Unknown Cremona:a journey between stills, mannerisms, musical and artistic suggestions of tradition

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Vi racconto Cremona tra alambicchi, manierismi musicali ed artistici, suggestioni della tradizione autore Giorgio Maggi, insegnante di Scienze Applicate e Tecnologie Industriali, chimico dirigente industria farmaceutica, membro Arte Lombardia Salò,Touring e ANISA (assoc. Naz. Insegnati di Storia dell’Arte) maggigim@libero.it

Introduzione: penso sia possibile raccontare verità, finestre sulla realtà, attraverso le suggestioni del verosimile che solo la novella sa organizzare. Appunti miei fatti per essere dimenticati in un cassetto e poi ripresi per il web alla ricerca di amici. Se io racconto e tu leggi, è possibile che la conversazione, per certi tratti assieme, possa creare congruenze, impressioni comuni … chissà forse il terzo suono del Tartini! NOVELLA FINESTRA Le stagioni di Cremona e il suono del violino Panorama di Cremona Caffè in piazza La grande Piazza Il quartiere dei liutai e dei negozi: un’unica La nascita del Violino e della liuteria cremonese umanità Antiche formule segrete cremonesi

Itinerari gastronomici: il menù la tavola di Stradivari Una sosta preziosa Itinerari musicali a passeggio tra armonie di chiese, palazzi, iconografie, collezioni e negozi: sinergie antiche e moderne della città. Ritornare a Cremona per scoprire soffitte e Ritorno a Milano sotterranei : il paradosso di vivere la città come trovarsi all’interno di un … violino.

INTRODUZIONE: Amare Cremona Come innamorarsi di un luogo se non educendo dal profondo dei nostri ricordi immagini ed affetti comuni. Amore si completa o nasce per coincidenza di eventi e in quel momento incanterebbe avere il conforto e la sintesi del poeta. Attraverso la narrazione d’amore o narrative writing si può parlare di politica del territorio con la necessaria ingenuità e semiotica delle emozioni (da Greimas) che a volte è richiesta per mediare la finestra delle complessità. Ci si innamora di Cremona per affetto ma anche per confronto: la città madre non fatica a ricevere affetto ma si lascia conquistare dal confronto di campanile con le vicine città lombarde. Presuntuosi giudizi sulle qualità nostrane si alternano a taglienti opinioni sui vizi dei cugini vicini. A Cremona ci si va per il suo violino, la sua cucina , la sua arte . Il turista viene e se ne va. Il visitatore affronta la decisione non programmata di una sosta più lunga … vede, osserva, confronta, si affeziona e poi si innamora perché nella città scopre una parte dimenticata di sé. Un vademecum in tal senso non può trascurare tradizionali adagi che si rinnovano armonicamente nei loro contrari come le stagioni della pianura. Il cielo al quale spesso si rivolgono amanti e bambini, è pesantemente umido nell’estate cremonese ma a tratti si apre per raccontare firmamenti sempre diversi.


NARRAZIONE 1: Le stagioni di Cremona e il suono del violino Era appena finita la guerra: una sera, una calda sera d’estate, quando lo spirito sembra più aperto alle verità nascoste, giovanetto mi sedetti sulla terrazza con mia madre e mio padre. Il sapore frizzante della limonata sembrava favorire una conversazione fatta anche di ricordi in rigoroso disordine. Cenni del capo, simili a contrappunti musicali o congiunzioni tra subordinate, sottolineavano racconti e silenzi significativi. I miei genitori, poco avvezzi ad eloquenze e filosofie, con aria serena mi mostrarono il cielo stellato. Mio padre ancora afflitto da inenarrabili ricordi di guerra, si profuse in una intonazione che pressappoco faceva così: “Der moralische Gesetz in uns… e il cielo stellato sopra di noi… “ e si mise a raccontare del suo violino, di come questo lo avesse salvato dalla violenza. Per il divertimento di brutali SS, suonava il suo violino sotto le stelle, uniche note musicali, spesso offuscate da un fumo nero acre che proveniva dalla ciminiera al limitare del campo esclusivamente assegnato a prigionieri ebrei. La mamma ascoltava , spesso interrompeva ricordando di aver vissuto i bombardamenti, orrendi per meraviglia, simili al crepitare dei fuochi artificiali che da sempre allietano la città nella notte di San Pietro. Le incursioni aeree più devastanti furono sul ponte di Po e alla stazione ferroviaria, proprio vicina al luogo dove quotidianamente essa si recava al lavoro. L’enorme botto, corpi insanguinati , le urla dei soccorritori apparivano disumane nella sua giovane mente di sartina per necessità. Ma poi, il racconto continuava parlando di casual e di prêt-àporter, di teoria del colore, del fascino delle creazioni di Cocò Chanel, di abbinamenti, di gusto. Mio padre si commuoveva nel raccontare il ” recitar cantando” di un dimenticato Monteverdi e dell’esigenza di recuperare la sua musica e il suono usando strumenti musicali appropriati come il “violino di scuola classica dell’Amati, il solo ammesso alla corte di Francia”, il “violino piccolo alla francese” o la barocca “viola da gamba” cremonese ben diversa da simili strumenti di fattura empirica di tradizione teutonica e veneta. Si può inventare un artefatto? Quale lenta evoluzione ha avuto lo strumento ad arco nelle botteghe di Cremona? Chi fu tra i liutai il primo a interporre nella cassa del violino la cosiddetta catena e quel minuscolo cilindretto di legno ovvero la sua “ anima” ? Quanto deve l’Arte, la Scienza e il Luogo all’Artigiano? Superficialità ? Banalità borghese? Sfoggio di cultura? No, grande voglia di ribellarsi alle convenzioni di un buio dopoguerra, soffrire nuove ipotesi soprattutto per ricostruire una didattica più indipendente rivolta a studenti attenti e curiosi? Riorganizzare la speranza distrutta da anni di guerra. Si potevano recuperare valori di un lontanissimo passato felice anche in una drammatica situazione di immediata sopravvivenza ? Ricomporre meccanismi in cui la fantasia, legata alle forme armoniche del disegno e della musica, quasi per sillogismi barocchi, si sarebbero riattivati? La Città, con la sua tradizione, le sue scuole e le sue botteghe sarebbe stata generosa come lo fu in tanti momenti diversi e “rinascenti” della sua storia. Come lo fu quando , in quella lontana notte di Natale, un violino seppe unire menti ed emozioni Mi disse<< ho orrore a pesarmi perché il peso è la misura della quantità della mia carne… il suono del violino invece è Arké, monade gnostica dello spirito libero… Beethoven sosteneva che siamo nati soltanto per la gioia e per la sofferenza… risonatori dal peso enorme ma sempre, amabilmente, malgrado tutto, sostenibili >> Gli artisti sono un po’ matti si è sempre detto, e mentre parlava, la neve smossa, emettendo scricchi e stropicci, comunicava instabilità , quasi assenza di peso. Un accalorato Maupassant mi suggeriva: ”era già notte, la notte bianchiccia delle nevi. I muti fiocchi bianchi cadevano, cadevano, seppellivano tutto sotto quel gran lenzuolo gelato, che andava sempre più ispessendo l’innumerevole folla e l’incessante accumularsi dei vaporosi pezzi di quell’ovatta di cristallo … si udiva soltanto quel vago scivolio della neve che cade, quel rumore quasi inafferrabile che fa l’aggrovigliarsi dei fiocchi … dalla porta aperta della chiesa si scorgeva il coro illuminato. Una ghirlanda di candele da un soldo faceva il giro della navata e per terra, in una cappella a sinistra, un grosso Bambin Gesù esponeva su paglia vera, in mezzo a rami di abete la sua nudità rosea e manierata. La funzione cominciava … le donne in ginocchio pregavano e seguite da marmocchi mezzo addormentati che si tenevano per mano nella notte …” Le vele del soffitto della chiesa dei


Frati, in via Brescia, sembrarono gonfiarsi all’inaspettato attacco del violino di Mario. Un suono cristallino e pulito ripeteva un’antica melodia che rievocava una lontana notte stellata. Seguì il canto e poi il conforto della benedizione finale. Un sipario di fiocchi bianchi sembrava riempire lo spazio, coprire la chiesa che era stata del famoso Fra Cristoforo Picenardi manzoniano … uscimmo … l’aria gelida costringeva a passi leggeri, il freddo ci intirizziva, tornammo a discorrere … a salutare. Lo ripeteva a destra e a sinistra, salutava ed aggiungeva indicandomi: << è il mio migliore amico>>, ed io mi sentivo come una composta di frutta accessibile esclusivamente ai radi abitanti della valle dell’Auvergne, rubando una curiosa sensazione cara allo scrittore Fruttero. << tu, sono io>> diceva Mario ciondolando la custodia del suo violino e continuava, parafrasando Kant per paradosso, << ci vediamo a priori>>. <<ci vedremo >> risposi io <<… per rivederci … finalmente e solo nello spirito.> Mario Maggi (Cremona 1916-2009), violista e violinista, insegnante alla Scuola di Liuteria di Cremona è mio padre, di lui si può raccontare una vita intensa dedicata alla musica e molte notizie si possono trovare in internet. In questa pubblicazione Mario è stato scelto come “testimonial” per raccontare, attraverso una persona che ha amato e raccontato Cremona con il suo violino. Un messaggio per il visitatore che istintivamente ami lasciarsi guidare dalle emozioni e che io, Giorgio il figlio, ho raccolto.

FINESTRA1 Panorama di Cremona

Si arriva a Cremona con facilità utilizzando l’autostrada, o il treno , attraversando un territorio a prima vista monotono intercalato da campanili, rogge e canali scavati tra filari di pioppi e qualche solitario gelso dimentico di una lontana età della seta. I campi si rincorrono modulando colori diversi in cui maturano soia, granoturco e girasole e i solchi del trattore disegnano grafie parallele. Cremona appare con sicurezza anche da lontano perché al di sopra degli alberi si staglia la grande torre chiamata affettuosamente dai cremonesi Torrazzo. Nelle giornate limpide per chi viene da Piacenza e attraversa il fiume Po, fanno da sfondo al Torrazzo le Alpi Orobie e bresciane con il curioso monte Guglielmo a forma di panettone e lontane cime come una perennemente annuvolata serie di colline che annunciano il monte Baldo a sinistra e il Resegone manzoniano a destra in una prospettiva curiosa ed irriconoscibile per un milanese. Per chi viene da Milano o Brescia gli Appennini emiliani sono fondale al Torrazzo: al di là del grande fiume a pochissimi chilometri in linea d’aria, la pianura che fu di Matilde, dei Farnese e di Maria Luisa d'Asburgo-Lorena accoglie e rimanda le sonorità amate da Giuseppe Verdi. Cremona per motivi storico politici, essendo nata da due antichi insediamenti lungo il fiume Po, ha la forma di un grande vascello (phaselus) e per alcuni di un liuto in cui le corde (strade) si congiungono attraversando le due piazze comunali, simbolo di lotte fratricide, e che il maligno sostiene siano tese nella grande Milano. Il viaggiatore proveniente ad esempio da Milano o da Piacenza non ha difficoltà ad attraversarla lungo la direttrice periferica segnata dalla antica via Postumia che porta a Mantova. A piedi dalla stazione la città si percorre lungo l’antico decumano da Ovest ad Est che accoglie il Tempietto del Cristo Risorto (di ispirazione bramantesca) affiancato alla romanica Chiesa di San Luca, l’Università di Musicologia nel quattrocentesco palazzo Raimondi, il medioevale Municipio della


bizantina Cittanova, la casa di Stradivari stretta tra costruzioni simili che raccontano antiche storie di commercianti ed artigiani, attori di una costante economia della creatività. Continua il corso dedicato ai Campi, famiglia di pittori manieristi del’500, sino alla “Galleria”, retaggio del Ventennio, e quindi la ecclettica “Platea Parva “ dedicata a Stradivari ed ai suoi allievi per poi raggiungere, l’incontenibile agli occhi, Piazza del Duomo o del Comune, variamente definita da tolleranti cultori di fedi diverse. L’affetto per Cremona vien camminando, tra palazzi dalle architetture educate, negozi dalle vetrine invitanti, vicoli stretti in cui il tempo sembra essersi fermato, gente discreta e prudente che ti sorride non solo quando tu sorridi. Là dove sono stati i bombardamenti dell’ultima guerra ora rimane un palazzo moderno di scarso carattere e una lapide scolorita, forse in pochi sanno indicarne il luogo mentre qualsivoglia cremonese saprebbe mostrare dove è custodita la tavola di Sant’Agata, il negozio del liutaio più vicino, il prezioso palazzo dei Trecchi soggiorno di Garibaldi e di un Ministero della Repubblica di Salò, il ben curato giardino sorto sulle rovine della chiesa dei Domenicani, luogo di indicibili sofferenze legate all’Inquisizione. In Piazza Stradivari si affacciano campioni di storia cittadina , dalla Torre medioevale del Capitano del Popolo ai portici secenteschi, ai recenti ricordi imperiali e razionalisti del palazzo della Camera di Commercio a forma di bandiera essendo costruito in rosso cotto cremonese, bianco travertino e marmo verde toscano.

NARRAZIONE 2 Caffè in Piazza

Il caffè è sotto i portici di Palazzo comunale, ci si siede su comode poltrone di vimini, e di fronte , per meraviglia, appare il Duomo. La facciata è un tripudio di marmi e fuga di colonne, avrebbe decantato il mio vecchio professore, fu voluta durante il periodo del papato di Gregorio XIV cremonese, nato Niccolò Sfondrati, dal volto sempre sorridente che, raccontano gli storici, non si sa se per mostrar gioia o per nascondere patologia. Rosoni, volute a riccio, archi sembrano modelli di perfezione per il violino che con imprimatur del mistico e di laico lapicida, nasce nella bottega dell’artigiano. Un pavimento regolare in marmo bianco dei laghi,porfido e rosso di Verona richiama gli scacchi: gioco simbolo di altrettanta eccellenza ben descritto nel rinascimento dal vescovo e poeta Marco Gerolamo Vida (1470 – 1566) e da Sofonisba Anguissola (1531 – 1626), nobile ritrattista cremonese alla corte di Spagna e amica di Michelangelo. Appena al di sotto un pavimento


romanico con animali fantastici, santi evangelisti, figure apotropaiche descrivono una città sapiente (la figura è un collage di elementi significativi del mosaico cremonese di inizio millennio)

Il caffè è un centro di osservazione dal quale si può veder passare la Cremona che conta: il sindaco sempre sorridente; l’industriale dell’acciaio, ideatore del Museo del Violino, mentre sale i gradini della Bertazzola è raggiunto dal saluto del padre penitenziere che lo accoglie per la santa messa; l’editore di testi e guide a lato del Battistero sta conversando con il liutaio la cui bottega, che si affaccia sulla Piazza, è stata ricavata nell’antico Ostello “alla Colombina” dove soggiornarono principi, e musicisti come Wolfgang Amadeus Mozart nel 1770, Johannes Brahms nel 1887 e Verdi. << IHS , Iesus Hominum Salvator sormontato dalla croce è simbolo dei gesuiti, lo stesso simbolo è sempre presente nelle etichette del famoso liutaio Guarneri del Gesù …>> disse il giornalista del quotidiano locale mentre sorseggiava un amarissimo caffè, << chissà quale mistero circonda la vita del liutaio che costruì violini dal sensuale carattere sonoro e per questo amati da Paganini, il diabolico violinista genovese>>. Il simbolo religioso utilizzato comunemente nelle associazioni e confraternite cremonesi del periodo barocco potrebbe riscrivere la storia delle innovazioni “segrete” nella liuteria. I gesuiti di San Marcellino a pochi passi dalla Cattedrale portarono a Cremona le nuove resine a lacca provenienti dall’Oriente, progettarono nuovi sistemi di distillazione delle acquaviti per ottenere miscugli vernicianti; introdotti sia in Francia che in Spagna, come ambasciatori super partes, offrirono e fornirono i manufatti artistici cremonesi nelle Corti europee. << esistono segreti nel lavoro dei liutai classici come Guarneri (Guarnieri) o Stradivari?>> Ipotesi cangiante: risponde “no” chi vuol mostrar la propria assoluta competenza, ovvero “ si” chi vuol mostrare irripetibilità ed unicità dell’opera d’arte sonora velandola di mistero in omaggio a colpevoli chimere letterarie>> Uno stormo di colombi attraversa la piazza in senso antiorario mentre l’orologio cinquecentesco del Divizioli ordina lo scandir dell’ora al “campanone”, rimescolando pianeti, costellazioni, oroscopi lancette sovrapposte. Chiosa il giornalista<< chi mai si è accorto che il simbolo dei gesuiti sulla torre di San Marcellino IHS letto da sud appare come SHI ovvero sigillo d’Ermes primo simbolo riportato sull’Enciclopedie di Diderot e base della misteriosa pratica alchemica?>> La piazza , quasi per negromanzia, si anima di enigmi, statue, alto e bassorilievi antropomorfi , alcuni detti “impietriti” fanno da capitello, leoni stilofori sembrano atterrire il pellegrino e divertire il giovanetto che per avventura vi si arrampica. Il Torrazzo veglia su un palcoscenico sempre uguale ma sfondo a storie e racconti veri o verosimili, tragici o piacevoli, narrati spesso con l’influsso dialettale lento della bassa ricco di congiuntivi, accenti e vocali che si prolungano raddoppiando. A lato la barocca San Girolamo tra le chiese più richieste per matrimoni fu per secoli chiesa dei condannati a morte.


Seduto, di fronte a tanta mescolanza di vicende, d’anime ed animi, un caffè ti rassicura, lo sorseggi gustandone l’amaro aroma così come faceva Giuseppe Verdi nei giorni di mercato . Al centro della Piazza una bimba rincorre piccioni affamati di mais. Tu turista amico, sei a Cremona, la città del violino che ti accoglie con familiare timbro e inaspettate intenzionali armonie.

FINESTRA 2 La Grande Piazza La carta ipsografica indica la Piazza posta sull’altura più elevata tra avvallamenti delimitati da corsi d’acqua come il Morbasco e la Cremonella e scelti dai legionari romani per il primo loro accampamento nel 218 a.C. Virgilio (70-19 a.C.), figlio di genitori cremonesi, studia nel suo importante liceo. La città romana seguirà le sorti dell’impero: si racconta che parte del tesoro di Nerone non rimase a lungo nella Domus data alle fiamme dai soldati di Vespasiano, i Bizantini la fortificarono e i Longobardi la distrussero sino alla rinascita voluta da due donne :Teodolinda e Matilde. In prossimità della intersezione del cardo massimo e del decumano, strade dell’antico castrum , nel basso medioevo i sopravvissuti romani costruirono il centro della citta fortificata Civitas Vetera con la fortificata Munitiuncola a difesa della cattedrale mentre all’inizio del nuovo secolo accoglieranno i “Burgenses”, discendenti delle milizie bizantine , dislocati nell’area della Cataulada o campo dei greci e chiamati “Abitanti della Civitas Nova”. Agli inizi del millennio un patto tra Omobono commerciante, mistico e politico e Imerio vescovo allargò l’abitato cingendolo con potenti mura. Nasce Cremona, si realizza l’unione alchemica dei contrari, del maschio e della femmina, della campagna e della città, del reale e del verosimile, della verità scientifica e poetica, di genti e di culture diverse, dei cibi e dell’agrodolce, dell’armonia. Nel XII sec la città, ingentilisce e perfeziona successivamente il suo ruolo di capitale sotto Federico II, arricchendosi di palazzi e chiese monumentali. La rivalità con i milanesi che ne contendono il dominio sulla Lombardia è forte: Cremona vanta una grande vittoria nel 1237 a Cortenuova, nella quale l’esercito cremonese batte quello della lega guelfa capeggiata da Milano, di cui conquista il “Carroccio”. Negli stessi anni appare la famosa “tavola di Sant’Agata” che secondo il racconto agiografico gli angeli posero sotto il capo della santa morta. La tavola dipinta secondo scuola bizantina raffigura su un lato la Madonna con bambino e la Pentecoste, tutt’intorno sono raffigurate le storie della vita della Santa che continuano anche sull’altro lato sino alla raffigurazione del supplizio. Interessante è la rappresentazione del terremoto di Catania che indirettamente ci conferma gli stretti legami tra Cremona e la Sicilia e quella contaminazione culturale voluta da Federico II sia attraverso le traduzioni dall’arabo Avicenna e Averroè del nostro Gherardo cremonese sia dei rapporti con la teutonica Köln di Alberto Magno attraverso il mistico san Geroldo.


La Piazza con eccentrico il Torrazzo si circonda di una cornice di architetture come il Duomo, il Battistero, La Loggia dei Militi, il Palazzo del Comune . Il luogo considerato tra gli spazi medioevali meglio conservati d’Italia si completa nell’arco di un secolo tra il XII e XIII sec. Alla torre alta 111 metri si accede dalla Porta detta del Paradiso, un unicum per il turista che vuole provare l’ebbrezza dei 487 gradini per poter godere dello spettacolo della pianura e del fiume Po. La Torre si racconta per affascinare con leggende ed aneddoti. Tra queste si narra che sul finire del 1413, il signore di Cremona Cabrino Fondulo accompagnasse nella visita alla Torre l’imperatore Sigismondo , il papa Giovanni XXIII e i rappresentanti di Firenze, Venezia, Genova, il marchese di Monferrato e il marchese di Mantova - desiderosi di concertare un comune vasto schieramento antivisconteo e antimilanese. Pare che il cremonese, caduto in disgrazia qualche anno più tardi, avesse confidato di aver avuto impellente il desiderio di gettare tutti questi dignitari dalla Torre: un gesto che avrebbe potuto fruttargli la Signoria di tutto il nord Italia. Seduti al caffè si può giocare di fantasia e immaginare nella Piazza il passare del tempo e dei personaggi che l’hanno attraversata. Hermann Hesse (1913 e 1926) scrisse in Ankunft in Cremona << uscii all’aperto, guardai sopraffatto dallo stupore e con un’occhiata sbalordita abbracciai Piazza del Duomo che si apriva davanti a me … i particolari arrivano all’occhio contemporaneamente con la loro musica e il loro perfetto accordo …>>. Dante Alighieri ne apprezzò il dialetto definendolo “musicale”, i Cappelletti in volontario esilio a Verona e noti come i Capuleti diventeranno protagonisti della tragica storia scespiriana, Ludovico Ariosto ambientò in città la tragicomica commedia del “Negromante” e il Tassoni nella sua “Secchia Rapita” si fece beffe della litigiosità tra guelfi e ghibellini cremonesi. Torquato Tasso ispirò il cremonese Monteverdi nella suo “recitar cantando” creatore del melodramma che evolse sino alle opere di Verdi e che a Cremona era di casa soprattutto nel quartiere dei liutai dove viveva la cognata Barberina Strepponi. Daniel Defoe in “Il colonnello Jack”e il Macchiavelli nel suo “Principe” non trascurarono di citare Cremona munita fortezza di confine e teatro di battaglie così come il Manzoni amò frate Cristoforo l’ epico eroe cremonese della peste. Goldoni adolescente sostò in Città durante un viaggio lungo il Po e al pari di Mozart partecipò alla vita musicale cremonese. Carla Fracci eterea ed elegante, Ugo Tognazzi, spiritosissimo con gli amici, Gorni Kramer, fisarmonicista della Rai-TV, contesero simpatia ad una indocile Mina Mazzini, mia esclusiva compagna di giochi quando mamma e nonna passavano interi pomeriggi di prova nella sartoria di mia madre in zona San Paolo. I passi incerti e lenti per l’improvvisa apparizione della magnificente piazza hanno accompagnato gli sguardi ammirati di Salgari innamorato della bella Ada, A.von Platen, Soldati, Fogazzaro, offrendo loro spunto per piacevoli e pure romantici ricordi giovanili. Pier Paolo Pasolini che visse alcuni anni della propria infanzia in via XX Settembre, la strada che raggiunge la Piazza, scrisse <<Cremona mi faceva lentamente suo cittadino, come può essere un alito d’aria, un raggio, mascherato dalla saggezza di un dodicenne … corso Campi, i giardini Pubblici, la Baldesio, il Ponchielli, ecco un’altra malattia, a cui la sua presenza dà quella specie di felicità con cui questi posti mi ricompaiono nel sogno>> A lato della piazza un piccolo bassorilievo raffigurante un suonatore di Cornamusa, ricorda un aspetto dimenticato della vita musicale di Cremona.Nel XV sec. il Comune aveva a disposizione un gruppo di suonatori a fiato, il “chorus tibicinium qui vulgo pifari dicuntur” e più tardi Societas pulsatorum piffari. Il gruppo musicale d’assieme era costituito da ottoni (prevalentemente tromboni) e cornetti a bocchino, strumenti ad ancia doppia come piffari, bombarde e cornamuse. I compiti dell’ensamble erano civili, ma anche religiosi: essi infatti dovevano suonare in cattedrale e


sul poggetto del Battistero, in tutte le feste pubbliche e processioni del Corpus Domini e dell’Assunzione . Osservando lo stemma di Cremona più volte riprodotto sugli antichi palazzi si osserva un braccio che sostiene una palla simbolo di una leggendaria singolar tenzone tra l’eroe cremonese Giovanni Baldesio affettuosamente chiamato Zanéen dé la Bàla e il figlio dell’Imperatore Enrico IV. “Fortitudo mea est in brachio” recita la scritta sottintendendo il braccio che lavora, che sa tenere un arco musicale ma che sa anche sollevare con indifferenza sia una spada sia una pesante palla d’oro. L’imperatore della lontana Franconia pretendeva annualmente da Cremona un ricco tributo di una palla d’oro per le casse dell’Impero. La storia, come è ovvio debba essere, finì con la vittoria di Giovanni amato da Berta , che forse avrebbe potuto infierire con minor impeto sullo sfortunato imperatore già pesantemente umiliato a Canossa. È certo comunque che Cremona non pagò più tasse all’Impero … poi la storia come si sa , in mancanza di altri Giovanni, seguì altri destini…)

NARRAZIONE 3 Il quartiere dei liutai e dei negozi: un’unica umanità Il turista che ama perdersi nella città come spessissimo capita a me, passeggiando per il centro, non può non arrivare in “Galleria”, un centro commerciale ante litteram in stile imperiale degli anni del novecentotrenta costellato di negozi delimitato dalla magnificenza di colonne di marmo rosa di Baveno. Doveva essere forse la risposta “modernista” all’eclettica e umbertina galleria milanese. Per costruire questo discutibile oggetto d’architettura il Ras di Cremona, eroe per pochi anni di scelte politiche variamente aggettivabili, fece abbattere senza pensarci l’intero sobborgo del quartiere dei liutai.

Nel primo collage la Galleria si affaccia sullo spazio dei giardini pubblici

Il secondo collage ricostruisce e illustra a 180° la zona prima delle demolizioni. A destra, al posto della Galleria, si trovavano le case dei liutai, al centro san Domenico luogo di sepoltura di


Stradivari. A sinistra San Matteo, il Torrazzo e i portici secenteschi sulla Piazza Piccola ora dedicata al maestro con quella scultura che fa il paio con una simile in Piazza Marconi. L’opera in bronzo sembra trasmettere al fanciullo gli affanni dell’artigiano accanto ai suoi strumenti, le intenzioni creative dell’artista e con la memoria della tradizione, l’epica di un vissuto quotidiano che nulla ha di leggendario come spesso la storia trasfigura.

Fino a poco tempo fa, nel luogo dove era la casa della maturità Antonio Stradivari , una paninoteca emanava profumi di oli fritti, ora una gelateria offre ottimi semifreddi variamente colorati forse metafora di colori, oli, albumi colloidali a ricordo di vernici preziose proprio nello stesso luogo in cui il maestro, già maturo negli anni, accordava i suoi strumenti profumati di resina e colorati come se i suoi violini fossero di cioccolato, fragola e zafferano. Il testamento olografo del maestro (datato 29 gennaio 1729 – fondo notarile Archivio di Stato filza 6390) inizia così: “Io, Antonio Stradivari questa vollo che sia la mia ultima volontà in tanto che la mente è sana e di corpo e di mente” e continua, con la peregrina debolezza dell’antieroe che paradossalmente ne evidenzia l’umanità , lasciando alla moglie i vestiti, al figlio Francesco la casa, a Paolo denaro contante, agli altri tre maschi niente perché disobbedienti o fattisi religiosi così come le due figlie Giulia e Caterina. La vita dello “stakanovista del violino”, come lo definì lo spagnolo Josè Cela premio Nobel 1989, finisce così entrando nel mito delle sue creazioni. Per compensare la delusione del curioso turista arrivato sin qui per vedere la casa di Stradivari che non esiste più, perché non permettergli di offrirsi un dolce tradizionale offerto generosamente dai diversi e caratteristici negozi storici cremonesi? Negozi, architetture, persone, agrodolce a Cremona si completano tra loro con sinergie che solo la piccola città di provincia sa creare: potrebbe capitare al turista, durante la sosta gustosa di pasticceria, di sentirsi suggerire racconti lontani come questa storia di dolce pane e sofferente pena. Si chiamava … come si chiamava? Carlo dalla sua stanza sopra il forno famoso sentiva cantare i suoi compagni alla partenza “siam partiti, siam partiti per Gorizia maledetta …e per molti il ritorno non fu”. Vigliacco, schernitore di carne umana, maledetto dagli eventi, occhi sbarrati alla ricerca del chiaror lunare, coricato in un letto sfatto faticava a pensare. Pane dolce, pirléen e torta Cremona, mostarda e torrone della forneria sottostante rilasciavano profumi carboidrati e orribilmente si trasformavano anagrammando e caramellando in dolorosa pena. La mamma, le sorelle, il padre lo sollecitarono a presentarsi, il proclama di Cadorna parlava chiaro: i disertori sarebbero stati giustiziati. Percorse quel lungo vicolo tra ortaglie e case cadenti dove ora è piazza Marconi e il Museo dei Violini, raggiunse la caserma lungo la via denominata “del cannone”. Partì la sera stessa per le foreste del fronte là dove le tavole armoniche dei violini cremonesi crescono all’interno degli abeti rossi e stagionano alla luce della luna ( Mondholz). Dopo due giorni un fonogramma ne annunciava la morte in prima linea. Eroe epico all’incontrario, Carlo ritornò alla terra ed ai suoi speziati sensi.


Passando in un qualunque vicolo del Centro tra negozi di liuteria e goloserie si può meditare sulle verosimiglianze che richiama il profumo di pandolce associato a quello di pino e lacrime di resina.

FINESTRA 3 Liuteria cremonese La nascita del Violino e della liuteria cremonese Introduzione: Mario Maggi insegnante e ricercatore (Bibliografia in www.collezionemaggi.altervista.org) Siamo alla fine degli anni ’70, stanno uscendo le edizioni tradotte in Italiano delle opere di Sachs e Winternitz e le belle edizioni anastatiche della editrice Forni del Lanfranco (Scintille di musica). Mario rilegge per le lezioni ai suoi ragazzi di liuteria l’enorme produzione sull’argomento musicale liutario a partire dai “Pifferari… di Cavalcabò ed a seguire le opere del Cavalcabò, Bresciani, Bonetti, Santoro, Puerari, Gualazzini, Hill, Bacchetta, Disertori, Tintori, Cavalli, … Gli appunti di Mario insegnante alla Scuola di Liuteria, sono un collage di informazioni che spesso collidono tra loro ma aiutano alla ricerca di una verità storica che è intelleggibile anche nei resti iconografici giunti sino a noi. Ho assistito a discussioni sull’argomento con il giornalista Santoro (che mi fece dono nei suoi scritti di citazioni immeritate) e Panena , il musicologo Raffaello Monterosso, i direttori Gavazzeni e Gerelli, le concertiste Ada e Gianna Stradivari, Franzetti, e i Riccardi primi strumentisti della Scala, i liutai Pietro Sgarabotto, Tatar Krilov (senior) e David Segal (collaboratore di Sacconi che partecipò alla ricerca sulle vernici di Stradivari con Adriana Rizzo del Metropolitn Museum) colpevolmente dimenticati dai cremonesi, un vulcanico Bergonzi, un artista della fotografia come Quiresi che lascerà in eredità la sua passione a Regis e Diotti, i Gualazzini padre e figlio, Barosi che per primo realizzò analisi percettive, timbriche e acustiche del violino in camera anecoica e quanti altri nel salotto di casa davanti a manoscritti ingialliti, libri polverosi magari affiancati ad un caldo e buon caffè della mamma Maria. La sua avventura nasce con la famosa Mostra Stradivariana del 1937, si arricchisce durante le manifestazioni Monteverdiane negli anni ’60 e ’70 e si completa nella Scuola con i suoi ragazzi.

A sinistra durante le prove degli strumenti alla mostra stradivariana del 1937 con Colonnelli, Brasi, Varesi; a destra durante la rappresentazione del “Combattimento di Tancredi e Clorinda” regia di Zeffirelli, con il direttore Gerelli, e Franzetti, Riccardi e Negrotti. Con Nino Negrotti, concertista e notissimo organologo cremonese (…notisssimo si fa per dire non a Cremona ma a Parma dove è


conservato il fondo librario a carattere musicale alla Sezione di Musicologia dell’Università di Parma acquisito nel corso degli anni Ottanta con migliaia di titoli), affrontò il tema della interpretazione musicale monteverdiana soprattutto durante le diverse performance ai festival di Aix en Provence, Beirut, Atene, Versailles, Monaco, ma anche la relazione tra musica e scienza a Cremona (lo studio di documenti archivistici relativi alla produzione musicale all’interno dell’ospedale in Santa Maria della Pietà e spesso elementi di alchimia e medicina affiancati a specifici inventari di collezioni di strumenti musicali come quelli di don Francesco Corradino e don Alessandro Lodi ). Il pittore fiammingo (cat. 268 – Museo Civico Ala Ponzone) illustra Giobbe ammalato confortato da cornamusa e ribeca. Nella stampa datata 1516 è evidente la comunione armonica tra Platone, Aristotele, Ippocrate e Galeno. L’ensemble di strumenti musicali mostra tipiche violette senza tasti con 3 e 4 corde , con un disegno che evidenzia dimensioni, punte, rosetta e cavigliere a riccio..

Le discussioni continuavano negli anni settanta con liutai come gli amici Bissolotti , Conia, Takashi, e più avanti con Amighetti, Pestoni e Teocari e in specifici corsi regionali che vantavano la compresenza di Mario e mia con insegnanti come Gilbert Solomon per il restauro, Scolari e Morassi per la liuteria, Albarosa per la storia della musica con la produzione di dispense specifiche e assolutamente originali per il tempo. Studi e scambi di vedute, nascevano con la finalità di ricostruire lo strumento nel modo più verosimile alla ricerca di perdute sonorità per progetti concertistici che poi si sono puntualmente avverati. Una ricerca fatta anche attraverso la iconografia cremonese. Non fu trascurata la rilettura di ipotesi legate alla matematica delle curve in liuteria nella definizione del disegno del primo violino: con colleghi nello stesso ambito scolastico come Anna Maramotti ed Elda Fezzi che si complimentò per i disegni esposti all’ADAFA e Pigoli confermarono la concomitanza della riscoperta delle concoidi, cissoidi, lemniscata dei classici riprese da Tartaglia, delle congruenze del disegno liutario legato al rapporto aureo, e delle rodonee di un successivo studioso secentesco come il nostro Guido Grandi.


Mario, moderno alchimista di armonie, non si vergognava di sporcarsi le mani studiando formulazioni a base di gommalacca, coloranti improponibili, soluzioni microcristalline di lacche da erba guada e ratania o colloidali di silice estratte da un cespuglio di equiseto che cresceva spontaneo in vicinanza delle rive della cremonella in San Rocco.

Mi sollecitò, con critiche riletture, a presentare nel ’75 all’Università di Pavia una tesi sulla chimica delle resine e delle vernici antiche che ebbe il plauso del prof. Grünanger, figura essenziale per la Chimica del secolo scorso. Il lavoro servì a far nascere nei pochi interessati dubbi (ritenuti da alcuni inopportuni per convenienza) sulla paternità di alcune affermazioni sulla chimica delle vernici: il buon Nagywary nel 2005 scrive con malizia: “The greatest breakthrough in our knowledge of the finishing technology used some 200 years ago came from the craftsman F. S. Sacconi in 1972 who said that Stradivari’s filler could have been a potassium silicate solution.5 (My guess would be that a local chemist – the unsung hero who has remained unacknowledged – provided the analytical data to him.)” Forse il disincantato e sconosciuto eroe cremonese per le scarse e stravaganti nozioni di chimica che dimostra nel testo si potrebbe ricercare tra amici come il Dordoni che aiutarono il tollerante liutaio nella stesura dei suoi famosi “Segreti”. Merito del nobile Sacconi è stato comunque quello di stimolare le più insolite ricerche sui materiali utilizzati dagli antichi, non a


caso si discute di liuteria all’interno del Museo della Chimica all’ITIS Torriani di Cremona e il Laboratorio Arvedi di analisi chimiche è stato istituito a fianco del Museo del Violino a Cremona. A distanza di circa quarant’anni la storia della liuteria a Cremona non ha fatto grandi passi, sono uscite pubblicazioni che ripetono in larga misura a fianco di notizie certe ipotesi cavilli e fantasticherie di allora (ancora oggi i “si suppone” si sprecano) magari con aggiunte di immagini pur preziosissime per delineare un percorso storico necessario alle stesse idee progettuali ma con nuovi attori con apparente superficiale informazione "di scuola". Il contributo di Mario è stato quello di offrire le sue idee a tutti anche a chi se le è fatte proprie dimenticandolo e relegandolo nel ricordo ad un semplice …collezionista antiquario . Oggi su internet e in libreria si trova di tutto e di più, il rigore della ricerca forse si è un poco affievolito, la patinatura dei testi ha sostituito il valore dei contenuti, ma con orgoglio posso dire che Mario pur con mezzi di comunicazione più discreti, aveva visto giusto. Le ultime lezioni di Mario all’età di novant’anni al Liceo Artistico Munari di Crema hanno riguardato proprio i suoi laboratori sulla storia, l’acustica, la scienza dei materiali e la classificazione dello strumento musicale.


All’ITIS Torriani in occasione della Notte dei Musei i ragazzi ricordano le lezioni del prof .

Al Museo in Sala Puerari, il prof. De Lorenzi al violino ricostruisce la lezione di Mario su Caravaggio suonando Arcadelt e Baldwin accompagnando la recitazione del Cantico dei Cantici: una bel pomeriggio offerto dagli amici, Ferrari-Romanini, Diotti, Regis, Bergonzi


Una rilettura della liuteria cremonese: ipotesi e contributi originali. Liuteria è un sostantivo con una curiosa etimologia che oltre al significato specifico, sembra indirettamente evidenziarne l’origine geografica. A tutt’oggi il termine non esiste nei paesi anglosassoni in cui il semplice artigiano è classificato: maker of stringed instruments o lute-maker in Inghilterra o Geigenbauer in Germania: alla lettera, fabbricanti di strumenti musicali a corda o genericamente liuti . Il termine liutaio nasce nei paesi di cultura latina nel Settecento (Enc. it. XXI 312) ma c’è chi, inguaribilmente amante del vernacolo cremonese, sostiene sia nato da una parola del dialetto liuter ( leggi liutèer) come dimostra un documento del 1526; il significato esteso dal costruttore di liuti si allarga ad una nuova e complessa disciplina che arriva a comprendere l'arte di fabbricare strumenti musicali secondo canoni scientifici e di tradizione organologica, a Cremona diventerà violinaro . Liutista è invece termine noto: secondo Vincenzo Galilei (1581), padre di Galileo, è “chi suona il liuto”, strumento musicale derivato dall’arabo al ’ud (semplicemente “il legno”). Fiddler nei paesi anglosassoni è il violinista ma anche l’imbroglione: poco rispetto si presume anche per i fiddle- maker. Lireri erano i costruttori di lire ad arco viole e violette e la cui tecnica di costruzione era invariabilmente affidata alla fantasia ed all’estro dell’anonimo costruttore con esperienza di “marangone” o falegname. Va ricordato che già dal 1388 i falegnami avevano ottenuto la dignità di Statuti specifici approvati dalla comunità e successivamente dagli Sforza; nel 1576 a Cremona, l’Archivio conta 189 capifamiglia impiegati nella lavorazione del legno e tra questi fabbricanti di zoccoli, botti, mobili, ma uno solo si dichiara specialista nella esclusiva fabbricazione di strumenti musicali, l’Amati figlio di Gottardo maestro marangone. (nel 1590 Giovanni Maria Cironi e figli “lavorano di cithare, violini, et anche fanno legni da citre” da Cavalcabò,Gualazzini) In Duomo G.Sacca e A.Gavarni (1570) scolpiscono la cassa dell’organo con figure mitologiche. Un secolo più tardi Stradivari si avvarrà dell’apporto di ebanisti e scultori come il F.Pescaroli nella cui casa Stradivari visse tra il 1667 e il 1680, il Bertesi (1643/4-1710) il Chiari (1654-1727) e dell’architetto Capra che operarono soprattutto in Duomo, san Marcellino e in Battistero.


Armadio del Platina sec.XV con liuti ed attrezzi di falegnameria

La Corporazione dei legnamari, la maggior parte dei quali assieme ad artigiani del legno si raccoglieva nella Congregazione della B.V.M presso i Gesuiti. assunse talmente importanza che commissionò l’altare di san Giuseppe in Cattedrale. Le materie prime per la preparazione di vernici provenivano dalla Farmacia dei Domenicani e dal laboratorio di scienze dei Gesuiti che per primi importarono la gommalacca indiana. Il mercato del legname dal centro della città lungo la strada di San Gallo nel 1758 si spostò sulla piazza di San Michele. Molti artigiani intagliatori e liutai appartennero alla comunità degli artisti del legno e tra questi il liutaio Giuseppe Guarneri detto del Gesù,(1698 - 1744) e il citato Giacomo Giovanni Bertesi nato (1643 - 1710) interprete di una tradizione di artisti e legnamari che risaliva a Persichelli, Giovanni Battista Viani, Gabriele Capra, Giovanni Maria Germignaso e, ancor prima, ai magisteri ab intaliis del XV secolo. Importante fu anche l’ ebanisteria settecentesca locale con Carlo Antonio Febbrari, autore dei due confessionali nel 1729 per la cattedrale, e Giuseppe Chiari, che operò sempre in duomo. La riforma scolastica teresiana (1774-1786) introdusse la specializzazione nell’ornato, attraverso lezioni serali e domenicali, rivolta soprattutto agli apprendisti e giovani artigiani dediti alla falegnameria.


Dall’epoca classica al medioevo l’iconografia suggerisce come da sempre siano stati costruiti strumenti musicali, gli arabi ed i celti con i loro prototipi a cassa armonica (cetra, mandola, crotta, rebab, …) con forma variabilmente di recipiente ricavati in una zucca, noce di cocco, carapace di tartaruga o legno scavato a barchetta, creano la matrice per la nascita di uno strumento acusticamente adatto al musicista e poeta che lo utilizza con accompagnamento armonico alle sue opere: “viola cum arculo ad historiarum recitationem” da Tinctoris (1487). Nasce contemporaneamente al miglioramento di una nuova e più elegante forma grafica dello strumento, la ricerca di materiali adatti a favorirne l’acustica. I cremonesi si affidano all’abete rosso maschio delle foreste di Paneveggio e all’acero oppio nostrano o proveniente dai Balcani. I cugini bresciani usano spesso essenze nostrane come il cosiddetto cedro rosso, una cupressacea, simile al cedro del Libano, meglio conosciuta come ginepro, Juniperus communis o oxycedrus detto anche Appeggi e differente dal cedro rosso americano o Thuja Plicata. essenza cipressina endemica del Garda ma purtroppo in estinzione per malattie o (da Riccardo Groppali) “per soffocamento, assediati da una vegetazione arbustiva e lianosa eccessiva. “ . La viola da gamba di Gasparo da Salò dell’Ashmolean Museum di Oxford in particolare , ed altri, sono stati costruiti utilizzando per la tavola armonica un legno della varietà nostrana di cedro. Al Conservatorio Cherubini di Firenze, per confermare l’eccezione, è conservato un violoncello di fine '600 esposto tra gli strumenti di Stradivari con tavola armonica ritenuta da alcuni in cipresso per la natura particolare del legno (da un inventario del 1700 ”Un violoncello da Gamba a quattro corde, con fondo di abeto, ponticello


fascie e corpo di acero verniciato con due filetti neri intarsiati su le testate torno torno”). Anche la tavola della cetera di Girolamo Virchi conservata a Vienna si ritiene sia costruita con questa essenza. Iconografia e riferimenti etnici per indagare le origini del violino: verità articolate, sfaccettature e ipotesi. Lo strumento sonoro evolve in Europa attraverso i secoli diventando nelle varie lingue per lo strumento ad arco: viel, vielle, vihuela, grosse geigen, ovvero rebec, ribeche, Kleinen geigen. (Gli strumenti della collezione di Mario Maggi nascono proprio per affrontare visivamente la lenta evoluzione dello strumento: da immagini diverse gli studenti di Mario ne ricostruiscono per tappe la morfologia evitando l’errore della semplificazione che assicura contemporaneamente certezze e banalità. È messo in evidenza il concerto d’angeli i Santa Lucia a Cremona in cui appare definita la forma della viella bassomedioevale nel nord Italia. Si fa notare che riproduzioni e disegni della collezione datano fine anni ’70 quando gli unici studi sull’argomento sono quelli di Auguste Tolbecque - L'Art du Luthier, Niort 1903)

Il lungo cammino dello strumento vede la trasformazione del rebab nord africano e della liriza est europea in ribeca o giga strumento soprano affiancato ad una generica viola che riassume le caratteristiche del rebab siriano , della lira anatolica e della crotta celtica. Per curiosa fusione di forme alla fine del’400 nascono in Europa, le cosiddette violette, strumenti di “transizione” secondo Kolneder già molto simili al futuro violino; esse vengono chiamate wälsche che nel tedesco antico vale per “italiane” o “latine”. (nell’immagine strumenti della collezione Mario Maggi illustrano un articolato percorso storico)


Il medioevo vede le prescrizioni di GIROLAMO DI MORAVIA , frate parigino Domenicano che ,nel suo "TRACTATUS DE MUSICA" del 1260, descrive lo strumento musicale ad arco con due modelli con: …una accordatura che preveda l’uso di corde di bordone ( cioè fuori dalla tastiera) , usata dal cantante o cantastorie per l’accompagnamento nel canto con tecniche ad accordi …una accordatura con tutte le corde a tastiera : " è necessario ai laici ed a tutti gli altri canti , principalmente gli irregolari, che vogliono scorrere frequentemente per tutta la mano "(intendendo il sistema musicale di GUIDO D’AREZZO ) e indicata quindi per strumenti solisti nella pratica musicale profana. Lo stesso strumento medioevale, la viella (vihuela) si differenzia solo per la funzione e successivamente si diversificherà nella forma e nelle dimensioni rispettando la diversa funzione: la lira con corde di bordone e tastature come il liuto e morfologia del contralto tenore si distinguerà dallo strumento soprano come la “violeta” di Santa Caterina, clarissa francescana di Bologna (1413 - 1463.) o le violette (traduzione dallo spagnolo di viola o piccole viole senza tasti e non più vihuele) di Lanfranco e Ganassi che pubblicano agli inizi del ‘500 in coincidenza con l’arrivo nella Pianura Padana degli spagnoli di Carlo V)

L’evoluzione è talmente lenta e la sperimentazione di forme e tessiture è talmente variegata che lo strumento con tasti, più adatto all’accompagnamento, evolverà nella famiglia delle viole da gamba e da braccio ma anche , ma anche nelle meno tradizionali division viol, viole bastarde , che dopo il 1600 furono convertite in violoncelli sostituendone il manico.


La costruzione dello strumento sino alla prima metà del XVI sec. è ancora assolutamente affidata al falegname, ebanista, buon ideatore nel legno di cornici, pentole e cucchiai ma che nel contempo è praticone che inventa, migliora, sperimenta. Il patèer a Cremona è trovarobe, rigattiere, robivecchi (patée in Milanese), straccivendolo e intagliatore di pàtere, ciotole usate nell’antico mondo grecoromano per libagioni alle divinità e diventate comuni oggetti di stoviglieria. (il cardinal Cusano individuerà in questo umile artigiano l’inventore rinascimentale del concetto e della pratica della misura). I più noti patèr, commerciati di oggetti e strumenti diversi, joueurs, provengono dal Tirolo, dalle valli orobico-lombarde o al seguito delle truppe franco spagnole con violons e vihuele presumibilmente, scambiano con i cugini cremonesi la raffinata esperienza della Cappella Musicale con attrezzi, idee e segreti di bottega. (Nel 1526,Giovanni Leonardo da Martinengo, patèr e liutèr ha tra i suoi famèij (lavoranti) tale Andrea che molti hanno individuato in Amati). Pochi, poco conosciuti e curiosi sono gli strumenti musicali che ci giungono dal rinascimento spesso in forme antropomorfe e zoomorfe ma servono a intuire un momento storico importante in cui strumenti medioevali come ribeca e viella tendono a fondersi in un unico modello forse più ergonomico, sicuramente con una migliore e più potente acustica per le nuove necessità musicali. (il termine “bastarda” per la viola è stata utilizzata da Praetorius per evidenziare proprio viole da gamba con caratteristiche comuni a strumenti diversi) N

(Nella immagine diverse tipologie di ribeche, lire da braccio e da gamba rimaneggiate pesantemente nei secoli successivi)

del ‘500 alcune

Il violino arcaico: uno strumento simile nella grafica nella iconografia cremonese.


Nella prima metà del ‘500 Lanfranco identifica nel 1533 “violette da arco senza tasti” con tre corde nella tessitura alta e il Ganassi “viole da brazo” nel 1543 mentre a Cremona si sviluppa la violetta a 4 corde senza tasti (generica intermedio tra “viola soprano da brachio” e violino come rif. Kolneder ) con rosetta ben descritta da Agricola e Virdung. Nel nuovo strumento a differenza della viella-lira, detta dritta perché indifferenziata nella suo disegno, si evidenziano le punte , una curiosa rosetta tipica del liuto, e la mancanza dei tasti che saranno la caratteristica prima della famiglia di strumenti moderni come il violino. Non è azzardato pensare che l’uniforme grafica dello strumento sia stata proposta tra gli altri anche da Leonardo da Vinci che alla fine del ‘400 arriva nel Ducato di Milano. Ludovico il Moro con la sua corte ha fissa dimora, concede udienza, riceve gli ospiti nel castello di Santa Croce a Cremona. Ludovico, mentre prepara nella città padana la Dieta con Lorenzo il Magnifico (1482) contro la Serenissima accoglie Leonardo da Vinci con la sua lira d’argento come riferisce Giorgio Vasari nelle Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti : “Lionardo portò quello strumento ch’egli aveva di sua mano fabricato d’argento gran parte, in forma di teschio di cavallo, cosa bizzarra e nuova, acciò che l’armonia fosse con maggior tuba e più sonora di voce. Laonde superò tutti i musici che quivi erano concorsi a sonare……”

L’interesse per lo strumento musicale ad arco è evidente nelle cronache relative a Isabella d’Este che si serve di viole da gamba a Brescia, il papa Alessandro VI (1492-1503) che permette l’introduzione dello strumento derivato della antica vihuela spagnola, Alfonso d’Este che ordina a Venezia viole da archo. Strumenti adatti per chansons fiamminghe e frottole italiane. Va chiarito che il complesso periodo di transizione tra il‘500 e gli inizi del ‘600 degli strumenti ad arco spesso non è supportato da una nomenclatura specifica, rimane univoca nel tedesco Geige o nella generica viola. (Nino Negrotti nelle celebrazioni monteverdiane pretese d’accordo con Ennio Gerelli una enorme viola …48 tenore per meglio temperare equilibri armonici tra strumenti diversi che prevedevano violini piccoli, viole da brazzo e da gamba nella partitura dell’Orfeo e del Combattimento di Tancredi e Clorinda e la Sonata decima "due violini, violetta da braccio e tiorba" di C. Monteverdi) La fusione agli inizi del ‘500 tra strumenti ad arco di Agricola e Virdung, diversi per morfologia, si evidenza nell’immagine seguente, operazione di collage per tentare di spiegare la nascita dello strumento ibrido ( bastardo).


Il termine vezzeggiativo violetta rimarrà per lo strumento a tessitura più bassa per distinguerlo dal violino sino al ‘700; Nel tardo barocco violetta stava per piccola viola, infatti diverse erano le misure della viola contralto, nel 1728-29 Angelo Ragazzi (1680 – 1750) comporrà Concerto in B minor per quartetto violino, violetta, cello e basso continuo, ma anche composizioni per violino e violetta. Alessandro Scarlatti [1660 - 1725] scrisse nel 1725 concerti di flauto, violini, violetta e bassi; è noto di Bach, Carl Philipp Emanuel (1714 – 1788) il Concerto per il Cembalo con 2 Violini, Violetta e Basso e la Sonatina a Cembalo concertato con 2 Flauti traversi, 2 Violini, Violetta e Basso; di Giuseppe Palomino 1785 concerto per due Violini, Violetta e Basso. Il “gusto” della sperimentazione e fusione tra strumenti a tessitura e morfologia diversi è ben rappresentato dal lavoro di Giovanni Grancino (1637–1709). Del liutaio rimangono quattro esemplari di piccola viola o violetta al Metropolitan Museum di New York, a Vermillon in sudDakota, a Milano e Londra. (in alcuni casi lo strumento è stato adattato successivamente a viola da braccio a 4 corde)

Federico II di Prussia Detto il Grande (Berlino 1712 - Sans Souci, Potsdam 1786) re di Prussia militare ma filosofo e musicista comporrà una Sinfonia per violetta, violini, flauti traversi, oboi, corni da caccia e basso.


Una opportuna premessa Elena Ferrari Barassi, nota studiosa di organologia così mi esprime le precauzioni necessarie per affrontare l’aspetto storico epistemologio della organologia delle origini sia dal punto di vista della morfologia sia della classificazione “Negli ultimi vent'anni si è studiato e scritto molto sulle origini e la storia degli strumenti ad arco; le antiche ipotesi ed elucubrazioni si sono incanalate in linee storiche e classificatorie rigorose, che oggi non si possono più ignorare…la verità sulle origini del violino (comprendente tutta la famiglia organologica) è assai articolata,… In ogni modo il termine "violetta piccola" nella storia è stato attribuito (e potrebbe esserlo ancora, con poca chiarezza ) a prodotti disparati anche cronologicamente lontani fra loro: fra questi la viella medievale ed anche la viola contralto, nel periodo in cui il formato preponderante era quello della viola tenore. In quel periodo (XVII secolo) il termine "viola da braccio", per intendere il basso della famiglia, poteva designare addirittura il nostro violoncello o il suo antenato di analoga accordatura, per distinguerlo dalla viola da gamba di formato analogo. Non parliamo poi del termine "violone", che ha avuto nel tempo significati diversissimi. Come vedi, non è possibile fare dei feticci delle definizioni d'epoca, originali o coniate a posteriori; bisogna invece districarsi fra gli oggetti designati e i rispettivi termini con grande prudenza, flessibilità, senso storico e, inevitabilmente, anche buon senso!” Dalla iconografia cremonese l’ipotesi di ricostruzione dello strumento matrice A Cremona sono osservabili due strumenti singolari nelle chiese di Santa Maria Maddalena e Sant’Abbondio in cui la “violetta cremonese” è visibile nelle mani di un affresco dedicato a San Genesio di anonimo forse un giovanissimo Altobello Melone e dell’angelo in una pala d’altare attribuita a Galeazzo Campi?, Aleni?, Melone? De Becis?: le due immagini sono state datate nel primo ventennio del ‘500 . Le immagini accennano alle differenze e similitudini tra i due strumenti preparando alla evoluzione dello strumento soprano che migliorerà nel violino (strumento d’assolo senza tasti, con catena laterale ed anima mobile per favorire concordanze di fase armonico acustiche necessarie alle tonalità espressive del solista) e nella complessa lira da braccio eptacorde (strumento d’accompagnamento del poeta ancora presente ed usata a Cremona alla fine del XVI sec. , con tasti, presumibilmente montata con incatenatura simile al liuto o vihuela senza anima mobile, ponticello piatto e fasce con la caratteristica bombatura leggermente convessa verso l’esterno).


Nell’immagine la violetta (romanticamente definita da Mario: viola da braccio dell’angelo) con cavigliere a riccio e a cipolla ma con un unico corpo con rosetta CC e 4 corde; si riporta il disegno con una ipotesi di modello costruttivo legato a misure auree.

San Genesio, mimo e musicista, cantante e sonatore per fede e per gioia La violetta nella mani di San Genesio, attore mimo e musicista, è stata oggetto di lontane ipotesi di Mario e nelle quali si osservava la coincidenza dei luoghi di devozione del santo con santuari posti sulla via Francigena. A Cremona, nodo importante di congiunzione tra le varie direttrici che dall’Europa portano a Roma , San Genesio era venerato in Santa Maria Maddalena da attori e musicisti di strada che percorrevano lo spesso percorso fatto dai medioevali troubadours di Arles e trouvères di Arras in epoca umanistica, da musicisti ebrei e marrani in fuga dalla Spagna cattolica (Santiago e Saragozza) nel ‘500, da Minnesänger dal Tirolo e mistici dalle regioni svizzere provenienti dalle regioni del Nord (Colonia e Canterbury). In Italia sulla strada verso Roma le esperienze fondono in un originale unicum con la produzione liutaria locale; lo stesso Dante cita il Balaqua musicista che costruisce per se i propri strumenti. La Camerata de’ Bardi e Monteverdi elaborarono successivamente il rapporto tra musica e parola (“la musica sia serva all’orazione”, “del recitar cantando” e “del cantar strambotti e sonetti”),


(l’ipotesi della coincidenza con il percorso mistico e musicale sulla via Francigena è stato pubblicato sul sito internet del Touring ed ha avuto il plauso di molti studiosi dell’argomento) È forse da questa sinergia che nasce il modello base del violino moderno . Molti si sono accapigliati sulla derivazione del termine violino: chi lo fa provenire dal provenzale viola (1180 ca.), chi dal latino vivula(m) ‘vivace’, chi lo considera voce onomatopeica (piular ‘piangere, gridare’, miular ‘miagolare’, *fiular ‘fischiare’; “lo strumento che fa viu” come scritto in Salimbene da Parma, sec. XIII. I più coraggiosi fanno riferimento al linguaggio dei Khazari - Catari con matrice in «bulan» che deriva dal verbo «bul» e significa: «colui che trova» e si trasforma in “vyolon”, strumento dei trovatori. Il potente signore cremonese Umberto Pallavicino che secondo il Torraca, suonava la viella (sicuramente cremonese pur essa…) componeva versi in provenzale (1250). Nemico di Ezzelino, era anche noto per aver dato protezione ai catari detenendone parte delle ricchezze: spodestato nel 1268, il tesoro sarà confiscato e utilizzato per ampliare i conventi di S.Domenico e S.Francesco, la Cattedrale e il Palazzo comunale. C’è chi riconosce un “violinista” in tal Francesco da Firenze del 1462, un “violino” nel registro dei Savoia, a Venezia e in documenti bresciani del’500. Sommi Picenardi, registra un Johannes Maria de Scalabrinis, cremonensis violinus vivente a Brescia nel 1513 mentre a Cremona negli stessi anni operano Marchetto Cara, Filippo di Lurano compositori di frottole, Agostino Licino autore di duetti “da cantare et sonare”. Non ricordo quale studente di mio padre sostenesse spiritosamente di aver trovato un curioso riferimento ad un cremonese di nome Violino Maggi datato 1284, lasciandomi un appunto che non ho mai verificato (Araldica: miscellanea di Paolo Guerrini, 3-1984 – pagg 148): notizia che ho tenuto in serbo per futuri scoop giornalistici alla bizzarra ricerca del paradosso che possa giustificare creduli primati sulla “invenzione del violino”. Un percorso che integra i precedenti cammini musical/devozionali si incontra a Cremona provenendo da Venezia, centro internazionale di cultura.


La tipologia dello strumento si definirà con più certezza nel ‘600 attraverso le tavole di Praetorius

Da Michael Praetorius, in De Organographia, Wolfenbüttel, Elias Hohlwein, 1619 [“Vivola, Viola de bracio: Item, Violino da brazzo; Wird sonsten eine Geige /vom gemeinen Volck aber eine Fiddel / und daher de bracio genannt / daß sie uff dem Arm gehalten wird. Derselben Baß- Tenor- und Discant geig (welche Violino, oder Violetta picciola, auch Rebecchino genannt wird) seynd mit 4. Saiten; die gar kleinen Geiglein aber mit drei Saiten bezogen (uff Französisch Pochetto genannt) und werden alle durch Quinten gestimmet. Und demnach die selbigejedermänniglichen bekannt ist davon (außer diesem / daß wenn sie mit Messings- und Stälenen Säiten bezogen werden / ein stillen und fast lieblichen Resonanz mehr / als die andern / von sich geben) etwas mehr anzudeuten und zu schreiben unnötig” (Ander Theil,Cap. XXII, p. 48)]. Merito del prof. Mario Maggi, musicista e insegnante dagli anni sessanta della Scuola di Liuteria è invece l’approfondimento di quel periodo storico di transizione che portò alla nascita del violino rinascimentale (inizi del ‘500) attraverso lo studio della iconografia ed iconologia lombarda. Guidati dalle minuziose descrizioni di Winternitz, molti sono stati gli esempi presi in esame tra i quali le raffigurazioni di Gaudenzio Ferrari nella Cattedrale di Saronno e Vercelli, che saranno associate a quelle dei Campi nella sforzesca chiesa di San Sigismondo in Cremona sino alle minuziose grafie a fresco del Pordenone in Santa Maria di Campagna a Piacenza. ( un interessante affresco dei primi anni del ‘500 del Cesariano è stato descritto dal Gregori ). Lo strumento di San Genesio e dell’angelo nella pala in Sant’Abbondio e tra i più interessanti è una violetta - lira a quattro corde, con rosetta come il liuto, un cavigliere a paletta o a riccio e un manico con i tasti come la moderna chitarra o senza, come nel violino, per indicare tecniche diverse di esecuzione musicale. La riproduzione di questi strumenti ha permesso al maestro ed ai suoi studenti di evidenziare metodi costruttivi empirici come l’intaglio intero della cassa oppure l’uso di fasce laterali per rendere lo strumento più leggero e risonante, l’introduzione dell’uso dell’”anima”, dei diversi metodi di assemblaggio della cassa armonica, incatenatura e di produzione di corde risonanti.


Caravaggio in “Amore Vittorioso” (1598) conservato allo Staatliche Museum Berlin, racchiude in una sua opera il profondo significato della musica raffigurando a fianco della figura alata di Amore i simboli della liuteria con liuto, violino, compasso e squadra che ne approfondiscono il significato. Curt Sachs, il maggiore studioso di organologia liutaria, ipotizza nella sua classificazione la denominazione di liuto a pizzico con tasti, mentre la famiglia del violino è definita dei liuti ad arco senza tasti. Il particolare voluto da Antonio Campi in Cremona Fidelissima qualche decennio prima del Caravaggio offre una immagine abbastanza simile. Curiosamente lo strumento ad arco a 4 corde come il violino possiede ancora le tastature come la chitarra ammettendo un uso ancora in voga della tecnica ad accordi della lira ad arco e una non immediata transizione al violino barocco che durerà per due secoli. Andrea Amati e il quartiere dei liutai Dunque la liuteria è la disciplina che porta alla evoluzione della costruzione degli strumenti ad arco, a crearne un metodo, a perfezionarlo con scienza e, come sottolinea Sachs tutto ciò è stato esclusivamente merito degli Italiani. Esempio di tanta maestria tra i più antichi appare essere un violoncello conservato ora al National Music Museum of South Dakota e datato (after)1538, anno in cui Andrea Amati in piena maturità artistica inizierà come magister la costruzione, completatasi nel 1569, dei 38 strumenti musicali ad arco (vyolons du Roy) per la corte di Filippo II di Spagna, Carlo IX con motto “PIETATE ET JUSTITIA e della zia Margherita di Valois - Angouleme, sorella del re di Francia Enrico II. Enrico III alla morte del fratello Carlo IX in un periodo di guerre religiose, culminate con la cosiddetta Notte di San Bartolomeo, di passaggio da Cremona è ospitato a Palazzo Trecchi (1574) riceve Antonio Campi e non è escluso che abbia fatto apporre sugli strumenti dell’Amati il motto "QVO VNICO PROPVGNACVLO STAT STABITQUE RELIGIO ("ché l’unica difesa sia e resti la religione"). Andrea Amati (1505 - 1577), artigiano cremonese attivo dal 1539 è oggi unanimemente riconosciuto come colui che ha perfezionato la morfologia del violino, elaborandone la forma attraverso un rivoluzionario metodo costruttivo oggi definito “classico” e prodromo di un vero e proprio ruolo solistico dello strumento musicale. Maestro liutaio di tradizione cremonese, verrà chiamato chi nei secoli successivi, praticando la scuola degli Amati, ne seguirà il metodo perfezionando lo strumento con soluzione di continuità dal violino rinascimentale, al barocco agli espedienti acustici adottati nel periodo romantico e moderno, adattandolo alle sempre nuove esigenze del musicista. Un curioso riferimento, in una lettera al Galilei di quel periodo, dichiara prezzi di listino di strumenti cremonesi quasi quadrupli rispetto alle quotazioni dei “violì” bresciani confermando attività, concorrenza, marketing, importanza ma anche sostanziali differenze tra i due centri in epoca rinascimentale. Secondo il Bonaventura la scuola di Brescia, antagonista a quella


Cremonese, continuò sino alla prima metà del settecento senza peraltro raggiungere la gloria dei fondatori… l’estetica bresciana disegna ff aperte e ineleganti, privilegia CC aperte che disegnano cissoidi che non si incurvano alle punte, mancano della cosiddetta “sgusciatura” in prossimità della filettatura che spesso è doppia e privilegia figure geometriche . Dalla storia di Cremona, minuscolo centro di gravità culturale sembra apparire l’evanescente luogo del quartiere dei liutai: ognuno aveva bottega porta a porta. Simili aggregati “feseurs de vielles” già si trovavano a Parigi nell’attuale Rue de Rambuteau che portava nel 1225 il nome di Rue De Joueurs De Viele, nel 1321 e nel 1482 la denominazione di Rue Des Menestrels Et Des Menestriers di ST:Julien. Lo stesso accadeva a Vienna nel 1288 con la nascita della Confraternita di S.Nicola e nel 1381 a Londra. Il potente e sfortunato condottiero cremonese Umberto Pallavicino ( sec. XIII) , nemico di Ezzelino, amava accompagnare per diletto i suoi versi, come già detto, suonando una viola … probabilmente cremonese. Musicisti, liuteria cremonese e suo declino 

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in Francia nella seconda meta’ del 1500 nasce la prima orchestra di "violini" formata da Baldassarre da Belgioioso (Balthazar de Beaujoyeulx o Beaujoyeu), trasferitosi nel 1557 alla corte parigina di Carlo IX figlio di Caterina de’ Medici . Qualche anno più tardi (1576) entrerà in orchestra come violinista e maestro di danza il cremonese Pietro Francesco Carubelli che assumerà il nome di François Caroubel, alla corte francese di Enrico III (1574 – 1589). In Austria, nel 1565 due violinisti cremonesi, Alberto Ardesi e Claudio Sinibaldi, lavorano alla corte asburgica di Massimiliano II In Inghilterra, Enrico VIII è compositore scrive tra gli altri Pastime with Good Company or The Kynges Ballade, nel1510 e ancora oggi suonato da complessi di musica rinascimentale. Alla corte inglese dei Tudor giungono da Venezia i Bassano e Ambrogio Lupo liutai e musicisti. a Cremona Nel 1566 giunge da Venezia Marc’Antonio Ingegneri, detto “dal violino o dalla viola” o “suonadoro di violino …di arie e di canzon francese (1579) “ tra i primi istituisce nel 1580 “la Compagnia di suonatori ordinata a modo di orchestra” con “sonatori di viola braza” all’interno della Cappella della Cattedrale di Cremona. Il liutaio Andrea Amati trasmetterà la sua idea ai due figli, Antonio (1539 - 1608) e Girolamo (1561-1630) che costruiranno per FerdinandoII Gonzaga di Mantova e Cosimo de’ Medici, e successivamente al nipote Nicolò (1596-1684). Non sono estranei alla produzione liutaria musicisti come Camillo Maineri che secondo il Campi abitava dietro al Duomo. Nascono i primi complessi di musica profana per accompagnare il ballo : nella figura che rappresenta la danza alla corte di Francia si vede l’orchestra già formata con violini, viole da gamba, liuti e clavicembali. Mentre i migliori violini arrivano dall’Italia, le viole da gamba rimangono di produzione nord europea. Una citazione letteraria riferisce che nel 1571, un commerciante acquista un Chest of viols su incarico dei Fugger, sei „grosse welsche geigen“per la corte di Monaco di Baviera. I Fugger ricchissimi commercianti ad Anversa e Augsbourg nel XVI secolo , assidui di Carlo V e Paracelso, hanno legami con gli Affaitati di Cremona. A Torino nel dicembre del 1523 nel registro della tesoreria di Savoia è scritta la parola violino. Il violino così come lo conosciamo appare in Italia nella prima meta del XVI secolo , è parente stretto della viola da braccio e della lira da braccio e mantiene inizialmente alcune caratteristiche costruttive come un manico più corto dell’attuale e una struttura interna con una catena più leggera per sopportare la minor tensione delle


corde di budello. Si costituiscono gruppi di polistrumentisti sia per la musica popolare in Lombardia e Polonia, per il ballo e la musica di corte. La scuola permise l’esprimersi dell’eleganza di Andrea Guarneri (1623-1698), del carattere sanguigno di Giuseppe Guarneri detto del Gesù,(1698 - 1744) sino alla perfezione stilistica di Antonio Stradivari (1644-1737). Stradivari costruì per corti, principi ed imperatori tra i quali la corte medicea, il duca di Modena, il Principe Eugenio , Villeroy, Filippo V di Spagna, Carlo III. di Spagna,l’Arciduca Carlo d'Austria, il cardinal Orsini, il duca spagnolo di Natalona e Augustus, Re di Polonia, Giacomo II Stuart d’Inghilterra, Vittorio Amedeo II di Savoia, Cristina di Svezia. Altri liutai come Carlo Bergonzi, i Ruggeri, i Guadagnini, Lorenzo Storioni e i Ceruti abitarono gli angusti ambienti profumati di resine e stipati di preziosi legni provenienti dai Balcani o dalle foreste del Trentino. Porta a porta, si legge dai documenti, abitavano anche intagliatori, falegnami, aromatari o spicchi (speziali impiegati alla vicina farmacia dei Domenicani ) che fornivano agli artigiani legname scelto e le materie prime per la vernice. A pochi isolati abitavano le famiglie di due importanti violinisti come Gasparo Visconti con attività a londra e Attilio Grisi in rapporti di amicizia con Pleyel, Haydn, Mozart e Weber e maestro dei concertia Wurzburg, nonostante gli 87 anni.. Una lenta globalizzazione (come si dice oggi) ha permesso la nascita di scuole diverse sia in Italia sia in Europa ed ora nei lontani paesi asiatici. Strumenti ad arco ritenuti di buona fattura furono prodotti da veneziani, bresciani, tirolesi e napoletani e più tardi milanesi e francesi anche se poco avevano a che fare con la cosiddetta scuola classica cremonese o ne imitavano pedestremente i canoni. L’800 vede un lento declino della qualità cremonese, se è testimone Charles Dickens che visitò la città nel 1844 e disse << Non si può non parlare dei violini di Cremona, di cui, forse in questi anni degenerati è cessata la fabbrica>>

Il mitico quartiere dei liutai purtroppo ora non esiste più, sostituito da un enorme ed anonimo palazzo costruito prima della II guerra mondiale, ma rimane centro vitale per i cremonesi che qui completano il passeggio nei giorni di festa: gli stessi abitanti di Cremona, tutti credo, sono diventati stakeholders, letteralmente portatori di interesse, informatori emozionali, come si usa oggi dire tra i cultori del marketing più tollerabile. Passeggiando per Cremona, il cremonese conosce, sa indicare, riporta informazioni sulla liuteria affiancandosi al musicista del Conservatorio, al giornalista del quotidiano locale, sostenendo con l’entusiasmo della appartenenza, scuole, iniziative e associazioni.


Cremona difende la propria specificità forte delle centinaia di botteghe di liutai e di una storia musicale a dir poco… epica.

L’idea di Mario raccolta da studiosi e liutai Le idee di Mario si può dire che abbiano lasciato il segno attraverso il ricordo di quanti hanno con lui collaborato alla sua idea. Tante le manifestazioni nel 2012 e 2013 nel ricordo dei suoi progetti musicali e liutari sia a Cremona con il Touring, l’associazione ALI con i suoi bravi liutai tra cui i Morassi, la galleria “Il Triangolo”, convegno sull’iconografia cremonese al Museo, con l’associazione ANLAI a Rimini e Pisogne, con i liutai di Parma alla Casa della Musica, mostra sulla musica etnica in San Bernardo a Cremona, esposizione stampe in acquaforte a CremonaBook, con la ICS Society- Cultural Identity al Palazzo della Regione Lombardia e nella Sala dei Provveditori a Salò, al Ministero dell’Istruzione a Roma, alla Università di Roma tre, all’Ordine dei Chimici di Parma, sulla rivista scientifica “Il Chimico”, “Cns” e “Liuteria Musica Cultura”. Isidoro e Gioele Gusberti portano gli strumenti di Mario nei concerti della loro Ensemble “Il Continuo”. In suo ricordo L’Archivio della Liuteria Cremonese cita le sue abilità didattiche e professionali, gli oggetti didattici più significativi della sua esperienza sono esposti al Museo dell’IIS e Liceo delle scienze applicate “Torriani” (ex ITIS) di Cremona voluto dalla dott/ssa Maria Paola Negri. (tra gli altri un prototipo della violetta cremonese nata dalle mani di Sergio è elemento di segno, metafora di lezioni, discussioni, concerti, avventura legata alla epistemologia liutaria del secolo scorso.)


Vanto della famiglia Maggi è la prosecuzione delle ricerche e la riproduzione di strumenti per arricchire la vasta collezione lasciata da Mario: Sergio ha realizzato analitiche e filologiche ricostruzioni di strumenti antichi tra cui la lira da gamba di Gasparo da Salò mentre Giorgio da chimico ha proposto alla comunità dell’Ordine dei Chimici le informazioni storico scientifiche congruenti ai materiali usati dagli antichi artigiani d’arte, inoltre la collaborazione con l’ALI (Associazione Liutaria Italiana) ha prodotto una ricerca sulle trementine pubblicata sulla prestigiosa rivista del gruppo, una esposizione significativa sulla iconografia sulla genesi dello strumento musicale ad arco e con l’Università di Bergamo la pubblicazione di esperienze specifiche sul “saper fare liutario” (i due fratelli fan l’uno dell’altro vanno letteralmente a gara per pubblicare le idee del padre e completarne le ricerche). Diverse sono le versioni del prototipo iniziale della violetta cremonese realizzate negli anni ‘70 da liutai allievi che crearono su disegno di Mario diverse ipotesi costruttive di strumenti osservati nella Abbazia di Moissac rileggendo il Tolbecque, o sulle vielle senesi recuperando le intuizioni di Disertori, e amici di Mario come il bravo Takashi liutaio, chimico e ricercatore che propose approfondimenti esclusivi sul tema addirittura in Giappone e il colto e pignolo Amighetti con la sua particolare interpretazione dello strumento ferrarese sperimentando metodologie diverse come la cassa scavata in un unico pezzo, assenza di filetti, incatenatura centrale, fasce concave ad incastro sul fondo, riccio ad una voluta o rastremato a falcetto, alla ricerca forse di una utopia che solo l’affetto per un insegnante sa indurre. Molti sono i liutai che hanno reso preziosa la sezione della collezione che raccoglie prototipi, riproduzioni, copie tra questi i capiscuola della liuteria cremonese e italiana come Amighetti ; Belli , Capicchioni, Carubelli, Conia, Esposti, Osorio; Galletti; Krilov (sen.); Morassi; Patterson; Rodig Giovan (esperto di acustica); Scolari , Simoni Franco, Takaschi, Slaviero. ..


L’idea di Mario negli anni ‘70 merito di Takashi Ishii addirittura approda in Giappone…

Takashi studia i contatti tra Cremona e il Giappone attraverso ambasciatori gesuiti nel 1585. Essi prima del viaggio incontrarono il Vescovo Sfondrati, futuro Papa Gregorio XIV, che donò loro una croce d'oro. La complessa e dolorosa storia della cosiddetta Ambasciata Tensho è stata raccontata dallo studioso ricostruendo il loro viaggio e i loro strumenti musicali. (si ricorda che violini e violinisti erano spessissimo imbarcati durante i lunghi viaggi, per tutti valgano le esperienze di Michael Byrne, sea going fiddler, violinista, irlandese, imbarcato sul Bounty. Joris Van Spilbergen durante i suoi viaggi agli inizi del 1600, soleva farsi accompagnare da due sonatori di violino e liuto e da cinque trombettisti). La violetta-lira e il violino modello Amati rinascono nelle riproduzioni di Takashi avvalendosi dell’amicizia competente di Mario come espresso in Hideyoshi ga kiita baiorin (Il violino ascoltato da Hideyoshi, Sanshin Tosho, in lingua giapponese); la ricerca, fondamentale tappa organologica adottata nell’ambiente musicologico giapponese, è stata apprezzata dall’Imperatore, l’Imperatrice e il Principe ereditario (appassionati violinisti) a Palazzo Togu in Giappone che onorarono lo studioso con più visite a Cremona. Le sue riproduzioni sono al Nagasaki Prefectural Art Museum, Miyazaki Nichinan Memorial, Hamamatsu Civico Museo degli


Strumenti Musicali, Miyazaki Jutaro Komura Memorial, Mario Maggi collezione di strumenti musicali. Le persone alle quali il maestro fa riferimento nel suo curricolo sono: il principe ereditario, la principessa Aiko, Masashi Sada, C. Barzeretti, M. Maggi, O. Scilla, Violin Society e Arti e Olanda Royal Oaks Earl, La storia dello strumento musicale a Cremona e la sua evoluzione è stata scritta solo in parte… l’iconografia propone ipotesi ad esempio sulla presenza del violoncello piccolo, sulla tecnica di impugnatura dell’arco, sulle proporzioni del manico del violino, su utilizzo di particolari legnami e resine di qualità, e paradossalmente su interazioni tra musica, politica e mistica.

Due documenti importanti l’uno da una sintesi del 1982 e l’altro scelto tra gli ultimi saggi del 2012 evidenziano un continuo che i Maggi offrono agli amici in ricordo del padre…

NARRAZIONE 4 Antiche formule segrete cremonesi e curiosi sillogismi La discussione nacque tra il giornalista, il filosofo e il chimico: si racconta che Stradivari avesse descritto la formula segreta della sua famosa vernice sulla prima pagina di una Bibbia andata forse perduta. La suggestione rievocata da uno studioso locale pare derivare da parole in libertà di Ralph Emerson (1803-1882) che nelle sue “Opere” paragonò le parole della Bibbia agli armonici del violino di Cremona. In omaggio alla peggior tradizione giornalistica che, giocando sul mistero, ha inventato l’enigma degli irripetibili segreti di bottega, può essere interessante rileggere le poche notizie sull’argomento e magari svelare segreti irrivelabili.


Cozio di Salabue, lo studioso che raccolse il carteggio di Stradivari, così ne parla: “...ho ricevuto la seguente riceta … e che sia quella dell’Antonio Stradivari…: gomma lacca once quattro; sandracca once due; mastice in lacrime once due; sangue di drago …; zafferano mezza dramma; una pinta di spirito rettificato. E dopo la soluzione fatta al fuoco vi si incorporano once quattro di trementina di Venezia e poi si cola il tutto con un panno lino piuttosto raro ma fine di filato“. In una successiva nota il carteggio continua …”un’onza e meza di goma lacha … tre quarti in tutto di mastice e sandracha e spirito (di vino) una libra. Una libra d’oglio di noce, farlo cozzere e meter dentro, fino a che ha perso la schiuma, le medesime gome, ... Questa vernice è vera di Stradivari sincera e sicura” (Il 26 Settembre 1728 un allievo del maestro così riferisce “ Ho provato a fare con vostro modo, ha momenti se ne iva la botega de fuoco”) Verità romantica? Omaggio al verosimile? <<Sarà proprio quella la vernice di Stradivari? >> Si chiese il giornalista. Rispose il filosofo << Stradivari? L’Artifex? Il Poeta del violino? Se fosse così, se la formula fosse stata sempre la stessa … non sarebbe più Stradivari l’artista , ma solo un semplice e buon riproduttore … sia in liuteria sia anche in arte…>> Disse il chimico <<Formule simili e un poco ermetiche sono conosciute anche in arte. Si racconta di uno sconosciuto pittore cremonese … se per alchimia non fosse impazzito … tal Jacopo Ferrari…>> che sembra precorrere il neoclassicismo a Cremona con un gruppo di artisti pittori affascinati dal recupero delle formule pompeiane all’encausto e riproposte nei più bei palazzi della città. Gallo Gallina, Moriggia, Francesco Ferrari ornatista e scenografo che collabora nella decorazione di palazzo di Strjelna a San Pietroburgo e Giovanni Motta e figli che si distingueranno con opere alla Rotonda dell’Appiani in Villa Reale di Monza. La ricetta dell’antica pratica pittorica che tanti dolori diede a Leonardo nella sua Battaglia di Anghiari” ci è tramandata da Santo Legnani pittore cremonese: “Cera bianca (12 once),sapone di Venezia (4 o.), mastice bianco (3 o.), sercocolla (3 o.), acqua di pozzo (4o.), sal di soda oppure alkali di tartaro (5 denari)” il tutto sciolto, filtrato ed impastato con colori a caldo. Il chimico si avvide che proprio la discordanza di dati su analisi chimiche, che ogni poco qualche ingenuo realizza su strumenti classici ed opere pittoriche, dimostra eclettismi ed eccellenze nella diversità. Il filosofo, colto ma inguaribilmente goloso, convenne col giornalista << per lo stesso motivo è possibile forse immaginare quanti tipi di torrone cremonese si possano produrre partendo da un’unica formula >> come quella che aveva accuratamente trascritto da una cinquecentina manoscritta: “in uno parvo caldaro ramato posto a bagno maria rimesta 10 once de miele, 10 de succharo, 3 de acqua piovana per lo spatio de quindece paternoster ancho se taluni consigliano l’intero rosario. Amalgama poi tre albumi montati siccome neve et sempre rimischiando gionta una libra de mandorle et scorza de limone de Sicilia, 3 once de’canditi. Mischia, tórta, turùnda, poltiglia, ancora con fortitudo la olla che lascerai tòrrere sempre a calore vivo. (puoi artifiziare l’acqua dello bagno Maria giontandove tanto sale che farà più alta la temperatura di bollizione). Terminata l’alchimia, riversa il ricotto a caramella su carta ostia, spiana su marmo e taglia e separa con coltella affilata. La crosta abbrunata de stracotto tacco su’fondo de’caldaro è da molti prediletta. Essa è la propria e vera formula del famoso “Torrone de Cremona “e me vien da uno manoscritto de Istoria Ecclesia anchor prima che dalli Mori che vantan el “Turun” de’Mutarrif, nello quale lo primicerio prete Wolfiido nell’anno 768, sotto lo papa Stefano III, offri, allo Vescovo de Tours, venuto in città, ceri, paste, pani aromati e spetiati, zuccherini e mandorlato “panis Turonensis” a forma di torrione. Santa tradizione che piace replicare la pia Bianca Maria de’ Visconti per li suoi sponsali del ‘441, che vole solo canditi agrumati de’ arancio et lemone et gusto de’vanillina se trovi baccelli a la spezieria de’ Dominicani . Colle armandole , farina strutto e miele se fanno dolcetti da forno durissimi che stracan li dèenti.” Il giornalista non potè non intervenire con un ricordo giovanile di Mario del Monaco ( La mia vita…Rusconi Ed. 1982) che aveva vissuto con i genitori a Cremona per circa cinque anni. La famiglia abitava in Piazza San Michele proprio davanti alla fabbrica di torrone Vergani. Il grande cantante così descrisse alcuni momenti della sua vita<< La fabbrica di dolciumi che vedevo dal


balcone di casa, i robusti cavalli da tiro con criniere e code fluenti, le botti di miele che venivano scaricate dai carri, l’odore di torrone che invadeva ogni angolo. Le botti, dopo essere state vuotate, venivano allineate fuori, all’aperto. Ricordavo che mi infilavo in quei tunnel profumati e raschiavo il miele dalle pareti. Ero sempre tutto impiastricciato di miele e mia madre aveva un gran da fare con i secchi d’acqua sul ballatoio>> Il chimico, che aveva ascoltato in silenzio, frappose<< un buon prodotto si ottiene principalmente operando sulla diagnostica delle materie prime… una buona ricetta non vale se le materie prime non sono controllate all’origine. Ciò è compito non solo dell’operatore che valuta per esperienza personale ma anche dello scienziato che controlla usando strumenti che danno risposte oggettive e confrontabili per precisione ed esattezza>> interloquirono filosofo e giornalista ormai in balia al paradosso… << come un orologio!>>. Cremona vanta curiosi personaggi antitempo affascinati da antiche riscoperte che datano da quell’oscuro (… per alcuni) medioevo in cui i suoi abitanti costruivano il Torrazzo e il Gherardo cremonese traduceva gli antichi codici arabi di letteratura, scienze musica e astronomia. Negli anni ’60, tre amici (P.V.Ferraroni, M.Busini e A.Leani), colti di astronomia ma altrettanto di liuteria, elaborarono un’idea ritenuta dai più irrealizzabile: rimettere il funzione il famoso orologio astronomico con originale meccanica cinquecentesca tra le più antiche. Merito loro, il “campanone” del Torrazzo, scandisce costantemente l’ora ai cremonesi. L’orologio quattrocentesco del Torrazzo di Cremona e ripristinato da G.F.Divizioli nel 1583 segue, nella grafica del planisfero, il sistema Tolemaico geocentrico con la Terra al centro dell’Universo e Sole, Luna, pianeti del sistema solare ruotanti intorno ad essa. Il bottone centrale a guisa di mappamondo mostra i tre continenti conosciuti mentre trascura le Americhe perché evidentemente immaginabili in quell’anno nel lato oscuro della semisfera, e non mostra l’Australia perché scoperta nel secolo successivo. La ricetta astronomica doveva recuperare antiche formule matematiche che permettessero la rilettura del tempo moderno. Il planisfero è costituito da 8 corone circolari ( ore, casa zodiacale, 180 tacche da 2°, 36 tacche da 10°, le 12 costellazioni dello Zodiaco attualmente,mesi,giorni, decadi. Aste o lance del quadrante: I: asta delle ore da I a XXIV (poggia sul disco centrale che rappresenta la terra); II asta della Luna che compie un giro in 29gg, 14h, 44 m, 2,8sec. (poggia su un disco con 29,5 divisioni); III: asta del Sole che ruota in 365 gg e indica mese, giorno; IV : asta del drago in cui si congiungono i punti di intersezione tra piano orbitale terrestre e orbita della Luna. ( chi volesse, potrebbe ritagliare bontà sua la pagina di questa guida per ricostruire su cartoncino il quadrante collegando e sovrapponendo le lancette con una semplice forcella) … in questo caso si risparmiano al lettore, forse per sua fortuna, le ermetiche formule matematiche dello Zodiaco e dell’Oroscopo, privilegiando lontane abilità dell’infanzia con l’uso di forbici e colla. Tutto ciò magari riascoltando l’inimitabile “danza delle ore” nella Gioconda musicata dal cremonese Amilcare Ponchielli e in cui i violini accompagnano la danza del Mago in Fantasia ,pellicola resa famosa da Walt Disney. Sillogismo: forma di argomentazione logica nella quale, a partire da proposizioni, o premesse, si trae necessariamente una conclusione: a Cremona grandi premesse evolvono indistinte raccontando la piccola città e la sua grande cultura attraverso curiosi sillogismi che fanno dubitare che non sussista conclusione.



FINESTRA 4 Itinerari gastronomici: alchimie e menù alla tavola di Stradivari La cucina cremonese è varia e interessante: Ricette di cucina cremonese, prese dalla letteratura possano incuriosire i navigatori del web, ancor più visitando Cremona ed apprezzando la sua cucina. Varie sono le offerte tradizionali, e non è difficile incontrarle in Internet o averne la … segreta ricetta da qualche cremonese amico. Marubéen; Panàada; Polenta; Chisòola; Zuppa; Fagioli Bolliti e cotiche; Insaccati e salumi come salame, coppa, pancetta e cotechino; Nervetti Alla Cremonese; Gösa Fèr; Pistàada; Pès In Aiòon; Faraona Alla Creta; Mostarda; Torta Verde e Cifùt; Maionese; Zafferano E Zafferanone; Torrone; Pirleéen Féen; Patùna; Grana e Provolone Padano; Pochi sanno che le misteriose vernici degli antichi liutai, fossero a base di sostanze normalmente utilizzate in cucina: il silicato turapori nel legno o levigante veniva usato come conservante delle uova perché ne proteggesse il guscio nel tempo ma è contenuto in grande quantità in particolati erbacee commestibili come la coda cavallina; il mastice, resina estratta da un albero della omerica isola di Chio e base per una vernice trasparente, è nota per i suoi componenti chimici ed oli essenziali principale base di gustosi dolcetti canditi e del profumo caratteristico del vino greco appunto chiamato “retzina”. La gommalacca estratta da essudazioni di alcuni particolari insetti (cocciniglia della lacca, Tachardia lacca E904) è ancora utilizzata sulla buccia degli agrumi sui chicchi di caffè, sulla superficie di alcuni cioccolatini, come conservante naturale non tossico (…forse). La gommalacca, surrogato indiano al prezioso urushi giapponese, secondo alcuni sostituì altre resine nel ‘700 per maneggevolezza d’uso e accordo alle sollecitazioni armoniche . Il colorante estratto da lacche prodotte da cocciniglie del genere Kermes (vermiglio della quercia) è utilizzato per produrre l’alchermes, uno dei liquori più comuni in pasticceria noto come E120, E124. Lo zafferano, il cartamo o zafferanone essenziali per il sottofondo dorato del legno del violino ma anche per un buon risotto, il sangue di drago per il rosso antico, conservante e disinfettante, tannini, antociani e flavonoidi rossi, ottenuti da frutti e radici come guado, robbia (radice aperitiva) o cortecce di particolari alberi ( quercia, legno rosso, pernambuco…), erano e sono tuttora basi coloranti per vernici acustiche. Alcuni studiosi hanno ipotizzato l’uso nelle vernici degli antichi violini d’albume e tuorlo d’uovo al pari della antica “olifa” bizantina, olio di lino, olio di noce e alcool, ottimo rimedio anche per le armonie dell’umore. Addirittura il diverso uso degli oli per particolari ricette di cucina e vernici e non solo per impiego lampante, si deve alla tradizione araba e trasmessa da Gerardo da Cremona (1114-1187) in “De Modo Medendi” . Gli antichi liutai sapevano trattare il legno con colle a basi naturali diverse (la caseina del latte poteva addirittura plastificare in presenza di ammonio sino ad apparire come avorio chiamato diolacton negli anni ’50), con sali, depurandone le cellule per osmosi da pectina acida (acido poligalatturonico parzialmente metossilato), o con saccaridi come miele o mucopolisaccaridi come chitina per migliorarne l’acustica. L’artista del legno ancora oggi sa sfruttare il controllato invecchiamento del legno ottenuto per delicata stagionatura in ambiente umido, per fluitazione e all’aria calda con lo scopo di deprimere i liquidi del protoplasma contenuti nella cella vegetale che così svuotata diventa microscopico risonatore (curiosi sono stati nell’800 gli esperimenti di tal Jeacocke, un fornaio di mestiere e liutaio per passione che usava cuocere al forno i suoi Violini in segatura per una settimana o del biologo americano che sosteneva quanto fosse essenziale per l’acustica una vernice a base di … gamberetti. Al pari del cuoco che stagiona e frolla i suoi alimenti , alcuni liutai scelgono l’abete maschio che abbia avuto un accrescimento rallentato e dunque con vene fitte come nel periodo di microglaciazione in cui operò Stradivari e noto come"minimo di Maunder" tra il 1645 e il 1715. Non è difficile immaginare che questi personaggi eclettici sapessero trarre dalla corteccia di abeti e cedri rossi, ginepri e salici, intrugli (magici per gli inesperti) a base di trementina e salicilato o propoli dall’allevamento delle api, o nitrati essudati dalla pietra come consiglia Geber, per alleviare infiammazioni e malanni stagionali ma anche per preservare il legno da tarli e muffe.


Nel barocco grandi musicisti come Claudio Monteverdi e scalchi o cuochi come B. Stefani o B. Scappi (XVII sec), si affidarono a Torquato Tasso per le loro alchimie musicali ,gastronomiche e salutari, senza dimenticare cuochi e scrittori come Bartolomeo Sacchi (1421 –1481) detto il Platina, Anthelme Brillat-Savarin, (1775 - 1826), Antonin Carême, (1784-1833), Pellegrino Artusi, (1820 1911), Auguste Escoffier, (1846 - 1935). La simbologia ermetica degli opposti o oxymoron, nel Combattimento di Tancredi e Clorinda (1624) aiuta a comprendere quanto l’armonia della musica e della cucina fossero intrecciate con l’agrodolce ed i segreti ingredienti della chimica delle origini. “La tavola sarà apparecchiata con tovaglia doppia finissima con superbe piegature e ad un capo della tavola vi sarà un trionfo che sembri il combattimento di Clorinda con Tancredi, il tutto fatto di finissimo zuccaro cristallino” (dall’arte del ben cucinare di Bartolomeo Stefani cuoco di Sua Altezza Serenissima– 1662).

Lo zucchero cristallizzato non esiste tal quale in natura ma è il prodotto della tecnologia della raffinazione di canne o barbabietole. La stessa complessa modificazione chimica che in natura sfruttano le api e che l’uomo utilizza per ricavarne miele: prezioso oro commestibile frutto di alchimie non solo umane.


Anche il formaggio è prodotto per “ alchimia o per artificio” è i cremonesi vantano e tradizionali preparazioni per l’antico “Cacio de’ Grana”

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Nella Chiesa di san Sigismondo in un dipinto di Antonio Campi 1577, il formaggio cremonese fa bella mostra sulla tavola di Zaccheo vicino al pane di pasta dura tipicamente nostrano che i Cremonesi, poco consapevoli delle loro grandi tradizioni, lasciano che siano mantovani ed emiliani a portarne vanto. Il formaggio è tra i protagonisti della cucina cremonese ed è preparazione nata dalla esperienza maturata in scienza. Negli Statuti della città di Cremona di Roberto d’Angiò del 1313 è curiosamente citato un Paratico degli Speziali e Formaggiari (Paraticum Speciariorum et Formaglariorum) organizzazione corporativa che riuniva preparatori nell’arte chimica di prodotti dal farmaceutico all’alimentare. Già Columella (I sec.d.C.) in De rustica, rifacendosi al padano Virgilio, indica la preparazione del formaggio utilizzando diversi cagli ( agnello, capra, ) e presami (lattice di fico, cardamo, rubiacee). Nel XII sec. merito di Benedettini e Cistercensi, la bonifica di vasti territori nella pianura padana permette insediamenti produttivi agricoli come cascine, casoni o caselli: in questo contesto nasce la produzione casearia e nascie il cosiddetto “formadio”. Nel 1500 si può far risalire la produzione regolare di Grana (i cremonesi lo identificano inizialmente con cacio (cascio) de’ grana e con i toscani anche cacio parmigiano (come sostiene il Platina o Peri o il Boccaccio) o reggiano come si legge in più riferimenti che si affidano alla leggenda che vuole che il formaggio sia nato per primo nella abbazia di Marola agli inizi del XII sec. ). La misura della forma ha un diametro variante tra i 40 e 50 cm. Mentre l’iniziale spessore di circa 10 cm si raddoppia nei secoli sino alla forma attuale. L’arte del casaro porta a perfezione la produzione del formaggio che verrà standardizzata nel ‘900 con il costituirsi delle latterie sociali e caseifici. Nel 1569 Agostino Gallo ne specifica le operazioni necessarie per la produzione del tipico formaggio padano.“per la grana meliore, teni lo secchio de mungitura de latte a tepore, gionta lo minimo di presame, attendi che coaguli a caglio, taglia in frammenti come chicco di frumento, spurga , ricoci in caldara di rame, e poni in fiscella sotto li pesi per che lo siero si lontani. Premi tosto che


arrotondi ad orbem. Sala e matura per più stagioni. “ ( La stagionatura è ancor oggi privilegio del buon formaggio grana e parmigiano reggiano che raggiunge i 18 mesi ma supera i 24 per il lodigiano). Il cremonese vanta oltre al Grana ed al provolone anche la Ricotta il salva cremasco, e il cimbro di fossa

Antonio Campi: la tavola in casa del fariseo (1577) Il cibo cremonese unisce liebe (amore) und leben (vita) quasi come se questi fossero sinonimi in assoluta sinergia. La chimica dei grassi contenuti nei formaggi e la chimica degli zuccheri di frutti di stagione arricchisce la crapula del goloso ed è ben più importante delle deboli alchimie di medici curanti di diete e salute a scapito dell’umore. Dalla seconda metà del ‘700, l’industria casearia migliora con l’apporto di chimici agrari che studiano procedure, fermenti, cagli industriali, stagionatura (L’Encyclopedie descrive minuziosamente metodi, utensili ed ambienti, Liebig studia i fermenti scoperti da Pasteur, Mechikov introduce la pastorizzazione nell’industria casearia, il Besana aggiorna e migliora i metodi). Fino a pochi anni fa l’arte di trattare i cibi come i formaggi, salumi e prodotti dolciari offriva qualità diverse secondo il preparatore scelto che veniva espressamente chiamato dalle famiglie o dall’agricoltore. Ora purtroppo necessità di raziocinio intese in senso restrittivo e legate soprattutto a ragioni di tipo sanitario ci costringono a consumare prodotti standard. In accordo con l’Artusi sarà merito della scienza e della preparazione chimica tradizionale se si potranno recuperare antichi segreti di produzione, nuovi metodi, nuove strategie nel miglioramento di nuovi fermenti, nuovi principi base e offerta di nuovi prodotti.


NARRAZIONE 5 Una sosta preziosa in Santa Maria Maddalena

Il luogo noto come il “Prato del Vescovo” in Contrada Gonzaga ora via XI Febbraio, accoglie sin dal medioevo la Chiesa di Santa Maria Maddalena protagonista tra ortaglie ben curate, casette di artigiani e loro magazzeni, la fornace del vetro e in fondo, Porta Mosa. Il passaggio, più conosciuto come Porta Stoppa, spesso chiusa per le improvvise alluvioni del Po che vi passava accanto, si apriva su una piccolo quartiere con mulino e cimitero ebraico. “M Lazarus de Poçal fecit hanc ecclesiam 1484 die 21 Iuli” si legge con facilità nel catino dell’abside decorato con una delicata sequenza di fiori di ibisco. Il 1484 è l’anno della bolla pontificia in cui Innocenzo VIII si scaglia contro le streghe, Cristoforo Colombo lascia il Portogallo e raggiunge Isabella di Castiglia per proporle il suo grande progetto, Ludovico il Moro e la sua corte ha fissa dimora, concede udienza, riceve gli ospiti nel castello di Santa Croce a Cremona. Mesi prima, Ludovico, mentre prepara nella città padana la Dieta con Lorenzo il Magnifico contro la Serenissima accoglie Leonardo da Vinci con la sua lira d’argento come riferisce Giorgio Vasari nelle Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti (vedi liuteria). Chi entra nella Chiesa e assapora il profumo della storia non può non provare quello strana serenità mista a disagio che fa presagire gli eventi degli anni successivi. Cacciati gli Sforza, i francesi di Luigi XII lasciano la città in mani venete che si appropriano delle attività commerciali e produttive. Gli stessi francesi la strappano ai veneti qualche anno più tardi imponendo una dura dominazione che segnerà con l’arrivo degli spagnoli l’inizio di una serie di episodi sanguinosi, di gravissime pressioni fiscali, il doloroso periodo delle ricorrenti epidemie di peste (tra le più importanti quella del 1520, quella di san Carlo e la famosa peste manzoniana nel secolo successivo), il Concilio di Trento, gli Ugonotti e Carlo IX alla ricerca di nuove armonie musicali accompagnate da violini cremonesi. Lontane alchimie storiche e spagiriche sembrano riapparire da una misteriosa formella in cotto in cui


ermetica appare la formula della dolciastra mostarda o burro di Saturno: unico rimedio alla peste e al suo bubbone, cinica metafora della vanitas anticipatrice della rivoluzione barocca. Giovanissimo mi accompagnò a vedere la chiesa il papà Mario, dotto insegnante di violino alla scuola di Liuteria ma giocoso nel suo carattere di funambolo interprete di jazz e dilettante di prestigiazione. Papà, mio fratello ed io, alla fine degli anni settanta con il giornalista del quotidiano locale, ci lasciammo sedurre da quell’affresco che traspariva tra scialbi e intonaci ammuffiti. L’immagine mostra un San Genesio sorridente, “vestito della festa”, con cravattino vezzoso, mentre osserva il suo strumento musicale come capita spesso di vedere un intenditore quando si lascia affascinare dalle dicroiche marezzature del legno armonico del fondo di un violino. Forse il giovane Andrea Guarneri durante il suo matrimonio avvenuto nella chiesa il 31 dicembre 1652 non si lasciò sfuggire un’occhiata interessata al curioso violino arcaico nelle mani del santo e forsanche si lasciò incantare dal poeta che si accompagnava alla “lira da brazo et alla citerra” che dal secolo scorso erano custodite nella vicina chiesa di Santa Maria in Bethlem. “l’affresco è contemporaneo all’anno di nascita di Andrea Amati?… chi era quel Camillo Mainerius musicus che secondo la carta del Campi abitava a pochi passi dalla Chiesa?... ma quello di san Genesio è lo stesso strumento musicale raffigurato in una pala d’altare in sant’Abbondio e ripreso anche da Virdung ed Agricola? Galeazzo Campi, Tommaso Aleni, Lorenzo De Becis, Altobello Melone … che confusione le attribuzioni… marrani e San Carlo… trovatori pellegrini lungo la via Francigena… Leonardo, gli Sforza, il Castello di Santa Croce, il Torriani, Carlo V e Filippo II… il Pacioli, Cardano e Tartaglia, … trobadours, minnesänger, musicisti fiamminghi … lirize carpatiche, skripche anatoliche, cruwt celtici, kemangè e rebab maghrebini…vielle, violette o lire? che periodo complesso! C’è ancora qualcuno, amante delle semplificazioni , che si chiede ingenuamente chi sia “l’inventore del violino”? … La verità si nasconde o forse traspare dal sorriso arguto del Santo laico violista e girovago per fede dunque, che, parodiando spiritosamente Orfeo, accompagna Apollo Italicus pellegrino “ ab Italis cum lyra ad Germanos veniat” e si chiede con M.G. VIDA ,vescovo e poeta cremonese, “Quid, qui fidibus et tibiis canunt?”. Un Genesio dunque, che riscopre la "disciplina delle divine proporzioni", e per mimési, le armonie di Dio. Santa Maria Maddalena è un dono che Cremona offre al turista: è l’anima della Città che furtivamente sembra racchiudere tra sovrapposizioni di affreschi le sue meraviglie ed i suoi peccati in un solo luogo. Siediti, riposa il tuo spirito, ora non sei più semplicemente turista, ora sei amico tra noi amici cremonesi. Un antico adagio sostiene che è pur vero che puoi strappare un cremonese da Cremona ma mai Cremona a chi l’ha amata anche nello spazio di una sola visita. †


FINESTRA 5 Itinerari musicali a passeggio tra armonie di chiese, palazzi, iconografie, collezioni e negozi: sinergie antiche e moderne della città. La cartina e il testo offrono una serie di spunti sintetici necessari per una visita alla città di Cremona sulle tracce del violino e dei suoi negozi lungo lo stesso cammino.

1-Museo della Chimica e del Violino. Istituto di Istruzione Superiore, Liceo delle Scienze Applicate “J.Torriani” di Cremona. Via Seminario 17/19. (Tel. 0372/28380 - Fax 0372/412602 E-MAIL: info@iistorriani.gov.it La scuola offre, previo appuntamento, la visita al museo a turisti e classi scolastiche, un parcheggio capiente e ampi locali bar possono offrire la migliore accoglienza. Il museo dispone di schede tecniche degli specifici strumenti scientifici. In particolare la sezione degli strumenti didattici del prof. Mario Maggi mostra il risultato dei suoi studi sulla accordatura degli strumenti, la realizzazione di vernici e sulla ricostruzione di una violetta rinascimentale dei primi anni del’500, immediata progenitrice del violino cremonese. Non a caso la scuola è stata intitolata al cremonese Janello Torriani (1500-1585), ingegnere di corte che possedeva una squisita sensibilità musicale e quella dote che pochissimi musicisti possono vantare come il discusso orecchio assoluto. Tale qualità gli permetteva di riconoscere la tonalità delle campane del monastero dell’Escorial senza l’aiuto di un diapason di riferimento.


2-Università di Pavia – dip. di Musicologia e Beni Culturali. Corso Garibaldi 178 - ( Tel.0372 25575 - Fax 0372/457077)– (http://musei.unipv.it/musicologia/pagine/coll_cs.html). La sede Universitaria è in Palazzo Raimondi, costruito nel 1499 dall’Architetto Bernardino de Lera lo stesso che propone disegni di liuti per le tarsie del Platina in Duomo nel 1482-1490. La sede ospita la collezione di strumenti musicali dall'avvocato milanese Giovanni Pellini (1912-1993). Più avanti in Piazza Sant’Agata l’antico palazzo comunale della Città Nova è sede di manifestazioni; soprattutto si ricorda la famosa mostra del 1937 con l’esposizione di più di 150 strumenti musicali della scuola classica cremonese e le irripetibili esecuzioni musicali della “Camerata” , con strumenti barocchi riprodotti allo scopo. 3-Casa nuziale di Stradivari– Corso Garibaldi 57 – (tel. 0372 30500 stradivariazioni@gmail.com). Abitata dal liutaio nel 1667, è oggi aperta a mostre soprattutto di giovani liutai. Visitabile con appuntamento. 4-Museo Civico e Biblioteca Governativa – Via Ugolani Dati,4 (Tel. 0372 407269 – fax +39 0372 407268 - museo.alaponzone@comune.cremona.it ). Il Museo affiancato alla Biblioteca Governativa è ospitato in Palazzo Affaitati: la ricca Pinacoteca raccoglie il patrimonio d’arte cremonese soprattutto legato alla nascita e allo sviluppo del manierismo lombardo i cui rappresentanti più importanti sono i Campi, il Bembo e il Boccaccino. In ampie e luminosa sale sono raccolte le collezioni del Marchese Ala Ponzone: nobile mecenate cremonese che con la sua donazione nel 1842 ha permesso la nascita di scuole d’arte le quali hanno alimentato l’eccellenza dell’artigianato d’arte come la liuteria. Dal 2013 il Museo accoglie una collezione di strumenti a pizzico. Il museo ospita una importante pinacoteca e collezione di opere d’arte con riferimenti precisi alla liuteria cremonese. Tra tutti un esempio in cui Antonio Gianlisi (1695) contemporaneo di Stradivari affida la sua esposizione artistica ad un elegante violoncello, due liuti e tra i tanti particolari un traboccante piatto di biscotti cremonesi.


5-Chiesa di Santa Margherita – Via Trecchi. La chiesa costruita nel 1547 da Giulio Campi, architetto, musicista e pittore Lo stesso artista decora l’interno con “le storie di Cristo”. Un Davide con un lirone a 9 corde nell’antifacciata fa il paio con una simile raffigurazione in San Sigismondo. (Lo strumento è interessante perché preannuncia la trasformazione di strumenti quattrocenteschi denominati lire a più corde in viole più vicine ai moderni canoni della liuteria)

6-Istituto d'Istruzione Superiore Antonio Stradivari - Liceo Musicale, Scuola Internazionale di Liuteria, Istituto Tecnico e Professionale per la Moda e l'Arredo Palazzo Pallavicino Ariguzzi - via Colletta,-(0372 38689 - Fax 0372 800233. La Scuola nata nel 1938 in occasione del bicentenario della morte di Stradivari, è per molti anni appartenuta al complesso di scuole tecniche e d’arte volute dal Marchese Ala Ponzone. Offre in mostra una collezione di strumenti musicali realizzati da studenti e insegnanti. Non distante dalla scuola due chiese Sant’Omobono e Sant’Agostino possiedono due importanti organi di tradizione lombarda come i bergamaschi Bossi 7-Chiesa di Santa Lucia: La chiesta di origini altomedioevali possiede un affresco nella sagrestia a fianco dell’altare che raffigura strumenti musicali noti nella Cremona del trecento come viella, liuto, arpa e organo portativo. (nella figura angelo musicante accostato a suonatore musulmano di rebab, “ strumento dalla voce umana” come riferisce Al Farabi (d.c.950) e gli stessi strumenti appartenente alla collezione Mario Maggi)

La chiesa fu scelta nella seconda metà del XII sec da Gerardo da Cremona ( Gerardus Lombardus, natione Cremonensis, magnus linguae arabicae translator, del Canone di medicina di Avicenna frutto delle speculazioni del filosofo e musicista arabo Al-Farabi) per creare nell’annessa sagrestia una biblioteca con libri di medicina, di filosofia e di altre scienze affinché, chiunque lo volesse, potesse trarne esemplari. Nato nel 1114, Gerardo , acquisisce a Cremona una preparazione di carattere filosofico, si reca tra il 1135 e il 1140 a Toledo per accostarsi alla cultura scientifica araba. Qui inizia il suo lavoro di traduttore in vari settori scientifici: dalla dialettica all’astronomia, alla filosofia naturale e alla fisica medica, non trascurando musica, alchimia e geomanzia. Gerardo ripropose le intuizioni di Avicenna, scienziato mussulmano del X sec. che per primo notò la stretta relazione fra le emozioni generate dalla musica e la salute del paziente. Nel 1665 la chiesa sarà scelta per la sepoltura di Tarquinio Merula ultimo grande musicista compositore alla guida della Cappella delle Laudi in Cattedrale


8-Chiesa di S.Pietro al Po: la chiesa è stata eretta nel primo millennio sulle sponde del fiume Po che lambiva in quel tempo Cremona. Davanti alla chiesa il 20 giugno 1431 si consumò la vittoria della flotta viscontea forte di cinquecento legni facendo strage di quella veneta. La chiesa ingrandita nel ‘500, ha interessati affreschi di Antonio Campi (1579), accompagnati da ornamentazioni più tarde di G.B.Trotti. In molte di queste è facile individuare riproduzioni di strumenti musicali di fattura rinascimentale. L’organo costruito nel 1877 è dei pavesi Lingiardi che in onore di Cremona idearono registri diversi per il suono del violino: violino dolce, violino da concerto, violino soprano (timbro che, gli organari nordeuropei indicavano con “Cremona”, registro tra i più usati ad esempio nella cattedrale di Westminster). 9-Teatro Ponchielli - Corso Vittorio Emanuele II, (Tel. 0372 022002; 0372 407273 - 4 – 5 - EMail:teatroponchielli@comune.cremona.it). Costruito nel 1747 e ricostruito nel 1806 è tra i più antichi teatri italiani, ha accolto grandi personalità come Mozart, Verdi, Stendhal legato a platonico affetto alla celebre cantante cremonese Carolina Bassi, ispiratrice di Meyerbeer e Rossini, il catanese Bellini ospite amato a Villa Tura nel “petit village de Casalbuttano…”, luogo che diede i natali ai liutai Andrea Guarneri (1623 –1698) e Luigi Digiuni (1878 —1937). In tempi più recenti artisti insuperabili come Oistrack e Rostropovich, Uto Ughi, Accardo e Sergej Krylov resero celebre il teatro. Nunzio Anselmi segretario del teatro, ricordava spesso con autocompiacimento quando, giovane valletto, seguì il D’Annunzio dalla Piazza al Teatro. in occasione del famoso concerto dell’Orchestra romana di Santa Cecilia nel ’37, precedendolo solo nel momento in cui gli aprì la porta del Palco Reale. Platealmente Nunzio si espresse con un “prego maestro” senza accennare signorilmente a quella strana e discreta omonimia che sembrava renderlo speciale in confidenza col Vate. Il violinista Yehudi Menuhin e la sorella Hephzibah assaporarono il silenzio notturno della umida notte dopo un indimenticabile concerto in cui Mario ebbe l’onore della compagnia del maestro ed io, incantato, controllavo le muscolari stoccate seguite da delicati arpeggi con l’inimitabile “Lord Wilson”, dietro le quinte a pochi passi dal violinista.


Cantanti come la Callas, Gigli, Protti e Del Monaco portarono in scena le opere del cremonese Ponchielli a cui il teatro è dedicato. Riccardo Muti durante la presentazione di un concerto nel 2001 così si esprimeva <<Cremona è una città alla quale mi sento vicino per un caro ricordo affettivo … essa è un luogo che ti rapisce per le sue bellezze>>

Si può dire che la rinascita moderna della liuteria classica sia partita da questo santuario laico con il famoso concerto tenuto in occasione del bicentenario stradivariano nel 1937 in cui tutti gli strumenti dell’orchestra , poi esposti in Cittanova, erano Stradivari, Amati, Bergonzi, Guarneri. Nel 1967, in occasione del IV centenario della nascita di Monteverdi,l’esecuzione di canzoni, scherzi e madrigali, Il Ballo delle Ingrate, Il Combattimento di Tancredi e Clorinda e l’Incoronazione di Poppea con la regia di Zeffirelli, direzione m°Gerelli dell’Angelicum, richiese la riproduzione di strumenti del primo barocco come viole da gamba e da brazzo. Ai concerti parteciparono i migliori musicisti del momento come Giorgio Garulli, Giulio Franzetti , Alfredo e Tito Riccardi primi strumentisti della Scala, Cristiane Jaccotet allieva prediletta di Gustav Leonhardt e Mario Maggi insegnante della Scuola di Liuteria che con Giovanni Pellini,


liutista ed i maestri liutai della Scuola contribuirono a progettare, disegnare, ricostruire, perfezionare gli strumenti necessari alla realizzazione delle opere. La loro creazione segnò le basi per una nuova filologia organologica e una specializzazione di eccellenza nel campo della liuteria che ebbe sua massima valorizzazione nella mostra curata da Gae Aulenti nel ’87 in Palazzo Comunale. 10-Museo del Violino – Piazza Marconi (0372 407269 - 4070033). L’ambiente esterno è in stile razionalista. Il palazzo è dell’arch. Romano Cocchia. Inaugurato nel 2013 il Museo espone le collezioni degli strumenti musicali del Comune di Cremona con i capolavori di Stradivari, Amati,Guarneri. Spicca tra gli altri il capolavoro di Stradivari datati 1715 appartenuto al famoso violinista tedesco Joseph Joachim, amico di Brahms e di Schumann.

e il Museo stradivariano con, disegni, modelli, forme ed i preziosi strumenti di lavoro del grande maestro liutaio.

11-Chiesa di Santa Maria Maddalena – Via XI febbraio - apertura:il sabato e la domenica dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18 esclusa stagione invernale (Ref. Tel.0372 39175 - Fax: 0372 39175 - 339 5415038) La chiesa eretta attorno alla metà del Duecento mostra una struttura architettonica quattrocentesca con reminiscenze tardogotiche e sovrapposizioni e rinascimentali barocche. Un grande polittico di Tommaso Aleni, ne caratterizza l’altare a fianco del quale due


affreschi raffigurano un san Genesio della fine del ‘400 ed un secondo degli inizi del ‘500 . Nel primo affresco il santo imbraccia una alquanto scolorita ribeca, nel secondo una violetta (secondo la denominazione del Lanfranco o con brutto termine moderno protoviolino): i due strumenti rappresentano l’elemento di transizione dalla viola lira o viella medioevale alla viola moderna strumento il cui parente più stretto a tessitura alta è il violino cremonese. Una curiosa coincidenza fa risalire il secondo affresco ai primi anni del ‘500 periodo in cui nasce Andrea Amati e che produrrà dopo qualche anno i primi violini per il re di Francia e per questo chiamati anche dallo stesso Monteverdi “violini piccoli alla francese”. 12-Chiesa di san Marcellino. Via Ponchielli - La chiesa, fa parte del complesso in cui ebbe sede il collegio dei Gesuiti. Edificata nel 1602, è riccamente ornata da stucchi in bianco e oro e da cornici e pannelli del G. Bertesi che intaglia la monumentale mole dell'ancona lignea sul fondo del presbiterio con fogliami e motivi architettonici e nella quale G. Gatti (1604) raffigura S. Marcellino e l'Esorcista Pietro. Soppresso l'ordine dei Gesuiti nel 1773, per volere di Maria Teresa d'Austria, la Biblioteca venne separata dal Collegio ed aperta al pubblico nel 1780, creando le origini della Biblioteca Statale di Cremona. Il fondo accoglie manoscritti e cinquecentine e due globi terracquei e stellari di Gherardo Mercatore. I gesuiti mantengono forti legami con la liuteria cremonese, oltre al citato Guarneri detto del Gesù si può ricordare Filippo Bonanni (Trattato sopra la vernice detta comunemente cinese-Roma, 1720) e Kircher (Cina Illustrata -1667) i quali studiano resine come la gommalacca e le vernici corrispondenti. Francesco Saverio Quadrio diede alle stampe un trattato di organologia musicale e, appartenenti allo stesso Ordine, Miguel Agusti in Spagna e Francesco Terzi Lana, in Italia impostarono le regole nella distillazione delle vinacce che dureranno sino all’800 ottenendo alcool a purezza adatta per vernici più limpide, durature e adatte all’uso in liuteria. 13-“Galleria” nel quartiere dei liutai La Galleria XXV Aprile compie ottant’anni. Finita di costruire nel maggio del 1933 sul demolito isolato dei liutai davanti alla piazzetta di San Domenico, sede dell’Inquisizione e di una famosa farmacia che si può presumere rifornisse i liutai di resine. La chiesa importante per la storia di Cremona, è stata anch’essa abbattuta nell’800. Un vuoto culturale che non ha distrutto la vera anima del luogo: non è difficile sentire qualche cremonese nostalgico ricordare un lontano passato che curiosamente per motivi anagrafici non può aver vissuto se non attraverso i racconti dei nonni. Una stele di marmo poco leggibile indica la casa di Stradivari. 14-Cattedrale e la Piazza : edificata agli inizi del XII secolo il Duomo di Cremona è tra le architetture più importanti del Nord Italia. Protagonista della medioevale piazza del Comune, nel punto più alto della città è affiancata dal Torrazzo e la sua Ghirlandina, , il Battistero, Palazzo Comunale e la Loggia dei Militi. L’imponente organo è del 1879 e la canna maggiore di 8,40 metri di altezza pesa 190 kg. Lesene con strumenti musicali, l’altare del Bertesi dedicato alla corporazione dei lavoratori del legno, raccontano una millenaria storia musicale che si affianca a quella artistica del tardo gotico e successivo manierismo lombardo cremonese. La Cattedrale dunque è culla della scuola pittorica cremonese . L’interno è affrescato da Boccaccio Boccaccino, Altobello Melone, Romanino , Pordenone, Bernardino Gatti. Dipinti di Bonifacio Bembo, pittore ducale degli Sforza nei castelli di Pavia, Milano e Vigevano, lascia sue opere in Cattedrale ma anche in Santa Lucia, Sant’Omobono e Sant’Agostino. Dipinti del Campi e tarsie del Platina completano un ciclo di opere d’arte uniche. Una storia dell’arte incomparabile si racconta in visibili approfondimenti ed il fascino immediato della meraviglia come appare il 23 settembre di ogni anno quando il sole all’equinozio entra dal rosone principale ed illumina l’oro che circonda il Redentore del Boccaccino.


La piazza si completa con importanti palazzi tra i quali Palazzo del Comune in cui Gae Aulenti allestì la mostra per le celebrazioni stradivariane del 1987 in occasione del 250° della morte del grande liutaio. Come recitava il giornale dell’epoca, l’architetto restò affascinata dal palazzo e chiese di allestire proprio lì la mostra e non in altri spazi, perché era quella la “casa degli Stradivari”. Fece cambiare i drappeggi e le tappezzerie e disegnò personalmente le vetrine per esporre una cinquantina di Stradivari provenienti da ogni parte del mondo. Per mesi si racconta che strani suoni ed improvvisi flash di luce provenissero da quelle sale che avevano raccolto assieme agli strumenti del sommo liutaio anche le anime turbate dei concertisti che quegli strumenti avevano suonato e amato. Nel XV sec. il Comune aveva a disposizione un gruppo di suonatori a fiato, il “chorus tibicinium qui vulgo pifari dicuntur” e più tardi Societas pulsatorum piffari. Il gruppo musicale d’assieme era costituito da ottoni (prevalentemente tromboni)e cornetti a bocchino, strumenti ad ancia doppia come piffari, bombarde e cornamuse. I compiti dell’ensamble erano civili, ma anche religiosi: essi infatti dovevano suonare in cattedrale al Castello e sulla loggetta del Battistero, in tutte le feste pubbliche e processioni del Corpus Domini e dell’Assunzione spesso accompagnati da viole e flauti. Cremona esporta la tradizione di strumenti a fiato in Irlanda nella città di Donegan quando il cremonese Pietro Bruno (1475) si trasferisce cambiando il nome in Patric Cremmon ( Patrizio di Cremona), ricordato ancor oggi nella prestigiosa scuola di musica della città. Non fu un caso isolato: nell’800 una intera famiglia inglese di Portsmouth, composta da 8 elementi tutti violinisti, girava l’Inghilterra sotto il nome di “Cremona Musical Union”. Gli affreschi del Campi e un bassorilievo incassato in un palazzo in Piazza del Duomo testimoniano l’antica professione dei fiati e della tradizione musicale cremonese.


15-Teatro “Filo” già Ariberti sede ALI (Liuteria Artistica Italiana) Piazza filodrammatici 4(Tel. 0372 411252 - apertoVenerdì 21:00-23:00 Tra i primi teatri allestiti in città, nato nel 1670 dalla famiglia dei marchesi Ariberti, per con passaggio sopraelevato che lo collegava al palazzo. Un avo degli Ariberti fu il protagonista del duello con Lodovico Picenardi , il Fra Cristoforo da Cremona del Manzoni. Giovan Battista Ariberti , nominato Tenente-maresciallo d’Austria e un membro dell’Alto Consiglio di Stato a Milano è noto per aver mediato la produzione del famoso quartetto mediceo (strumenti di forma “nova” in custodia di pelle conciata al sommacco) per il Granduca di Toscana. Nelle stanze annesse al teatro l’Associazione Liutaria Italiana espone ogni anno a settembre gli strumenti più significativi e più belli della produzione dei liutai italiani.


16-Chiesa di Sant’Abbondio La chiesa di S. Abbondio nasce romanica: annesso all'edificio è il convento che fu dei Benedettini, degli Umiliati e dei Teatini che la ampliarono riconsacrandola nel 1591. L’interno è interamente coperto di affreschi cinquecenteschi tra i quali è possibile osservare una Madonna in gloria, opera di Galeazzo Campi, capostipite della nota famiglia di pittori cremonesi, databile al secondo decennio del Cinquecento. Le figure alate suonano curiose violette-lire immediate progenitrici del violino morfologicamente simili a quella osservabile in Santa Maria Maddalena nelle mani di San Genesio. Affreschi più tardi attribuiti al Campi , al Malosso e al Sammachini, offrono tipologie interessanti di viole da gamba esacorde.

17-Abitazione di Claudio Monteverdi: Situata nel quartiere Piazano dove si era trasferito il padre dalla parrochia di san Nazzaro. L’individuazione del luogo compreso tra le attuali via Gerolamo da Cremona, via Pallavicino, Corso Matteotti e via Cavitelli è stata occasione di colto litigio tra due storici cremonesi: si consiglia di addentrarsi tra questi vicoli e sorridere ai lontani battibecchi dei due amici (Santoro e Pontiroli) immaginando quale potesse essere la casa del Sommo musicista e del padre chimico e cerusico mai individuata con sicurezza. Il gesuita, padre Ansaldo Cotta, sintetizzando l'elogio a Monteverdi dirà:”Musicae gemella Pictura est” un parallelo che ben si adatta all’anima di Cremona 18-Chiesa di San Sigismondo-Largo Bianca Maria Visconti, 3 (Tel. 0372 801700 per appuntamento-http://www.diocesidicremona.it) - Il chiostro e il coro monastico sono visitabili solo il 1 maggio e la 3^ domenica di settembre. La chiesa di S. Sigismondo è stata edificata nel ‘500 per volere di Bianca Maria Visconti a ricordo del matrimonio con Francesco Sforza il 25 ottobre 1441 . Sul luogo in cui esisteva la piccola cappella dedicata al santo e nella quale avvennero le nozze, sorse la chiesa e un monastero dove si insediò l’ordine dei Gerolomini e dal 2010 le monache domenicane. La chiesa mostra una serie esaustiva di dipinti ed affreschi di strumenti musicali del cinquecento, tra questi lironi, ribeche, arpe, lire, liuti, ghironde, cetre, cornamuse. L’organo ristrutturato dall’Acerbis nel 1860 è racchiuso in una cassa cinquecentesca disegnata dal Campi. Una apoteosi di simboli di liuteria al servizio della devozione di Cremona capitale della musica e che i cremonesi affettuosamente chiamano la Cappella Sistina del Nord


19-Collezione degli strumenti musicali del prof. Mario Maggi (www.maggigim@libero.it http://www.musei.confartigianato.it/Museo.asp?id=405 – www.collezionemaggi.altervista.org ). La collezione è visitabile da un ristretto numero di studiosi per appuntamento. La collezione in sintesi è costituita da quattro sezioni importanti: la prima comprende strumenti antichi con arpe, violini, mandolini, mandole e chitarre dell''800 con eccellenze come Ceruti E.; Leclerc; Vinaccia; Pastori; Testore; la seconda sezione è impreziosita da strumenti meccanici da fisarmoniche a organetti di barberia e scatole musicali di produzione italiana ed europea; la terza sezione è arricchita da strumenti etnici curiosi e rari ( utilizzati a scopo didattico per ricerche sulla nomenclatura organologica di base) ; la quarta sezione è quella affettivamente più cara al prof. perché raccoglie alcune riproduzioni medioevali e barocche nate dai suoi studi ma realizzate attraverso il giovanile entusiasmo di cari allievi ed amici liutai ora diventati capiscuola della liuteria cremonese e italiana 20-Scuola di Musica e Conservatorio Pareggiato 21-Le diverse botteghe dei liutai sono distribuite nella città: per informazioni Camera di Commercio di Cremona al telefono 0372-490212 / 259 / 361 oppure al fax 0372-490250 info@cremonaviolins.com - info@associazioneali.it


NARRAZIONE6 Ritornare a Cremona per scoprire soffitte e sotterranei : il paradosso di vivere la città come trovarsi all’interno di un … violino.

Il turista ritorna a Cremona, oppure riprogramma una futura puntata nella città perché sente di dover approfondire fugaci e curiose impressioni nate dal racconto magari disordinato ma scaturito dall’entusiasmo del cremonese in vena di confidenze. Ecco alcune insolite tracce per un futuro percorso.

MATRONEI IN DUOMO In Duomo un passaggio segreto porta ad un matroneo in cui per anni è rimasto conservato con discrezione l’Archivio della città risalente a prima dell’anno mille, detto per questo “segreto” accanto ai resti del carroccio catturato ai milanesi. Nella foto fatta durante restauri, le due porte del passaggio segreto della controfacciata della cattedrale sono occultate da panche ed inginocchiatoi. Nell’archivio cittadino sono conservate le antiche storie di musicisti che operarono in Cattedrale ed al castello di Santa Croce , residenza degli Sforza. Curiose cronache narrano di orchestre intere di cornamuse e pifferi, di musicanti accompagnatori del Carroccio contro o a favore del Barbarossa e degli eserciti alle crociate di Federico II.


CATACOMBE Nella Chiesa di Sant’Abbondio si trova un caratteristico ipogeo del XVII sec. costruito sopra la perfetta riproduzione della Santa Casa Lauretana (1624) e un museo di ex voto. Il luogo di sepoltura catacombale, ornato da belle tempere,è estremamente suggestivo e inusuale. Il Museo Lauretano, allestito al piano superiore dell'antico appartamento del priore degli Umiliati raccoglie ex voto, memorie e testimonianze legate alla devozione Lauretana, collegato alla Santa Casa di Loreto ricostruita in perfetta copia nella chiesa. Una scritta “Gott weis wen” inneggia alla saggezza di Dio.


La chiesa conserva l’atto di nascita di Claudio Monteverdi nato a Cremona il 15 maggio 1567, figlio di Baldassarre medico e cerusico e Maddalena Zignani,

IL VIOLINO DELL’IMPERATORE (spunti da una colloquio con il famoso liutaio Takashi Ischii)

Un giovane Claudio Monteverdi violista pubblica dal 1582 le sue prime opere a carattere religioso come la raccolta di Sacrae Cantiunculae, i Madrigali Spirituali e le Canzonette a 3 voci. La pubblicazione del Primo Libro dei Madrigali (1587) segna il suo ingresso nella cerchia dei più grandi musicisti del tempo. In quegli anni quattro giovani ambasciatori gesuiti furono inviati in Europa dal daimyo, cristiano di Kyushu, ricevuti dal Papa Gregorio XIII nel 1585 e dal suo successore Sisto V. Sulla strada del ritorno si incontrarono con Francesco I dè Medici e raggiunsero Cremona noto centro musicale per la presenza dei liutai Amati (famoso per aver costruito gli strumenti per la corte di Francia) e della Cappella del Duomo che vantava le innovazioni compositive di Ippolito Camatera con il suo Magnificat a più voci e concertato con “ogni sorta d’instrumenti di musica” dedicato al Vescovo Sfondrati, che diventerà Papa Gregorio XIV. Il futuro presule accolse solennemente gli ambasciatori che furono ricevuti dal maestro di cappella del Duomo di Cremona, Marc’Antonio dal Violin o dalla Viola (Marc'Antonio Ingegneri) e maestro del giovane Monteverdi. Le cronache narrano che gli ambasciatori portassero in dono all’ imperatore reggente Toyotomi Hideyoshi le “viole” cremonesi.


La musica del violino accompagnerà la nascita del moderno Giappone e la grande tragedia della bomba atomica. “ Il violinista si fissò lo strumento con sicurezza sotto il mento e si inchinò profondamente davanti ai bambini seduti nella caratteristica posizione seiza che stupefatti risposero all’inchino. Le possenti e magiche note dell’Ave Maria uscivano per incanto dal fragile violino. Per un lungo istante a bocca aperta si lasciarono incantare dalla magia dei suoni, dimenticando la loro cecità e le loro orrende cicatrici cheloidi. “ (by a song from Nagasaki) Corsi e ricorsi della storia si avverano nell’allora giovane Takashi Ishii, regista alla NHK e laureato in Chimica che decide di apprendere l’arte liutaria cremonese, nel 1984 fa da guida al Principe del Giappone Hiro in occasione della sua visita in Italia, e gli mostra le bellezze della città di Cremona. Nel 1985 viene invitato a Palazzo Togu in Giappone per un incontro informale con l’Imperatore, l’Imperatrice e il Principe ereditario ed elabora il progetto ‘Il violino di Hideyoshi’ dedicato all’avventura di quei lontani ambasciatori ed al restauro di strumenti musicali rinascimentali. Negli anni incontra nuovamente l’Imperatore del Giappone costruendo per lui una viola ed un violino per la Principessa del Giappone Aiko e mantenendo contatti costanti con il Consolato e gli ambienti culturali giapponesi. ( nella foto Takashi Ishii con una viola da braccio e Mario Maggi)


Takashi è un personaggio umile, ricco di cultura, affascinante nel suo sorriso un po’ enigmatico: è stato un grande amico di Mario e così in pochi tratti racconta la sua vita: Erano gli anni della guerra, mio padre sapiente musicista affrontava le quotidiane difficoltà lavorando in una piccola manifattura di guanti di gomma e suonando quando poteva il violino alla scuola di musica di Tokyo Ochanomizu. In casa il grammofono Victrola ripeteva indifferentemente sia brevi pezzi come "Wai Chigoineru Zen" e un Beethoven presago, per i tempi, di imprevedibile "destino". La puntina consumata era stata sostituita da un ago di bambù che mio padre levigava con cura dopo ogni sonata del grammofono. Ricordo l’impegno delle mani, l’atteggiamento, l’attenzione che questi metteva nello sfregare, strofinare, palpare tra indice e pollice il lucido e appuntito strumento. Appuntire una piccola scheggia di bambou è come operare su una tavola di abete di violino dallo spessore di circa tre millimetri, la differenza di mezzo millimetro ne determina la sonorità e la vita: “Voglio che tu provi la misura di quanto è 0,5 millimetri sulla punta del dito indice e il pollice. Penso che le preoccupazioni della vita e dei pensieri siano come in liuteria: uno stato condensato in un sintetico breve intervallo. “ Nel 1959 frequentai il l’ High School Ueno di Tokyo e successivamente , l’Università of Science Chimiche di Tokyo, ma rimasi legato al fascino di quella punta di legno che perfettamente levigata sapeva trarre magici suoni da solchi di vinile e gommalacca. La vita scorre a volte per metafore, simboli prodigiosi di predestinati destini: capii da mio padre che l’armonia come l’amore nasce dalla meticolosa e sofferta ricerca della perfezione e spesso basta un piccolo strumento come una puntina di un grammofono per riconoscere il proprio futuro. A 22 anni mi inserii in un laboratorio di liuteria di Tokio e 27 anni giunsi a Cremona, senza conoscer nessuno ma forte del mio desiderio di creare. Da quel giorno continuai a costruire violini e sperimentare su di essi il lontano messaggio della mia terra con vernici che accolgano nella loro ricetta la tradizionale lacca urushi e il cui colore si possa stendere come delicata velatura simile alle guance rosse robbia, Kakiiro, colore Toki . Il colore assolutamente simile ai rossi tetti di cotto di Cremona Conobbi Giuseppina in circostanze particolari: ero stato ricoverato in Ospedale per una brutta polmonite e mi fu assegnata proprio la Giuseppina come infermiera. Una strana coppia la nostra in una città che ancora oggi sente sulle spalle il peso di 2200 anni della sua storia. A Cremona anni fa era difficile incontrare un uomo giallo ( chissà poi perché quel colore?) dagli occhi a mandorla (chissà poi perché quel frutto?) e soprattutto una copia stranamente assortita formata da un cinese ( per un Cremonese di cinquant’anni fa, ad est erano tutti cinesi, come a sud erano solo napoletani) e una cremonese di pura nascita: una coppia con il misero reddito del liutaio,


per giunta! … e poi di religione diversa! Ci sposammo il 20 dicembre 1981, il matrimonio fu benedetto in una bella giornata di sole nella chiesa di San Michele con un permesso speciale dal Vaticano subordinato alla promessa che io, buddista, avrei battezzato i miei figli e gli avrei dato una formazione cattolica. Quel giorno la chiesa era colma di cremonesi gioiosi, i miei parenti erano giunti apposta dal Giappone, Mario Maggi suonò la struggente Ave Maria di Schubert che ricorda, secondo il romanziere Walter Scott, le pene di due giovani innamorati i quali prima di iniziare la loro convivenza, segnata dal peccato, invocano il conforto della Madonna. Bigio (proprietario della taverna Italia) nel ruolo di testimone pianse tanto soprattutto perché … non ne poteva più di stare in piedi.

ANTICHI MONASTERI Antichi monasteri mostrano la magnificenza di un passato remoto. Curiosi soffitti, l’uno in San Francesco, imponente chiesa utilizzata sino agli anni ’60 come ospedale e l’altro in san Benedetto. In quest’ultimo appare magnificente l’affresco del Massarotti (1654-1723) contemporaneo di Stradivari con un angelo che inaspettatamente suona un violoncello da spalla, strumento oggi dimenticato a Cremona ma ancora vivo nella tradizione popolare est europea. La politica fece propria l’idea di insegnanti e del preside della scuola di Liuteria di fare dei Monasteri una Città della Musica, poi la città cambiò politica e la politica cambiò idea.


CRIPTA IN CATTEDRALE Tornare in Cattedrale: per una visita al santo cremonese Omobono, si scende in cripta: dalla tomba la tradizione popolare vuole che uscissero due colombe per annunciare la vittoria dei cremonesi sui milanesi della lega guelfa nella battaglia di Cortenuova nel 1234. Non sarà difficile al visitatore ascoltare il suono del potente organo ( Inzoli, -1879 e Balbiani-Vegezzi-Bossi, 1937) rifatto su un precedente strumento di A.Degli Antoni (1482) e utilizzando il piombo delle canne cinquecentesche degli Antegnati provenienti da San Pietro (vedi). Le melodie provenienti dalla chiesa superiore rimodulano le armoniche nel grave per effetto dell’ambiente sotterraneo simile ad una enorme cassa acustica. 


FORTE DI SAN MICHELE " Ho saputo dei tuoi pericolosi esperimenti casalinghi !" mi apostrofò il burbero professore ed io risposi solo con quel sorriso a zigomi tirati, fronte corrucciata e occhi spenti di chi colto in flagrante non sa che fare se non arrossire in volto violentemente ed accettare con rassegnazione il coro di sghignazzi divertiti dei compagni. La campanella, il paltò, le scale di corsa , il fico, una piazzetta sterrata antico sagrato dove si svolgeva i Palio del gallo, uno sguardo a S.Lorenzo e per via Meli, verso casa. Un tavolaccio da osteria da noi ripulito serviva per le segrete miscele. In fondo non erano esperimenti così pericolosi : si trattava di prelevare con pazienza nelle cantine più umide e antiche le efflorescenze umide di nitrati. Ottenere la prevedibile “trasmutazione” osservando meravigliati il modificarsi in cristalli dopo ripetute dissoluzioni e filtrazioni di tale putrida polvere. Sperimentare ingredienti ricavati da polvere di … zucchero, gomme di prunus, carbone e polvere di lucciola alla ricerca della bioluminescenza di luciferina o cipridina e dicroici effetti di luce fosforescente. Gli improbabili segreti miscugli poi si accendevano sfrigolando e sviluppando flogisto con scintille bluastre e fumo bianco dal sentore di metallo e caramello. L'occulto ritrovo di chimici neofiti era all'interno delle mura del forte di San Michele , là dove una porta sgangherata e male accostata lasciava passare i nostri corpi snelli quanto incoscienti: erano forse gli alloggiamenti del corpo di guardia quelle stanze abbandonate da secoli, illuminate da strette feritoie che davano sulla via Marmolada. Forse in quel luogo, nel lontano medioevo, un ragazzo della nostra età avrà sofferto per la prima volta l’orrore della battaglia accompagnata da profumi di esplosiva polvere nera. Alchimia di gioventù, di cui poco si conosce, che costringe involontariamente alla scoperta della saggezza della ragione ma che lascia, in maturità, memoria di improbabili legami.


Passano i tempi …rileggo Primo Levi “… non era affare mio criticare i professori… il fosforo ha un nome molto bello, vuol dire “portatore di luce” è fosforescente, c’è nel cervello, c’è anche nei pesci… c’è anche nelle capocchie dei fiammiferi… c’è nei fuochi fatui… io , giorno per giorno, determinavo tutto il fosforo, inorganico e totale e mi sentivo come un asino legato al bindolo…”

PIAZZA CASTELLO


Ora è il cosiddetto quartiere elegante di Cremona costruito nel secolo scorso sul luogo in cui era la piazza d’armi e il castello sforzesco, luogo di battaglie, arte e banchetti. Non vi è più traccia del “glorioso passato” se non un moncone di torre e mura semiabbandonate. Là dove Bianca Maria Visconti si dilettava nel mottetto e forse Leonardo sonò la sua inimitabile lira da braccio, un dimenticato Pietro Anelli (Pianello Val Tidone , 17 lug. 1863 - Cremona, 27 gen. 1939), costruttore degli organi di S. Marco a Venezia e di S. Fedele a Verona, nel 1909 trasferì la fabbrica a Cremona. Nel 1922 divenne abile costruttore di pianoforti producendone quattro al giorno, esportandone diversi. I suoi brevetti come la meccanica a ripetizione, il “verticoda” , strumenti meccanici, pianoforti ed autopiani permisero di raggiungere una perfezione unica . La ditta Anelli di Via Montello in Piazza Castello, che tra i suoi collaboratori vantava pregevoli ebanisti e intagliatori spesso contesi ai Cavalli (tra questi: Clemente Lodi ; Pieresta, Vanelli, Braguti, Franco Miglioli), aveva brevetti ed apparecchiature specifiche nella produzione di tavole armoniche incatenate a caldo con caratteristiche d’elevata risonanza (va citato l’ottimo Miglioli artigiano esperto in questa manifattura), inoltre disponeva della tecnologia per produrre le particolari caviglie in metallo, della rifinitura delle intelaiature ad arpa in ghisa (prodotte all’OCRIM e collaudate da un giovane Martinelli,), e della macchina per fare corde rivestite per i bassi. Pierluigi Anelli affiderà ai suoi collaboratori più abili come Tamagni, Nazzari, Maggi il compito di collaudare, accordare i pianoforti in uscita dalla fabbrica e seguirli nella manutenzione presso musicisti e conservatori. La storia è crudele, le innovazioni del buon Anelli non ebbero le fortune dello Stradivari, la fabbrica è stata svenduta per sostituirla con un condominio, il marchio è ancora prodotto in luoghi lontani da artigiani che ne possono vantare l’eredità.

La ditta di pianoforti Anelli di Cremona produsse negli anni ’50 anche fisarmoniche Nei pressi di Cremona operava nell’800 la ditta di Parmelli e di "Savoia Luigi" di San Giovanni in Croce, definita dal famoso fisarmonicista Giovanni Gagliardi, lo "Stradivari della Fisarmonica". (Gagliardi, forte della simpatia di Giuseppe Verdi per lo strumento, fin dal 1902 volle modifiche importanti in esso perché questo potesse essere utilizzato per musica classica).


CAPPELLA MELI Sabato mattina, pioggia leggera, un rientro svogliato in laboratorio, acidi odori metalloidi o pungenti di alcali ammoniacali , rumori fastidiosi di ventole aspiranti, libri, quaderni , borse e indumenti appoggiati alla rinfusa , camici tonsi ; mentre il prof. stava facendo lezione, senza che nessuno di noi se ne fosse accorto, il Kipp continuava a dare effervescenze quasi in accordo con il ribollire del rotavapor già in funzione. Oli siccativi e resine decarbossilavano, transesterificavano, saponificavano in quello straordinario laboratorio gotico alchemico in cui l'intonaco scrostato ed annerito lasciava intravedere coloratissimi affreschi quattrocenteschi. La cupola mostrava ancora, a dispetto dei divieti del Concilio di Trento, i quattro elementi nelle loro dissacranti nudità. La pioggia or ora mutava in temporale e gocce di umidità spruzzavano, dissolvendosi in un sol aereo dal finestrone mal accostato del nostro laboratorio di chimica , improbabile ambiente che ci ospitava adolescenti negli anni sessanta, futuri chimici della vicina raffineria petrolifera

. Ora la cappella dei Meli, nobili e farmacisti, affiancata a San Lorenzo è Museo Archeologico, la raffineria è ridotta a semplice deposito di carburanti e la grande Arca dei Meli, irrispettosamente


smembrata secoli addietro, fa bella mostra di sé come pulpito in Cattedrale.

STRADIVARI, LA PIAZZA, LA CASA, I CERUTI E LA GALLERIA Cremona , terra di liutai e di contadini preserva il fascino di tradizioni arcane che il tempo mitizza : " esiste realmente il segreto della vernice di Stradivari?" chiede lo straniero perplesso e l'acuto e sprovincializzato esperto casalingo risponde sottolineando il diniego con un sorriso ironico. Per un chimico non c'è segreto che tenga pensai ; un chimico si rinchiude nel suo laboratorio e sfruttando alambicchi , reattivi, storte, burette e becher arriva a capire … a tutto ciò pensavo attraversando una Piazza Cavour , ora Stradivari, ombrosa e cinguettante di storni. Potrei proporre l'idea di una ricerca sulla composizione chimica delle vernici per la tesi finale di laurea ,pensai, e utilizzare le più sofisticate apparecchiature che possa disporre l'Università , verificare o almeno confermare le ricerche di Michelmann sulle stratigrafie e resinati metallici nelle vernici degli antichi liutai nostrani. Potrei anche osservare le continue trasformazioni chimiche che le resine ed oli subiscono nel tempo e magari prevederne degrado o nobilitazione. Per la Galleria mi assalì forte il profumo acre e unto di hamburger e patatine fritte ; avvertii con sgomento che la cucina del fast food era proprio là dove Stradivari intonava i suoi inimitabili strumenti. Di fronte ,quasi per gioco, immaginai San Domenico , l'acciottolato sconnesso percorso da carri della soldataglia francese ed austriaca, l'inquisizione ormai quasi dimenticata e medesimi acri e unti profumi di cibo e d'altro. E' il pensiero sfocato di una novella di Primo Levi che inconsciamente richiama il paradosso della preparazione della vernice all'olio di lino cotto:" … quando lui era giovane e cuoceva l'olio personalmente, i termometri non erano ancora entrati nell'uso; si giudicava della temperatura della cottura osservando i fumi, o sputandoci dentro, oppure più razionalmente , immergendo nell'olio una fetta di cipolla infilata nella punta di uno spiedo: quando la cipolla cominciava a rosolare , la cottura era buona". Attraversai in fretta i Giardini Pubblici e sollevando lo sguardo verso l’abitazione del giornalista Santoro, vidi il suo sguardo imbronciato e l'articolo che avrebbe proposto con un titolo senza ripensamenti: "Ennesima scoperta del segreto della vernice di Stradivari : sedicente chimico cremonese pretende sia a base di soffritto….." Tutto cambia e si trasforma, il fast food è ora gelateria ricca di profumi algidi e di meditate ricette dolci e complesse come quelle necessarie alla resa acustica di preziosi strumenti ma anche luogo sconsacrato testimone di litigi e falsificazioni operati da immeritati eredi del maestro. Il palazzo della Galleria e la vicina piazza Stradivari come racconta Mario Levi, giornalista cremonese, rappresentano un vero proprio forno alchemico in cui le storie si accavallano, lentamente si trasformano, svaniscono rinascendo a vita propria. La casa di Stradivari passata ai liutai Bergonzi si allargò in parte a negozio di sartoria e a magazzino dei Ceruti anch’essi liutai , gli ultimi discendenti dei quali furono l’uno idraulico e l’altro il m° Giovanni Ceruti, morto a 85 anni nel 1955, direttore di banda e coreografo di balletti al Ponchielli e in tutto il mondo. Giovanni sposò una delle sue ballerine e avviò uno dei bar più prestigiosi in Piazza Stradivari sotto i portici proprio dove ora la Camera di Commercio espone i violini più belli della produzione cremonese. Dai Ceruti ultimi liutai della scuola classica nasce la scuola milanese dei Bisiach (1864-1946) . Di Enrico Ceruti (1808 – 1883) rimane, preziosissima, un arpa ad uncini appartenente ora alla collezione del prof. Mario Maggi musicista e collega preferito dalle sorelle Stradivari: Ada, docente di canto corale e composizione moglie di Ennio Gerelli, direttore dell’Angelicum e della Camerata, e Gianna, violinista e concertista dal 1947 al 1980.

NEBBIA E GENTE E' la nebbia l'aria di Cremona ed è solo lei che potrebbe raccontare ciò che riaffiora da storie lontane. “Era una mattina nebbiosa e nuvolosa e sui tetti della case gravava un velo grigiastro che sembrava


riflettere le case color fango. Il mio compagno era di ottimo umore continuava a chiacchierare dei violini di Cremona e della differenza tra uno Stradivarius ed un Amati” ( da A.C.Doyle , Sherlock Holmes). La nebbia di Cremona solo lei sa meglio sfumarne i segreti di bottega così come memorie di antichi rancori . Il ponte sul Po era stato abbattuto dai bombardieri alleati e un fragile ponte di barche sulla via del Sale lasciava lentamente passare le truppe tedesche del colonnello Jäger in ritirata e per miracolo laico arresosi all’autorità del carismatico vescovo mons. Cazzani. I carri di legno stracolmi di soldati stanchi e feriti arrancavano sulla strada di terra battuta e attraverso la città si dirigevano provenendo dal piacentino, terra di Verdi , sulla via Brescia e la via Mantova, verso il Garda e il Brennero. A fine guerra, in molti rimase il ricordo pietoso e pur impaurito di quei visi sporchi e stanchi che poco avevano da spartire con eroismi da letteratura popolare , malsani e roboanti valori guerrieri , tracce di delicati intrecci d’armonie di musica ed arte. L'italiano stentato non lasciava dubbi :" manciare" disse il ragazzo con l'elmetto di traverso e aria furtivamente spaurita . Il nonno , artigiano e musicista, carattere forte, se lo portò in casa , nonna e le figlie lo medicarono, lo rifocillarono con le poche risorse razionate che garantiva la tessera e con le fragole dell’orto. Lo salutarono forse con un sorriso di sollievo mentre si allontanava per la via Giuseppina, là da dove era sempre arrivata la soldataglia di Radetzky ma ancor prima i poeti musicisti ,Minnesänger alla corte di Federico II, sulla via Francigena verso Roma. Passarono circa trent'anni da allora e in quella sorprendente e insieme straordinaria lettera proveniente da Chrudim (Repubblica Ceca) una grafia colta in un tedesco essenziale ricordava quell'incontro , il grande fiume, la città nebbiosa, il religioso benedicente con il pastorale, l’artigiano dal grembiule di pelle, e quel gustoso piatto di fragole rosse. Formule di chimica atomica che evolvono dall'athanor all'uovo alchemico sino alla sublimazione dell'essenza vitale e dell’ossimoro alchemico. Chissà , forse, se l'aria nebbiosa addensasse ancor più, si capirebbe che sono sufficienti solo pochi uomini e poche fragole rosse per realizzare la pietra dorata dei filosofi .

ALCHIMIE


"lo spirito è un fumo bianco pesante che scende presto e che si nasconde nei pori dell'umidità superflua distillata; l'anima è un fumo che non scende che molto tardi e che non si congiunge con l'acqua se non dopo una lunga circolazione tra l'alambicco e il recipiente…": così interpretava Le Breton , filosofo e alchimista, l'essenza della materia che è anche essenza di un luogo dove in spazi immutabili, il tempo e gli uomini possono distillare in modi variabilmente diversi. Il personaggio, Nivio Eridanio è il suo pseudonimo, poeta, musicista e maestro, ascoltava divertito seguendo i miei paradossi: la città e la città nova, le sue porte e mura, il torrazz , la palla d'oro, le sue strade sinuosamente radiali e concentriche ai due fuochi, il fiume, trasfiguravano in un enorme recipiente alchemico in ebollizione dove simili e contrari maceravano e germinavano, e poi separavano, fermentavano, decantavano, distillavano sino a moltiplicare, trasmutare, sublimare. Gli elementi dovevano esserci tutti perché l'opera si potesse completare; c'era anche la Petrolio, la poetessa che urlava i suoi carmi, la Biséla che teneva diario scrivendo sul lenzuolo di nozze, Gimmi lo strillone, Nello il gelataio, Mariolino barbiere e violinista che piangeva mentre sonava al violino l’Ave Maria, il Ginetto irrimediabilmente convinto dell’esistenza dell’orecchio assoluto, Càlu quello che faceva il salto, Ugo l'ambulante di saponette detto “candesina”, Pirlìin innamorato dello spirito …d’uva , Nesto il venditore di ghiaccio , Salamini l'esigentissimo maestro di musica che insegnava Mozart quando l'unica emozione permessa era il colore nero della camicia, Mario Galeotti della Banda del m° Frati, la cui tromba nella piazza intonava struggenti romanze pucciniane , … e ancora tanti scrigni racchiusi da tetti rossi attorno alla torre per la quale si raggiunge il cielo. Il poeta capì che non si trattava di allegoria, metafora, sogno e nemmeno scherzo e accettando il gioco delle parole recitò " Per vertù magia, la gran sfera aurata qui Zanéen tiene e la città li è grata; e per Berta, lo fiume e Porta Mosa sen stà Cremona onrata e venturosa" … forse l'inizio di un poema che solo la provincia ha le chiavi per raccontare.

FINESTRA 6 Ritorno a Milano Da cremonese, in omaggio al più amichevole campanilismo, penso con presunzione che nessun lombardo , nemmeno il milanese, potrà mai dire di voler “ritornare” a Milano e nemmeno il turista, metropolitano per necessità di viaggio, sicuramente conquistato dalla breve ma intensa puntata in Provincia. Il percorso automobilistico segue la superstrada chiamata Castelleonese dai cremonesi e Paullese dai milanesi (sempre per ovvie ragioni di campanile, facendo riferimento a due importanti centri sul percorso Cremona - Castelleone – Paullo - Milano) , essa si snoda tra centri di eccellenza


dell’agricoltura e dell’industria alimentare. Il tratto costeggia antichi avvallamenti leggeri che ancor oggi ricordano il medioevale Lago Gerundo creatosi da invasi non arginati dell’Adda, Serio e Serio morto. L’esistenza in questo luogo di animali terrificanti alimentò leggende che devono aver turbato anche i terribili soldati “falcati”, perché armati di mannaia/alabarda. alle dipendenze di Federico Barbarossa nelle continue sortite verso l’Insula Fulcheria dove cremaschi e milanesi difendevano il guelfo Nord. Le cronache raccontano che i cremonesi “imperiali” avessero realizzato il percorso in barca partendo dal Vulpariolo, vecchio porto romano, quando con ferocia strapparono il Carroccio ai milanesi. Dopo Soresina, Castelleone e Trigolo, sede della famosa banda musicale, si raggiunge Crema con facilità e già da lontano appare il suo campanile, il Centro mostra la romanica Cattedrale, la bella chiesa dei Domenicani trasformata in teatro, il “Torrazzo” omonimo a quello dei cugini cremonesi. Crema vanta un importante primato musicale nella costruzione degli organi a canne a fianco di botteghe di bravi e conosciuti liutai. Pochi chilometri e superato l’Adda si giunge alle porte della metropoli. Milano è la Grande Madre che dà lavoro, è l’antica capitale morale e che aspira a ridiventarlo, alla città si arriva e da questa si riparte per il Mondo. Un cammino ben conosciuto da Primo Levi che, prima di essere arrestato e imprigionato ad Auschwitz, lo percorreva sin verso Cremona e ritorno negli anni della guerra come portaordini sognando una società più giusta. A Milano il cremonese assonnato giunge in treno nella grande stazione che profuma di metallo, si ritrova in metropolitana stretto ad un corrimano apparentemente vischioso, preferisce non incontrare sguardi e tentare un sorriso, incontra in ufficio il collega convinto del suo perfetto accento milanese ma egualmente orgoglioso delle sue origini non milanesi. A Milano ci recammo mio padre ed io al Museo degli Strumenti Musicali del castello Sforzesco per recuperare forme e lontane reminiscenze di liuteria. Nella stessa città mi recai per il concorso di Chimica, per l’Opera alla Scala, per le compere alla Rinascente, per affetto alla zia meneghina. Raggiunsi la grande città anche solo per una giornata d’avventura, nell’ intricato dedalo, in solitudine, come Arianna ed il suo filo alla ricerca dell’amato Teseo.

Bibliografia essenziale (per la stesura del testo dedicato alla liuteria si sono utilizzati gli appunti di Mario per le lezioni scolastiche da lui effettuate al Liceo Artistico prima della sua scomparsa; moderni spunti dalla letteratura a lui successivi confermano la scientificità delle ipotesi di Mario)


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