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Margaret Mitchell Via col vento Riscatto

Libro 4

traduzione dall’inglese di Paola Mazzarelli

Prefazione

La quarta parte di Via col vento racconta i primi anni della Ricostruzione, cioè il periodo immediatamente successivo alla fine della Guerra civile, conclusasi nel 1865 – come abbiamo visto nel terzo volume – con la disfatta della Confederazione. È un periodo turbolento e di grande disagio per la popolazione immiserita e decimata dalla guerra, nel corso del quale – anche attraverso misure pesanti, come la temporanea sospensione dei diritti civili per i cittadini appartenenti alle classi dominanti e la legge marziale – gli stati del Sud vengono riportati nell’Unione.

La riunificazione era l’obiettivo primario che si proponeva Abraham Lincoln, presidente degli Stati Uniti, al momento della dichiarazione di guerra.

E allo scopo di dare un colpo definitivo all’economia del Sud e quindi accelerare la fine delle ostilità, era passato all’inizio del 1865 il XIII emendamento della Costituzione, che aboliva la schiavitù in tutti i territori dell’Unione. Tuttavia, secondo Lincoln e l’ala moderata del Congresso, una volta ottenuta la vittoria e scongiurato il pericolo di una spaccatura permanente, gli stati secessionisti avrebbero dovuto essere aiutati, grazie a un piano di finanziamenti e sostegni economici, a riprendersi dal disastro nei tempi più brevi possibili.

Via col vento. Riscatto

Ma pochi giorni dopo la fine del conflitto Lincoln venne assassinato e prese il sopravvento l’ala più radicale del partito repubblicano, che vedeva gli stati della ex Confederazione come terra di conquista e luogo di sfruttamento economico. Nel momento in cui dal terreno bellico lo scontro viene riportato sul terreno politico, per i repubblicani diventa essenziale impedire che negli stati del Sud il governo torni nelle mani delle classi dirigenti locali, all’epoca massicciamente appartenenti al partito democratico. Uno degli ambiti dello scontro è quello dell’estensione dei diritti civili – e in particolare del diritto di voto, perché decisivo in quel momento – alla popolazione nera, costituita in grande maggioranza dagli ex schiavi, che dalle campagne sono affluiti nelle città attirati dalle nuove opportunità, reali o presunte.

Questo è a grandi linee il contesto in cui si svolgono gli avvenimenti di questo quarto volume, che copre il periodo dal gennaio del 1866, quando Scarlett scopre che Tara rischia di finire in mano a speculatori senza scrupoli, fino alle elezioni del 1868, quando il repubblicano Rufus Bullock diventa governatore della Georgia. Sono anni drammatici, che vedono svolgersi su tutti i terreni, compreso quello della violenza terroristica del neonato Ku Klux Klan, lo scontro tra democratici e repubblicani, cioè tra la classe dominante del passato e i nuovi gruppi sociali che aspirano al potere.

Come nei volumi precedenti, anche qui la vita privata dei protagonisti è strettamente intrecciata alle vicende storiche e politiche e nella costruzione del romanzo non è un caso che l’annuncio del fidanzamento di Scarlett e Rhett Butler, la coppia che incarna i valori dell’America che esce vittoriosa dalla Guerra civile, venga dato proprio nei giorni della vittoria di Bullock, cioè nel momento della definitiva sconfitta politica del mondo a cui essi appartengono, ma dal quale – con piena consapevolezza l’uno, in modo istintivo e con- fuso l’altra – hanno preso le distanze. La loro unione è sentita come un affronto imperdonabile dagli altri personaggi: Rhett è uno “scallawag”, cioè un uomo del Sud che mantiene rapporti di amicizia e collaborazione con gli odiati yankee (un collaborazionista, diremmo oggi). Sposandolo, anche Scarlett diventa una scallawag. Traditori entrambi.

Ma della portata politica e simbolica delle proprie scelte Scarlett non è mai consapevole: lei guarda all’interesse del momento e allo scopo che si prefigge e, se un dubbio le sorge, ci passa sopra con leggerezza. Non teme di ricorrere a mezzi disonesti per ottenere ciò che vuole. Non si perita di sfruttare, quando ha bisogno di manodopera, il lavoro forzato dei detenuti, neppure quando scopre in quali condizioni siano costretti i disgraziati. Né si fa scrupolo di intrattenere rapporti d’affari con i militari delle truppe di occupazione e i “carpetbagger”, gli uomini del Nord – funzionari, affaristi, speculatori – giunti al Sud dopo la sconfitta della Confederazione. Categorie, queste, odiate senza mezzi termini al pari degli scallawag dalla popolazione locale, che nel romanzo è rappresentata dai parenti, amici e conoscenti di Scarlett, tutti appartenenti al ceto dirigente dell’anteguerra. In queste e in altre situazioni – nel farsi imprenditrice contro la volontà del marito, nell’insofferenza per la maternità, nel disprezzo delle forme e delle convenzioni – Scarlett manifesta la sua sostanziale alterità rispetto al mondo da cui proviene e a cui restano invece ancorati, seppure in modi e con atteggiamenti diversi, quasi tutti gli altri personaggi.

Questa quarta parte del romanzo (che da sola costituisce poco meno di un terzo dell’intero volume) è dunque quella che sancisce il definitivo passaggio della protagonista dal mondo del passato, sconfitto e destinato a sparire, a quello incerto e in divenire, ma ricco di potenzialità, del futuro. È un passaggio che può compiersi solo

Via col vento. Riscatto

perché intorno a lei, sul piano ben più ampio della Storia, avviene un altro passaggio, quello del rientro degli stati del Sud nell’Unione, cioè dell’assimilazione del mondo del Sud alla cultura e ai valori dell’America moderna. È un processo doloroso e traumatico: il peggio non è la guerra, ma ciò che avviene dopo, come osservano lucidamente tanto Ashley quanto Will Benteen. Ma Ashley è il mondo del passato, legato a una cultura e a valori che hanno le loro radici in Europa, e in questa quarta parte si consuma la sua definitiva sconfitta: in una sorte di morte dell’anima che fa di lui un involucro vuoto, senza dargli neppure la dignità della morte. Will Benteen, invece, non solo sopravvive, ma prospera: sfruttando le nuove opportunità con un pragmatismo privo di sentimentalismi, sposa una donna e una condizione di vita che nella società rigidamente classista dell’anteguerra gli sarebbero state precluse.

Se si legge il romanzo in quest’ottica – come grande affresco inteso a raccontare, dal punto di vista di chi ha subito la trasformazione, quel preciso periodo della storia americana – ogni personaggio, anche minore, e ogni episodio, anche all’apparenza rapsodico e a cui si accenni magari soltanto nei discorsi dei personaggi, acquistano un significato esemplare.

Tutto, allora, rientra nel quadro: i rapporti – variamente rappresentati – tra gli yankee e la popolazione locale, bianca e nera; i pregiudizi, le reciproche incomprensioni e le visioni stereotipate e di propaganda degli uni e degli altri; il pervicace attaccamento alle tradizioni dei frequentatori del salotto di Melanie, tra i quali figurano personaggi storici reali; le diverse sfumature con cui i membri più intraprendenti della giovane generazione, come René Picard e Tommy Wellburn, si adattano al mondo nuovo, senza per altro rinnegare del tutto i vecchi valori; la cinica visione di Nonna Fontaine; il sovvertimento dell’ordine sociale che si manifesta nella

Prefazione

diversa distribuzione della ricchezza e nella comparsa di un ceto di nuovi ricchi; la situazione di disagio e il senso di inadeguatezza in cui si trovano molti ex schiavi, ora liberi e però abbandonati al loro destino; la nascita del Ku Klux Klan; la manipolazione della popolazione nera per scopi politici contingenti e la nascita degli slum, qui esemplificata da Shantytown; le tensioni, le violenze e gli episodi sanguinari che segnano i rapporti tra bianchi e neri, radicalmente mutati con la guerra e a cui né gli uni né gli altri appaiono preparati.

Ciò che si legge in trasparenza nell’arazzo che il romanzo va intessendo dall’inizio, e che qui giunge a completezza, non è la nostalgia di un mondo scomparso, quel “regno del cotone” dell’anteguerra che molti personaggi rimpiangono. E a dimostrarlo basterebbero le figure di Scarlett e di Rhett, che se lo lasciano alle spalle senza voltarsi indietro. All’autrice interessa piuttosto dare conto del processo, doloroso e cruento, che vede soccombere quel mondo e nascerne un altro, e denunciare le contraddizioni e le lacerazioni che porta con sé, e che negli anni in cui scrive sono ancora vive e brucianti.

Non va dimenticato che Margaret Mitchell era nata nel 1900 e dunque apparteneva a una generazione i cui nonni avevano fatto la Guerra civile e che viveva direttamente le conseguenze, positive e negative, della trasformazione avviata allora e ancora in atto ai suoi tempi, anche se l’epoca della cosiddetta Ricostruzione era ufficialmente finita con il ritiro, nel 1877, delle ultime truppe federali dagli stati del Sud.

Paola Mazzarelli

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