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Paolo Gaspari
chiunque si arrendesse o abbandonasse la linea e siccome i plotoni di 30-40 uomini erano comandati quasi esclusivamente da ufficiali aspiranti o da sottotenenti – e le compagnie di 150-200 uomini da capitani o tenenti – non sarebbe mai potuto accadere che centinaia di soldati si potessero arrendere o che fosse loro permesso di abbandonare la linea. Anche perché nei punti obbligati di passaggio nelle retrovie c’erano i carabinieri e reparti di cavalleria con compiti di polizia militare, senza contare che c’erano altri ufficiali e soldati di 2a e 3a linea alla distanza di due-tremila metri dalla 1a: nessuno avrebbe potuto lasciare impunemente il proprio posto. Prova ne sia che a Passo Zagradan gli ufficiali fecero accompagnare dal plotone arditi gli artiglieri che avevano abbandonato le batterie del Kolowrat a rioccuparle e che il comandante dei carabinieri del IV corpo d’armata dichiarò che non aveva visto, a parte quelli delle salmerie, soldati in fuga dalla zona dei combattimenti. Fu quindi un preconcetto delle classi dirigenti politiche e militari il fattore che rese credibile una stupidaggine come quella che fanti codardi e vili potessero determinare la rottura di un fronte tenuto da due milioni di uomini. Il vero problema è quello di capire come mai, con varie modalità e forme, si è creduto fino ad oggi a un Caporetto prototipo dell’inaffidabilità delle classi popolari avulse per loro natura dal “senso dello stato” e sostanzialmente non patriote. Senza la conoscenza delle questioni inerenti la storia militare non si possono quindi spiegare gli avvenimenti storici, né una guerra, né, tanto meno, una battaglia. 3°) La leggenda nera su Badoglio, Capello e Cadorna. Badoglio con le sue 13 pagine mancanti dalla Relazione della Commissione d’Inchiesta; Badoglio e “la trappola di Volzana”; Badoglio che aveva dato ordine di aprire il fuoco solo al suo comando e che poi scompare, ecc. ecc. Capello che non esegue gli ordini, ecc. In sostanza un attacco ai capi di Stato Maggiore, della 2a armata, e del XXVII corpo d’armata, come i responsabili della sconfitta, per le loro beghe. Tutte queste sfaccettature della leggenda nera di Caporetto furono possibili in quanto non si tentò di ricostruire nei dettagli l’insieme della battaglia. Ci si basò su prove indiziarie e sul preconcetto dell’italiano popolo non guerriero e di generali imbelli. Mancando la ricostruzione dei fatti reali, queste leggende poterono continuare a essere alimentate con spiegazioni politico-sociali che nulla aveva-
Introduzione
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no a che vedere con la realtà. Ne è una prova che buona parte degli storici stranieri presero per buona la versione “cadorniana” – sostanzialmente non contraddetta dalla Commissione d’inchiesta che appurò il cattivo governo degli uomini del capo di S.M. generale, ma non avanzò un’altra interpretazione del comportamento delle truppe –, per cui storici militari di fama come John Keegan, professore di storia militare alla Royal Military Academy Sandhurst, può scrivere nel 2001 senza tema di cadere nel ridicolo: “il disastro di Caporetto minò la reputazione dell’esercito italiano che non riuscì a riconquistarla nemmeno nella seconda guerra mondiale. Da allora ci si fa beffe comunemente e a buon mercato delle doti militari degli italiani”5. Nel secondo volume della Relazione della Commissione d’inchiesta su Caporetto pubblicata nel 1919, la Commissione, scartata l’ipotesi di Caporetto come tradimento, sposò l’ipotesi del cedimento delle truppe dovuto alla loro stanchezza e al malgoverno che ne avevano fatto i comandi, allo sfruttamento eccessivo senza alcun riguardo alle loro esigenze. Cedimento riscattato dalla riscossa sul Piave e sul Grappa e poi nelle vittoriose Battaglia del Solstizio e dell’ottobre 1918. Ancora una versione politica. Rimanevano in ombra le vere cause militari dello sfondamento del 24 ottobre 1917 e l’infinita tenacia delle truppe e dei comandanti nelle numerose battaglie della ritirata con l’unica eccezione del combattimento di Pozzuolo compiuto dalla cavalleria, corpo d’élite, fedele alla monarchia e all’onore, che veniva così esplicitamente a contrapporsi alla massa gaglioffa, infida, senza il senso del dovere, senza amore di patria. E che scappa. In realtà non scappò.
NOTE ALLA INTRODUZIONE 1.
C. Ginzburg, Il filo e le tracce. Vero falso finto, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 296, 297.
2.
P. Burke, Sociologia e storia, Mulino, Bologna 1982, p. 47.
3.
A. Gibelli, La fabbrica della guerra, Bollati Boringhieri, Torino 1991.
4. M. Viroli, Per amore della patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia d’Italia, Laterza, Bari 2001, pp. XIXXIII, 118, 167, 174. G. Zincone, Da sudditi a cittadini. Le vie dello stato e le vie della società civile, Il Mulino, Bologna 1992, pp. 45-68, 188-206. 5.
J. Keegan, La prima guerra mondiale. Una storia politico-militare, Carocci 2001.