APProject | Apr. 2021 | Anno 1 | numero 1
Alle gemme sugli alberi, e al profumo di primavera
che cosa ti Questo progetto editoriale è nato in un momento di pausa, un assolato pomeriggio di novembre, sulla terrazza che guarda il lago al Sole di Ranco.
IDEAZIONE Anna Prandoni Gaia Menchicchi REDAZIONE Anna Prandoni Michela Bernardi IMMAGINI Gaia Menchicchi
È nata l’esigenza di dare una forma a una passione: la forma è questo quaderno di appunti che avete tra le mani. Ne prepareremo uno per ogni stagione, così che ci accompagni alla scoperta di prodotti, ingredienti, ricette e case piene di energia, entusiasmo, leggerezza.
Ma soprattutto colme di quella bellezza che ricerchiamo quotidianamente. Questo numero è dedicato alla stagione che rinasce, la primavera.
Perché, nonostante tutto, la natura ci stupisce ogni anno.
POST PRODUZIONE E GRAFICA Frida de Beauvoir EDITORE APProject
Questo è un progetto di microeditoria finanziato dalle autrici e dai lettori.
SEGRETERIA DI REDAZIONE Flora Paparella Marco Prandoni HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Vanessa Pisk, Giandomenico Frassi, Milano Secrets, Valentina Aversano, Jessica Oneta, Alessio Cannata, Anna Lopez
www.scarpettamag.it instagram: @scarpettamag
Volete conoscere meglio il nostro lavoro? Scriveteci! info@scarpettamag.it
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raccontiamo... PER INIZIARE
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Editoriale
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Quanto sono cattive le buone maniere
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La bellezza non ha mai lasciato Milano
PROSEGUIAMO
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Merenda
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Di stagione
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Il regno del cibo ripensa se stesso
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Acqua e pazienza
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A scuola di stile
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Appendi i piatti
AL CENTRO
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Domenica
65
Atmosfere d’Aquitania
76
Le colline del vino
82
Tulipanomania
86
Weekend insolito
PER CONCLUDERE
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Priorità
96
Sul comodino in primavera
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Primavera sul divano
EDITORIALE
di Anna Prandoni
Raccogliere un sogno con un pezzo di pane Immaginare Scarpetta è stato come costruire un sogno. Avete presente quel momento magico, di solito poco prima di svegliarvi, in cui nel dormiveglia riuscite a veicolare il sogno della notte nella direzione sperata? Sapete già che non è reale, ma allo stesso tempo vi ostinate a farlo girare nel senso che preferite, consci che un finale come piace a voi, anche se onirico, darà comunque una svolta positiva alla giornata.
Tenere tra le mani la bozza di questo magazine significa avere la consapevolezza che la nostra mente è più potente di qualsiasi ostacolo. Siamo in mezzo a una pandemia, siamo lontani, non abbiamo modo di fare esperienze fisiche e siamo stanchi e affaticati, dopo tanti mesi di solitudine forzata. Eppure, con la determinazione e l’energia le cose belle avvengono.
Scarpetta è una preziosa sintesi di tutto ciò che amiamo di più: e ha questo nome così evocativo perché vuole aiutarci a raccogliere il gusto, ovunque esso si trovi. Per noi, il gusto è tra i fornelli, nelle case costruite da chi le abita, nei luoghi colmi di bellezza, nei personaggi che ci emozionano. Ma anche nascosto nelle playlist e nelle serie tv che ci fanno compagnia. Nei viaggi sognati e in quelli a due passi da noi, nelle riflessioni sull’oggi, proiettate verso il futuro.
Scarpetta è quello strumento ancestrale e semplice, quel pezzo di pane morbido, che riesce a impregnarsi dell’ultimo boccone di sugo, quello più saporito, quello proibito, quello godurioso e perfetto. Quello che si raccoglie con la gioia istintiva e innocente di un bambino e si gusta a occhi chiusi, centellinando ogni morso. E una volta finito, ci regala quel sorriso appagato e la consistenza della coccola.
Speriamo di essere riusciti nell’impresa, e che questa scarpetta, per noi così preziosa, vi regali la leggerezza di cui tutti abbiamo bisogno.
Anna 7
Quanto sono cattive le buone maniere
Parole di Claudia Saracco
Siamo cresciuti a pane e “questo non si fa”. Senza saperlo, eravamo paggi alla corte del Re Sole. Mai alzarsi prima che l’ultimo commensale abbia finito e dritti con la schiena, vietato sporcarsi le mani, vietatissimo pulire il piatto. E pazienza per l’intingolo del brasato al barolo o per il ragù cotto amorevolmente sei ore, mica potevi raccoglierlo rischiando di scandalizzare il resto della tavolata. A casa, semmai, ma in pubblico meglio salvare le apparenze e il piacere della compagnia e tutto il resto. Le sane, vecchie, buone maniere.
Intingere il pane nel sughetto è sempre stato considerato roba da poveri sfigati. La scarpetta, termine intraducibile in altre lingue che non siano l’italiano, nasce nella penombra della cucina e ha il brivido dell’anteprima concessa soltanto a te in via del tutto eccezionale. Il pane che diventa cucchiaio per sentire se il fondo di cottura è ristretto al punto giusto, l’assaggio al ragù prima che lo mangino gli
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altri. Dimmi un po’, com’è? Non esiste gesto più voluttuoso, intimo, ancestrale di questo. In pubblico la scarpetta è consentita solo in occasioni informali, tra intimi. Se ci sono ospiti è considerata volgare come sottrarre l’ultimo pezzo di cibo rimasto sul piatto di portata. Impadronirsene, o ripulire il piatto, è indice di ingordigia e chi lo facesse andrebbe incontro a colpi di sfortuna. L’ultimo pezzo diventa il boccone della fortuna o la porzione della forza, “mangia che diventi grande” è stato il mantra di ogni bambino, promessa di salute e vigore; oppure è il boccone della buona educazione che rimane lì proprio per essere rifiutato: chi lo prende diventerà una vecchia zitella, restando sola come quel residuo di cibo. Come sanno essere cattive le buone maniere.
Cosa ci impedisca di trasgredire e dare serenamente una pucciata al fondo del piatto è una storia lunga otto secoli. Tanto ci è voluto perché frapponessimo un utensile di metallo tra noi e il cibo ma è a partire dal Cinquecento che il concetto medievale di educazione inizia a essere applicato a tutti i cittadini e non solo ai cortigiani. Nel 1530 Erasmo da Rotterdam pubblica un trattato sulle buone maniere, De civilitate morum puerilium, e da quel momento cresce il riserbo nel condividere posate, piatti e calici; passa anche il concetto che nessuno debba più toccare il proprio cibo o quello altrui con le mani.
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Le forchette, che ci hanno messo in una singolare relazione a distanza con il cibo, esprimono e al tempo stesso influenzano il nostro atteggiamento schizzinoso verso le persone con cui mangiamo. Il nostro autocompiacimento per questo meraviglioso esempio di artificiosità non deve farci però pensare che quanti mangiano abitualmente con le mani siano meno determinati di noi nel comportarsi “correttamente”. Prova ne è il fatto che tra le popolazioni extraeuropee, dove mangiare con le mani è la norma, queste sono considerate molto più pulite, più calde e più agevoli delle posate. Quel che nessuna mamma occidentale approverebbe diventa la prassi semplicemente cambiando latitudine. Le mani sono silenziose, sensibili alla consistenza e alle temperature dei cibi, e aggraziate, sempre che siano state propriamente addestrate. Come dire che la civiltà è sempre un punto di vista e mai un punto d’arrivo.
Hanno saputo illuderci bene, le buone maniere. Con un’educazione fatta di gentilezze e svolazzi, costruendo un’immagine di abbondanza che va di pari passo con lo spreco. Avanzare, gettare, sprecare è sempre stato sinonimo di ricchezza spavalda, di dimostrazione di potenza. Ci battiamo contro lo spreco di cibo ma quell’ultimo residuo da raccogliere con il pane no, dài, non è elegante. I francesi che condividono la reticenza di noi europei nel mostrare apprezzamento per il cibo, ritengono che le loro salse meritino più rispetto.
Nelle occasioni informali, afferrano il pane e se ne servono per ripulire il piatto, più spesso rompendolo in tanti pezzetti da infilzare con la forchetta come raccomanda la moderna etichetta. Sempre avanti, i francesi. Se volete essere à la page, al prossimo pranzo, fate #slurpporn e condividete la foto di quanto vi siete spazzolati allegramente. Stuzzica di più la fantasia un piatto vuoto che uno pieno.
L’alta cucina ha sdoganato la scarpetta da alcuni anni. Il grande Gualtiero Marchesi soleva dire che la soddisfazione più grande per un cuoco è un piatto che ritorna pulito, leccato (!) in cucina. Davide Oldani ha disegnato una fondina inclinata che consente di raccogliere le ultime cucchiaiate di zuppa senza dover inclinare il piatto, Mauro Uliassi tra i suoi piatti più famosi ha la scarpetta di brodetto. L’unica scivolata sul piatto ammessa: un pezzo di pane che si porta via anche l’ultima goccia di condimento, prolungando il piacere di un sapore. Era buono? Non serve risposta. Il piatto pulito canta, è felicità raggiunta, leggerezza dei sensi appagati. Una preghiera di ringraziamento per quanto si è avuto, per il cibo coltivato e cucinato con amore. Davvero dovremmo sacrificarlo? Con il permesso della mamma e del sire, lunga vita alla scarpetta.
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Il personaggio
La bellezza non ha mai lasciato Milano
Parole di Anna Prandoni Fotografie di Gaia Menchicchi
Con tre lockdown, più di un anno di pandemia dagli effetti davvero devastanti, il turismo a zero, gli uffici e i ristoranti chiusi e il centro deserto, la primavera è comunque la stagione della rinascita e della bellezza, per la città lombarda.
Per guardare oltre, basta passeggiare per la Galleria con la prima ballerina del Teatro alla Scala, Virna Toppi, che nonostante tutto non ha mai smesso di allenarsi e di costruire la sua arte. Sperando di riportare la danza al più presto sul palcoscenico più prestigioso d’Italia, ne dona un po’ al cuore di Milano, ballando sul terrazzo dell’Ottagono, sede del ristorante di Carlo Cracco. Un omaggio alla città che l’ha adottata e ha fatto di lei una star internazionale.
E gli incontri che scaturiscono da questa passeggiata sono il segno di quanto questa città così piegata dal virus stia in realtà solo immaginando la sua rinascita, e sia in attesa di sbocciare di nuovo, pronta per riprendere quota.
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“Sono una ragazza come le altre: non voglio che chi mi segue mi veda come una stella”
Virna Toppi è la prima ballerina del Teatro alla Scala di Milano, entrata all’Accademia a dieci anni da allora non ha mai abbandonato il palcoscenico del Piermarini, a parte due brevi periodi passati in Germania, nei quali ha portato la sua arte davanti agli spettatori tedeschi.
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Ma con una consapevolezza nuova, e nuove idee da mettere in atto. Come una bella addormentata, che Virna ha interpretato più volte nella sua carriera di danzatrice, Milano aspetta che il suo principe azzurro chiamato vaccino la liberi finalmente dall’incantesimo.
Intanto, sogna e ricorda, nei suoi luoghi più iconici, e in quel salotto buono di solito brulicante di turisti, venditori ambulanti, passanti, rampanti bancari in tailleur o giacca, cravatta e atteggiamento superiore, milanesi storici con sguardi annoiati, signore bene tutte occhiali scuri e borsa di Prada d’ordinanza, studenti in gita e persone che lavorano che planano invece di camminare sul mosaico marmoreo sempre lucidissimo forse proprio grazie a questi instancabili protagonisti della vita cittadina, che solcano la Galleria come se fossero il coniglio di Alice, in perenne corsa.
La corsa non è più così sfrenata, il passeggio non è più così serrato: la Galleria alle tre del pomeriggio di un giorno feriale è quasi deserta, tanto da consentire a Virna di esibirsi senza che nessuno la disturbi per un autografo. Sospesa e in attesa, si gode silenziosa questa calma ritrovata, e brama il ritorno dei planatori, uomini e donne che con la loro forza motrice sono la vera energia cinetica di una città mai ferma.
La bellezza rimane, indomita: e si manifesta ancora più esplosiva perché si può ammirare deserta. Fregi e decori della Galleria, austera eleganza della facciata del Teatro alla Scala, che dentro esplode invece di oro e neoclassicismo. Il bianco marmo di Candoglia che dà luce al Duomo, insieme alla sua madonnina. E la forza e l’energia dei ballerini e degli artisti che attendono impazienti di poter nuovamente salire sul palco del Piermarini. Uniti, come Virna, in una continua battaglia contro la malinconia.
Essere ballerini in pandemia è un esercizio di pazienza e di fiducia, di determinazione e di disciplina. Perché mai come ora riuscire a mantenere fede ai propri schemi e procedere con l’allenamento del proprio corpo è un obiettivo sfidante.
Non si va solo contro il proprio fisico, contro l’abitudine: si deve lottare quotidianamente per trovare dentro di sé il desiderio profondo di non mollare. Perché se la danza è sacrificio, oggi lo è ancora di più. I ballerini del Teatro alla Scala di Milano sono tra i pochi in Italia ad aver avuto modo di riprendere almeno lo studio, e sono riusciti a mettere in scena qualche spettacolo, seppur registrato.
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Ma non vedono l’ora di ricominciare senza restrizioni: ballare senza spettacoli e senza pubblico non è la stessa cosa, anche se oggi continuare a studiare va fatto anche per rispetto dei tanti colleghi precari che da un anno non lavorano e sono senza stipendio.
Virna ha continuato ad allenarsi ogni giorno, a Monaco dove era nel primo lockdown, e a Milano, dove è tornata per rientrare in forze nel suo teatro del cuore, che l’ha vista crescere e che le ha dato l’enorme privilegio di diventare prima ballerina.
Ma Virna è anche una ragazza contemporanea, un’influencer sui social network, dove condivide la sua vita senza filtri e senza costruzioni, perché quello che più vuole testimoniare è il contrario dello stereotipo della ballerina classica tutta dieta e atteggiamento raffinato. Per avvicinare i ragazzi alla danza, e per far loro capire quanto questa disciplina sia alla portata di tutte le persone curiose.
E se un merito a questo covid lo vogliamo proprio trovare, per chi come lei ha fatto della danza una professione, è la possibilità per tutti di entrare in contatto con la danza di livello internazionale. Grazie ai social network questi esseri eterei e lontani sono entrati nelle nostre case con le loro videolezioni, con i loro spettacoli, ma anche con la loro realtà quotidiana. Dando anche a chi non si è mai nemmeno sognato di andare a vedere, per pigrizia, per impossibilità, per mancanza di conoscenza, uno spettacolo dal vivo di entrare alla Scala.
Così come è successo per le masterclass che il teatro milanese ha mandato in onda per mostrare il backstage e la preparazione allo spettacolo: momenti che permettono di vedere il lavoro in sala, mostrano come i ballerini si preparano, come affrontano la prova, il rapporto con il maître e il direttore.
Spiegano anche cosa vogliono dire i gesti che vengono proposti in scena. Anche dopo questa pandemia sarebbe bello che rimanessero, per far vivere al pubblico un momento che non potrebbe mai vedere altrimenti. Il Teatro milanese è stato tra i primi a cogliere le opportunità offerte dal digitale, e già da qualche anno è un punto di riferimento in questo senso: dirette instagram dal dietro le quinte durante le prime, conferenze illustrative dei grandi eventi, interviste con i protagonisti a disposizione del pubblico. Ma soprattutto tanta interazione con gli appassionati, che premiano questa apertura con numeri significativi e condivisioni continue. Un modo decisamente contemporaneo di pensare un’attività antica, che di
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Borsa LiuJo, stivali El Vaqueros, completo beige Attic&Barn e orecchini LeDebbine
sicuro però non può in alcun modo sostituire l’esperienza dal vivo, con gli spettacoli che speriamo tornino al più presto a illuminare la città.
Insieme all’affollamento in Galleria, dove uomini e donne che planano sono l’unico segno autentico di una Milano che è ritornata alla vita.
Ringraziamo Virna Toppi per la disponibilità e Alessandro Ruggle per gli scatti dal balconcino del ristorante Cracco.
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M E R E N DA di Anna Prandoni
Le case lombarde di corte avevano una struttura rettangolare, aperte sul davanti su un cortile anch’esso rettangolare, che di solito dava su un orto, o per chi ne poteva fare a meno, su un giardino. Un parallelepipedo che custodiva emozioni, predeterminate e rigide come la struttura che le conteneva. La zia Pinuccia e lo zio Rino, chiusi nel loro parallelepipedo d’ordinanza, non avevano figli, e sfuggivano a questa rigidità di costumi in un modo che nemmeno loro capivano. Erano anomali, non per scelta, in una società dove il diverso non solo non aveva posto, ma dove non era addirittura previsto. E se per noi oggi diverso è chi viene da lontano, o chi ha una propensione sessuale differente da quella della maggioranza, allora i diversi erano le coppie senza figli. Una diversità subita, proprio come quelle attuali, una diversità senza colpe ma che portava con sé sguardi bassi e inadeguatezza, intimi rammarichi e disperazione. La mancanza di normalità li faceva essere ottimi zii, amati incondizionatamente dai tanti nipoti che - ignari della colpa - approfittavano di questa situazione di disagio colmando la mancanza con sorrisi e risate.
Non è che fossero zii speciali, anzi: ma raccoglievano intorno a sè quell’affetto spontaneo e sincero che solo i bambini riescono a donare, per una naturale propensione all’infanzia, che forse anche loro non avevano mai del tutto abbandonato. Il parallelepipedo conteneva un amore spontaneo e deciso, la loro frustrazione, ma anche innumerevoli gatti disposti ad essere coccolati e gustose merendine al cioccolato confezionate, che di norma a noi erano proibite ma che eccezionalmente potevamo addentare avidamente, per gratificare la zia dolente.
Nelle giornate assolate d’estate, dopo corse a perdifiato in bici e sorprendenti esplorazioni nella gabbia dei conigli - un’altra delle mirabili attrazioni a casa degli zii - entravamo nella penombra del parallelepipedo e ci siedevamo al tavolo di legno scuro. Solo un filo di sole filtrava dalle persiane chiuse e rivelava un’aria piena di polvere luminosissima. Il silenzio era assordante, la quiete assoluta. Sentivamo i nostri respiri e ci veniva naturale abbassare il tono di voce, per non rovinare l’atmosfera. Quella stanza, all’ora della merenda, era per noi l’attesa. Non ci saremmo mai permessi di chiedere la brioche, ma non ci saremmo mossi da lì finché non avesse ceduto morbida e golosa, ai nostri denti affamati. Arrivava sempre, e con lei arrivava la soddisfazione di un traguardo raggiunto. Le dita ancora sporche di cioccolato sciolto, ci precipitavamo di nuovo fuori, alla ricerca di altre avventure che valeva la pena vivere quel pomeriggio.
Oggi mi chiedo che cosa pensasse la zia, ritirando gli incarti appiccicosi e stropicciati dal tavolo: se in fondo quell’amore condizionato dalle merendine fosse un sentimento comunque nobile o se la sua condizione di non madre fosse da preferire. Pensiero che forse non l’ha mai del tutto sfiorata, pensiero impuro, pensiero che l’avrebbe catapultata in un altro secolo e in un’altra dimensione, tra le avanguardiste di un movimento di mancate maternità che all’epoca sarebbe appartenuto solo a poche.
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CLAFOUTIS DI FRAGOLE In una ciotola mescola 4 uova con 125 g di zucchero, 150 g di farina e un pizzico di sale; unisci al composto 200 ml di latte, 150 ml di panna fresca e i semini di una stecca di vaniglia. Poni il tutto in una una pirofila foderata con carta forno, cospargi con 500 g di fragole tagliate a tocchetti. Inforna a 180° per 40min. Spolverizza di zucchero a velo e servilo tiepido.
FRITTATA DI AGRETTI Lessa 300 g di agretti in acqua bollente salata per 5'. Mescola 3 uova, 150 ml di latte, sale, pepe e noce moscata. In una padella unta fai saltare gli agretti, versa il composto di uova e fai rapprendere la frittata, ribaltandola per cuocerla su entrambi i lati.
TORTINO DI ALICI Taglia fette di un cm da 4 patate rosse. Alterna in una teglia unta uno strato di patate, sale e pepe, uno di alici spinate e aperte a libro, un altro strato di patate, sale e pepe. Cospargi con un paio di cucchiai di pangrattato. Inforna a 200° per 20’.
Milano, Italia
Il regno del cibo ripensa se stesso Parole di Anna Prandoni Foto di Gaia Menchicchi
Ritrovare nuovi stimoli e ripensare la propria attività è l’unica arma che hanno oggi i ristoratori. C’è chi ha deciso di farlo con una chiusura forzata e imposta, chi invece ha investito tutto su nuove idee e ha esplorato nuove dimensioni del suo lavoro. Tutti accomunati da una certezza: non sarà più come prima, ma potrà essere meglio. E se rilanciare sul pensiero è il modo per sopravvivere, potrebbe essere davvero l’unica strada possibile per arrivare sani e solventi alla fine del tunnel.
Perché chi ha frequentato Milano prima della pandemia, da Expo 2015 in poi, sa quanto il mondo enogastronomico fosse esploso.
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Bulimico, insaziabile, inarrestabile, si autoalimentava senza soluzione di continuità, in un susseguirsi di aperture, novità, inaugurazioni, eventi, avendo completamente perso il focus sulle uniche due cose importanti di questo settore. Il cibo e il cliente. La comunicazione era prioritaria su tutto, il racconto - che qui si chiama invariabilmente storytelling - era diventato l’unica narrazione possibile. Il piatto era un di cui del lancio, del tam tam mediatico, della presenza ai tavoli, disegnati da prestigiosi architetti, delle persone giuste. Le ceramiche istagrammabili, il pavimento da sfondo perfetto, la caratteristica peculiare elevata a stile di vita. In quale altra città potrebbe sopravvivere un locale che vende solo bruschette nordiche, o solo 6 tipi di brioche o solo un piatto specifico di una regione italiana e basta?
EUGENIO RONCORONI | Al Mercato La nuova location dello chef appassionato di carne è distribuita su ben cinque vetrine al civico 18 del centralissimo Corso Venezia a Palazzo Serbelloni. Il concept rimane lo stesso del precedente locale, così come il menu. Si allargano però gli spazi in cui gli ospiti potranno degustare la proposta dello Chef. Alla carne declinata in due versioni - “steaks” & “burgers” si affiancano le verdure, con particolare attenzione ai metodi di cottura e alla stagionalità. La proposta di Eugenio Roncoroni è qualità nella semplicità e si caratterizza per la contaminazione franco-americana, espressa in cucina, nel servizio e negli interni del ristorante. “Al Mercato - afferma lo Chef - è un progetto a cui ho dedicato gran parte della mia vita professionale e in cui continuerò a investire tutte le mie energie. Per questo, insieme a Marcello Rizza abbiamo pensato di ‘fare il bis’ in città con un altro ristorante per offrire la possibilità a un numero sempre più ampio di persone di sperimentare la nostra cucina, affermando la nostra presenza in un quartiere di Milano molto diverso da quello in cui tutto ha avuto origine”.
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MARCO AMBROSINO | Fondatore del collettivo mediterraneo È in continua crescita il progetto fondato dallo Chef Marco Ambrosino del ristorante milanese 28 posti, bomboniera sui Navigli. Lo chef con questo gruppo si propone di raccontare la multiculturalità del Mediterraneo, la biodiversità e le esperienze di donne e uomini che ne hanno costruito la storia. Settimana dopo settimana sempre più Chef aderiscono all'iniziativa di cui condividono il Manifesto. Collettivo Mediterraneo promuove la salvaguardia dei mari e del suolo, della pesca etica, dei produttori, degli allevamenti e dell’agricoltura sostenibile. Per aderire e contribuire alla tutela del bacino del Mediterraneo e della sua storia è sufficiente iscriversi tramite il sito web. «In questo periodo storico la questione mediterranea è centrale e prenderne parte, raccontarla, tradurla nei linguaggi contemporanei è una scelta di parte. Il racconto degli “altri” mette noi stessi nella condizione di essere altri».
Solo nella città nella quale apparenza non è sostanza. Dove tutto stava rotolando verso una china pericolosa. E dove per fortuna il freno a mano tirato quando la velocità stava prendendo il sopravvento ha causato uno scossone dal quale si riprenderanno solo quelli che sono sempre stati in grado di fare il loro lavoro da professionisti. Andrà meglio per chi popola i quartieri di chi ha scelto il centro, meglio alle famiglie dei grandi gruppi, meglio al piccolo del gigante, meglio ai proprietari degli immobili di chi paga l’affitto. Meglio a chi ha le idee chiare, e sa come metterle in pratica.
È il caso di Eugenio Roncoroni, che con il suo Mercato ha raddoppiato spazi e coperti, aprendo un nuovo luogo tra una zona rossa e l’altra, e portando la sua carne saporita e le sue verdure hipster a due passi da San Babila, ma dal lato giusto, vicino ad abitazioni più che a uffici. O di Marco Ambrosino, che con la sua vocazione mediterranea sta cercando di portare in città una visione etica, inclusiva, partecipativa
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e di frontiera in questo mondo sempre troppo richiuso su se stesso. Il suo collettivo mediterraneo è uno spunto di riflessione che speriamo faccia proseliti e permetta a Milano di viversi come porta accogliente del mondo affacciato sul mare.
Che sia la cucina a farlo, è una delle possibili vittorie di questo periodo. Il migrante ha un bagaglio invisibile che porta sempre con sè, e che gli permette di esprimere la sua cultura: è il cibo del ricordo, la memoria del gusto, e ad ogni nuova tappa perfeziona quest’emozione sensoriale e la rinnova con nuovi ingredienti dettati dalla necessità, più che dalla volontà. Da queste sinergie può nascere una nuova idea di cucina, un nuovo modello di sapori, nuove ricette pronte a diventare specchio di un periodo, e non più di un unico popolo.
È la storia che racconta il Dabass, ristorante e locale di quartiere che riscopre la sua milanesità di ringhiera, e si propone sempre più come luogo di incontro raccolto, una enclave per chi vive la metropoli ma vuole alla fine ritrovarsi a casa. Cocktail, glamour, comunicazione: ma soprattutto accoglienza e dinamiche familiari, come un’osteria contemporanea.
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FLANK STEAK CON DRY-RUB, MAZZETTO AROMATICO E SALSA BERNAISE CAVOLFIORE, CREMA DI CAVOLFIORE, SUMAC E PORRO ALLA BRACE
AL MERCATO
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IL PESCE POVERO
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UOVO POCHÉ CON CREMA DI RISOTTO ALLA MILANESE E GUANCIALE CROCCANTE
DABASS
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SPAGHETTI “PASTIFICIO MASCIARELLI” CON LE SARDE
DABASS
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DABASS Maddalena Monti, Andrea Marroni e Roberto Tardelli sono i tre soci del Dabass e del dirimpettaio Il nemico, in via Piacenza, due locali nati per rispondere all’esigenza di un luogo di aggregazione con cucina e cocktail in porta Romana e diventato presto punto di riferimento della zona. Un po’ casa, un po’ modernariato, un po’ informale ma con piatti che strizzano l’occhio alla cucina da bistrot gastronomico. «Spesso - raccontano a Scarpetta - dal futuro si pretende che assomigli al passato, probabilmente non sarà così ma l’importante è che continui ad assomigliare a noi. La condivisione e la socialità sono l’essenza del nostro lavoro, finché esisteranno in qualche forma continueremo ad esistere anche noi».
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TWIST DI TOM COLLINS AL ROSMARINO: ingredienti 5 cl di gin, 3 cl di succo di limone, top con Enjoy. La parte zuccherina del cocktail, al posto della soda, è stata data con questa bevanda aromatizzata all’abete, preparata da Eleonora Matarrese, La cuoca Selvatica. Con la sua caratteristica fragranza dà tono al cocktail, da servire ben freddo in un tumbler.
Acqua e pazienza @Food_is_my_home_boy parole di Anna Lopez fotografie di Gaia Menchicchi
Leggevo uno degli ultimi post sul 2019, salutavo l’anno con entusiasmo e qualche speranza per quello che sarebbe arrivato. C'era anche chi diceva che il 2020 sarebbe stato l'anno della rinascita, del karma sorridente, di Saturno che abbandona il segno del Cancro dopo 250 anni di sfiga cieca. Chi l'avrebbe mai detto che il 2020 rotondo e morbido nella forma, sarebbe diventato l’anno della pandemia mondiale, del “andrà tutto bene” gridato dai balconi, delle scorte di lievito per coprire le voglie di pizza di figli nipoti e pronipoti. Già, tutti ad impastare sperando nella rinascita dell’animo, buoni propositi, tutto farina del nostro sacco. Abbiamo fatto 30 facciamo 31 ed eccoci qui di nuovo con le mani in pasta. Ho ceduto lo confesso. In questa terza ondata mi sono fatta sedurre dalla voglia di panificare, come se non ci fosse un domani magro, ammaliata dal mondo dei lieviti secchi o freschi, proporzioni e reazioni. Mi sono voluta complicare la vita. No, voglio essere onesta: ho voluto riempire la mia non vita e ho scelto, finché dieta non ci separi, di amare gli impasti ad alta idratazione al 90 % (di paura). Terrore puro che la magia di lieviti, farine forti macinate a pietra, tempi di lievitazione e pieghe di rinforzo, non si manifestasse, non mi regalasse almeno una gioia in questa vita sospesa. Come ogni massaia pandemica, ho colto l’occasione per soffermarmi sul senso dei miei gesti, sulle metafore nascoste, che questo impasto spaventoso mi porge con fare benevolo: le pieghe di rinforzo. Il senso della vita.
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Belle le pieghe/di/rinforzo. Come suona bene l'unione di parole, trovo rassicurante il concetto. Immagino sapienti mani che ti piegano al tuo destino, ma ti rendono forte. A più riprese, ma con dolcezza. Come gli scappellotti della mamma: severi, ma giusti. So che state sorridendo, che bella la speranza del happy ending, che belli i piegamenti alla Jill Cooper. Fermi tutti però, trattenete gli urli di speranza dai vostri balconi, perchè se la mano che vi porge qualcosa è pur sempre l'appendice di un essere spaventoso -che sia pure la mano di vostra madre che vi tira un coppino- qualcosa di malevolo questa speranza deve pure averlo. Le nostre pieghe di rinforzo è vero, danno la struttura e la forza, una boccata d'aria, ma in cambio ci chiedono un compromesso poco gentile: quello di essere lavorabili, più gestibili, dopo tutta la fatica della lievitazione, della vita che abbiamo vissuto per raddoppiare il nostro volume ed essere pronti a dare qualcosa a questo mondo, quelle mani sapienti ci piegano all’essere rassegnati al volere del fato, del destino, del karma di merda.
Sfido l'impasto, la sua mano traditrice e lancio il guanto della sfida: sono una ribelle e sono mie le mani, quelle sovversive, quelle sapienti che ti piegano al mio volere, che rendono te, karma al 90% di paura servizievole e gestibile, strutturato come io ho voluto. Gloria a me.
Sento una voce gridata alla finestra, finta o vera che sia, recita: andrà tutto bene! E andrà tutto bene cari voi. Si ricomincia. La ricetta che vi propongo prenderà qualche ora della vostra vita: sono 24h solo per la prima lievitazione. Lo dico per coloro che non sono pazienti e rinunceranno ancora prima di leggere la ricetta, ma che non sapranno mai cosa le loro papille si sono perse.
Che poi diciamocelo: è l’attesa della marinara, essa stessa il piacere e poi che c’avete da fare?
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MARINARA CON SCAGLIE DI PARMIGIANO, POMODORINI SECCHI E BASILICO
COSA SERVE PER 4 500 g Farina forte (Manitoba W320-350) 450 g di acqua (idratazione al 90 %) 20 g di olio 10 g di sale 1.5 g di lievito fresco. Farina di semola (per impastare in quanto non viene assorbita dall’impasto, non andrà ad alterare le proporzioni). 400 g passata di datterini dolce 1 vasetto di pomodorini secchi (meglio se quelli della nonna). Pasta d’acciughe. 4 spicchi d’aglio tagliati a lamelle. Olio a braccio COME SI FA Sciogliete il lievito in 1/3 della vostra acqua a temperatura ambiente. Mettete la farina in una ciotola capiente, versate il terzo d’acqua e con un cucchiaio incorporate l’acqua alla farina. Senza fretta. Una volta assorbita continuate ad aggiungere la restante acqua, poi l’olio e per ultimo il sale. Non avrete un vero e proprio impasto, sarà più che altro una massa molto umida e quasi ingestibile a prima vista. Niente panico. Coprite l’impasto, lasciatelo riposare per 20 minuti e poi rovesciatelo su un piano infarinato con la farina di semola. Con l’aiuto di un tarocco o di una spatola (attenzione, sarà molto molle) dategli la prima piega di rinforzo: prendete, uno alla volta, i due lembi laterali dell’impasto e portateli verso il centro, fate la stessa operazione per le due punte e ripiegandolo su se stesso e fatelo ruotare affinché la chiusura sia rivolta verso il basso. Fate “le pieghe di rinforzo” per 5 volte a distanza di 15/20 minuti circa. Il vostro impasto prenderà forza e ingloberà l’aria necessaria e dar inizio alla magia. Finiti i 5 giri di pieghe l’impasto sarà bello liscio, mettetelo in una ciotola unta d’olio, con le pieghe rivolte verso il basso e pronto per essere messo in frigo per 24 h.
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Trascorso il tempo necessario per la maturazione del nostro nuovo amico da frigorifero, toglietelo dal freddo e lasciatelo acclimatare per 2 h a temperatura ambiente, affinché capisca di essere passato ad un clima tropicale. Toglietelo dalla ciotola, fategli un giro di pieghe e lasciatelo ai suoi ultimi 30 min. di riposo prima di stenderlo nella teglia. In questi 30 min. approfittatene per preparare il condimento: Prendete una ciotola (ancora) versateci dentro la passata di pomodoro di datterini dolci, aggiungete l’origano, la pasta d’acciughe, l’aglio a lamelle qui siate di manica larga, tanto questo anno si limona l’anno prossimo e infine siate generosi d’olio, ma solo se buono. Aggiustate di sale. Coprite e mettete in frigorifero. Preparate le scaglie di parmigiano e i pomodorini alleggeriti dal loro olio. Preriscaldate il forno a 230° poi lo abbasserete a 200° Stendete l’impasto bolloso nella teglia oleata, farcitelo con il solo sugo che ora avrà tutti i sapori e infornatelo nella parte più bassa del forno (la renderà croccante) per 10 minuti. Dopodiché abbassate il forno, spostate al centro ultimate la cottura 10 minuti. Toglietela dal forno, sarà bella come non mai e voi affamati. Marinatela con le scaglie di parmigiano, i pomodori secchi e del basilico fresco. .
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A scuola di stile Waiting for the bus styling di Vanessa Pisk fotografie di Giandomenico Frassi
La casa di Germana è molto accogliente e pur essendo in affitto la proprietaria l’ha arredata come fosse una casa di proprietà, con grande gusto. È una casa laboratorio dove Germana lavora e porta avanti la sua attività di ceramista con il marchio Waiting for the bus www.wftb.it.
Ideazione e creazione sono sue, mentre le cotture avvengono in un forno professionale. L’allestimento curato da Vanessa Pisk prevede di mettere
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in evidenza la collezione La cerchia: ecco allora coloratissimi mix and match con frutta e fiori per arricchire la tavola e renderla più fresca, festosa e primaverile. Fiori e frutta diventano accessori per decorare una tavola in modo più vario: uno spunto intrigante da provare anche a casa. Il consiglio di Vanessa? Coordinare con cura i colori di frutta e fiori con quelli squillanti delle ceramiche. Tocchi etnici colorati nei cuscini realizzati con stoffe africane e nel coprivasi in rattan intrecciato. Modellini di monumenti diventano piccole teche che ospitano opere d’arte. I due specchi dialogano con la libreria grigio talpa dove la collezione della proprietaria trova naturale sfogo.
Un angolo del salotto è adibito a studio con un tavolo ricavato da un’asse di legno e un basamento di sapore industriale. Il divano bianco è il fulcro del living, completato sul retro da una consolle di legno chiaro con un sgabello dal tocco etnico.
Un mobile di ispirazione settecentesca francese completa la parete opposta insieme a una lampada di ceramica anni70 dando un tocco vintage nell’ambiente contemporaneo.
La cucina si apre direttamente sul living con un ampio tavolo da pranzo sovrastato da Arco di Castiglioni e sedie che mixano diversi stili per un risultato di grande equilibrio. La dispensa a vista racchiude ceramiche, libri, premi e oggetti che alla funzione propria sommano quella decorativa nella stanza.
Anche in cucina il tocco antico del tavolino con cassetti sovrastato da uno specchio d’epoca spezza la continuità dello stile.
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L’angolo del tè - La cucina di Germana è uno degli ambienti che preferiamo, è molto carina e raccoglie tanti accessori vintage recuperati nei mercatini e che la proprietaria si porta dietro da altre case. Vivono quindi anche come ricordi le vecchie tazzine, i piatti e tazze, mixando il vecchio con il nuovo. Vanessa ha consigliato a Germana di riunirle per creare questo angolino dedicato al tè, da usare come piccolo corner per una pausa ristoratrice dal lavoro.
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Appendi i piatti styling di Vanessa Pisk fotografie di Giandomenico Frassi
Anche senza essere artisti, anche senza avere capacità di decorazione, si possono inventare modi alternativi per ridare vita a oggetti dimenticati. La nostra stylist Vanessa Pisk ci ha provato con questi piatti e dei nastri adesivi. Cambiando punto di osservazione, il risultato... cambia!
1. Prendi dei piatti spaiati, chi non ne ha qualcuno in casa. 2. Utilizza dei masking tape (nastri adesivi colorati in carta) oppure del nastro adesivo decorativo con passamaneria o del nastro isolante nero da elettricista (che poi è quello che ho usato io) 3. Divertiti a decorare i tuoi piatti, con lettere/righe/forme geometriche ecc. 4. Crea una composizione di piatti e decora la tua parete. 5. Fai una foto e condividila con noi su Instagram @scarpettamag
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di Anna Prandoni
DOMENICA
Una vita scandita dal lavoro, dalla messa, dalle vacanze in riviera e dalle domeniche passate tutti insieme. Il pranzo in famiglia, in quel giorno unico, che diventa un rito, e i piatti che si susseguono uguali a se stessi per identificare un territorio e un’appartenenza saldi e inviolabili. Risotto, arrosto, puré, ciabatta del panettiere all’angolo. Pasticcini nel cabaret di cartone ondulato, unica concessione all’acquisto, prima che il supermercato o il delivery arrivassero a scombinare pranzi e cene. La Coca Cola: detestata dal nonno più rosso di CheGuevara e amata dalla nonna, che si concedeva di berla, in opposizione ideologica al marito, solo una volta alla settimana. Ricordati di santificare le feste. La domenica come rottura dello schema consueto del resto della settimana: in tutti gli altri giorni, il salotto e la sala da pranzo rimanevano intonsi, chiusi, luoghi inaccessibili da non rovinare. In salotto si celebravano riti, in cucina scorreva la vita. E la vita diceva lavoro, e pochi selezionatissimi incontri: perché la casa lombarda è chiusa, personale, familiare. Dalla nonna accoglievamo solo la signora Colombo, una nobildonna dai capelli azzurrati, con una grafia meravigliosa, e mille storie entusiasmanti da raccontare. Ogni pomeriggio, dopo una cotoletta alla milanese gigante o un risotto ai quattro formaggi che era burro puro e godimento assoluto, lei arrivava per il caffè. E iniziavano per noi bambini le esplorazioni sociali. Figlia di famiglia benestante, di Enrica conoscevamo il nome ma non avevamo mai avuto l’ardire di pronunciarlo: tutti in casa le davano del lei, anche dopo vent’anni di frequentazione quotidiana. Raccontava di pranzi sontuosi e camerieri guantati, di personale di servizio e tovaglie di lino bianche. Dalle sue parole coglievamo un mondo così profondamente distante dal nostro da far sembrare le vite differenti, come se i nostri giorni e i suoi non potessero mai coincidere. Era pacata, sorridente, mai sopra le righe: anche i piccoli pettegolezzi diventavano storielle innocenti e piacevoli se raccontati dalle sue labbra. Forse è stato allora che ho deciso di voler vedere quel mondo, sono state le sue parole a schiudere davanti a me una possibilità diversa, un futuro impensato che nessuno della mia famiglia aveva non solo osato sperare per sè, ma neppure compreso fino in fondo. Non erano gli argenti o le feste ad affascinarmi, era il modo in cui lo raccontava, la percezione che tra quegli argenti ci fossero persone capaci di ragionare diversamente da me, di comunicare con altri codici, di amare un bello che io non potevo nemmeno ambire a conoscere.
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Atmosfere d’Aquitania @MilanoSecrets Parole di Sibilla Milani Fotografie di Emanuela Roncari (MilanoSecrets)
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Adoriamo la Francia, e appena possiamo andiamo a visitarla. L’Aquitania è una di quelle regioni che ci ha completamente conquistate e dove siamo state più volte, anche perché ci si può arrivare facilmente in automobile o in aereo e perché offre interessi un pò per tutti. Riesce a metter d’accordo una famiglia intera ma anche una coppia romantica. Questa è la definizione di Aquitania che a prima vista non sapremmo nemmeno dove posizionare su una mappa, ma che in realtà è una delle nostre mete preferite: L’Aquitania è una regione storica nell’angolo Sud-occidentale della Francia, al confine con la Spagna e l’Oceano Atlantico. Il capoluogo, Bordeaux, città portuale sul fiume Garonna, è nota per i palazzi del XVIII e XIX secolo, per la cattedrale in stile gotico di Saint-André e per il Musée des Beaux-Arts. Migliaia di vigneti nella campagna circostante producono vini rinomati, in particolare nelle aree di Saint-Émilion, Médoc e Sauternes. Parliamo quindi di Bordeaux e dei suoi dintorni un po’ allargati. Ci siamo state più volte in occasioni diverse, ci siamo arrivate in aereo o in auto a seconda di come avevamo progettato la nostra vacanza. In auto siamo passati da Lione e dalla magnifica Dordogna con i suoi villaggi arroccati, in aereo invece direttamente a Bordeaux con easyjet. Bordeaux merita una visita, è una città piena di storia, una piccola Parigi di provincia, piccola e deliziosa. Ma noi ci siamo innamorate ancora di più dei suoi dintorni. Perchè noi quando ci innamoriamo di un posto, lo giriamo in lungo e in largo… In una delle nostre “andate” in Aquitania siamo state da Mimi Thorrison, la conoscete? La sua casa è bellissima e accogliente e il villaggio si trova nel centro del Medoc dove c’è un mondo da scoprire, un percorso enogastronomico da perderci la testa. Nei dintorni abbiamo visitato Soulac, dove c’è un mercato al chiuso ogni mattina, Saint Estephe, Vertheuil e Port de Talais. Primissimo consiglio da non perdere, a Soulac c’è un ristorante meraviglioso dove mangiare gamberi contornati dal nulla. La Guam guette, segnatelo e non dimenticatevene! Se volete dormire nei dintorni ecco i nostri indirizzi: La Hourqueyre a Saint Yzane, Chateau Ormes de Pez, un B&B molto bello e più lussuoso a Pez, un comune di St Estephe. E infine Chateau Real, una bellissima casa con un meraviglioso giardino, situata a St Seurin.
Cosa fare a Bordeaux Non perdete la visita di almeno alcuni dei musei e degli edifici storicamente significativi. Come ad esempio le grandiose torri La Flèche e Tour Pey Berland. Potrete godere delle migliori viste che si estendono su Bordeaux.
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L’Aquitania raccontata da Milano Secrets si svela nei suoi scorci più nascosti, nelle cittadine meno conosciute e nei tanti luoghi che rendono unica questa terra
Un’altra passeggiata da non perdere passa lungo il Miroir d’Eau, place de la Comédie, Place des Quinconces.
Per i buongustai e i gourmet, qui potranno assaporare una grande annata, o deliziosi dolcetti chiamati canelé realizzati artigianalmente fin dal 1620!
Ufficio del Turismo Bordeaux: www.bordeaux-tourisme. com Per prenotare visite alle cantine: www.ruedesvignerons. com
Dormire Auberge de la Commanderie : www.aubergedelacommanderie.com Chateau Hotel de Grand Barrail: grand-barrail.com
Mangiare Cafe le Dijeaux L’Alchimiste Cafe Boutique
Da Saint Émilion vale la pena spostarsi poi lungo l’estuario
Dormire
della Gironda con i suoi paesini pittoreschi tipo Mortagne sur Gironde, Talmont sur Gironde. Uno dei più bei villaggi di Francia, Talmont-sur-Gironde. Le case bianche e persiane blu danno una luminosità incredibile. La sua posizione è ideale per godersi tutte le attrazioni della zona e la costa che si affaccia sull’Oceano Atlantico. Sapete cosa sono i carrelets? Sono reti quadrate che i pescatori utilizzano dai tradizionali capanni a palafitta. Vero e proprio patrimonio culturale della Charente-Maritime, questi capanni con le reti dei pescatori creano scene molto pittoresche. Non potrete non fotografarli!
Cordeillan Bages un relais&chateaux appena fuori Bordeaux, nella campagna, ottimo punto di partenza per un giro nel Medoc e visita di aziende vinicole come la famosa Château Mouton-Rothschild: www.chateau-mouton-rothschild.com
Acquistare Fromagerie Deruelle: fromagerie-deruelle.com specialità locale L’Escadut, fromage bio fermier à pâte molle Pascal Beillevaire: www.fromagerie-beillevaire.com Epicerie Le Comptoir Bordelais foie gras, vino, cioccolato, caneles… www.bordeaux-shopping.com/boutique/le-comptoir-bordelais/
Dormire Chex Brown: www.rentbyowner.com/property/chez-brown
Se invece vogliamo andare al mare, e sicuramente lo vogliamo, non ci resta che dirigerci verso Cap Ferret. Questo piccolo villaggio si trova sulla penisola di Lège-Cap-Ferret, a solo un’ora di auto da Bordeaux. Paesaggi selvaggi mozzafiato e scenari incredibilmente panoramici, proprio sull’Oceano Atlantico. Sì, Cap Ferret è rinomato per le sue ostriche, ma c’è molto altro da scoprire.
Da Bordeaux vi potete spostare in giornata nel bellissimo villaggio di Saint Emilion. Annidato nel centro di uno dei vigneti più prestigiosi del bordolese, il famoso villaggio di Saint-Émilion, se è noto a tutti per i grandi vini, può anche vantare un patrimonio architettonico di tutto riguardo! Qui si potrà passeggiare tranquillamente attraverso il borgo medievale, attraverso i vicoli costeggiati da antiche dimore. Da non perdere per nessun motivo la visita della Torre du Roy! Questo maestoso torrione del XIII secolo offre dalla sua cima una bellissima vista sui tetti e i vigneti di Saint-Émilion. Gli amanti dell’architettura religiosa potranno invece ammirare il chiostro della collegiata e le antiche nicchie funerarie, l’insolita chiesa monolitica dell’XI secolo scavata nella roccia o il chiostro dei Cordeliers dalle eleganti colonne.
SULLA STRADA Sulla strada per Cap Ferret, troverete alcuni bei negozi di arredamento come La Maison d’Ici, Gilberte With Love e Première Ligne. Da autentici negozi in stile baita a raffinate boutique di design, ce n’è per tutti i gusti. La Maison d’Ici - 75 Route de Bordeaux, 33950 Lège-Cap-Ferret
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Gilberte With Love - 75 Route de Bordeaux, 33950 Lège-Cap-Ferret Première Ligne - 65 Route de Bordeaux, 33950 Lège-Cap-Ferret
compromesso tra entrambi gli stili e offre l’accesso gratuito alla sauna. Altrimenti, anche le pensioni possono essere una buona alternativa a Cap Ferret. Tra queste Villa Etche Ona o La Cabane Japajo, entrambe con viste fantastiche. Villa Etche Ona - 92 Route du Cap Ferret, 33950 Lège-Cap-Ferret La Cabane Japajo - Avenue Léon Lesca, Le Four, BP2, 33950 Lège-Cap-Ferret
DOVE MANGIARE Dopo aver guidato per un po’ ed eventualmente fatto qualche acquisto, è ovviamente ora di mangiare. Subito prima di Cap Ferret a L’herbe, dove ci sono tanti posticini sulla spiaggia dove mangiare ostriche. Ma anche proseguendo verso Cap Ferret non faticherete a trovare un posto.
Cosa fare Per un villaggio relativamente piccolo, Cap Ferret ha molto
Dirigetevi verso una di quelle tipiche baracche di ostriche che costituiscono una parte importante del fascino di Cap Ferret. Se proprio volete saperlo Il più famoso si chiama Chez Hortense è un luogo in cui freschezza e generosità sono le parole chiave. In ogni singola città c’è un’istituzione che è sempre stata lì. Chez Hortense è uno di quelli; è un ristorante che esiste da generazioni e offre una vista mozzafiato sulla famosa Duna di Pilat. meglio prenotare. Chez Hortense - 26 Avenue du Sémaphore, 33970 Lège-Cap-Ferret
da offrire. La buona notizia è che tutto è raggiungibile a piedi. Per i tipi più sportivi, c’è anche un’opzione più veloce: andare in bicicletta! Infatti, una pista ciclabile di 50 km attraversa tutta la penisola. Noleggiare una barca è un altro modo divertente per scoprire la regione. Da Cap Ferret si può facilmente raggiungere la Duna di Pilat, l’Île aux Oiseaux (che è una riserva naturale) o il Banc d’Arguin, noto per la sua vista a 360 °. Una volta tornati in paese, dovrete assolutamente salire i 258 gradini fino al faro. È un po ‘una sfida, ma la vista panoramica sulla penisola - da Cap Ferret a Pilat - vale sicuramente la pena.
Cercate qualcosa di diverso, forse più trendy? Non esitate ad andare da Sail-Fish. Un ottimo posto per gustare una cena sorseggiando un cocktail o addirittura ballando. È un’atmosfera straordinariamente rilassata, ma allo stesso tempo elegante. Vi sembra impossibile che abbiamo detto ballando? Quanto tempo è che non lo facciamo? Prima o poi tornermo a farlo. Sail-Fish - Rue des Bernaches, 33970 Lège-Cap-Ferret
Ogni mercoledì e sabato mattina, nel centro della città si svolge un mercato locale. Dalle verdure ai quadri, deliziosi pasticcini e accessori alla moda e molto altro ancora. Ma onestamente, di solito ci andiamo solo per l’atmosfera. Inoltre, non si può lasciare Cap Ferret senza aver surfato le sue onde! Niente panico se non hai mai surfato prima, si possono prendere alcune lezioni sulla spiaggia principale, Plage de l’Horizon.
DOVE DORMIRE
E se invece preferite guardare i surfisti come noi, andate a Plage de la Vache Morte, un posto nascosto per il surf. Ci si arriva dopo una piccola passeggiata nella pineta. Ci sono anche altre spiagge belle e tranquille nei dintorni, come Plage des Américains che ci piace per il suo lato naturale, e Plage de la Vigne, che è meno affollata di quelle del centro.
Ecco alcuni suggerimenti per l’alloggio. Cercate un hotel tranquillo e di charme? La Maison du Bassin è fatta per voi. Questa antica casa forestale ristrutturata si trova a solo un minuto dal bassin di Arcachon e conta 11 camere. La Maison du Bassin - 5 Rue des Pionniers, 33950 Lège-Cap-Ferret Per un massaggio a fine giornata c’è Côté Sable, un hotel termale. Questo lussuoso hotel di design soddisferà tutte le vostre esigenze. L’Hôtel des Dunes, d’altra parte, è un buon
Vi sentite affamati dopo tutta questa attività? Andate a comprare un pane appena sfornato al panificio Pain Paulin, a Petit-Piquey, oppure dei dunes blanches a Grand-Piquey,
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dove la specialità di Chez Pascal sono i chou buns ripieni di crema alla vaniglia, ricoperti di zucchero.
UN PO'’ DI SHOPPING Ci piace fare un po’ di shopping quando siamo lontani: e a chi non piace? Da Jane the Boy, sulla strada per Cap Ferret, troverete i vostri marchi preferiti, sia per uomo che per donna, ma anche gioielli, oggetti di decorazione e prodotti di bellezza. Se volete portare a casa dei souvenir chic e originali senza problemi, andate da Mazette. Oppure Walrus, un autentico negozio di surf che serve anche tapas, hamburger e birra. Jane the Boy - 13 Boulevard de la Plage, 33970 Lège-Cap-Ferret Mazette - 12 Avenue de l’Océan, 33970 Lège-Cap-Ferret Walrus - 64 Bis Avenu de l’Océan, 33970 Lège-Cap-Ferret
Quello che amiamo di più di Cap Ferret è l’atmosfera rilassata che regna in tutta la penisola. Stavamo cercando una fuga tranquilla e non siamo rimaste deluse. L’unico svantaggio sono i kg presi, ma è un prezzo piuttosto basso da pagare.
Per noi merita una giornata assolutamente le Dune du Pilat, un posto da perdere la testa: il più grande deserto europeo affacciato sull’oceano, ed è un luogo davvero magico. Vi consigliamo di andarci di mattina presto, portando la colazione dall’hotel o da una boulangerie sulla strada. Salite prima che arrivi la folla, andate verso la parte alta e camminate fino a ritrovarvi soli in mezzo a questa sabbia morbidissima, vellutata, di un colore stupendo. Sedetevi e guardate il mare mangiando un croissant. Siamo sicure che ci ringrazierete.
Proprio lì sotto c’è albergo di Philippe Stark, bellissimo, magari anche solo per mangiare o bere un aperitivo, visto che tutto il resto è un bel po’ costoso!
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Le colline del vino alla scoperta del Gavi Parole di Sibilla Milani Fotografie di Emanuela Roncari (MilanoSecrets)
L’enoturismo è una delle grandi opportunità legate alla cosiddetta staycation: il turismo a due passi da casa transita anche dalle tante cantine che stanno costruendo una nuova ospitalità e si ritrovano mete privilegiate in una situazione in cui le grandi mete più classiche sono irragiungibili. La zona intorno all’outlet di Serravalle è ricca di vigneti, boschi, coltivazioni di cereali, allevamenti: una zona perfetta dove fare belle passeggiate e visite alle numerose cantine.
Un turismo lento, alla ricerca di territori intimi, fuori dai percorsi tradizionali dove trovare relax, benessere, calma e attività all’aperto, senza timori di sovraffollamento.
In Piemonte si può scegliere la zona del Gavi, meno conosciuta e frequentata delle più celebri Langhe, ma altrettanto accogliente e piacevole da esplorare. Il grande bianco piemontese, infatti, nasce dai filari che si alternano ai boschi, alle valli e ai colli: si mangia tra i vigneti con un calice di Gavi docg, Cortese in purezza, qui autoctono e tradizionale, abbinandolo al pesce e alla cucina ligure.
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Perché l’Oltregiogo, ovvero il territorio del Gavi, antico entroterra delle signorie di Genova, profuma di Piemonte, ma sa di mare.
la prima meta è il Forte di Gavi, antica fortezza che si staglia a baluardo del territorio e, per un colpo d’occhio mozzafiato, c’è il Belvedere della Madonna della Guardia, dall’Appennino alla pianura del Po.
L’itinerario privilegiato parte da Gavi, seguendo la Strada Lomellina in direzione Nord; sale fino a Novi Ligure e da qui discende verso Sud percorrendo la strada verso Serravalle Scrivia; poi curva in direzione di Bosio, Parodi e Capriata, toccando via via gli altri 11 Comuni della Denominazione e circoscrivendo così i 1500 ettari in cui si produce il Gavi docg, tutelato dal suo Consorzio.
Noi ci siamo innamorati dell’itinerario che parte dalla Casa del Custode della Diga e segue la strada che costeggia il Lago Inferiore della Lavagnina, tra ambienti rocciosi e boschi. Si giunge in breve al Lago Superiore dove il sentiero si restringe, attraversando radure erbose e, lasciata sulla sinistra la cascina Iselle, si arriva ad un’area attrezzata dove si può fare una sosta. Ripreso il cammino, si incontrano boschetti di ontano nero e salice bianco per poi attraversare un’area scoscesa; proseguendo si continua a risalire il Gorzente, dove al verde della natura circostante si aggiunge
Su questo percorso si trovano i produttori del Gavi, presso i quali fare tappe di degustazione e riposo. Un angolo di Piemonte che profuma di mare grazie al vento marino che soffia dalla Liguria e con un clima appenninico, con gli inverni freddi e le estati calde e ventilate, l’altitudine dei pendii e l’esposizione, i terreni marnosi, calcarei e argillosi, le terre “bianche e “rosse” perfette culle di un vino fresco, intensamente profumato, con persistenze di note minerali. Un bianco che è anche longevo, e che ha una lunghissima storia da raccontare: le sue prime tracce risalgono a oltre 1000 anni fa, precisamente al 3 giugno 972, come testimonia un documento oggi conservato nell’Archivio di Genova che fa cenno all’affitto di vigne e castagneti a due cittadini di Gavi da parte dell’Arcivescovo. Superata una secca svolta a destra del torrente si giunge alla confluenza del Rio Eremiti nel Gorzente; restando sulla destra idrografica del rio, si supera una ripida salita e si percorrono i resti di un’antica mulattiera che poco dopo attraversa il rio e si porta sulla sponda sinistra; risaliti di una ventina di metri di altezza sull’acqua, si continua a risalire finché il sentiero comincia a discostarsi dal rio e, attraversato un boschetto, sbuca sulla strada provinciale SP 165; svoltando a sinistra si arriva dopo circa 500 metri al termine del sentiero, in località Valico degli Eremiti (mt. 559).
lo smeraldo delle acque, dove è possibile bagnarsi in un’atmosfera fiabesca.
DOVE DORMIRE Se l’idea è quella di fermarsi un po’, ecco qualche spunto per belle dimore di campagna, dove gustare le specialità del territorio e godersi la calma e la tranquillità della zona. Hotel di Charme L’Ostelliere Frazione Monterotondo, 56 - Gavi Nato dalla ristrutturazione di un’antica casa colonica del XVII secolo, è oggi un albergo di charme situato in posizione dominante sulla collina di Monterotondo di Gavi, e si affaccia su uno spettacolare anfiteatro di vigne e boschi. Le camere dell’Albergo, sono tutte molto spaziose e arredate con pezzi autentici di varie epoche, sapientemente abbinati a mobili contemporanei che provengono da tutta Europa. Nel piccolo orto giardino con il bancone del bar posto di fronte al panorama, si può assaporare un aperitivo davvero unico nel suo genere. Tra i profumi dei fiori di campo e gli aromi delle erbe aromatiche, si compie un autentico salto nel passato, riscoprendo l’ebrezza del contatto con la natura.
Per gli amanti della natura, qui si viene oltre che per il vino anche per rallentare e godersi la campagna e le colline: si pesca nei torrenti Scrivia, Lemme e Orba, si fanno escursioni a piedi o a cavallo, si pratica il trekking e la mountain bike in Val Borbera e in Val Lemme.
Locanda La Raia Località Lomellina 26 - Gavi La locanda La Raia è immersa tra i vigneti, i pascoli e i boschi dell’azienda agricola biodinamica di proprietà della famiglia Rossi Cairo. Questa grande casa verde, un tempo stazione di posta per i viaggiatori, è oggi un boutique hotel composto da dodici camere, una diversa dall’altra, arredate con mobili piemontesi del Seicento e dell’Ottocento accostati a oggetti di design contemporaneo, colori, tessuti e materiali naturali. La Locanda è un tutt’uno con il paesaggio che la circonda: i giardini, i campi e i vigneti delle colline del Gavi.
Si va alla scoperta del Parco delle Capanne di Marcarolo o dei Laghi del Gorzente e della Lavagnina, mentre gli appassionati di storia possono indugiare sul sito archeologico di Libarna a Serravalle Scrivia, i cui resti fanno presupporre la presenza - già in epoca preromana - di un importante mercato o centro di scambi commerciali, com’è tutt’oggi questa zona. Per i cultori dell’arte e dell’architettura
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All’ingresso dà il benvenuto agli ospiti un giardino che reinterpreta quello tipico all’italiana: una selezione di erbe aromatiche a formare una grande foglia. Il giardino più esteso, che sfuma sui vigneti per il quale sono state selezionate solo specie autoctone e legate al mondo agricolo, è stato realizzato dal team francese Coloco, allievi e collaboratori del paesaggista Gilles Clément. E dopo una giornata a zonzo tra le vigne, vi aspetta una cena al ristorante della locanda con il menù firmato dallo chef stellato Tommaso Arrigoni, per assaporare i grandi piatti della tradizione ligure e piemontese con le etichette biodinamiche La Raia e biologiche di Tenuta Cucco della locale cantina, realizzata in terra cruda dall’architetto austriaco Martin Rauch. Villa Sparina Resort Frazione Monterotondo, 56 - Gavi (AL) Immersa nei vigneti di Monterotondo questa meravigliosa villa di fine settecento è una cantina con spa e resort. Una struttura che promuove la tradizione, il territorio e il turismo e che è l’emblema dell’ ospitalità, ideale per una bella gita fuori porta per essere ospitati all’interno di un’azienda vinicola.
COSA COMPRARE A Gavi assolutamente da degustare il moretto al Bar Matteo: un vero must della zona.
A metà strada tra
Poi c’è il celebre raviolo gaviese, protetto anche da una confraternita, che per tradizione viene preparato con carni bovine e suine, uova, formaggio, borragine e scarola avvolte da una sfoglia sottile e gustosa.
mare e montagna, sospeso tra città
Si preparano al “tocco”, il locale sugo di carne, in scodella al vino e “a culo nudo” (ebbene sì, di dice proprio così) cioè solo schiumati, senza condimenti, con solo formaggio grattugiato.
e campagna, il Gavi è un luogo
Non mancano nemmeno i dolci: gli amaretti di Gavi, a base di mandorle, zucchero, albume d’uovo, miele, il cui brevetto risale al 1780.
da scoprire pieno
Ultimo ma non meno importante, il fine cioccolato artigianale della zona, di cui il comune di Novi è il testimone più conosciuto e importante.
di vino, bellezza e storie da scrivere.
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Tulipanomania @amenoditreoredamilano Parole di Jessica Oneta
Se dovessi rappresentare su un foglio bianco la primavera non sceglierei un fiore qualsiasi, disegnerei un tulipano. Considerato simbolo di rinascita e bellezza la sua storia viene associata all’Olanda ma furono i turchi, nel 500, a sperimentarne per primi la coltivazione utilizzandolo come decorazione da giardino mentre gli europei li servivano a tavola: caramellati o fritti! Soltanto nel 600, a seguito della tulipanomania che colpì l’Olanda, iniziò in occidente la coltivazione a scopo ornamentale: i bulbi venivano venduti ancora interrati per cifre folli: in quell’epoca un singolo bulbo di tulipano poteva valere quanto una casa di Amsterdam (con vista sul canale!)
TULIPANI A MENO DI UN'ORA E MEZZA DA MILANO SHIRIN TULIPANI Via Cascina Rossino - Ornago (MB) Perché Shirin? Il nome è legato ad una romantica leggenda persiana secondo cui la storia d’amore tra Shirin e Ferhad ha portato alla nascita
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dei tulipani rossi che ogni primavera sbocciano in ricordo del loro amore. 35.000 tulipani sono appena sbocciati, per la prima volta, ad Ornago.
Il costo per ogni tulipano, aggiuntivo ai due compresi nell’ingresso, è di 1 Euro. Potrai ricevere un tulipano in omaggio se porterai una scatola piena di vecchi giornali che vengono utilizzati per confezionare i tulipani recisi: riciclando la carta evitando sprechi!
Sogno nato da due sorelle di Bellusco, Elmina e Carolina Brambilla che, con l’esigenza di creare per sé stesse e per gli altri qualcosa di bello, a contatto con la natura e supportate dal loro papà hanno trasformato il terreno di famiglia piantando dieci diverse specie di tulipani.
L’accesso è attualmente consentito su prenotazione, nel rispetto delle attuali restrizioni ed in alternativa è possibile acquistare online dei mazzi di tulipani a partire da 15 Euro oltre il costo di spedizione che varia in base alla destinazione. La consegna è prevista in tutta Italia ad esclusione delle isole.
L’ingresso al campo ha un costo di 4 Euro ed è inclusa la raccolta di due tulipani, i bimbi con età inferiore a cinque anni accedono al campo gratuitamente.
IL CAMPO DEI FIORI SP51, n.4 - Galbiate (LC)
Il buono è valido per due tulipani, che potrai raccogliere personalmente dal campo durante la visita. Situato sulle rive del lago di Annone, romantico al tramonto, Eco-Sostenibile e Pet Friendly.
Il costo per ogni tulipano, aggiuntivo ai due compresi nell’ingresso, è di 1.5 Euro. Sono aperti dal 1 Aprile dalle 9,00 alle 19,00. Il grande capannone agricolo nelle vicinanze del campo sarà presto a disposizione per eventi e corsi dedicati a bimbi ed adulti.
Cristina, dopo un viaggio nei Paesi Bassi, ha voluto con grande entusiasmo realizzare questo “angolo di paradiso” per condividere l’emozione di passeggiare in un grande campo fiorito, pieno di colori vivaci e profumi. Ogni anno vengono piantati oltre 40.000 bulbi di tulipani, narcisi, iris e giacinti.
TULIPANI – ITALIANI Via Giuseppe Eugenio Luraghi, 11 - Arese (MI)
Per la primavera 2021 il campo è aperto dalle 9,30 alle 13,00 e dalle 14,30 alle 19,30 e l’acquisto è possibile in tre modalità: 1. Consegna a domicilio di mazzi minimo di 20 tulipani a 24 Euro per i comuni limitrofi 2. Prenotazione e ritiro (solo per chi è autorizzato allo spostamento) di mazzi da 10, 20 e 30 tulipani con pagamento alla consegna 3. Tulips drive si prenota il mazzo e lo si ritira nel parcheggio accanto al campo senza uscire dalla macchina.
Nati nel 2017 a Cornaredo dal sogno di Edwin e Nitsuhe, giovane coppia olandase, primi a creare in Italia un tulip u-pick field (giardino di tulipani aperto al pubblico, dove poter raccogliere e comprare i bellissimi fiori). Dopo due anni di successo si sono trasferiti, nel 2019, ad Arese: nel Parco della Groane accanto al borgo Valera e alla settecentesca Villa Ricotti. In un campo di 2 ettari, grande come quattro campi da calcio, sono state piantati 370.000 bulbi di circa 450 varietà. Poiché la fioritura dura circa sei settimane sono stati piantati dei tulipani precoci e tardivi così da garantire la fioritura nei mesi di marzo, aprile e maggio.
Premiato dal WWF con il riconoscimento di “AMICO”, opportunità che viene annualmente proposta ad aziende con attività affini o in sintonia con la tutela ambientale a cui quotidianamente si dedica il WWF.”
L’ingresso al campo ha un costo di 4 Euro ed è inclusa la raccolta di due tulipani, i bimbi con età inferiore a quattro anni accedono al campo gratuitamente.
Il campo dei fiori è inoltre il primo campo you-pick (tu cogli) di zucche della Lombardia, ma avremo modo di parlarne meglio in autunno!
Il buono è valido per due tulipani, che potrai raccogliere personalmente dal campo durante la visita.
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Weekend insolito @amenoditreoredamilano Parole di Jessica Oneta
Dimenticate i soliti hotel, quelli con le camere tutte uguali. Siete pronti a immergervi nella natura? A vivere un’esperienza che non dimenticherete? Sono entrata in contatto con queste strutture pazzesche, mi sono fatta raccontare come sia nato il progetto e come siano riusciti a trasformare questo sogno in realtà. È stato un “viaggio” davvero emozionante.
Qui trovate un elenco dei posti in Italia straordinari e romantici, ideali per un weekend insolito!
DORMIRE IN UNa CASA SULL’ALBERO La Piantata Strada Provinciale 113 Arlenese - Arlena di Castro (VT) Nel 2002 Rossella e Renzo scelgono di lasciare Milano e di rilevare un’azienda agricola ed un terreno di 2.000 ulivi abbandonato da 70 anni nel Lazio. L’amore verso la Provenza li ha spinti a coltivare la lavanda. L’esperimento, ambizioso, è stato un successo: oggi 25 aziende agricole del
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territorio hanno convertito parte della produzione in coltivazione di lavanda e da 10 anni il comune di Tuscania, i primi giorni di luglio ospita nei vicoli e nelle piazze la Festa della Lavanda.
Offre una camera da letto matrimoniale, una piccola cucina, un bagno con doccia e una terrazza affacciata sul paesaggio toscano. I bambini sono i benvenuti!
La piantata offre la possibilità di dormire su due differenti case sull’albero, la prima fu costruita nel 2005 per la figlia Cinzia.
DORMIRE IN UNA BOTTE La Vigna di Sarah Via Col de Luna, 6 - Cozzuolo (TV)
Black Cabin: un eco-loft di 87 metri quadri high-tech, riparati dall’ombra della chioma di un Pino Marittimo di 200 anni, a 7 metri da terra, dallo skyline unico, che offre un’incredibile vista a 360° su un oliveto secolare di oltre 1.800 piante, 12 ettari di colline coltivate a lavanda, i Monti Cimini e, sullo
Siamo nella terra del Prosecco Superiore, Nel 2008 è stato avviato il progetto per il riconoscimento delle colline di Conegliano Valdobbiadene a Patrimonio Unesco. Nel 2019, ricono-
sfondo, il mare di Tarquinia.
scendo che l’opera dei viticoltori ha contribuito a creare uno scenario unico, le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene sono state riconosciute Patrimonio dell’Umanità.
Suite Bleue: nel luglio 2020 è stata incaricata una ditta specializzata nella cura e manutenzione degli alberi secolari al fine di valutare le attuali condizioni fitosanitarie e strutturali della grande Quercia che da oltre 15 anni ospita la Suite Bleue, è emerso che la Quercia sta attraversando un periodo di sofferenza in fase evolutiva attribuibile a vari fattori, tra cui, i cambiamenti climatici nonché il naturale ciclo vitale della pianta stessa. Si è pertanto deciso, a malincuore, di interromperne l’affitto fino a quando la pianta non evidenzierà una capacità di recupero.
L’azienda agricola guidata da, nel 2014, è diventata anche agriturismo. È il luogo ideale per un soggiorno rilassante in mezzo alla natura. Recentemente Sarah ha deciso di convertire tutti e sedici gli ettari al biologico convinta che questa sia l’unica strada percorribile per la sostenibilità del territorio, per la nostra salute e per la qualità del prodotto finito.
Potrete scegliere di dormire all’interno delle lunotte: Botti in legno e arredate completamente in legno, dotate di ogni confort, bagno e doccia compresi.
Casa Barthel Via Volterrana, 103 - Firenze (FI) Agli inizi degli anni ottanta la famiglia di Elena decise di trasferirsi in una casa colonica alle porte del centro di Firenze, sulla collina difronte alla Cla faertosa dell’Ema. La proprietà aveva una casa in pietra circondata da campi di olivi, una concimaia, il fienile e una grande aia di cotto pensata come una piazza di paese.
L’ultima grande novità dell’azienda è la decisione di convertire le tre stanze presenti nell’agriturismo in Shinrin-yoku, traducibile letteralmente con “bagno nella foresta”. Contestualmente sono state costruite cinque nuove stanze legate a questa pratica giapponese con l’obiettivo di inspirare l’atmosfera del bosco.
Undici anni fa, il papà, in occasione dei 40 anni di Elena regala a lei e al fratello la casa sull’albero che avrebbe voluto costruirgli quando erano bambini. La casa veniva utilizzata dalla famiglia fino al 2013 quando, a seguito delle foto scattate da un’amica, diventò molto richiesta.
In ogni stanza si vivrà un’esperienza sensoriale completa dai rumori, ai profumi, al gusto.
Molte le attività che possono essere praticate da chi sceglie di soggiornarvi: dall’equitazione alle escursioni, dalle uscite in mountain bike al trekking, dalle visite culturali a quelle religiose, fino naturalmente alla partecipazione alla vendemmia delle uve del Prosecco.
La casa sull’albero è una romantica stanza immersa nei pini silvestri e negli olivi sempreverdi. Un mini appartamento, una casa/studio e una perfetta residenza d’artista a quattro metri da terra.
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Dormire sotto le stelle
Potrete scegliere di vivere un’esperienza di ecoturismo emozionale scegliendo di dormire in un igloo trasparente o in una tenda trasparente sospesa tra tre ulivi secolari.
Bubble Emotion Via dei Cesari, 27, 28040 Borgo Ticino (NO) bubbleemotion.com
Entrambe le sistemazioni non sono provviste di bagno, acqua ed elettricità ma vengono vendute in abbinamento alla camera classica, dotata di ogni comfort.
Il progetto Bubble Emotion nasce circa cinque anni fa a Gagnago, frazione di Borgo Ticino, nel novarese, dove Stefano decide di dedicarsi all’ospitalità e alle strutture esperienziali con l’obiettivo di ampliare l’offerta del suo Relais dei Cesari. Le strutture esperienziali che hanno avuto il maggiore successo sono le Bubble Suite, che ridisegnano il concetto di lusso a contatto con la natura.
Da 120 a 130 Euro – Prezzo a notte per due persone con prima colazione Il casale Mille Soli offre inoltre la possibilità di adottare un olivo: opera di altissimo valore etico! Potrai scegliere tra due tipologie di adozione: Adozione 1: un Albero di Olivo per un anno € 20. Riceverai
Al Relais dei Cesari in Piemonte sono installate:
via email la foto della targa con il nome e il certificato di adozione.
La Bubble Suite: bolla semi-trasparente composta da una zona living, una zona notte con letto a baldacchino e un bagno con doccia.
Adozione 2: un Albero di Olivo per un anno, € 65,00. Riceverai 3 litri di olio d’oliva, spese di spedizione in tutta Italia comprese, e via email la foto con la targa del nome e il certificato di adozione.
La Geodetic Luxury Suite: struttura con visione della natura circostante composta da una grande camera da letto matrimoniale e da un bagno privato.
Atmosfera Bubble Glamping Contrada Le Piane snc SS95var Uscita Satriano Sud/Sasso di, C, 85050 Satriano di Lucania (PZ) www.atmosferabubbleglamping.it
Il servizio colazione, pranzo, cesto di frutta, champagne, fiori, massaggio e idromassaggio sono disponibili su prenotazione. La piscina è aperta agli ospiti nel periodo estivo.
Nel 2019 Chiara e suo marito Daniele hanno deciso di “fuggire” da Roma con l’obiettivo di trasferirsi in Basilicata per recuperare i terreni del suocero creando qualcosa di speciale.
Una terza struttura, la Bubble suite Virgo, è installata presso il camping casa di caccia in Toscana, a Marina di Bibbona (LI).
È’ stato progettato dedicando la massima attenzione all’aspetto naturalistico e realizzato attraverso interventi di valorizzazione del territorio a basso impatto ambientale.
Il progetto di Bubble Emotion però non si ferma qui, la società è sempre alla ricerca di nuovi Host dove installare altre strutture e dare così la possibilità a più persone possibili di vivere la magia di una notte sotto le stelle.
A oggi sono presenti due bubble room ed una terza è in arrivo! Sono riscaldate e dotate di ogni comfort all’interno. L’arredamento aggiunge una nota di design all’esperienza naturalistica, con arredi contemporanei abbinati ad elementi di recupero provenienti dalla vecchia masseria di famiglia.
Casale MilleSoli Via Mugnano Poggio Montorio, 06132 Perugia (PG) www.casalemillesoli.it
Ogni camera è dotata di frigobar e macchina del caffè. Il bagno privato è esterno, a un passo dalla Bubble Room. L’area privata esterna è dotata di tavolo e sedie per gustare in totale relax la colazione o l’aperitivo.
Il progetto di Valeria e Giancarlo nasce dal desiderio di poter rivivere, dopo la fine del viaggio, la magia delle stelle delle notti africane. Scelgono di trasferirsi da Milano in un’oasi tra Perugia e il lago Trasimeno aprendo le porte dell’antico casale in pietra del 1700 ad un turismo etico e sostenibile.
È presente anche una vasca idromassaggio riscaldata a uso esclusivo, La colazione viene servita direttamente nella bubble room, utilizzando materie prime e prodotti locali.
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P R I O R I TÀ di Anna Prandoni
Le ore calde dei pomeriggi estivi passavano lentissime nei parallelepipedi. C’era il pisolino obbligatorio, quell’ora e mezza interminabile nella quale non si poteva far nulla se non annoiarsi a morte. Quel concetto sconosciuto ai millennials per noi era condizione esistenziale: dopo pranzo silenzio, tapparelle chiuse e movimento impedito. Il nonno riposa.
Questa assoluta sensazione di inutilità, di non fare, mi perseguita tuttora: tutte quelle ore e mezza buttate tra l’infanzia e l’adolescenza si sono trasformate nel mio moto perenne attuale. Sprecare tempo, una bestemmia. Il riposo, un’inutile forzatura per smidollati, per gente senza fantasia, per persone senza ambizioni.
Meglio allora occupare quelle ore e mezza quotidiane in attività formative, come leggere qualunque cosa la libreria dei nonni fornisse. Il forsennato bisogno di fare, e con uno scopo, contrapposto all’idea dei lavoratori della famiglia di riposare, di prendersi del tempo per sè, persino di buttare ore nell’inattività. Tendenza umana inconcepibile per una bambina imbibita di lombardolicesimo, religione unica il lavoro e il fare.
Appena finito il riposino, finalmente le persiane del parallelepipedo si riaprivano e in casa tornava il rumore. E si passava alle attività pomeridiane che tanto appassionavano il nonno e tanto poco divertivano la nonna. Seduti al tavolo di sasso sotto l’albero di nocciole, con una pietra in mano e i gusci nell’altra, si colpivano con violenza sproporzionata i gusci dopo averli tolti dall’involucro verde e si ricavavano piccole nocciole tonde, che venivano gettate nel contenitore comune.
Guai a mangiarne una: lo scopo non era il godimento immediato, ma la speranza di una felicità futura, quando in inverno avremmo finalmente potuto sgranocchiare nocciole pulite senza la fatica di raccoglierle e sgusciarle.
Tipico ragionamento da famiglia piccolo borghese cattolica lombarda: puoi avere quello che desideri, ma non subito, e solo dopo aver faticato per ottenerlo. Altrimenti, è vizio, e ti devi sentire in colpa.
Funzionava così a merenda, ogni giorno: il cioccolato solo dopo aver finito il pane. Il grana solo se prima hai mangiato ‘una bella mela’. La punizione cristiana della sofferenza, senza la quale il buono non può esistere.
Ancora oggi non riesco ad eliminare questa associazione mentale: prima delle patatine fritte finisci la carne, prima di comprarti qualcosa pensaci mille volte e fallo solo se è necessario. E solo dopo aver guadagnato almeno il triplo di quanto ti servirebbe.
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Un’altra delle attività preferite della nonna, infatti, era il risparmio. E da quella regola benedettina non si sgarrava mai. La paghetta non era fatta per essere spesa, i guadagni non servivano a vivere meglio. Era tutto uno sguardo rivolto a un futuro ipotetico, che né lei né il nonno ovviamente hanno mai vissuto. I bot erano la sua seconda fissazione, dopo la Madonna, che venerava e pregava per farci stare tutti bene.
I bot erano l’assicurazione sul domani, o meglio sul dopodomani che sarebbe sicuramente arrivato e avrebbe portato con sé inenarrabili sciagure, dalle quali ci saremmo ripresi solo con quei bot. I bot ci sono ancora, la nonna no. Le sciagure, per fortuna, non sono mai arrivate. E lei non ha mai goduto di quei soldi che ha messo da parte uno a uno, con una costanza certosina, rifiutando con rigore ogni desiderio.
Una sola cosa spezzava il ritmo del lavoro/risparmio: i viaggi. Una concessione al nonno, che dopo la traversata atlantica per tornare all’Italia dei suoi genitori, tre mesi di mal di mare da San Paolo a Genova a otto anni, non aveva mai dimenticato quanto fosse bello cambiare prospettiva, cambiare orizzonte, cambiare paese.
Lui, bandiera rossa nel cuore, anticapitalista per nascita, era per tutti ‘ul merican’, suo malgrado.
L’arrivo tardivo in Patria da una generica ‘America’ lo faceva uno straniero, che mai fu e mai si sentì.
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c i b o
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o s p i t a l i t à
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e c c e l l e n z a
Armonia di gusto e perfezione Nei ristoranti dell’Associazione Le Soste vivi emozionanti esperienze del gusto. Un viaggio nella cultura del cibo e dell’accoglienza made in Italy, tra atmosfere suggestive e alchimie di sapori.
“Se penso alla primavera mi vengono in mente luce, colori e profumi: è la stagione del risveglio, della rinascita e delle giornate che iniziano ad allungarsi. Ecco un po’ di consigli di lettura per far ripartire la testa e aprirsi a storie e mondi che si nascondono dove meno ce l’aspettiamo.”
The Wander Society. La rivoluzione creativa della vita quotidiana, Keri Smith, Corraini
Almarina, Valeria Parrella, Einaudi
Leggere questo libro vuol dire entrare a far parte di una società segreta di pensatori e pensatrici erranti: che sia vera o immaginaria non importa, sarà molto difficile resisterle. Keri Smith ci suggerisce di imparare a guardarci intorno senza distrazioni, immergendoci in quello che ci circonda e prendendoci tutto il tempo che ci serve per esplorare, annotare, ricordare. Ci fa venire voglia di ricominciare a camminare per riprenderci un po’ le nostre strade e le nostre città.
Una storia che sa di rinascita, di semi piantati sotto la terra dura che piano piano si fanno strada fino alla luce: la professoressa Elisabetta Maiorano ci fa scoprire quanta vita si nasconda dietro le sbarre di un carcere minorile e quanto sia rivoluzionario aprirsi all’incontro con altre persone, perché ci ribaltano la vita.
Affari di cuore, Nora Ephron, Feltrinelli
Esercizi di fiducia, Susan Choi, Sur
Nora Ephron trasforma un fatto autobiografico, la fine del matrimonio con Carl Bernstein, nella storia indimenticabile di Rachel e Mark e di quello che succede quando all’improvviso non ti riconosci più.
Quante volte abbiamo ripensato al nostro passato e rivissuto con l’immaginazione momenti che avremmo voluto diversi?
Cucinare è un momento intimo, pratico, rassicurante: Rachel in cucina si ricorda chi è e sarà proprio una ricetta a farle venire voglia di reagire e di scommettere su una vita nuova, tutta sua. .
Questo romanzo ci porta in una scuola di recitazione per farci scoprire che no, non è mai tutto come sembra. Crescere, innamorarsi, cambiare idea: i personaggi di Susan Choi ci suggeriscono di guardare meglio, ricordare meglio, farci più domande.
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@signorinalave
Sul comodino in primavera parole di Valentina Aversano
Sono un’esperta di comunicazione digitale che lavora da dieci anni nell’editoria e che ama raccontarti i libri e i progetti culturali che non conosci ancora. Scrivo su signorinalave.com e mi prendo cura di due spazi dove condivido pensieri personali e tesori che scopro: la newsletter mensile Basilico e Pesto, un progetto audio nato su Telegram che adesso è anche su Spotify. Coordino Strategie Prenestine, un gruppo di lettura di Roma Est che con la pandemia ha scoperto Zoom e ha deciso di accogliere chiunque abbia bisogno di sentirsi parte di qualcosa e di ridere parlando di libri. Mi piace ascoltare le idee creative delle altre persone e aiutarle a
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diventare realtà: sono quella che le fa uscire dai quaderni e che si carica quando vede che iniziano a camminare da sole. Parlo di libri tutte le volte che posso, anche presentandoli e leggendoli in pubblico ad alta voce; sono contenta quando riesco a parlare della cultura, del mio lavoro e della comunicazione web perché mi piace accendere scintille di curiosità e contribuire nel mio piccolo ad allargare lo sguardo di chi mi segue o ascolta. Dicono di me che sembro «Giacomo di cristallo» di Gianni Rodari.
La lettura è l’unico modo che conosco per farmi funzionare davvero: se non riesco a leggere vuol dire che sto male fisicamente o sto attraversando un periodo troppo difficile. Leggo un po’ tutti i giorni perché entrare in una storia mi serve per tenere accese la curiosità e l’immaginazione, per ossigenare i pensieri, andare altrove e tornare sempre un po’ diversa da come sono partita.
I libri sono porte che si spalancano su mondi che non conosco e che allo stesso tempo mi fanno scoprire un pezzo di me: c’è sempre qualcosa che mi porto a casa da ogni lettura, una piccola rivelazione o una frase che mi resta addosso perché mi racconta quello che io non riesco a dire.
Strategie Prenestine è nato per parlare di libri senza l’editoria intorno: sognavo un gruppo di persone non addette ai lavori con cui condividere impressioni in libertà davanti a una birra o a un bicchiere di vino, senza cornici formali; questo desiderio è diventato concreto mentre ero in pausa maternità, grazie all’incontro con Carola Moscatelli che come me desiderava qualcosa di nuovo, a portata di quartiere.
Da una chiacchiera su Instagram è nato un progetto capace di rivoluzionarci un po’ la vita: ci ha fatto conoscere persone straordinarie e leggere titoli che magari da sole non avremmo affrontato mai. Soprattutto, ci ha fatto venire voglia di fare cultura insieme, infondendo un po’ di coraggio alle nostre idee che piano piano stanno diventando realtà.
Potete seguire Lasignorinalave e Strategie Prenestine su Instagram, per scoprire le date degli incontri e le mille cose belle che Valentina crea di continuo.
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Primavera sul divano le serie tv in uscita tra novità assolute e gran finali
parole di Alessio Cannata
Iniziamo a pensare a dove ci piacerebbe andare in vacanza d’estate, ai vestiti leggeri da acquistare e in quale dehors fare aperitivo con gli amici. In attesa di capire quante di queste cose possiamo mettere in pratica, ci limitiamo alle follie primaverili casalinghe: scegliere il divano come meta del weekend, togliere il plaid troppo invernale e continuare con le serie TV in compagnia di una vaschetta di gelato. Ma con quali serie TV? Ecco una selezione delle novità.
Zero – Stagione 1 Un debutto italiano su Netflix in una serie fantascienza che tratta i temi dell’inclusione sociale. Un ragazzo della periferia milanese che fa il rider di giorno e l’invisibile il resto del tempo. A proposito di rider, con una serie giovane come questa, non ci vogliamo abbinare qualcosa da spizzicare? Un match perfetto sarebbe fatto da un trancio di pinsa margherita e uno Spritz. Un sogno. Solo due regole da tenere a mente: date una buona mancia al rider e non fate briciole sul divano! Da aprile su Netflix
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Grey’s Anatomy – stagione 17
The year Earth Changed
Dopo una pausa di cui nessuno ha capito il senso, riprende il medical drama dove il rapporto medico/ bellezza non ha paragoni con nessuna ASL in Italia. Qui i protagonisti sono morti quasi tutti ma Meredith Grey c’è, anche se a guardarla sembra interpretata da Mariolina Sattanino. La Stagione 17 ci angoscia perché ambientata in piena pandemia globale. Sicuramente si sono ispirati ai tempi narrativi di Un posto al sole, manca solo la sfogliatella in sala degenza. Chi segue questa serie dal 2005, ormai è vittima della dipendenza come con l’alcol: una gioia apparente dentro al disagio.
Un documentario naturalistico lanciato in occasione dell’Earth Day, il 22 aprile. Questo darà il via alla seconda stagione di due docuserie: Tiny World, il racconto di ingegno e resilienza delle piccole creature e Il pianeta notturno a colori, dove la tecnologia ci offre una visione nitida della notte animale. Tutta questa natura ci metterà voglia di junk food meno junk. Allora solo caramelle gommose senza gelatina animale e patatine chips confezionate senza uso di plastica. Tutto per sentirsi meno in colpa, comodamente in poltrona! Da aprile su AppleTV+
Da aprile su Sky My Love, 6 storie di vero amore – miniserie
Shameless 11 – Stagione finale Giunge alla fine la storia della famiglia più disgraziata della TV, battuta solo da quella di Nino Manfredi in Brutti, sporchi e cattivi. I Gallagher rappresentano un nucleo familiare fluido dove sorelle, genitori non sai mai quanti, chi e dove sono. A confermare il dissesto sociale sono le scene in cui si mangia: colazioni con birra e cereali sottocosto, verdure mai viste in 10 anni di episodi e momenti importanti celebrati con pollo fritto da due soldi. Finalmente nella stagione 11 pare che tutti troveranno pace. Festeggeremo stappando una Sprite. Da aprile su Mediaset Premium
Ci sono due cose che possono emozionare anche un sasso: una fetta di pizza calda e una coppia di anziani che mangia il gelato. In questa miniserie by Netflix troverete di sicuro una di queste scene. Una dichiarazione per dire che l’amore eterno esiste, attraverso 6 storie da tutto il mondo, raccontate da coppie longeve. E se gli anziani che mangiano il gelato vi fanno impazzire, allora andate all’episodio di Chef’s Table su Corrado Assenza. Ad un certo punto ci sono due signorine che si godono un cono: una scena magistrale! Da aprile su Netflix
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Anna Prandoni, bustocca, è una divulgatrice enogastronomica. Prova a capire e spiega il mondo del cibo e del vino come giornalista.
Gaia Menchicchi, milanese, è fotografa e grafica. Inizia la sua carriera fotografica nel 2008 specializzandosi in eventi e spettacoli.
Dirige Gastronomika, il magazine del cibo del quotidiano Linkiesta. Sviluppa per le aziende progetti editoriali di brand journalism, usando carta, social network e digitale.
L’interesse per la cucina e per il lavoro dietro le quinte degli chef l’hanno portata a scegliere la fotografia di food e still life.
Con APProject è un microeditore, e pubblica podcast, libri e il bookazine Scarpetta. Già Direttore di La Cucina Italiana e di Accademia Gualtiero Marchesi, ha all’attivo più di 40 libri come autore.
Scatta per Grande Cucina, La Cucina Italiana, Linkiesta Gastronomika e lavora al fianco di numerosi ristoranti e blogger per rendere le loro ricette sempre più accattivanti. Ha pubblicato a marzo 2020 il libro “Cucina di resistenza nel tempo sospeso”, APProjects edizioni e Distantanee, progetto personale che racconta per immagini il primo lockdown a Milano. Le sue foto illustrano i libri di Marco Bianchi e il ricettario Granoro.
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