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Lorenzo Garbarino

Corsa allo spazio: il nuovo Far West

Gli Stati blindano le orbite con i satelliti, crocevia strategico per la conquista di pianeti vicini

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di Lorenzo Garbarino

IN SINTESI

Le orbite più basse sono già affollate di satelliti

Le informazioni raccolte dallo spazio sono il primo strumento per vincere le guerre

La corsa allo spazio rischia di coagulare le spinte nazionaliste cinesi P er capire la guerra di domani basta alzare gli occhi al cielo: lo spazio è destinato a diventare il luogo fondamentale per colpire l’avversario sulla Terra, come ben sanno Stati Uniti e Cina, che da tempo hanno già posizionato i propri satelliti. Intorno alle orbite più basse, a circa duemila chilometri dalla superficie, troviamo uno strato densamente affollato da strumenti tecnologici con funzione di intelligence. Ci sono anche quelli puramente civili, come le telecomunicazioni o la meteorologia, ma non è sempre facile distinguere l’uno dall’altro, viste le caratteristiche di segretezza dei primi. È un campo dove anche Russia, India e Giappone cercano un posto al sole per non soccombere al progresso bellico degli avversari.

PRIMA LINEA BELLICA

Le applicazioni militari in questo campo hanno già permesso di sviluppare i cosiddetti missili ipersonici, un’arma in grado di sorvolare l’aerospazio e colpire il nemico, superando i sistemi di difesa. Se dotata di testate nucleari, sarebbe in grado di spazzare via qualsiasi potenza ostile. Questo è comunque uno scenario futuro. Oggi lo spazio è il luogo dove si raccolgono informazioni, primo strumento per vincere una guerra, e i satelliti sono un alleato ormai indispensabile per gli eserciti, come Russia, Cina e Stati Uniti sanno bene da anni: i sistemi antisatellitari sono nati per contrastare gli avversari dall’alto, sabotare il trasferimento di informazioni diventa l’obiettivo delle potenze straniere.

Rotte sommerse dal potenziale economico enorme e quasi inattaccabile. I cavi sottomarini, attraverso cui passa la maggior parte del traffico internet globale, potrebbero rappresentare un terreno competitivo per la geopolitica internazionale simile a quello che in passato furono le grandi vie del commercio marittimo e terrestre. Oggi circa il 97% dei dati digitali in circolazione – che si tratti di contenuti informali, transazioni finanziare e cessione di dati sensibili – viene trasferito per mezzo di grossi cavi posizionati sui fondali oceanici. Secondo alcune stime, sarebbero 426 quelli attualmente in funzione. Un’estensione complessiva pari a 1,2 milioni di chilometri, tre volte la distanza tra la Terra e la Luna. Chi controlla i cavi, controlla l’accesso di un’area al traffico dati che passa su internet, determinando la “distanza” digitale di un luogo dal resto del mondo. Un meccanismo emerso chiaramente poche settimane fa, quando la rottura del Southern Cross Cable Network a Tonga ha messo in serio pericolo la comunicazione del Paese con l’esterno. Per gli Stati insulari del Pacifico, i cavi rappresentano un vero e proprio “cordone” con l’Australia e gli Stati Uniti, principali partner commerciali intenzionati a mantenere salda la propria influenza nell’area.

CREDIT: LORENZO GARBARINO

UN CIELO AFFOLLATO

Gli attori in corsa nella sfida spaziale del XXI secolo POSTI DI BLOCCO

In questa corsa gli Stati Uniti interpretano lo spazio come il mare. Il controllo degli stretti e dei crocevia strategici limita le mire espansionistiche di Paesi come la Cina e territori come la Luna divengono di fondamentale importanza. L’errore che si commette è però immaginare lo spazio con infinita libertà di movimenti: anche qui esistono snodi tattici. Ci sono diversi luoghi raggiungibili dall’uomo, altri invece non sono ancora stati toccati perché il progresso tecnologico non è sufficiente per raggiungere destinazioni oggi raggiungibili soltanto con la fiction cinematografica. I razzi non sono abbastanza potenti per portare gli uomini in alcuni luoghi. La soluzione è nell’utilizzo delle orbite gravitazionali dei pianeti: attraverso la loro forza è possibile approfittare di una specie di passaggio, necessario per risparmiare la potenza per punti più ostili.

«IL VERO ERRORE È IMMAGINARE LO SPAZIO CON LIBERTÀ DI MOVIMENTO: MA ANCHE QUI ESISTONO SNODI TATTICI»

L’AVVENTO DEI PRIVATI

Si comprende così l’importanza delle rotte spaziali, un valore riconosciuto oggi anche da settori privati. Jeff Bezos e Elon Musk sono solo un esempio degli imprenditori statunitensi che si sono lanciati nello sviluppo del settore spaziale, cui il governo americano ha contribuito, coinvolgendo il Pentagono. Un connubio pubblico-privato inimmaginabile invece per la controparte cinese.

La Repubblica Popolare rimane uno Stato totalitario, dove ogni decisione passa dalle scelte intraprese dal Partito comunista, incarnato negli ultimi anni dalla figura di Xi Jinping. Si tratta di una forma di governo che ha limitato la crescita di multinazionali, evitando qualsiasi velleità di emancipazione statale: il caso di Jack Ma, inventore di Alibaba, è il caso più eclatante dell’intromissioni del partito. E ci sono altri problemi per Pechino, come uno spazio terrestre limitato, dove sviluppare la ricerca aerospaziale. Le postazioni per lanciare i razzi, se si escludono i supporti strategici offerti dall’eredità sovietica messi a disposizione dalla confinante Russia, sono esigui, soprattutto sul fronte marino, pattugliato costantemente da corazzate statunitensi che impediscono un effettivo accesso all’oceano. Questo, però, non frena le ambizioni cinesi: lo spazio può diventare l’obiettivo intorno a cui coagulare le spinte nazionalistiche nell’eterna corsa contro il rivale statunitense.

Usa, Cina, Big Tech e cavi sottomarini: le rotte sommerse della sfida digitale

di Matteo Suanno

UN PRIMATO CONTESO

La competizione sui cavi cresce man mano che la transizione digitale si impone nell’agenda dei governi. Attualmente sono gli Stati Uniti a gestire più della metà dei cavi sottomarini del globo, ma Pechino sta lavorando alacremente per insediare questo primato al più presto. Nel piano China Manufacturing 2025, il governo cinese ha messo nero su bianco la propria volontà di controllare il 60% dei cavi sottomarini da qui a quattro anni. Un progetto che può contare su 95 miliardi di dollari di investimenti. La fase operativa dei progetti è affidata a due delle più grandi aziende cinesi, la Hentong e la Huawei Marine, che hanno già realizzato il cavo sottomarino Peace, 12mila chilometri tra Francia e Pakistan, passando per il Golfo e il Corno d’Africa.

AZIENDE RAMPANTI

Non solo Stati, dunque, ma anche aziende assimilabili ai primi in quanto soggetti economici, guarderanno alle gare d’appalto per la progettazione e la posa di nuove reti sottomarine nel futuro. Al momento Google possiede l’8,5% dei cavi sottomarini, mentre Facebook e Amazon hanno lavorato a Jupiter, un cavo-ponte tra Stati Uniti e Asia. Una sfida a viso aperto tra pubblico e privato per questioni dalle dirette implicazioni geopolitiche, che aggiungerà nuovi livelli alla lettura dinamiche globali. Il protagonismo delle aziende le renderà portatrici di interessi particolari, talvolta divergenti rispetto a quelle degli Stati. Un esempio su tutti risale al 2016, quando l’amministrazione Trump dovette forzare il progetto iniziale del Pacific Light Cable Network, cavo per il passaggio della fibra ottica ideato da Facebook e Google che avrebbe dovuto unire gli Stati Uniti a Hong Kong. I timori allora erano di carattere strategico, dal momento che Washington temeva i rischi di spionaggio che l’eventuale approdo dell’infrastruttura in territorio cinese avrebbe potuto comportare. In quell’occasione, la linea saldamente anti-cinese di Trump prevalse, imponendo il dirottamento del progetto verso Taiwan e le Filippine.