Futura 16 febbraio 2024

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#3 Anno 20 16 febbraio 2024 Periodico del Master in giornalismo “Giorgio Bocca” - Università di Torino

GLI IMPIANTI

Quanto è difficile fare sport a Torino Matteis, Usan | PP 4-5

L’EVENTO

Donne e basket occasione Coppa Italia

Per un amore etico e libero Marta Borghese e Agnese Ranaldi Pagine 2 e 3

Niccolò Bambini| P6

LA RICORRENZA

In Piemonte 30 anni di giustizia riparativa Thomas Usan| P7

APPUNTAMENTI

La festa del Vermouth

Borghese e Ranaldi | P8

FOTO DI MARIALAURA SCATENA


FUTURA MAGAZINE #3 – 16 FEBBRAIO 2024

AMORE CONTEMPORANEO

LIBERO E PLURALE, BASTA CHE FUNZIONI

I rapporti della non monogamia etica riscontrano crescente interesse tra i giovani Sceglierli è una questione politica, ma non solo di Marta Borghese e Agnese Ranaldi

IN SINTESI

Il fondamento è la cultura del consenso

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Dal 2010 ci sono comunità poliamorose in Italia

•••

Anche il diritto si apre al poliamore

e ho mai sperimentato la non S monogamia etica? In realtà la persona con cui avevo una relazio-

ne non era d’accordo con la mia non monogamia. Immagino questo faccia decadere la parte etica». I dubbi di Ida (nome di fantasia) raccontano come una parte di società stia mettendo in discussione le forme tradizionali di relazione esclusiva, ma anche quante difficoltà vi siano ancora nell’accettarlo. Ida è una delle persone che hanno raccontato a Futura la propria esperienza di amore non monogamo. Ne è emerso che meno di un terzo dei lettori sa di che cosa si tratti. Eppure le cosiddette non monogamie etiche (Nme) esistono da tempo, e da tempo hanno trovato legittimazione sia a livello lessicale sia nella ricerca accademica. «Il termine ha fatto la sua comparsa negli anni Sessanta nelle comunità poliamorose di San Francisco e si è diffuso soprattutto dagli anni Novanta» spiega Nicole Braida, attivista e sociologa dell’Università di Torino. Nei suoi studi ha seguito anche la formazione dei primi gruppi poliamorosi italiani: Bologna, Milano e, intorno al 2010, Torino. Una comunità nata dai gruppi Facebook e in origine composta per lo più da persone eterosessuali e cisgender (la cui identità di genere corrisponde al sesso indicato alla nascita) che dal confronto online hanno cominciato a incontrarsi di persona con “poliaperitivi” e “polimeriggi” di dialogo. «Pensiamo che il poliamore abbia permesso di sperimentare forme di relazione diverse dall’unico modello legittimato dalla società - chiarisce Braida - quello della coppia esclusiva che instaura una relazione romantica e sessuale insieme». Per alcuni è stato uno strumento per mettere in discussione altre componenti dell’identità sessuale. Per altri ha fatto riflettere sull’idea che per star bene si debba per forza instaurare quel tipo di relazione monogama, «e se qualcuno non ci riesce probabilmente c’è qualcosa che non va». Oggi con il termine Nme si indicano tipologie molto diverse di relazione, non sempre e non per forza definibili, ma tutte caratterizzate da un fondamento comune: l’etica. Il poliamore si definisce etico per almeno due ordini di ragioni: è una scelta politica e ha a che fare con le modalità con cui si instaurano le

CREDIT: CRISTINA ROSSI - (NELLA FOTO LA SOCIOLOGA NICOLE BRAIDA)

relazioni. Secondo Braida, infatti, esistono due condizioni imprescindibili: una comunicazione chiara tra le parti e la libertà di poter dire “sì” e - soprattutto - “no”. Si tratta della “cultura del consenso”, che è cuore delle Nme ed è anche il perno politico intorno al quale si sviluppa la relazione affettiva. «Questo focus sul consenso nasce da una critica a quella che viene chiamata “cultura dello stupro” - sottolinea Braida - intesa come normalizzazione dell’oggettivazione dei corpi femminili di cui lo stupro è solo la punta dell’iceberg». Da una società che tende a legittimare comportamenti di questo tipo, discende una serie di problemi. Tra

questi, continua Braida, anche una «una normalizzazione dei ruoli nella sessualità nelle relazioni eterosessuali, che vede l’uomo come predatore e la donna come preda», e che porta le persone socializzate al femminile a trovarsi più spesso in condizioni in cui è difficile dire “no” o è facile rimanere inascoltate. Tra i giovani adulti è un tema che suscita crescente curiosità, e non solo negli ambienti dell’attivismo politico. Lo confermano Eleonora Ambrosini e Francesco Gangeri che, dopo aver fondato l’associazione Cactus Psicologia, hanno aperto uno sportello gratuito nella zona dei Murazzi di Torino. L’associazione, spiegano, abbraccia un approccio psico-

logico che si pone in ottica di ascolto, senza giudizio. Questo ha consentito loro di intercettare un progressivo interesse delle persone su forme relazionali non monogame. «Persone molto diverse tra loro si interrogano sul tema - sottolinea Gangeri - e la gestione di un settaggio relazionale non monogamico è sempre più presente nei loro discorsi». Per Ambrosini, infatti, esistono tante relazioni quante sono le persone «e noi le accompagniamo - aggiunge - nello scoprire cosa funziona per loro e cosa no». Per valorizzare l’interesse emerso dalle esperienze allo sportello, Cactus psicologia ha creato in passato un ciclo di eventi Talk&Drink insieme al Magazzino sul Po.

L’INTERVISTA

Anarchia relazionale: una filosofia degli affetti di A. R.

l poliamore non è l’unica non IMeth, monogamia etica possibile. Con attivista e filosofo, abbiamo parlato di anarchia relazionale e filosofia, per una rivoluzione delle gerarchie affettive e dell’idea di vivere insieme.

Come si riconosce la relazionalità anarchica?

«Solitamente si affrontano le relazioni come se fossimo registi di un film: si immaginano personaggi che corrispondono a una serie di bisogni, e poi si passa la vita a cercare persone che possano ricoprire quel ruolo. Una persona che pratica l’anarchia relazionale prima conosce

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i suoi bisogni, poi va nel mondo e conosce le persone, e con loro crea rapporti di cura ad hoc. È un costante lavoro interiore». Sembra faticoso.

«È una fatica immane. È molto comodo basarsi sulle aspettative, ereditare regole sociali prestabilite. Richiede fatica metterle in discussione sempre». Quali sono i benefici di una relazione anarchica?

«Secondo me non ha senso parlare di benefici, non è qualcosa che ti prescrive il medico perché fa bene. Scegliamo l’anarchia relazionale perché è giusta, non perché sia la strada per la felicità, tutte le relazio-

«SCEGLIAMO L’ANARCHIA RELAZIONALE PERCHÉ È GIUSTA, NON PERCHÉ SIA LA STRADA PER LA FELICITÀ: TUTTE LE RELAZIONI UMANE SONO UN CASINO» METH FILOSOFO E ATTIVISTA

ni umane sono un casino. L’anarchia relazionale non è un sentimento che scopri di avere dentro ma una scelta che fai su basi etiche». Quindi è una filosofia?

«Prescrive principi morali validi


FUTURA MAGAZINE #3 – 16 FEBBRAIO 2024

CREDIT: MARIALAURA SCATENA

IL VOCABOLARIO

Primo, parliamoci chiaro Le voci dell’amore etico di M.B. e A.R. ANARCHIA RELAZIONALE

Forma relazionale che mette in discussione le definizioni tradizionali di amicizia e amore e scardina le gerarchie affettive. Nasce nell’ambito dell’anarchismo politico. BINARY E NON BINARY CREDIT: AGNESE RANALDI

«C’è bisogno di spazi di confronto collettivi - sottolinea lo psicologo perché un percorso di ricerca comunitaria libera le persone dal senso di ansia e di performance». Come sottolinea Gangeri, le relazioni non esclusive sono un dato di fatto. La psicologia ne sta prendendo atto, e così sembra fare anche il diritto. In Italia non c’è una legge che tuteli questo tipo di relazioni, ma, come spiega Antonio Vercellone, ricercatore del dipartimento di Giurisprudenza di Unito «a legge del tutto invariata può corrispondere nuovo diritto». La logica di partenza è quella della convivenza di fatto, che la giurisprudenza ha esteso a tutte le persone che

vivono stabilmente insieme. «Se, ad esempio, uno dei componenti viene investito e muore, la giurisprudenza ha stabilito che il convivente ha diritto al risarcimento». E allora perché non estenderlo anche ad altre forme di convivenza, come quella di una madre anziana e due figli adulti o quella di una comunità poliamorosa? Il discrimine, per Vercellone, potrebbe essere la stabilità. Le sue ricerche vertono sulla possibilità di riconoscere i diritti della convivenza di fatto «a qualsiasi unione stabile tra due o più persone a prescindere dal genere, dal numero, dall’orientamento sessuale e dalla sessualizzazione».

tramite accordo si stabilisce come soddisfare certi bisogni o desideri specifici». E la gelosia?

«Nel pratico abbiamo eredità monogame, è un percorso difficile quello della decostruzione. Si prova gelosia. A volte anche io mi faccio aspettative illegittime o le subisco da parte delle persone. Ci vuole un grande lavoro di cura».

METH,, FILOSOFO E ATTIVISTA

universalmente. Non si accontenta di mettere sulla sedia del potere più persone possibili. Elimina proprio le sedie. A livello pratico non vuol dire che tutte le relazioni sono identiche: sono uguali a livello morale, cioè a livello di diritti e doveri, e poi

Un riferimento per approcciarsi all’anarchia relazionale?

«Il manifesto di Andie Nordgren del 2006. Poi “Relationship Anarchy: Occupy intimacy!” (“Anarchia relazionale: occupiamo l’intimità!”) di Pérez-Cortés pubblicato nel 2022. E la pagina Instagram anarchia_relazionale, che ho fondato con un amico per fare attivismo e divulgazione sul tema».

Si parla di binarismo quando ci si riferisce alle due identità di genere che hanno prevalso nella società fino a oggi: uomo e donna. Le persone non-binary non si identificano in nessuno dei due. CONSENSO

È alla base della non monogamia etica, che si fonda sul rispetto di tutte le persone coinvolte. Si contrappone alla cosiddetta “cultura dello stupro”. DIRITTO

È dato dalla cultura e dall’interpretazione della legge. Tiene conto dei modi in cui le persone organizzano la propria vita. Oggi in molti chiedono che sia più queer e inclusivo. ETICA

È il presupposto delle relazioni poliamorose, basate sulla trasparenza nella comunicazione e sulla cultura del consenso. FAMIGLIA

Il modo in cui le società hanno organizzato il vivere in comune nel corso dei millenni. La sua forma varia a seconda nel tempo. Si può parlare di famiglia nucleare, queer, xenofamiglia... Alla fine tutto dipende dalle persone a cui si vuol bene. GENERE

“Donna non si nasce, lo si diventa” resta la citazione di Simone de Beauvoir più esemplificativa di cosa sia il genere. È la costruzione sociale, o il paradigma normativo, di un’identità alla quale nella storia è attribuito il compito di veicolare ruoli sociali, aspettative, desideri. HARDY, JANET

Sessuologa statunitense. Il suo libro “The ethical slut” (“La zocco-

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la etica”) pubblicato nel 1997 con la psicoterapeuta Dossie Easton è considerato un manifesto della non monogamia etica. IDENTITÀ

Liberatoria o oppressiva? La nozione è difficile da definire. Il politologo Francis Fukuyama ritiene che i movimenti transfemministi portino avanti forme di “identity politics” tacciate di frammentare la società. Il transfemminismo, invece, rivendica il superamento della logica identitaria su cui si basano stigmi e discriminazioni sociali. LIBERTÀ

Anche in amore “libertà è partecipazione”. Oppure no, dipende dal consenso. MONOGAMIA

È il modello culturale dominante di relazione, fondata sull’unicità del partner. Presuppone solitamente l’esistenza di una coppia legata da relazione affettiva e sessuale, ma è solo uno dei modi possibili per organizzare le relazioni familiari. NON MONOGAMIA ETICA

o ENM. Possibilità o pratica di instaurare più relazioni intime o affettive con il consenso di tutte le persone coinvolte. ORIENTAMENTO

Indica una preferenza sessuale e/o romantica, che può variare nel tempo o essere fluida. POLIAMORE

Il significato è sovrapponibile a quello di non monogamia etica, di solito usato in modo più ampio. QUEER

Utilizzato dall’Ottocento in modo dispregiativo con il valore di “storto, bizzarro”, il termine queer è stato oggetto di riappropriazione da parte delle attiviste e degli attivisti. Oggi indica un modo di vivere la propria identità sessuale e di genere che supera le categorie rigide e dicotomiche a favore di categorie più sfuma-

te. L’attivismo queer, a differenza di quello Lgbtqia+, non chiede l’allargamento dei diritti eterosessuali alle minoranze, ma mette in discussione il modello eterosessuale stesso e lo status quo. RELAZIONE

Inclusiva, esclusiva, queer, aperta, poliaffettiva, anarchica... SCALA MOBILE

Sistema che vede le relazioni umane ordinate gerarchicamente con al vertice la famiglia tradizionale. Nella scala mobile relazionale il sesso e l’amore consentono di progredire nei gradini. Ogni scelta diversa è una retrocessione. TRANSFEMMINISMO

Movimento che unisce istanze femministe e Lgbtqia+ e che considera i ruoli di genere una costruzione sociale impiegata come strumento di oppressione. UNIONI DI FATTO

Matrimoni tra persone eterosessuali e unioni civili tra persone omosessuali. Tra i Paesi di tradizione giuridica occidentale, solo in Italia esiste questa differenza discriminatoria. Entrambe le istituzioni, comunque, normano una coppia. VASALLO, BRIGITTE

Scrittrice e attivista spagnola. Il suo libro “Pensamiento monógamo. Terror poliamoroso” è considerato uno dei fondamenti teorici del movimento. È tradotto in Italia con il titolo “Per una rivoluzione degli affetti”. ZOCCOLA

e suoi 35 sinonimi (almeno). È una persona che vive liberamente la propria sessualità. Alcuni gruppi sociali, tra cui quelli che praticano la non monogamia etica con coscienza politica, si battono per il riscatto di un termine connotato negativamente, riappropriandosi del concetto e riabilitandolo a un significato libertario e privo di giudizi moralistici.


FUTURA MAGAZINE #3 – 16 FEBBRAIO 2024 di Simone Matteis

A

Torino la pratica sportiva supera la media nazionale in tutte le fasce d’età (+13%), ma la carenza di spazi pubblici liberamente fruibili rischia di compromettere lo sviluppo del movimento di base nonostante l’effetto traino dei grandi eventi ospitati dalla città, dalle Atp Finals di tennis alla Coppa Italia di basket. A questo va aggiunta l’inadeguatezza strutturale che colpisce molti impianti sportivi, in gran parte collocati all’interno di edifici scolastici. Giovanni Gallo, ex presidente delle Polisportive Giovanili Salesiane e figura storica dello sport torinese, fa il punto sulle principali criticità che riguardano lo sport a Torino, città in cui la crescente voglia di sport sembra essere smorzata da quella che potremmo definire una “fame di impianti”.

CREDIT: SIMONE MATTEIS

RISPONDERE ALLE NECESSITÀ

LE STORIE

«Se da un lato è comprensibile che gli impianti sportivi privati si adeguino anche alle tendenze del momento – penso al fenomeno del padel -, nell’ambito pubblico bisognerebbe dare vita a strutture polivalenti capaci di resistere nel tempo, tutelandole dagli atti vandalici e garantendo a chiunque la possibilità di praticare quante più discipline sportive possibili». Secondo Gallo, il vero allarme riguarda però impianti datati, ad esempio quelli dedicati al nuoto: «Ricordo quando a Torino si organizzavano corsi propedeutici per le classi delle scuole elementari che hanno innescato un boom clamoroso, ma oggi molte piscine risultano vecchie e inadeguate e necessiterebbero di importanti lavori di manutenzione». La maggior parte degli impianti sportivi torinesi è collocata all’interno di edifici scolastici, fattore che determina lunghi iter burocratici per l’assegnazione degli spazi orari alle società. Esistono poi alcune gravi questioni di natura strutturale: non è raro che

L’INCHIESTA

LO SPORT TORINESE HA FAME DI IMPIANTI

Vecchi e inadeguati: il futuro è rappresentato dalle strutture all’aperto gare e competizioni vengano rinviate o annullate a causa di infiltrazioni dal soffitto o per le crepe nel parquet. «Oltre alla manutenzione - continua Gallo -, un primo passo sarebbe mettere a disposizione tutta l’edilizia scolastica sul territorio, che oggi è in parte non fruibile, aumentando anche gli orari». VERSO UNA CULTURA DEI LUOGHI SPORTIVI

Da un’indagine conoscitiva della Città di Torino sui bisogni del

mondo sportivo e che ha visto coinvolte 5.840 persone tra studenti e atleti emerge una propensione sportiva torinese al di sopra della media italiana soprattutto tra gli under 11 (+16%). In città le discipline maggiormente praticate sono calcio (79%), nuoto (62%) e basket (38%), ma uno dei dati più rilevanti riguarda proprio il bisogno di “spazi per l’attività sportiva in prossimità”, ritenuto prioritario da oltre un maggiorenne su due tra quelli intervistati e unica voce a

non raggiungere la sufficienza nella scala di soddisfazione (5,9/10). A campi iconici come quelli del parco Braccini, il polisportivo in Parco Dora, dov’è installata una pista da skateboard e rollerblade e, ancora, i campetti in piazza d’Armi e piazza Solferino, si affiancano situazioni più malmesse e periferiche come la lastra in piazza Stampalia, nella periferia nord di Torino, interdetta da mesi a causa di un cantiere edile. «Bisogna diffondere una cultura dei luoghi per lo sport all’interno dei

quartieri - sostiene Gallo -, non si sente l’esigenza di un impianto finché non ce n’è uno. Prima ci si deve abituare a disporre di strutture sportive, poi sarà la volta di interventi di manutenzione e sorveglianza». CARRETTA: «NUOVI IMPIANTI NEL 2025»

Sulla scia dei grandi eventi del tennis e della pallacanestro, Torino vedrà l’installazione di nuovi campi all’aperto grazie alla collaborazione con Fitp, Fip e Legabasket: «La lo-

IL VICEALLENATORE

L’ORGANIZZATORE DI TORNEI

IL PRESIDENTE DELLA POLISPORTIVA

di Thomas Usan

di T.U.

di T.U.

«Solo chi ha accordi da anni trova gli spazi» Torino solo chi ha accordi deA cennali con il Comune riesce a svolgere regolarmente le proprie at-

tività sportive». Così sottolinea Michele Ceravolo, viceallenatore della squadra di calcio in carrozzina Asd Magic e consigliere di Wheelchair hockey. «Non abbiamo grossi problemi nel trovare le strutture, ma solo perché abbiamo uno stretto rapporto con chi gestisce gli impianti pubblici da più di 20 anni» sottolinea. Ma anche in questo caso le difficoltà non mancano: «Da tempo siamo alla ricerca di una palestra più grande per il calcio in carrozzina – conclude –, ma non c’è nessuna struttura disponibile».

«L’acqua dal soffitto ha fatto rinviare la gara»

’offerta è bassa rispetto alla doL manda: a volte capita di giocare con altre società nella stessa palestra

MICHELE CERAVOLO viceallenatore di calcio in carrozzina

facendo sport diversi». Andrea Antoniotti organizza tornei di basket a Torino e più volte si è scontrato con le problematiche relative agli impianti: «Se conosci la società che gestisce la struttura puoi aspettare da una settimana a un mese” invece “se non si hanno mai avuti rapporti è impossibile riservare un campo». Ma gli imprevisti non finiscono qui: «Spesso capita di trovare palestre che perdono pezzi dal soffitto: a volte abbiamo dovuto rinviare delle partite perché entrava acqua» oppure «capita spesso che il parquet abbia dei buchi».

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«Due mesi di attività persi per la burocrazia» er la burocrazia abbiamo perso P due mesi di attività sportiva». Giovanni Persico è il presidente del-

ANDREA ANTONIOTTI Organizzattore di tornei di basket

la Polisportiva Alter 82, società che conta centinaia di atleti e svolge la maggior parte delle sue attività nelle palestre. Gli impianti sportivi al chiuso di Torino sono principalmente scolastici e questo porta a un iter procedurale molto rigido per prenotare i campi: «Dobbiamo confrontarci con un pool di istituzioni – spiega –. La struttura e la manutenzione è competenza dell’area metropolitana, l’assegnazione delle ore è del Comune e la responsabilità dell’istituto è del dirigente scolastico. Con questo schema i tempi sono biblici».

GIOVANNI PERSICO Presidente della Alter 82


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LA STORIA

Cricket in ascesa ma senza un campo

La novità a portata di smartphone

di Simone Matteis

A CREDIT: SIMONE MATTEIS

cation è ancora in via di definizione, ma ci saranno importanti lasciti infrastrutturali entro il 2025 aperti alla cittadinanza», promette l’assessore allo Sport, Domenico Carretta. «Tutto ciò che è gratuito per i cittadini costa tre volte alla città afferma Carretta -, soprattutto se si tratta di campi per discipline che necessitano di specifiche attrezzature». Su tutte, il tennis: «Fino a qualche anno fa i campi non erano avvertiti come una necessità, adesso invece è scoppiata la passione per questo sport e dobbiamo cercare di colmare dei vuoti attraverso le potenzialità che il territorio ci offre». La grande disponibilità di parchi e aree verdi, comprese quelle in prossimità dei quattro fiumi che bagnano Torino, costituisce un elemento decisivo per lo sviluppo infrastrutturale: «Dopo due anni di Covid è cresciuta la tendenza a sfruttare ancor di più l’outdoor e la città, in tal senso, dispone di numerose palestre all’aperto che devono essere adeguate alle nuove esigenze».

LO SPORT ALL’APERTO A sinistra, il campetto in piazza Stampalia prima dei lavori che lo hanno chiuso A destra il parco Braccini

«Barriere architettoniche Torino è promossa» di Thomas Usan

e Torino pecca per quanto riS guarda il numero degli impianti, è invece promossa a pieni voti

per l’accessibilità alle persone con disabilità. «Negli ultimi 30 anni la situazione è decisamente migliorata – sottolinea Giuseppe Antonucci, consigliere nazionale della Federazione Italiana Ghiaccio Curling e Paralimpico –. Quasi tutte le strutture in città, tranne una che è privata, sono senza barriere architettoniche», per esempio «sono state installati gli ascensori necessari e i parcheggi all’interno per le auto”. E in questo caso, quando sono necessari maggiori spazi «vengono tolti momentaneamente ad altre squadre che in quel momento non stanno utilizzando l’impianto».

SPORTCLUBBY

Torino esiste una squadra di cricket che, da anni, rappresenta l’Italia ai massimi livelli mondiali e lavora incessantemente per portare in città un torneo europeo, senza che però esista un impianto attrezzato. «Le persone giocano anche per strada ma, senza un campo, il cricket rimarrà semisconosciuto e il movimento non potrà crescere»: Naveed Khan è fondatore e presidente dell’Asd Torino cricket club, società attualmente impegnata su vari fronti: Serie A2, Coppa Italia, T20-League italiana (una variante del cricket con regole diverse sulla durata) oltre che nella competizione internazionale gestita dall’European cricket network. «Quando sono arrivato in Italia, nel 2010, giocavamo sui campi da rugby a Grugliasco, poi la squadra è cresciuta sempre di più e oggi contiamo circa cinquanta tesseramenti all’anno». Nel 2021 la società ha ottenuto il via libera dal Comune per poter allenarsi al parco del Meisino: «Per anni ci siamo allenati di notte, in luoghi isolati per evitare di disturbare o creare danni - racconta Khan -. Quella del Meisino è una buona soluzione ma il problema principale rimane comunque sempre lo stesso: non abbiamo ancora un campo attrezzato in cui poter giocare a cricket».

Cultura digitale dello sport: c’è anche l’app di S. M.

li impianti adibiti alla pratica G sportiva, sia essa amatoriale o agonistica, risultano spesso insuffi-

CREDIT: MAHAFUZUR RAHMAN (PEXELS)

IL PUNTO Al Meisino il nuovo Parco dello sport Nei mesi scorsi il Comune ha proposto di realizzare nell’area del Meisino il “Parco dello sport e dell’educazione ambientale” con 11.5 milioni di fondi Pnrr. Un progetto contestato però dai cittadini, preoccupati per le ricadute sull’ecosistema: «Le attività non avranno impatto con l’ambiente, non ci sarà un centimetro di cemento», assicura l’assessore Carretta. Dopo una revisione, tutte le strutture saranno reversibili e l’unico intervento strutturale riguarderà l’ex galoppatoio militare, che diverrà un centro didattico aperto anche alle scuole.

PROGETTI EUROPEI

IL CONSIGLIERE NAZIONALE CURLING

GIUSEPPE ANTONUCCI Consigliere Federazione Curling

CREDIT: SIMONE MATTEIS

Il progetto di riqualificazione dell’area verde al confine con San Mauro, alla confluenza del Po e della Stura, prevede la creazione di spazi sportivi dedicati a varie discipline, tra cui anche il cricket. «Il rapporto con le istituzioni è costante e proficuo» assicura il presidente, che poi afferma: «La volontà c’è, quello che al momento ancora manca è un’infrastruttura con la quale poter far crescere ancora di più questo sport». Nel 2021 Torino ha provato a ospitare un torneo europeo coinvolgendo squadre provenienti da otto Paesi, ma il dietrofront della Federazione sul riconoscimento del patrocinio ha costretto gli organizzatori a renderla una competizione amichevole, scongiurando il rischio di sanzioni ufficiali per gli atleti coinvolti. «Vorremmo organizzare un altro torneo europeo a Torino per questa estate, bisogna però pensare bene a ogni dettaglio per poter offrire di più - sottolinea Khan -: nel 2021 le squadre si erano fatte carico di tutte le spese. Non sarà facile ma vogliamo provarci e le istituzioni possono darci una grande mano per la buona riuscita dell’evento».

solido e duraturo, fondato anche sul coinvolgimento dei cittadini italiani, oggi culturalmente lontani da questa disciplina: «Disporre di un campo è fondamentale per far conoscere il cricket alla comunità italiana», dice Khan. La squadra ha disputato competizioni internazionali a Dubai e Islamabad e attualmente è composta per lo più da cittadini stranieri, studenti e rifugiati provenienti soprattutto dal Pakistan, ma ci sono anche sei italiani: «La loro presenza è fondamentale perché ci consente di disputare la Coppa Italia. All’inizio non conoscevano le regole, ma è stato molto bello vedere come si sono avvicinati a questo sport». Sviluppo infrastrutturale e sviluppo, dunque, le due sfide del Torino cricket club: «Il nostro intento è lasciare alla comunità italiana di Torino un’eredità sportiva importante: abbiamo avuto tanti problemi e non vogliamo che chi verrà dopo di noi viva le stesse difficoltà».

UNO SPORT PER TUTTI

L’intenzione della società è quella di gettare la basi per un progetto

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ASD TORINO CRICKET CLUB La squadra gioca attualmente in Serie A2 italiana

cienti rispetto all’utenza o comunque gravati da problemi di natura infrastrutturale, senza contare una conoscenza spesso limitata delle opportunità sportive disponibili soprattutto nelle grandi città. «Bisogna accorciare le distanze fra gli utenti e le strutture: chi pratica uno sport dev’essere messo nella condizione di sapere che cosa avviene al suo fianco». Biagio Bartoli spiega la filosofia che ha portato nel 2016 alla nascita di Sportclubby, piattaforma leader per la prenotazione di sport e wellness in Italia, con circa mille club inseriti nel circuito, 1,5 milioni di utenti e più di 500 mila download dal play store di Google. Nata nel 2018, l’azienda fornisce la possibilità di prenotare tramite app scegliendo fra oltre 600 strutture: delle 186 collocate nel nord-ovest, 140 si trovano in Piemonte, con la maggiore concentrazione registrata proprio a Torino. «Vogliamo far sapere alle persone tutto quello che succede vicino a loro»: secondo Bartoli, da anni impegnato nella digitalizzazione dello sport, l’obiettivo di Sportclubby muove dal presupposto che, per praticare una disciplina, la si debba innanzitutto conoscere. Business e tecnologia, nella storia dell’azienda, si legano fortemente alla diffusione dell’attività sportiva di base: «La pandemia ci ha fatto crescere molto aiutando anche i gestori degli impianti sportivi che, attraverso il nostro canale, sono riusciti a non chiudere». Il problema, spiega Bartoli, riguarda l’arretratezza dei gestionali degli impianti: «L’idea era quella di creare un sistema innovativo che permettesse di pubblicare e geolocalizzare spazi e eventi disponibili, scongiurando il rischio di non sapere di avere una struttura sportiva a pochi metri da casa». A dicembre 2023 Playtomic, punto di riferimento mondiale per gli amanti della racchetta, ha acquisito il comparto tennis e padel gestito da Sportclubby, discipline la cui natura “sociale” viene potenziata dall’app attraverso servizi dedicati, come la creazione di ranking attraverso cui puntare a migliorare le proprie abilità.


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Basket donne in cerca di visibilità

Torino ospita le Final Four di Coppa Italia: un’occasione per far crescere il movimento di Niccolò Bambini

IN NUMERI

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I club piemontesi in A2

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Le squadre che si sfideranno per la Coppa Italia

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Le volte in cui Torino ha ospitato le Final Eight

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l basket femminile non è diverso da quello maschile, è uno sport unico, meno atletico e meno veloce, ma comunque bello. Questa collaborazione ci permetterà di fare un salto enorme». Così Chicca Macchi, ex giocatrice e testimonial della Final Four femminile di Coppa Italia che prenderà il via oggi pomeriggio, spiega l’abbinamento con la competizione maschile. Quattro le squadre che parteciperanno alla competizione - la detentrice del trofeo Schio, Venezia, Ragusa e Sesto San Giovanni - con l’obiettivo di fare visibilità al movimento e avvicinare le ragazze allo sport praticato. Negli ultimi 20 anni, infatti, si è registrato un decremento nel numero delle iscritte, prima più forte, ora meno. Il basket, in questi anni, è stato nettamente superato dalla pallavolo per quel che riguarda il numero delle praticanti. LA PALLACANESTRO FATICA ANCORA AL SUD

CREDIT: SIMONE MATTEIS

ALLE OGR La conferenza di presentazione dell’evento

Il volley conta molta più iscritte non solo grazie ai grandi risultati ottenuti in tempi recenti dalla nazionale, ma grazie anche a una buona politica e alla visibilità. Non ci sono squadre che rappresentano la città e la regione nella massima serie, ma Derthona, Moncalieri e Torino Teen Basket sono nel girone A di Serie A2 , con Derthona che comanda il gruppo, mentre le altre due viaggiano nei bassifondi e rischiano di retrocedere in Serie B, aggravando le criticità. Da due anni a questa parte si è registrato un aumento delle tesserate, ma solo a livello di minibasket - cosa che

comunque fa ben sperare per il futuro - e, inoltre, c’è un alto tasso di abbandono nel passaggio all’attività giovanile. A livello maschile, invece, il tasso di abbandono è più basso. Si tratta di una tendenza nazionale, ma con picchi più alti soprattutto al Sud. Alcune regioni - ad esempio la Calabria - fanno fatica anche a livello di minibasket. MODELLO DERTHONA IN PIEMONTE

Il Castelnuovo Scrivia Derthona Basket, però, è un fenomeno in controtendenza. Nel periodo post Covid, la società ha avuto un incremento delle iscrizioni costante e notevole, dal 2019 a oggi stimabile in un più 40% a livello femminile. A giocare un ruolo importante nell’aumento del numero delle iscritte è

«LA COLLABORAZIONE CON IL BASKET MASCHILE PUÒ PERMETTERCI DI FARE UN SALTO ENORME» CHICCA MACCHI EX GIOCATRICE

Vergnano: «La nostra pallacanestro ha sofferto la concorrenza del volley» di N.B.

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ossana Vergnano, ex giocatrice della Sisport Fiat e oggi dirigente della squadra di Venaria, conosce bene la crisi che sta vivendo tutto il movimento cestistico femminile, compresa la Nazionale, ormai uscita dal giro delle grandi: «Quando mancano i numeri di base - spiega - diventa difficile, specialmente a livello femminile, essere strutturati in un certo modo. Allora facemmo dei risultati sorprendenti, c’erano sicuramente più numeri. Non so perché ora la nazionale stia vivendo così tanti problemi. Sicuramente il fatto che la pallavolo abbia svolto un bel lavoro, che abbia ottenuto dei risultati importanti, che abbia costruito un bel settore e che abbia tante ragazze di base, ha portato via dei numeri importanti alla

pallacanestro. Loro hanno lavorato bene, forse noi avremmo dovuto adoperarci meglio». VETRINA IMPORTANTE

Come raccontiamo nel pezzo di apertura le Final Four di Coppa Italia di Torino possono dare visibilità al basket femminile. Una considerazione che trova d’accordo Vergnano: «In televisione si vede pochissimo, invece il volley lo vedi. Le Final Four sono una bella vetrina, per cui è importante farla, è importante avvicinare i più piccoli a questo sport. La nostra società ha comprato 7080 biglietti, le ragazzine vanno a vedere la femminile. C’è stata una bella promozione, con biglietti in vendita a 2 euro, anche perché sennò è complicato riempire il palazzetto. Se fai delle promozioni, la gente risponde. È una buona opportunità per coinvolgere quante più persone possi-

bili. Ormai siamo una società d’immagine, l’immagine è importante. Far vedere che sei presente, che organizzi è fondamentale». Poi, parla di quando lei ha iniziato a giocare: «Il problema era che tutte le grandi aziende della città avevano per i figli dei dipendenti la possibilità di fare sport. Ci davano la possibilità di fare questa attività gratuitamente. Non mancava la materia prima, di ragazzini ce n’erano tanti. Erano tempi diversi, oggi le società sono piccole società che fanno attività nelle varie zone. A Venaria abbiamo questa piccola squadra, negli ultimi anni ci siamo dedicati solo all’attività femminile». «Nel post-Covid - continua - abbiamo avuto un incremento delle iscritte nel minibasket. Siamo riusciti a fare un gruppetto di sole ragazze, questo è un grande risultato rispetto agli ultimi anni». Rispetto all’epoca in cui giocava sono

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sicuramente anche la collaborazione con la squadra maschile. Infatti, anche il Derthona maschile sta ottenendo risultati importanti, visto che dal 2021 è una presenza fissa nel campionato di A1 dopo una lunga militanza nelle serie minori. L’anno scorso ha partecipato alle Final Eight uscendo in semifinale contro la Virtus Bologna, mentre due anni fa venne sconfitta in finale dall’Olimpia Milano. È l’attuale rappresentante del basket piemontese ai massimi livelli, ma quest’anno non è riuscita a qualificarsi per l’evento. Si tratta dell’edizione numero 48 della Coppa Italia maschile, la 25esima organizzata con questa formula. Torino la ospita per la quarta volta, le altre tre risalgono al 2011, al 2012 - quando a vincere fu, in entrambi i casi, la Mens Sana Siena - e al 2023, che ha visto il trionfo della Germani Brescia. Ma è altamente probabile che la città venga confermata come sede delle Final Eight anche per il 2025 e il 2026. Questo non solo perché l’edizione dello scorso anno è stata un successo, ma anche per la storia che questo sport ha con questa città. A TORINO AUMENTANO LE ISCRIZIONI

La memoria va alla Pallacanestro Torino, una delle squadre più importanti del basket italiano degli anni Ottanta, che ha conteso più volte lo scudetto a Milano. Grazie a questo evento, poi, come ha ricordato il Presidente della Regione Alberto Cirio «le iscrizioni alle società di basket sono aumentate. Questo avviene perché se dai la possibilità ai ragazzi di vedere i loro campioni, poi sono più spinti a praticare questa attività».

cambiate tante cose. Oggi è tutto un altro basket, è cambiata anche l’alimentazione, e di conseguenza è cambiata anche la preparazione fisica. Ci sono molta più potenza e fisicità, il che ha permesso al gioco di elevarsi e di renderlo più aggressivo e fisico. L’ex giocatrice ci dice la sua su quanto è cambiato il livello del basket femminile in questi ultimi anni: «Sicuramente si fa un bel gioco veloce, dinamico, è più uno sport di contatto. Ora le ragazze che scendono in campo sono prima di tutto atlete». UN GIOCO CAMBIATO

CREDIT: ROSSANA VERGNANO

EX GIOCATRICE Rossana Vergnano

Ma c’è anche da fare i conti con una realtà del basket che ha mutato il volto nel corso degli anni: «Alla mia epoca non c’era il tiro da tre punti, era un’altra pallacanestro. Il tiro da tre l’ha cambiata completamente. Oggi - conclude - si permettono dei contatti che ai miei tempi non si permettevano. Oggi giocano ragazze di un metro e novanta. Ai miei tempi era molto più difficile trovare delle giocatrici alte così».


FUTURA MAGAZINE #3 – 16 FEBBRAIO 2024

OLTRE IL CARCERE

La giustizia riparativa: 30 anni di storia

Nel ‘95 in Piemonte il primo centro, ora il bis di Thomas Usan

IN NUMERI

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Gli anni da cui esiste la “Rete Dafne Torino”

2

I centri di giustizia riparativa in Piemonte

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Gli anni passati dal riconoscimento della giustizia riparativa

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l prossimo passo è sensibilizzare le persone e rimettere in primo piano la rieducazione del condannato». Ylenia Serra è la Garante per l’infanzia e l’adolescenza del Piemonte e dal 2019, anno in cui è stata nominata dal Consiglio regionale, incontra spesso le scuole per spiegare il concetto di giustizia riparativa. «È necessario riflettere se effettivamente il carcere sia una risposta per i minorenni – sottolinea – poiché spesso il reato è frutto di una serie di condizioni familiari, sociali e personali». La giustizia riparativa nell’ambito dei minori è una realtà ormai consolidata. Rimangono, però, ancora molte resistenze, quantomeno culturali, nell’applicazione sugli adulti. Ma in Piemonte la situazione va meglio. A Torino, a dicembre, è nato il Centro di Giustizia Riparativa, il secondo dopo quello di Novara (costituito nel 2014), per allargare questa misura anche ai maggiorenni. La giustizia riparativa in Piemonte ha una storia molto lunga e ha mosso i primi passi nel capoluogo quando, nel 1995, venne inaugurato il primo

centro italiano di mediazione penale, all’epoca rivolto solo ai minori, da un accordo tra l’autorità giudiziaria e le istituzioni. Nei cinque anni successivi altre città italiane seguirono l’esempio. Nel 2008, ben prima che l’Italia ratificasse la direttiva europea 2012/29, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reati, a Torino nasce la “Rete Dafne Torino”, un servizio pubblico che sperimenta le prime forme di giustizia riparativa. Nonostante ciò ancora oggi questa misura giudiziaria è poco conosicuta. A settembre molti quotidiani nazionali definirono «il primo caso di giustizia riparativa tra gli adulti in Italia», il via libera dei giudici al reinserimento di Davide Fontana, condannato in primo grado a 30 anni di carcere per aver ha ucciso la vicina di casa Carol Maltesi. Una descrizione errata, poiché la storia di questa misura «è molto più longeva», come sottolinea Giovanni Ghibaudi, mediatore e presidente del Comitato Nazionale dei Mediatori Penali esperti in Giustizia Riparativa. Già nel 2000 furono approvate le “Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace”, che offrivano «un ricono-

CREDIT: FUTURANEWS.IT:

GIUSTIZIA RIPARATIVA Si tratta di un approccio che considera il reato principalmente in termini di danno alle persone

scimento formale alla mediazione e alla giustizia riparativa, prevedendo la possibilità di ricorrere a centri e strutture pubbliche o private di mediazione per gli illeciti procedibili a querela di parte, nonché una nuova ipotesi di definizione anticipata del procedimento penale e di causa estintiva del reato in seguito a condotte riparatorie». Nel 2002 il ministero della Giustizia nomina una specifica commissione di studio per approfondire il tema, di cui Ghibaudi faceva parte: «Cominciammo a sperimentare in alcuni casi processuali come inserire la giustizia riparativa – spiega –: il nostro obiettivo era capire l’utilizzo della giustizia riparativa anche nella fase di sconto pena». Le sperimentazioni continuano fino ad arrivare al 2016, quando l’allora ministro della Giustizia Orlando avviò gli “Stati Generali sull’esecuzione penale”, una serie di proposte che produssero un docu-

Colombo: «Ma durante Mani pulite non l’avrei usata» di T.U.

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urante Mani Pulite non avrei approvato la giustizia riparativa ma solo perché al tempo pensavo che il carcere fosse educativo». Il magistrato Gherardo Colombo, insieme ad Antonio Di Pietro e Piercamillo Davigo, ha cambiato per sempre la storia italiana, negli Anni ’90, con l’inchiesta della Procura di Milano sul falso in bilancio dei partiti dell’epoca, che prese successivamente il nome di “Tangentopoli”. 30 anni fa, nel pieno di Mani Pulite, perché non avrebbe fatto ricorso alla giustizia riparativa?

«Nel 1992 in Italia in pochi sapevano cosa fosse, e io non ero tra quelli. Tuttavia posso dirle che nel luglio di quell’anno feci un’intervista per “L’Espresso” in cui suggerivo che si provvedesse a evitare il carcere a coloro che avessero raccontato quel che era successo, avessero restituito il denaro e si sarebbero allontanati dalla vita pubblica per qualche tempo. Chiaramente non si

«La situazione non è semplicissima. La giustizia riparativa si svolge su base assolutamente volontaria, quindi è necessario che esista una disponibilità sia da parte della vittima sia del responsabile. Se l’imputato non ammette la propria partecipazione al fatto ricorrervi è impossibile. Credo che si possa capire se un sistema funziona solo se viene sperimentato. È possibile che

Quali sono, a questo punto, a livello logistico e organizzativo i cambiamenti da apportare?

«Credo che la recente riforma, nata con decreto legislativo 150 del 2022 (che introduce in Italia un sistema di giustizia riparativa ndr.), sia molto percorribile. Quando fossero maturati i tempi occorrerebbe dare maggior rilievo all’esito positivo del percorso di giustizia riparativa, stabilendo che questo, invece di attenuare soltanto la pena, come succede oggi, la sostituisca».

tratta di giustizia riparativa ma era una proposta che avrebbe contenuto decisamente l’intervento penale, rendendo peraltro meno difficile scoperchiare tutto il sistema della corruzione. Tornando alla domanda, al tempo pensavo che il carcere fosse educativo, di conseguenza, benché mandare persone in carcere fosse doloroso anche per me, credo che non avrei condiviso l’idea di giustizia riparativa se l’avessi conosciuta». Lei ha più volte dichiarato che “gli istituti penitenziari non servono a nulla”. Crede che la giustizia riparativa possa essere in futuro la risposta definitiva?

mento secondo cui la giustizia riparativa doveva essere inserita nelle «prescrizioni obbligatorie» per «eliminare o attenuare il reato». Da allora sempre più magistrati applicarono questa misura, fino ad arrivare alla Riforma Cartabia del 2021, che riprese i lavori iniziati cinque anni prima e diede una forma giuridica completa alla giustizia riparativa definendola ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore». Un processo durato decenni, che però non è ancora terminato: «La strada sarà lunga e faticosa – conclude Ghibaudi –, non siamo che all’inizio di un cambiamento che epocale».

C’è chi sostiene che la giustizia riparativa possa essere solo utile nei minori. Che ne pensa? CREDIT: GHERARDO COLOMBO

GHERARDO COLOMBO Fu uno dei magistrati di Tangentopoli

vedendone i risultati positivi la sua pratica si espanda. Sul tema bisognerebbe intervenire anche da un punto di vista culturale. Ma credo che comunque sia difficile superare completamente il processo penale». Oggi, in Italia, i casi di giustizia riparativa sono in aumento. Ma le resistenze continuano. È necessario un cambio di paradigma?

«È fondamentale che si passi da

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una cultura, purtroppo molto diffusa nel nostro Paese, della retribuzione (in cui la sanzione penale serve solamente a punire il colpevole ndr) a una della riparazione. In Italia si parte dalla convinzione che è giusto far male a chi ha fatto male, senza però rendersi conto che in questo modo il male raddoppia. Da questo punto di vista è necessario operare un grandissimo cambiamento culturale».

«In Italia è stata sperimentata (artigianalmente, perché il sistema non era espressamente previsto) con i minori e rarissimamente con gli adulti. Al contrario in altri Paesi la giustizia riparativa fa parte del sistema giudiziario da tanto tempo e funziona anche per gli adulti. Credo sia necessario non elaborare teorie astratte ma essere rigorosamente agganciati ai dati. In una metaricerca risalente a qualche anno fa già si evidenziava come, attraverso il ricorso alla giustizia riparativa, si abbattesse di circa un quarto il rischio della recidiva».


FUTURA MAGAZINE #3 – 16 FEBBRAIO 2024 GUSTO

DAL 16 FEBBRAIO AL 1 ° MARZO

Un salone per celebrare il Vermouth

GLI APPUNTAMENTI a cura di Marta Borghese e Agnese Ranaldi

di M.B.

EVENTI

CAPODANNO CINESE

Black History Month ai Musei Reali

Danza del Drago al Maglio

Dal 1° al 25 febbraio si celebra il Black History Month, un mese di eventi dedicati lla storia della diaspora africana. Torino ospita la terza edizione realizzata dall’associazione Donne Africa subsahariatna e II generazione, in collaborazione con i Musei Reali.

Nei giorni scorsi la Mole, illuminata con il Fu, simbolo di felicità e prosperità, ha accompagnato in città i festeggiamenti per il Capodanno cinese. Il 10 febbraio è cominciato l’anno del Drago. Domenica 18 febbraio ultime celebrazioni della festa, con la danza del

Il 1° febbraio alle 16.30 si inaugura la rassegna al Palazzo Reale con la presentazione di “Queste terre selvagge oltre lo steccato”, del filosofo e intellettuale nigeriano Bayo Akomolafe. Un mese di iniziative ed eventi formativi da non perdere.

Fino al 25 febbraio, Musei Reali

Drago organizzata al Cortile del Maglio dalle associazioni italo-cinesi attive a Torino. Presenti anche gruppi folkloristici locali, come il Folk Danza di Venaria e altre associazioni estere, come i Semilleros del Perù. L’evento è aperto alla cittadinanza ed è gratuito.

18 febbraio, Cortile del Maglio

TEATRO

RASSEGNA CINEMATOGRAFICA

La ferocia travolge il Gobetti

Seeyousound Film Festival

Due giovinezze, una città, le colpe dei padri nascoste nell’inerzia e nella debolezza dei figli. Al Teatro Gobetti di Torino il collettivo Vico Quarto Mazzini porta in scena “La ferocia” di Nicola Lagioia, premio Strega 2015. Un dramma che squarcia il microcosmo

Torna a Torino l’annuale appuntamento con il Seeyousound International Music Film Festival, dal 23 febbraio al 3 marzo al Cinema Massimo e in altri punti della città. Si tratta dell’unica rassegna cinematografica a tema musicale in Italia, e quest’anno festeggia

borghese in cui è il denaro ad aggiustare tutto, ma anche una lente per leggere la storia del Paese dal secondo Dopoguerra a oggi. Uno spettacolo che racconta il nostro essere incatenati alle leggi di natura. Sono attive riduzioni per gli studenti.

13-18 febbraio, Teatro Gobetti

el 1786, mentre il granduN ca Leopoldo di Toscana aboliva la pena di morte, Goethe

i suoi 10 anni di successi con 90 titoli in 10 giorni. Venerdì 23 febbraio 20.45 si comincia con un omaggio all’icona dell’empowerment femminile e artista di ogni tempo: Cyndi Lauper, ritratta nel film Let the Canary sing, presente anche la regista Alison Ellwood.

23 febbraio-3 marzo, Cinema Massimo

MOSTRA

Gerda Taro e Robert Capa a Camera Gerta Pohorylle e Endre Friedmann, passati alla storia con gli pseudonimi di Gerda Taro e Robert Capa, insieme in mostra come nella vita presso Camera-Centro Italiano per la Fotografia di Torino. Dal 14 febbraio al 2 giugno si celebra la passione per le immagini e per la giustizia di due tra i massimi riferimenti della fotografia del Novecento. L’esposizione indaga il rapporto professionale, quello affettivo e l’esperienza drammatica della guerra spagnola in cui Gerda Taro perse prematuramente la vita

nel 1937. Nel viaggio espositivo è ricordato anche l’arrivo a Parigi di Robert, alter ego di Endre ma francesizzato André, e l’incontro con Gerda. Viene messo in risalto il sodalizio artistico e sentimentale che combinava impegno politico e arte fotografica, spesso ricordato da Capa nel corso dei suoi anni di carriera, fino alla morte, avvenuta nel 1954 durante la guerra di Indocina. Testimoni del preludio dei grandi conflitti mondiali del XX secolo, hanno cambiato per sempre il ruolo sociale e politico della fotografia.

FOTO CONCESSA DA CAMERA, CENTRO ITALIANO PER LA FOTOGRAFIA

14 febbraio-2 giugno, Camera-Centro italiano per la Fotografia

IL COLOPHON Futura è il periodico del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università di Torino Registrazione Tribunale di Torino numero 5825 del 9/12/2004 Testata di proprietà del Corep Direttore Responsabile: Marco Ferrando Segreteria di redazione: Sabrina Roglio Progetto Grafico: Nicolas Lozito Impaginazione: Federica Frola

cominciava il suo viaggio in Italia e i savoiardi Jacques Balmat e Michel Paccard salivano per la prima volta in cima al Monte Bianco, in una piccola bottega di erboristeria in piazza Castello c’era chi registrava il marchio di quella che sarebbe divenuta una bevanda base per gli aperitivi di tutto il mondo. La bottega era la distilleria Marendazzo, l’erborista Antonio Benedetto Carpano e la bevanda naturalmente il Vermouth, a cui tuttora il nome di Carpano è legato. Oggi il Vermouth (o Vermut, sono accettabili entrambe le grafie) è esportato in tutto il mondo e a Torino è tutelato dall’indicazione geografica che ne attesta il legame con la città. Se ne producono circa 4,4 milioni di litri all’anno solo nelle aziende di zona: quantitativi raggiunti anche grazie al ritorno di marchi storici. Il 23 e il 24 febbraio, per la prima volta, il Vermouth avrà la sua vetrina in città, con un salone allestito al Museo del Risorgimento che consentirà ai partecipanti di assaggiarne tutte le tipologie, dal rosso al bianco al dry, fino alle versioni più esotiche prodotte con erbe, spezie, fiori, radici e cortecce non comuni in Italia. Dal 19 al 25 febbraio, poi, andrà in scena anche un fuori salone, con tanti eventi per avvicinare la cittadinanza alla conoscenza della bevanda torinese che, dai salotti borghesi ai bohémiens, ha saputo conquistare gli aperitivi d’Europa. Oggi è alla base di cocktail assai diffusi come l’Americano, il Manhattan e il Negroni. Il segreto del successo? Sempre la scelta del vino di partenza (che deve essere di produzione nazionale) e degli aromi utilizzati, dal legno amaro all’anice stellato, dalla camomilla al sambuco e alla salvia. La vera protagonista, però, resta sempre lei, l’Artemisia absinthium, la pianta di assenzio che a fine Ottocento ispirò la tela di Edgar Degas.

Redazione: Chiara Bagnalasta, Niccolò Bambini, Riccardo Bessone, Marta Borghese, Elena Brizzi, Teresa Cioffi, Chiara Comai, Ilaria Ferraresi, Eugenia Gastaldo, Micol Maccario, Simone Matteis, Federico Mellano, Cinzia Raineri Djerbouh, Agnese Ranaldi, Matteo Rossi, Franco Luigi Sani, Alberto Santonocito, Marialaura Scatena, Giovanni Turi, Thomas Usan. Ufficio centrale: Sandro Bocchio, Emanuele Franzoso, Luca Indemini, Paolo Piacenza, Matteo Spicuglia, Maurizio Tropeano. Segreteria di redazione: giornalismo@corep.it

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