Nella prima fase, dunque, quella della registrazione dell’audio, si è mantenuto l’impiego della macchina RT7000D, già in dotazione nelle aule penali italiane, attivandone alcune importanti funzionalità già presenti sulla macchina ma finora inutilizzate, come la possibilità di inviare segmenti di audio su un IP remoto in corso di registrazione. Questa procedura consente di iniziare la lavorazione dell’audio già dopo che il primo segmento è stato trascritto dal sistema di ASR, senza dover aspettare la conclusione dell’udienza. Durante la sperimentazione, i file audio venivano inviati al sistema per la trascrizione automatica. I file trascritti venivano assegnati automaticamente agli operatori (delocalizzati sulla rete) per la correzione, tramite un’applicazione cloud computing che consentiva non solo l’assegnazione automatica del materiale da lavorare, ma anche un monitoraggio costante – e da qualsiasi postazione, da parte di personale autorizzato delocalizzato – sull’intero flusso di lavoro. Il verbale, dopo essere stato così corretto e validato da operatori professionisti, veniva pubblicato, completo dei relativi metadati, su un portale on line con accesso riservato agli operatori giudiziari autorizzati. In questo ambiente era possibile fare ricerche per metadati e/o ricerche libere nel testo (Google-like), digitando una o più parole di interesse, su tutti i verbali di udienza disponibili a seconda dei diritti di accesso di ogni utente. Da questa interfaccia era possibile, inoltre, scaricare il verbale multimediale sul proprio computer in un comune formato pdf, mantenendo, però, la possibilità di avere sempre audio e testo allineati parola per parola, e di consultare l’audio semplicemente cliccando su un qualsiasi punto del testo. Questo è ciò che fu messo in campo allora e che trovò la piena soddisfazione degli operatori giudiziari coin-

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volti. Le innovazioni proposte nel 2010 all’epoca rappresentavano più che una innovazione, erano quasi viste come fantascienza. In quegli anni non esisteva ancora il processo telematico; era solo un’idea alla quale, con la sperimentazione del 2010, si cominciò a dare sostanza. In quel contesto il Salone della Giustizia costituì una grande opportunità. L’opportunità per i soggetti coinvolti nella sperimentazione di essere visibili, di dialogare, di cooperare, di dimostrare come l’Italia sia all’avanguardia nella ricerca. Oggi stiamo lavorando per il futuro e il futuro è l’impiego delle nuove tecnologie che possono essere messe al servizio della giustizia. Tra queste il RICONOSCIMENTO VOCALE riveste un ruolo fondamentale. Il riconoscimento automatico del parlato è una tecnologia giunta ormai a una piena maturazione ed è largamente impiegata in numerosi settori, dalla refertazione medica alla domotica, dal campo delle telecomunicazioni alla resocontazione e verbalizzazione. Queste tecnologie possono essere una vera risorsa proprio nel vasto settore della giustizia. Il riconoscimento vocale, infatti, può essere impiegato come strumento per l’identificazione del parlatore attraverso il riconoscimento dei tratti distintivi di una certa ‘impronta vocalÈ (settore che nella terminologia di settore è denominato speaker verification o speaker identification, a seconda delle diverse declinazioni). Ma il primo e più immediato ambito di applicazione del riconoscimento del parlato è proprio quello della verbalizzazione, dove questa tecnologia non è solo lo strumento per ottenere la trascrizione automatica di ciò che si è detto nelle varie sedi giudiziarie – risultato, questo, già di portata straordinaria – ma è anche la base che consente poi di innestare un vero e proprio apparato di strumenti tecnologici in grado di semplificare, velocizzare, migliorare e in definitiva rivoluzionare le modalità di verbalizzazione, archiviazione, recupero, consultazione di tutte le informazioni relative

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al processo. Questo non è uno scenario che immaginiamo per il futuro, questa è già una realtà. Gli strumenti esistono già e sono quelli che sono stati messi in opera durante la sperimentazione, ormai quasi sei anni fa. Tale esperienza ha mostrato che già allora le nuove tecnologie di trattamento automatico del parlato potevano essere impiegate con successo nel settore della Giustizia (che è un settore quanto mai sfidante). Anche da parte delle Istituzioni è ormai maturata la consapevolezza delle enormi potenzialità che questa tecnologia mette a disposizione. Proprio negli ultimi mesi la stessa Camera dei Deputati ha scelto di adottare il riconoscimento vocale per la resocontazione dei lavori parlamentari. In ultimo, è notizia di pochi giorni fa che la Camera abbia approvato il ddl delega al Governo per la riforma del processo civile. Questo disegno di legge è stato approvato in Commissione Giustizia ed è poi stato votato favorevolmente alla Camera, portando ora la discussione al Senato. La riforma prevede l’adeguamento delle norme processuali al processo civile telematico, che includerà l’impiego del riconoscimento vocale per la redazione del processo verbale. A questo proposito, sarebbe innanzitutto auspicabile poter ricostituire, sotto l’egida del Ministero della Giustizia, un tavolo di lavoro per approfondire la conoscenza degli strumenti che le nuove tecnologie del parlato mettono a disposizione, per progettare insieme soluzioni innovative ad hoc per la giustizia e poterle poi realmente mettere in opera, affinché anche il mondo della giustizia sia al passo con i tempi in cui viviamo.


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Giurisprudenza

Commento alla Giurisprudenza a cura di Ivan Giordano Ivan Giordano Nato a Milano il 12.02.1977. Nel 1998 costituisce la prima società di consulenza tributaria e aziendale (poi confluita nello Studio Giordano&Parners) specializzandosi in fiscalità applicata al real estate, alle società immobiliari e agli enti di formazione pubblici e privati e in consulenza alle imprese nelle fasi di start up, nelle operazioni straordinarie, nell’accesso al credito e nella pianificazione delle leve finanziarie. Nel 2008 fonda l’associazione Assoconciliazione che gestisce oltre 20 sportelli ADR, anche presso le istituzioni, sul territorio nazionale. Fonda nel 2010 l’Istituto di Conciliazione e Alta Formazione di Milano, ente di formazione certificato UNI EN ISO 9001:2008 e unico organismo di mediazione in Italia dotato della certificazione ISO del procedimento di mediazione; ICAF ha implementato una procedura di gestione delle controversie tramite la quale sono stati raggiunti livelli di conclusione dei procedimenti superiori al 90% con la partecipazione delle parti. Nel ruolo di mediatore e di responsabile di organismo di mediazione, ha gestito oltre 500 procedimenti di mediazione. È membro del board dell’Osservatorio sull’uso dei sistemi ADR e responsabile del relativo “Dipartimento di mediazione tributaria e per l’impresa”. È autore di svariati testi in materie di gestione alternativa delle controversie in mediazione, negoziazione e arbitrato anche con Maggioli Editore ed è autore di numerose pubblicazioni su importanti riviste di interesse nazionale e internazionale in materia di ADR, gestione delle controversie e su temi contabili e fiscali. Dal 2013 è direttore scientifico delle rubriche on line “Accordo Possibile”, “Il Tributarista Risponde”, “Il Revisore Condominiale”.

TRIBUNALE DI PAVIA - ORDINANZA 06.01.2016 Magistrato dott. Giorgio Marzocchi MEDIAZIONE CIVILE – DEMANDATA DAL GIUDICE LE LINEE GUIDA DEL MAGISTRATO SU COME DOVRA’ ESSERE ESPERITA LA MEDIAZIONE TRIBUNALE DI VERONA – SENTENZA 16.02.2016 Magistrato dott. Massimo Vaccari MEDIAZIONE CIVILE – MATERIA NON OBBLIGATORIA TEMA: SANZIONE ALLA PARTE VINCITRICE CHE NON HA ADERITO AL PROCEDIMENTO DI MEDIAZIONE È sempre più evidente come nell’ultimo biennio le best practice applicate al procedimento di mediazione civile, strumento sempre più utilizzato ed apprezzato dagli operatori professionali e sempre più conosciuto dalle parti che sono poi gli effettivi destinatari di questo innovativo servizio, si stiano delineando anche grazie al lodevole contributo che arriva dalla magistratura. Sono ormai numerosissime le sentenze ed ordinanze con le quali i magistrati forniscono a mediatori, parti e avvocati le linee guida su come dovrà essere condotto il procedimento di mediazione, allontanandole dagli organismi che ancora oggi troppo spesso non amministrano procedimenti di mediazione ma producono verbali negativi senza neppure tutelare le parti nell’ambito di una doverosa fase informativa rispetto al rischio di dover sostenere ulteriori costi per un nuovo procedimento di mediazione che il giudice con buona probabilità ordinerà in quanto quello che le parti asseriscono di aver esperito senza successo è stato un mero momento

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formale finalizzato ad ottenere un verbale negativo per accedere al giudizio. I magistrati, in particolare dal 2014 ad oggi, hanno confermato che gli organismi di mediazione che operano nel rispetto della vera ratio del D.Lgs 28/2010 e s.m.i. e dei relativi D.M. attuativi, sono quelli nel cui regolamento di procedura sono previste le seguenti possibilità: · verbalizzare fatti e circostanze che possano essere poi valutate dal giudice ai sensi dell’art.116 c.p.c. tra cui proposte formulate dalle parti, partecipazione e modalità di partecipazione al procedimento, etc. · possibilità di avvio unilaterale del procedimento di mediazione in caso di assenza di una o più parti, come peraltro auspicato proprio dal Ministero della Giustizia con la Circolare del 04/04/2011 · possibilità di chiedere la formulazione della proposta del mediatore con i possibili effetti nel giudizio di cui all’art.13 del D.Lgs 28/2010 e s.m.i. anche in caso di mancata adesione di una o più parti al procedimento · possibilità di svolgere CTU riutilizzabili nel giudizio anche in caso di mancata adesione di una o più parti al procedimento · possibilità per il mediatore di formulare la propria proposta anche nel caso in cui le parti non ne facciano espressa richiesta · gestire l’incontro di programmazione in modo da lasciare traccia, tramite il verbale dello stesso, che il mediatore abbia svolto le tre funzioni previste dall’art.8 del D.Lgs 28/2010 e s.m.i. ovvero informare circa le caratteristiche del procedimento (e quindi anche circa i rischi dei comportamenti assunti in mediazione se ostativi al regolare svolgimento della stessa), verificare la mediabilità della controversia e quindi la possibilità giuridica il conflitto possa essere gestito in mediazione (e non la mera espressione di volontà delle parti), infine sentire le parti in merito alla condivisione sulla mediabilità per poi procedere, in caso affermativo, dando avvio al tentativo di conciliazione sino a quel momento quindi mai avviato Gli organismi che non consentono alle parti sedute innanzi al mediatore tutte le opportunità sopra elencate stanno riducendo per le stesse le probabilità di un accordo e stanno aumentando i margini di un possibile epilogo della controversia in sede giudiziale, con la concreta eventualità che il giudice, rilevando dai verbali di mediazione che le parti non hanno adeguatamente esplorato ogni ipotesi e ogni leva conciliativa, possa rimandarli con ordinanza in mediazione delegata. La recente ordinanza del dott. Giorgio Marzocchi del Tribunale di Pavia è assolutamente in linea con questo orientamento, richiamando peraltro ordinanze e sentenze del precedente biennio emesse da ormai noti colleghi dei tribunali di Palermo, Roma, Firenze, Siracusa e Vasto. La lettura di sentenze ed ordinanze ha fortemente condizionato nell’epoca più recente la formazione dei mediatori che amministrano i procedimenti di mediazione, degli avvocati che assistono le parti in mediazione e il punto di vista dei responsabili degli organismi di mediazione che, abbandonata la visione “purista” della prim’ora, devono “fare i conti” con una mediazione evidentemente proceduralizzata e che è evidente, seppure possa apparire un paradosso, che funzioni proprio quando e se risulta fortemente proceduralizzata. Infatti, i margini di “informalità” del procedimento, definito tale dallo stesso legislatore, hanno consentito a mediatori impreparati inclini alle aspettative di emissione di verbali negativi di taluni avvocati, di non esperire di fatto la mediazione dichiarandola fallita, senza alcun riferimento nei verbali ai motivi di tali fallimento, contribuendo alla determinazione di un orientamento giurisprudenziale che mira a ristabilire il rispetto per la nobile ratio del legislatore, che per cultura ma forse anche per imposizione comunitaria o per esigenza di deflazione del carico giudiziario, ha ritenuto, come giusto, che una norma sia fatta per essere rispettata e non per essere aggirata. Ecco perché, come ancora una volta riscontriamo, ora ad opera del Tribunale di Pavia, che innanzi ad un procedimento di mediazione non effettivamente esperito ma solo tramite la produzione di verbali negativi, il magistrato Dott. Giorgio Marzocchi “invita le parti ad avviare una procedura di mediazione demandata” stabilendo “le modalità e i termini che seguono”: · “Ritenuto che il tentativo di mediazione non può considerarsi una mera formalità da assolversi con la partecipazione dei soli difensori all’incontro preliminare informativo, essendo evidente che gli avvocati – mediatori di diritto - sono già a conoscenza del contenuto e delle finalità della procedura di mediazione ed essendo al contrario necessaria la partecipazione delle parti personalmente - o dei rispettivi procuratori speciali a conoscenza dei fatti e muniti del potere di conciliare – che all’interpello del mediatore al termine dell’incontro preliminare esprimano la loro volontà di proseguire nella procedura di mediazione oltre l’incontro preliminare (ex multis, Trib. Palermo, Ord. 16.06.14; Trib. Roma, Ord. 30.06.14; Trib. Firenze, Ord. 26.11.2014; Trib. Siracusa, Ord. 17.01.15; Trib. Vasto, Sent. 9.03.15)”; · “La mediazione non potrà quindi considerarsi ritualmente esperita con un semplice incontro tra i le-

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gali delle parti, ancorché i legali si presentino all’incontro muniti di procura speciale per la partecipazione alla mediazione, dal momento che nella detta procedura la funzione del legale, come definita in via interpretativa dall’art. 5, co. 1-bis e co. 2, D.Lgs. 28/2010, è di mera assistenza alla parte comparsa e non, per la formulazione normativa utilizzata e per il migliore e più efficace funzionamento dell’istituto, di rappresentanza della parte assente.” · “Ove, nella specie, una delle parti non si presentasse personalmente al primo incontro avanti al mediatore e sia presente solo il suo difensore quale suo rappresentante, si invita la parte presente ad avanzare al mediatore istanza di rinvio della procedura per consentire che la parte assente si presenti personalmente assistita dal difensore.” · “l’esperimento della procedura di mediazione sarà condizione di procedibilità della domanda giudiziale e che, considerato che il giudizio sulla mediabilità della controversia è già dato con il presente provvedimento, la condizione di procedibilità non potrà considerarsi avverata con un incontro preliminare tra i soli difensori ancorché muniti di procura speciale;” “Visti gli artt. 8, co. 4-bis, D.Lgs. 28/2010, 116, co. 2, 91 e 96 co. 3, cpc, invita il mediatore a verbalizzare quale, tra le parti che parteciperanno all’incontro, dichiari di non voler proseguire nella mediazione oltre l’incontro preliminare;” · “Fissa nuova udienza per il 29.06.2016 ore 10,30, per la verifica dell’esito della mediazione tramite la produzione, a cura della parte più diligente, del verbale completo della procedura” Ne emerge come il magistrato attenda dal mediatore un determinato e specifico operato, ovvero: · non deve verificare la mediabilità della controversia, circostanza confermata dall’ordinanza stessa · deve verbalizzare la presenza personale delle parti e dei loro assistenti e non di questi ultimi in loro rappresentanza, circostanza che vanificherebbe la natura del procedimento · deve favorire, eventualmente anche rinviando l’incontro, la presenza fisica delle parti · deve verbalizzare la volontà o meno delle parti di rendersi disponibili ad esperire la mediazione, considerando che la possibilità è già stata verificata dal giudice stesso e confermata · far emergere dagli atti e quindi anche dal verbale che il momento della mediazione non si è manifestato in una mera formalità ma nell’effettiva ricerca di soluzioni conciliative

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Testo integrale:

R.G. ____/ 2012

TRIBUNALE DI PAVIA Sezione III Civile Dott. Giorgio Marzocchi Nel giudizio promosso da XX, Contro ZZ ,

Attore Convenuto

ORDINANZA EX ARTT. 185 bis, cpc e 5, co. 2, D.Lgs. 28/2010 Il giudice istruttore del Tribunale di Pavia, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 19.10.2015; letti gli atti e i documenti del fascicolo; osserva Riservato ogni provvedimento sull’ammissibilità della prova testimoniale in un giudizio avente ad oggetto l’accertamento di an e quantum dell’obbligazione pecuniaria dedotta in giudizio, considerati i contraddittori provvedimenti istruttori ad oggi assunti; Vista la natura della causa, lo stato dell’istruttoria, visti i particolari rapporti personali tra attore e convenuto; il valore della lite e le questioni di diritto – processuali e sostanziali - non particolarmente complesse che vengono in considerazione nel presente giudizio; Visto l’art. 185 bis, cpc; PROPONE ALLE PARTI di definire amichevolmente la lite nel modo seguente: parte convenuta si impegni al pagamento in favore di parte attrice della somma di euro 3.000,00 (tremila e zero zero) da intendersi comprensiva di capitale, interessi e concorso nelle spese legali. La somma potrà essere corrisposta in parte alla conclusione dell’accordo e in parte in rate mensili. Si invitano i difensori, ove condividessero l’opportunità della proposta definizione amichevole, a prendere contatto tra loro per concordare le concrete modalità dell’accordo; ove preferissero formalizzare l’accordo in un verbale di conciliazione giudiziale, si invitano le parti ad avanzare apposita istanza di anticipazione dell’udienza; Visto l’art. 5, co. 2, D.Lgs. 28/2010; osserva ancora Nel caso non fosse raggiunto un accordo amichevole entro il 29.02.2016, invita le parti ad avviare una procedura di mediazione demandata, con le modalità e i termini che seguono. Ritenuto che il tentativo di mediazione non può considerarsi una mera formalità da assolversi con la partecipazione dei soli difensori all’incontro preliminare informativo, essendo evidente che gli avvocati – mediatori di diritto - sono già a conoscenza del contenuto e delle finalità della procedura di mediazione ed essendo al contrario necessaria la partecipazione delle parti personalmente - o dei rispettivi procuratori speciali a conoscenza dei fatti e muniti del potere di conciliare – che all’interpello del mediatore al termine dell’incontro preliminare esprimano la loro volontà di proseguire nella procedura di mediazione oltre l’incontro preliminare (ex multis, Trib. Palermo, Ord. 16.06.14; Trib. Roma, Ord. 30.06.14; Trib. Firenze, Ord. 26.11.2014; Trib. Siracusa, Ord. 17.01.15; Trib. Vasto, Sent. 9.03.15); La mediazione non potrà quindi considerarsi ritualmente esperita con un semplice incontro tra i legali delle parti, ancorché i legali si presentino all’incontro muniti di procura speciale per la partecipazione alla mediazione, dal momento che nella detta procedura la funzione del legale, come definita in via interpretativa dall’art. 5, co. 1-bis e co. 2, D.Lgs. 28/2010, è di mera assistenza alla parte comparsa e non, per la formulazione normativa utilizzata e per il migliore e più efficace funzionamento dell’istituto, di rappresentanza della parte assente.

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Ove, nella specie, una delle parti non si presentasse personalmente al primo incontro avanti al mediatore e sia presente solo il suo difensore quale suo rappresentante, si invita la parte presente ad avanzare al mediatore istanza di rinvio della procedura per consentire che la parte assente si presenti personalmente assistita dal difensore. Viste le modifiche introdotte dal D.L. 69/2013, convertito con modificazioni dalla L. 98/2013; PQM Letto ed applicato l’art. 5, co. 2, D. Lgs. 28/2010; Invita le parti ad avviare una mediazione, ponendo l’onere dell’avvio della procedura a carico della parte più diligente e avvisando entrambe le parti che, per l’effetto, l’esperimento della procedura di mediazione sarà condizione di procedibilità della domanda giudiziale e che, considerato che il giudizio sulla mediabilità della controversia è già dato con il presente provvedimento, la condizione di procedibilità non potrà considerarsi avverata con un incontro preliminare tra i soli difensori ancorché muniti di procura speciale; Visti gli artt. 8, co. 4-bis, D.Lgs. 28/2010, 116, co. 2, 91 e 96 co. 3, cpc, invita il mediatore a verbalizzare quale, tra le parti che parteciperanno all’incontro, dichiari di non voler proseguire nella mediazione oltre l’incontro preliminare; Invita la parte più diligente ad allegare la presente ordinanza all’istanza di avvio della mediazione o all’adesione alla stessa, in modo che il mediatore possa averne conoscenza; Assegna alle parti il termine del 1.03.2016 per la presentazione della domanda di avvio della mediazione da depositarsi, in caso di mancato accordo sulla proposta giudiziale di cui sopra, presso un organismo di mediazione regolarmente iscritto nel registro ministeriale, che svolga la sua funzione nel circondario del Tribunale di Pavia, ex art. 4, co. 1, D. Lgs. Cit.; Fissa nuova udienza per il 29.06.2016 ore 10,30, per la verifica dell’esito della mediazione tramite la produzione, a cura della parte più diligente, del verbale completo della procedura e, in caso di suo esito negativo, per la prosecuzione del giudizio con la decisione sull’ammissibilità della prova testimoniale. Si comunichi. Pavia, 6 gennaio 2016 In tema di partecipazione al procedimento di mediazione in tutta la sfera del diritto civile disponibile e quindi non solo nell’ambito delle materie soggette a condizione di procedibilità (quindi anche nel ricorso volontario alla mediazione civile in materie per quali potrebbe essere esperito alternativamente un tentativo di negazione assistita), illuminante è anche la sentenza del 16.02.2016 del Tribunale di Verona a firma del Magistrato dott. Massimo Vaccari. Nel caso di specie, un socio di società commerciale chiama in mediazione gli altri soci per ottenere un risarcimento / compenso di €.300.000,00. I soci chiamati a partecipare al procedimento di mediazione non aderiscono né forniscono motivazioni in merito. Il procedimento di mediazione non viene avviato unilateralmente dal socio istante, rinunciando quindi alla possibilità di istruire nel corso della mediazione, anche in contumacia delle controparti, consulenze tecniche d’ufficio, o di formulare proposte di conciliazione o di richiederne la formulazione al mediatore, ma anche e soprattutto, alla luce di questo possibile scenario, confidare nella partecipazione, ancorché tardiva, delle controparti o infine affrontare un giudizio non con un mero verbale negativo bensì con molti più atti idonei ad influenzare il successivo giudizio. Il socio istante quindi, procede nel giudizio con il solo verbale negativo attestante la mancata adesione delle controparti in una controversia non rientrante in quelle previste dal legislatore quali “soggette a condizione di procedibilità”. Il giudice, valutata nel merito la controversia, rigetta integralmente le domande dell’attore e lo condanna al risarcimento delle spese legali e processuali dei convenuti quantificate e liquidate in €.17.679,20 oltre spese generali, IVA e contributo previdenziale, ma condanna altresì i convenuti alla sanzione pari al contributo unificato di €.1.056,00 a favore del Bilancio dello Stato ai sensi del D.Lgs 28/2010 e s.m.i., per non aver aderito al procedimento di mediazione giustificando tale mancata adesione sulle ragioni nel merito, ancorché poi confermate dallo stesso magistrato.

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N.1470/2014 R.G.A.C.C. TRIBUNALE DI VERONA Successivamente oggi 16/02/2016 davanti al Giudice dott. Massimo Vaccari sono comparsi per ___________________ l’avv. ___________________ e per i convenuti l’avv. ___________________ I procuratori delle parti nel riportarsi alle rispettive conclusioni come già formulate all’udienza del 29 ottobre 2015 discutono oralmente la causa e dichiarano di rimettersi al giudice per la liquidazione delle spese. L’avv. ___________________ dimette nota spese. All’esito della discussione, il Giudice, dandone integrale lettura in udienza, ha pronunciato la seguente

SENTENZA Repubblica Italiana In nome del popolo italiano Il Giudice Unico del Tribunale di Verona, sezione III Civile, Dott. Massimo Vaccari definitivamente pronunziando nella causa civile di grado promossa con atto di citazione notificato in data in___________________ da rappresentato e difeso dagli avv. _____________________________, del foro di MILANO, e ___________________________, del foro di Verona, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, sito in___________________; ATTORE contro _________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________ ___________________ ) tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti___________________ del foro di Verona e ___________________ del foro di Padova ed elettivamente domiciliati presso lo studio della prima, sito in ___________________ CONVENUTI RAGIONI DELLA DECISIONE Il dott. ___________________ ha convenuto in giudizio davanti a questo Tribunale i componenti della famiglia___________________ per sentirli condannare, prò quota secondo la partecipazione sociale da ciascuno di essi posseduta e/o in via tra loro solidale, al pagamento in proprio favore della somma di euro 300.000,00 a titolo di compenso e/o risarcimento danni. A migliore illustrazione delle ragioni della propria pretesa l’attore ha dedotto che: - nel luglio del 2009 aveva ricevuto da ___________________ anche a nome della società e degli altri soci, l’incarico di individuare dei fondi di private equity interessati ad acquistare le partecipazioni alla___________________ Spa, operante nella produzione e commercializzazione di vini, di cui erano titolari i convenuti. - nel predetto accordo era stato previsto che il compenso per l’attività svolta dall’attore sarebbe stato determi-

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nato in base agli standard di mercato; - pur avendo egli svolto, in esecuzione di tale incarico, una intensa attività che aveva consentito di individuare l’acquirente in ___________________ e di definire valide condizioni di vendita i convenuti si erano rifiutati di concludere l’affare così come di pagare il compenso a lui dovuto. I convenuti si sono costituiti in giudizio resistendo alla domanda avversaria con puntuali deduzioni soprattutto in punto di fatto. Ciò detto con riguardo agli assunti delle parti, la domanda attorea è infondata e va pertanto rigettata non solo per la intrinseca inverosimiglianza del suo assunto (risulta infatti altamente improbabile che il___________________ possa aver conferito verbalmente al___________________ un incarico dal contenuto economico così rilevante come quello citato dal medesimo) ma anche perchè, come rilevato dalla difesa di parte convenuta e come anticipato da questo giudice nella ordinanza del 16 febbraio 2015, esso postula la conclusione tra le parti di un contratto nullo per indeterminatezza dell’oggetto e come tale del tutto inefficace. L’attore ha infatti allegato e chiesto di dimostrare per testi (cfr. capitolo n.7 della memoria ai sensi dell’art. 183 VI comma n. 2 c.p.c) che nel mandato che aveva ricevuto da___________________ era stato previsto per lui un compenso da determinarsi secondo non meglio precisati “standard di mercato”. Orbene, nonostante il puntuale rilievo prontamente svolto al riguardo dalla difesa del convenuto, l’attore non ha mai spiegato nel corso del giudizio quali siano i parametri ai quali le parti avrebbero inteso far riferimento nè quali attività essi riguardino. A ben vedere la allegazione attorea sul punto è stata anche gravemente contradditoria atteso che già in atto di citazione, nel rappresentare al giudice l’opportunità di una ctu, il___________________ aveva dedotto testualmente che: “...nell’ambito delle operazioni di investimento come l’operazione in oggetto, il compenso del consulente viene generalmente calcolato sulla scorta della c.d. scala di Lehman, basata sul valore della intera operazione” (pag. 13 dell’atto di citazione). Così facendo l’attore aveva però implicitamente palesato il proprio dubbio che il criterio richiamato nel contratto da lui menzionato non fosse concretamente utilizzabile, per le predette ragioni, e, al contempo, ne aveva invocato uno diverso, sebbene non fosse stato concordato con la controparte. Tale differente criterio avrebbe potuto essere invece utilizzato qualora fosse stata svolta una domanda ai sensi dell’art. 2041 c.c. che però avrebbe dovuto fondarsi sulla premessa, negata dall’attore, della nullità del contratto in questione. Vale solo la pena aggiungere che la problematicità della determinazione del quantum della pretesa attorea era stata rappresentata da questo giudice già nella ordinanza del 9 dicembre 2014 con la quale aveva formulato alle parti una proposta conciliativa, accettata dall’attore e rifiutata dai convenuti. Le risultanze fin qui illustrate poi non possono essere sovvertite dal solo argomento di prova, costituito dalla mancata partecipazione dei convenuti al procedimento di mediazione promosso ante causam dal___________________ (vedasi verbale negativo prodotto sub 12 dall’attore), che è stato valorizzato, ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, primo periodo, del d. Igs. 28/2010, dal patrocinio dell’attore in sede di discussione. È evidente poi sotto il profilo giuridico che la indeterminatezza o indeterminabilità del corrispettivo che, secondo l’attore, era stato pattuito tra le parti si risolve in una indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto da lui citato. Venendo alla regolamentazione delle spese processuali, esse vanno poste a carico dell’attore in applicazione del principio della soccombenza. Non può farsi applicazione infatti del disposto dell’art. 91, primo comma secondo periodo c.p.c. in relazione alla accettazione espressa dall’attore alla succitata proposta conciliativa di questo giudice atteso che nessuna somma gli viene riconosciuta con la presente decisione. Alla liquidazione delle somme spettanti a titolo di compenso si procede sulla base del d.m. 55/2014. In particolare il compenso per le fasi di studio ed introduttiva può essere determinato assumendo a riferimento i corrispondenti valori medi di liquidazione previsti dal succitato regolamento mentre quello per le fasi istruttoria e decisionale va quantificato in una somma pari ai corrispondenti valori medi di liquidazione, ridotti del 30 %, alla luce della considerazione che la prima è consistita nel solo deposito delle memorie ex art. 183 VI comma c.p.c.. e nella partecipazione ad una udienza mentre nella fase decisionale le parti hanno ripreso le medesime argomentazioni che avevano già svolto in precedenza. L’importo così risultante di euro 11.049,50, va aumentato ai sensi dell’art.4, comma 2, d.m. 55/2014. Sull’importo riconosciuto a titolo di compenso ai convenuti spetta anche il rimborso delle spese generali nella

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misura massima consentita del 15% della somma sopra indicata. Peraltro i convenuti vanno condannati a corrispondere all’entrata del bilancio una somma pari al contributo unificato (euro 1.056,00), in applicazione del disposto dell’art. 8, comma 4 bis, secondo periodo del d. Igs. 28/2010. È pacifico infatti, in punto di fatto, che, a seguito della attivazione da parte dell’attore della procedura di mediazione, avente carattere volontario, dal momento che la controversia non rientra tra quelle soggette a mediazione obbligatoria, nessuno dei convenuti è comparso al primo incontro davanti al mediatore. Sotto il profilo astratto è opportuno poi chiarire che la succitata previsione trova applicazione anche nel caso di mediazione volontaria e non solo, come sostenuto da qualche commentatore, nel caso di mediazione obbligatoria, come si evince dalla sua collocazione airinterno di una norma che regola il procedimento di mediazione in generale. Ancora, essa prescinde totalmente dalla soccombenza nel successivo giudizio, atteso che, in attuazione del principio di causalità, mira a sanzionare la parte che, sottraendosi alla procedura stragiudiziale, provoca il giudizio. Ciò chiarito sotto il profilo teorico, nel caso di specie i convenuti non hanno fornito la benché minima spiegazione di quella loro scelta, né al momento di disertare l’incontro davanti al mediatore né, come ben avrebbero ancora potuto, nel corso del presente giudizio fino al momento di formulare le loro istanze istruttorie. Solo in sede di discussione il loro difensore ha tentato di giustificarla, asserendo che era stata dettata dalla volontà dei suoi assistiti di rimarcare l’opposizione agli assunti di controparte. È evidente però che una simile posizione, che presuppone la convinzione della fondatezza dei propri assunti, non è idonea ad integrare il giustificato motivo di assenza che vale a sottrarre la parte che non compare in mediazione alla sanzione pecuniaria. In caso contrario infatti non vi sarebbe mai occasione per applicare la norma sopra citata, dal momento che ciascuna parte che agisce o resiste in giudizio ha quella convinzione. P.Q.M. Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, rigetta le domande avanzate dall’attore e per l’effetto condanna lo stesso a rifondere ai convenuti le spese del processo che liquida nella somma di euro 17.679,20, oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % di tale importo, Iva, se dovuta, e Cpa Condanna i convenuti, in solido tra loro, a corrispondere all’entrata del bilancio dello Stato la somma di euro 1.056,00. Verona 16/02/2016 il Giudice Dott. Massimo Vaccari

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185-bis bancario: mediazione delegata e rapporti bancari Quelle che seguono sono due ordinanze della dott.ssa Mirella Delia, Giudice del Tribunale di Bari. Esse riguardano, in particolare, rapporti di apertura di credito, con affidamento mediante scopertura su c/c bancario. In entrambi i casi, il correntista introduce in giudizio un’azione di accertamento del saldo dare/avere, invocando la ripetizione dell’indebito da verificarsi previa CTU. Evasi gli oneri probatori documentali a carico degli attori e poste le contestazioni mosse dalla Banca rispetto all’eccepita nullità parziale di alcune clausole contrattuali, è stata disposta in entrambi i fascicoli CTU contabile. La formulazione dei quesiti, all’atto del conferimento d’incarico al CTU, si ritiene sia un compito di estrema importanza per il giudice, soprattutto nella materia bancaria, ove si sono susseguite negli ultimi anni pronunce giurisprudenziali non sempre convergenti sui punti cruciali della disciplina dei rapporti bancari. Attraverso i quesiti posti al CTU, il giudice, infatti, dovrebbe già poter manifestare adesione ad un preciso orientamento giurisprudenziale riferito alle varie questioni sollevate fra le parti (interessi ultralegali, capitalizzazione, cms giorni di valuta etc etc), e non demandare invece al CTU molteplici e contraddittori conteggi, come spesso può accadere. Questa trasparenza di condotta ha il vantaggio di condurre verso conteggi univoci, di ausilio per le parti, al fine di sviluppare possibili prognosi sull’esito del giudizio e sulla convenienza a percorrere strade di definizione alternative alla sentenza. Ed è proprio con questa modalità che, all’esito della CTU contabile, potrebbe giungersi all’emissione di ordinanze 185 bis cpc . È quanto accaduto in uno solo dei fascicoli, posto pure che era stato disposto un chiarimento al CTU sull’incidenza della capitalizzazione

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trimestrale ed, all’esito, il conteggio offerto dall’ausiliario d’ufficio è risultato addirittura assai prossimo a quanto indicato dalla banca già in comparsa di costituzione. Il vantaggio di una proposta conciliativa, allora e prima di un rinvio per 281 sexies o precisazione delle conclusioni, si ravviserebbe nell’alleggerimento del giudizio di primo grado dai costi e tempi della fase decisoria, oltre che nella elisione del rischio di un appello ovvero di una difficile o impossibile esecuzione volontaria della sentenza, posti invece i benefici tipici della transazione/conciliazione. Viceversa nel secondo fascicolo, occorrendo ancora un’integrazione della CTU (per essersi imposta la verifica dell’incidenza della prescrizione nei conteggi del dare/avere), è parso conveniente preventivamente ordinare un percorso di mediazione, facendo appello all’opera informativa svolta in quelle sedi rispetto al c.d. tema conciliativo ed alla valorizzazione degli elementi tecnici a conforto dei nuovi conteggi, oltre che agli obblighi collaborativi che il processo pone a carico delle parti. Questa parentesi endoprocessuale, che propone un uso sapiente e combinato degli esiti della CTU e delle competenze degli Organismi di Mediazione può, infatti, risolversi in un’economia di mezzi e tempi nella ricerca della soluzione di un conflitto.

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Tribunale di Bari Sezione Stralcio Articolazione di Modugno r.g.a.c. 94000165/06 Il Giudice Unico, visti gli atti, sciogliendo la riserva che precede; osservato che: - Studi Mendelsohn srl ha proposto azione di accertamento e dichiarazione d’invalidità parziale dei rapporti di apertura di credito, il primo con affidamento mediante scopertura sul conto corrente n. 27/1860 con il collegato c/anticipo n. 8000102, e il secondo con affidamento mediante scopertura sul conto corrente n. 26/25, stipulati fra la società attrice e la Banca convenuta, nonché di accertamento, a mezzo del ricalcolo delle competenze, dell’esatto dare-avere fra le parti contrattuali e quindi la restituzione, in favore della parte attrice, delle somme indebitamente versate, da quantificarsi previa CTU contabile; - l’eccepita nullità parziale involgerebbe, a dire degli attori, le clausole contrattuali di determinazione degli interessi ultralegali, della capitalizzazione trimestrale, dell’applicazione della commissione di massimo scoperto, dell’applicazione degli interessi per cd giorni-valuta, dei costi, delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese. considerata la comparsa di costituzione e risposta con la quale la Banca, richiamando l’espressa pattuizione del tasso ultralegale, della c.m.s., della valuta e di ogni altra spesa e commissione, compreso lo ius variandi in capo alla banca stessa, ha eccepito la prescrizione di quanto eventualmente indebitamente pagato dal correntista per le somme da essa contabilizzate, invocando la validità di ogni clausola contrattuale debitamente sottoscritta e instando per il rigetto dell’altrui domanda. Ha spiegato pure riconvenzionale per la condanna della attrice, debitrice principale, e dei fideiussori, di cui pur ha chiesto la chiamata in causa, sotto il vincolo della solidarietà, per le somme di € 9.610,34, quale saldo debitore del c/c n. 27/1860, e di € 13.000, quale residuo della fattura n. 6/2005, ceduta dall’attrice alla banca ma rimasta parzialmente non onorata; letta la CTU a firma del dr commercialista Lorenza Morisco; richiamati: A) i quesiti a suo tempo posti all’ausiliario d’ufficio, con ordinanza istruttoria in atti, ove, in adesione all’orientamento giurisprudenziale prevalente in materia bancaria e condiviso nell’intestato Ufficio, si sono offerte indicazioni contabili mercè le quali procedere alla ricostruzione del rapporto ed al conteggio del saldo dare-avere; B) le conclusioni fin qui raggiunte dal CTU, nel suo elaborato e con il raffronto della documentazione contabile in atti (dall’inizio dei rapporti all’ultimo estratto conto - per il c/c 26/25 dal 17.11.98 al 30.9.05; per il c/c 27/1860 dal 1.12.99 al 30.4.06 e per c/a n. 8/102 dal 31.12.99 alla chiusura), ossia: la presenza di contratti di affidamento con condizioni economiche puntualmente pattuite e l’assenza di usurarietà del TEG e delle c.m.s. applicati; M.P. RICONSIDERATA la capitalizzazione trimestrale1, secondo il conteggio svolto in sede di chiarimenti dal CTU, Da tempo la giurisprudenza di legittimità chiarisce l’ambito e le condizioni di operatività del cd anatocismo bancario: si vedano Cass. n. 13739/2003, n. 4092/2005, n. 4093/2005, n. 4094/2005, n. 4095/2005, n. 6187/2005, n. 7539/2005, n. 10599/2005, n. 10376/2006, n. 11749/2006, Cass. n. 11466/2008, Cass. Sez. Un. n. 21095/2004, Cass. Sez. Un. n. 24418/2010.

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con possibilità di eliderne l’incidenza fino al 30.6.2000 e di applicarla nei rapporti per il periodo successivo, per avere la Banca dimostrato l’avvenuta pubblicazione su G.U. dell’adeguamento generico alla Delibera CICR del 9.2.2000 e così verificata dal CTU la pari periodicità di liquidazione degli interessi debitori e creditori da parte della Banca; RILEVATO che la CTU contabile, esprimendosi sui quesiti formulati dal giudicante in adesione agli orientamenti giurisprudenziali seguiti dall’Ufficio nella materia del contenzioso bancario, permette di intravedere un’ordinanza ex art. 185 bis cpc, con cui offrire alle parti l’opportunità di una plausibile proposta bonaria, capace realisticamente di condurle alla conciliazione o transazione2; VALUTATO, infatti, che nella disamina della suddetta opportunità, le parti potranno “prendere spunto dalle considerazioni fin qui appuntate al fine di individuare i temi della conciliazione in quanto idonee da un lato a sfrondare il thema decidendum oggetto del giudizio e dall’altro a fornire gli elementi tecnici per rideterminare eventuali competenze spettanti, in ossequio sia del generale potere di direzione del procedimento che l’art. 175 cpc riserva al Giudice per il più sollecito e leale svolgimento del processo (è l’AG a selezionare le questioni rilevanti per il processo in punto di allegazione, prova ed oggi - alla luce delle più recenti riforme - anche di sbocco alternativo della controversia) che degli obblighi collaborativi processualmente gravanti sulle stesse parti 3-4”; P.Q.M. visto l’art. 185 bis cpc, attesa l’esistenza ormai di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, nel cui ambito appaiono perciò meno esasperate le contrapposte posizioni espresse nel contraddittorio, PROPONE ALLE PARTI a fini conciliativi, il pagamento a cura della società attrice, in solido con i fideiussori, in favore della banca della complessiva somma di € 9.600,00, quali saldi sui c/c, nonché di € 13.000, quale residuo sull’anticipazione eseguita sulla fattura n. 6/2005, oltre interessi legali dal dovuto al soddisfo; spese legali compensate solo per V fra le parti, e la residua quota a carico dell’attore e dei fideiussori, in solido, da liquidarsi alla stregua del DM n. 55/2014, secondo il valore di causa e i medi tariffari, esclusa la fase decisoria non tenutasi. Il compenso liquidato al CTU in corso di causa rimane a carico della società attrice, in solido con i fideiussori; ACCORDA ALLE PARTI un termine per il raggiungimento di un accordo convenzionale sulla base della predetta proposta, e ciò fino alla data della prossima udienza, alla quale, se l’accordo verrà raggiunto, le parti potranno non comparire, mentre se fallisca potranno riportare a verbale le loro posizioni e/o offerte al riguardo, permettendo al Giudice, nel merito, l’eventuale valutazione della loro condotta processuale per la regolamentazione delle spese di lite, ex art. 91 cpc ovvero per l’equa riparazione nei casi di cui all’art. 96 III° cpc, RINVIA all’udienza del 19.5.2016 per valutare gli esiti della proposta ex art. 185 bis cpc. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza Modugno, 15.03.2016 II Giudice d.ssa Mirella Delia

vedi così in Tribunale di Bari, Sezione Stralcio - Articolazione di Modugno, dssa M. Delia, 10.03.2016. vedi così in Tribunale di Bari, Sezione Stralcio - Articolazione di Altamura, dssa L. Fazio, 26.02.2016. 4 vedi ad esempio artt. 88, 96, 116, seconda parte cpc. 2 3

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Tribunale di Bari Sezione Stralcio Articolazione di Modugno r.g.a.c. 94000138/12 Il Giudice Unico, visti gli atti, sciogliendo la riserva che precede; osservato che: - Italsud Frutta Secca srl in liquidazione e i suoi fideiussori - Conte Maria Teresa, Maffei Michele, Taccogna Anna Rosa, Taccogna Michele - hanno proposto azione di accertamento e dichiarazione d’invalidità parziale del rapporto di apertura di credito, con affidamento mediante scopertura sul conto corrente n. 8358.74, stipulato fra la società attrice e la Banca convenuta, nonché di accertamento, a mezzo del ricalcolo delle competenze, dell’esatto dare-avere fra le parti contrattuali e quindi la restituzione, in favore della parte attrice, delle somme indebitamente versate, da quantificarsi previa CTU contabile; - l’eccepita nullità parziale involgerebbe, a dire degli attori, le clausole contrattuali di determinazione degli interessi ultralegali, della capitalizzazione trimestrale, della applicazione della commissione di massimo scoperto dell’applicazione degli interessi per cd giorni-valuta, dei costi, delle competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese. considerata la comparsa di costituzione e risposta con la quale la Banca, eccependo la prescrizione di quanto eventualmente indebitamente pagato dal correntista per le somme contabilizzate fino al 13.2.2002, ed invocando comunque la validità di ogni clausola contrattuale debitamente sottoscritta, ha chiesto il rigetto dell’altrui domanda; letta la CTU a firma del dr commercialista Nunzio Nuzzi; richiamati: A) i quesiti a suo tempo posti all’ausiliario d’ufficio, con ordinanza istruttoria del 15.4.2014, ove, in adesione all’orientamento giurisprudenziale prevalente in materia bancaria e condiviso nell’intestato Ufficio, si sono offerte precise indicazioni contabili mercè le quali procedere alla ricostruzione del rapporto ed al conteggio del saldo dare-avere; B) le conclusioni fin qui raggiunte dal CTU, nel suo elaborato e con il raffronto della documentazione in atti (comprendente pure la presenza di tutti gli estratti conto dall’inizio del rapporto, 1987, fino al 31.12.2008), ossia: l’assenza di un contratto di affidamento indicante l’importo del fido eventualmente concesso; la presenza di clausole nel contratto di conto corrente, siglato prima del 9.7.92, con rinvio agli usi su piazza1 e l’applicazione, di conseguenza, dei tassi legali sia a debito che a credito per tutta la durata del rapporto; l’applicazione della capitalizzazione trimestrale2 a decorrere dall’1.7.2000, per avere la dimostrato solo l’avvenuta pubblicazione su G.U. dell’adeguamento generico alla Delibera CICR del 9.2.2000 e così verificata dal CTU la pari periodicità di liquidazione degli interessi debitori e creditori da parte della Banca, con buona pace per il periodo precedente al 9.2.2000; esclusione delle commissioni di massimo scoperto3, degli Clausole nulle per indeterminatezza dell’oggetto secondo Cass. 14684/03. Da tempo la giurisprudenza di legittimità chiarisce l’ambito e le condizioni di operatività del cd anatocismo bancario: si vedano Cass. n. 13739/2003, n. 4092/2005, n. 4093/2005, n. 4094/2005, n. 4095/2005, n. 6187/2005, n. 7539/2005, n. 10599/2005, n. 10376/2006, n. 11749/2006, Cass. n. 11466/2008, Cass. Sez. Un. n. 21095/2004, Cass. Sez. Un. n. 24418/2010. 3 Per esse parrebbe porsi, così come già prospettato dagli attori, un problema di nullità per mancanza di causa, ovvero per l’assenza di indicazioni in ordine alle modalità di determinazione delle suddette commissioni ed a quale oggetto esse afferiscano (Tribunale Bari, sez. I, 1 2

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addebiti di spese ed altro, per assenza di determinata e specifica pattuizione; imputazione delle operazioni per data contabile di registrazione, in assenza della pattuizione dei giorni di valuta; riconsiderata l’eccezione di prescrizione a suo tempo svolta dalla Banca, alla stregua delle considerazioni svolte dal CTU, posto che, l’assenza di prova scritta per il contratto di affidamento, rende presumibile iuris tantum la natura solutoria delle rimesse (Cass. SU, nr. 24418/2010; più di recente Corte Cost. n. 78/2012), non avendo l’attore, gravato del corrispondente onere probatorio, fornito per tempo prova contraria al riguardo; rilevato che quest’ultima osservazione se allo stato impedisce l’emissione di un’ordinanza ex art. 185 bis cpc - che pure potrebbe in genere intravedersi come opportuna all’esito di una CTU contabile espressasi sui quesiti formulati dal giudicante in adesione agli orientamenti giurisprudenziali seguiti dall’Ufficio nella materia del contenzioso bancario - attesa la previa necessità di compiere ricalcoli contabili che rendono ad oggi difficoltosa una plausibile proposta bonaria capace realisticamente di condurre le parti alla conciliazione o transazione, nondimeno la stessa osservazione, unitamente alla natura tecnica degli accertamenti integrativi, rende opportuna la mediazione cd “delegata”, ai sensi dell’art. 5 co. 2 d.lvo 28/10, disposizione applicabile anche ai procedimenti in corso alla data della sua introduzione avvenuta con l’art. 84 dl 69/13 conv. in l. 98/13. valutato, infatti, che nell’espletamento di detta attività le parti potranno “prendere spunto dalle considerazioni fin qui appuntate al fine di individuare i temi della conciliazione in quanto idonee da un lato a sfrondare il thema decidendum oggetto del giudizio e dall’altro a fornire gli elementi tecnici per rideterminare eventuali competenze spettanti, in ossequio sia del generale potere di direzione del procedimento che l’art. 175 cpc riserva al Giudice per il più sollecito e leale svolgimento del processo (è l’AG a selezionare le questioni rilevanti per il processo in punto di allegazione, prova ed oggi -alla luce delle più recenti riforme - anche di sbocco alternativo della controversia) che degli obblighi collaborativi processualmente gravanti sulle stesse parti4-5; P.Q.M. visto l’art. 5, comma 2 d.lvo 28/10; assegna alle parti gg. 15 dalla comunicazione del presente provvedimento per l’avvio della procedura di mediazione; invita i difensori delle parti ad informare i loro assistiti della presente ordinanza ai sensi dell’art. 4, comma 3 d.lvo cit. e delle conseguenze processuali espressamente previste per il caso di mancata attivazione del procedimento dall’art. 5, co. 2 secondo periodo d.lvo cit., evidenziandosi sin d’ora che, in caso di mancato raggiungimento di accordo, si p rocede rà a riconvocare il CTU (con il conseguente aggravio di costi che le parti potrebbero superare con l’esame in contraddittorio della documentazione in atti e valutando le considerazioni rese nel presente provvedimento, conducendo peraltro il redigendo quesito ad un’unica conclusione contabile) perchè proceda a rideterminare: a) il saldo relativo al c/c oggetto di giudizio mercè l’adozione dei criteri di calcolo di cui alla precedente ordinanza istruttoria del 15.4.2014, partendo dal saldo del conto al 13.2.2002 in ragione dell’eccepita prescrizione. Rinvia per il prosieguo all’udienza del 29.9.2016, riservando, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, di riconvocare il CTU per il nuovo conteggio del saldo dare-avere secondo quanto evidenziato al punto che precede. Si comunichi. Modugno, 10.03.2016

II Giudice d.ssa Mirella Delia

12/09/2012, n. 2841). 4 vedi così in Tribunale di Bari, Sezione Stralcio – Articolazione di Altamura, dssa L. Fazio, 26.02.2016. 5 vedi ad esempio artt. 88, 96, 116, seconda parte cpc.

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