Rigo - Soluzione abitativa per l'abitare futuro. Tesi in Product Design - Francesco Petracca

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R I G O mensola. soluzione

modulare. abitativa per

Francesco Petracca

multifunzione. l'abitare futuro


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Nuova Accademia di Belle Arti - Milano Diploma Accademico di 2^ Livello del Corso di Product Design Anno Accademico 2017/2018 Studente Francesco Petracca matricola 711DP Docente Relatore Dante Donegani Assistente Thianshu Shi 3


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RIGO s. m. [variante di riga] (pl. -ghi). – 1. Lo stesso che riga, ma quasi esclus. per indicare le linee tracciate su un foglio o quaderno, oppure le linee di scrittura o di stampa: in fin di rigo; scrivi dritto sul r.; mi basta un tuo r. ogni tanto per tranquillizzarmi (al plur., però, sempre righe: gli scriverò due righe). 2. R. musicale, insieme di linee che serve per la notazione della musica; nel sistema di notazione moderno è detto anche pentagramma (v.) ed è costituito da cinque linee parallele, le quali racchiudono quattro spazî. Dim. righino (anche con sign. partic.: v. righino), rigolino.

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INDICE

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ABSTRACT La casa del futuro

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INTRODUZIONE il ricercare umano

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CITTÀ GIARDINO soluzioni urbane per la classe operaia

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SHAKERS funzionalismo religioso

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EXISTENZMINIMUM progettazione degli spazi minimi

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NEW FRANKFURT funzionalismo in cucina

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STANZA PER UN UOMO Franco Albini

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MACHINE À HABITER macchina per abitare

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HOUSE ENVIRONMENT rituali domestici

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PARETI ATTREZZATE Royal System, Poul Cadovius LB7, Franco Albini 606, Dieter Rams Big, Marc Sadler

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ERGONOMIA IN CUCINA Logica, Valcucine b3, bulthaup

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ILLUMINAZIONE mobili con luce integrata

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INDUZIONE nuova convivialitÃ

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PROIEZIONE hidden senses

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SCENARIO

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IDEE PROGETTUALI schizzi considerazioni programmatiche dimensioni visualizzazione conclusioni

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BIBLIOGRAFIA

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ABSTRACT la casa del futuro

P

er consuetudine e tradizione siamo sempre stati abituati a pensare alla casa come un’ambiente “statico”, caratterizzato da una struttura e composizione molto rigida. Una camera con letto e armadio, una sala con divano e tv, schemi ordinati che nel prossimo futuro potrebbero scomparire. La continua urbanizzazione (entro il 2017, l’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede che la maggioranza delle persone vivrà nelle aree urbane) sta spingendo verso spazi abitativi sempre più piccoli e soprattutto eclettici, capaci cioè di reinventarsi ed avere spesso utilizzi molto differenti e personalizzabili. Dovremmo abituarci a vivere in spazi sempre più ridotti e di conseguenza meno arredati. La contaminazione diventerà l’elemento essenziale in fase di progettazione, trasformando gli odierni mobili in elementi polifunzionali, in grado di rispondere contemporaneamente a esigenze molteplici. La casa è sinonimo di memorizzazione, ogni angolo di essa presenta strutture atte a conservare i nostri oggetti: cassettiere, armadi, librerie, mensole. Un’abitudine che già sta svanendo, stretta tra la limitazione di spazio degli appartamenti odierni e le nuove tecnologie di archiviazione che non necessitano di spazio fisico (cloud).

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Un minor numero di oggetti che ci porterà a migliorare il nostro rapporto con questi, spingendoci a renderli visibili ed essenziali nei nostri spazi. Vetrine e mensole aperte prenderanno il posto degli attuali armadietti e mobili chiusi, per accentuare il carattere esibizionista della casa. “La gente vuole mettere in mostra le loro collezioni, non nasconderle“ dice Marcus Engman, Chef Designer di Ikea Svezia, e proprio per questo gli oggetti dovranno essere funzionali oltre che estetici, così da rispondere alle necessità polifunzionali a cui andremo in contro. Ecletticità che farà rima con intelligenza e con oggetti sempre più “smart”. Un domani in cui la gente potrebbe scaricare un aggiornamento come oggi fa con lo smartphone e quindi aggiungere nuove features ai propri mobili. La personalizzazione, la capacità di rendere un oggetto unico e più vicino possibile al desiderio dell’utente/ cliente, è probabilmente la frontiera più rilevante nell’home design, ma non solo.

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INTRODUZIONE il ricercare umano

All’alba del terzo millennio, l’umanità è composta da 7 miliardi di individui ed è globalmente indirizzata verso una “crescita” vertiginosa, che induce una complessità mai affrontata prima, e verso uno sviluppo esponenziale scientifico e tecnologico, che ci sta allontanando irrimediabilmente da quello che siamo stati fino ad oggi. Ci stiamo rendendo conto di essere forse giunti a un nuovo epocale bivio evolutivo in cui possiamo essere artefici del nostro destino: è meglio continuare a utilizzare le nostre facoltà distintive di homo sapiens – la capacità di ricordare il passato e quella di immaginare il futuro – per iniziare una nuova fase della nostra storia? O affidarsi a qualcosa di nuovo e di completamente sconosciuto? Il 1971 è stato un anno a cavallo di due epoche: quella dell’ottimismo tecnologico, culminata due anni prima con i primi passi di un essere umano sulla Luna, e quella del pessimismo, legata alla nascita dell’ambientalismo, che scatenerà nelle opinioni pubbliche occidentali una lunga ondata antiscientifica e antitecnologica. Uno dei bestseller di quell’anno è un libro scritto da un matematico italiano, Roberto Vacca, che viene subito acclamato “futurologo” da televisione e giornali. Il libro si intitola “Il Medioevo prossimo venturo”1 e prevede l’imminente collasso dei complessi sistemi tecnologici – telecomunicazioni, trasporti, reti energetiche, approvvigionamento di cibo – dai quali dipende la nostra sopravvivenza. Passano gli anni, la catastrofe non si avvera, cambia anzi il clima culturale, e nel 1986 Roberto Vacca pubblica un nuovo libro: “Il Rinascimento prossimo venturo”2: ci aspettano tempi meravigliosi.

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Roberto Vacca, Il Medioevo prossimo venturo, Mondadori, 1972

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Roberto Vacca, Rinascimento prossimo venturo, Bompiani, 1986


Medioevo Rinascimento Grande Stagnazione Roberto Vacca non è l’unico che ha sbagliato le sue previsioni, anzi è l’erede di una lunghissima serie di previsioni del futuro, che non si sono mai avverate, anche se non sono molti quelli che sono stati sia così ottimisti sia così pessimisti. Il potere simbolico del Medioevo e del Rinascimento, facili etichette rispettivamente di ogni decadenza e di ogni fioritura economica, culturale e umana continua ad animare le riflessioni sul futuro. L’economista americano Tyler Cowen ha dichiarato che in futuro non affronteremo nè un nuovo Medioevo, né un nuovo Rinascimento, bensì una “Grande Stagnazione”2. Il suo ragionamento è il seguente: se dimentichiamo per un attimo i progressi delle tecnologie digitali, che alimentano l’impressione di un’innovazione sempre più veloce, ci possiamo accorgere facilmente che la realtà è molto più prosaica. Nel quotidiano, usiamo sostanzialmente ancora le stesse tecnologie che sono migliorate, ma non così tanto.

OGNI TECNOLOGIA SUFFICIENTEMENTE AVANZATA È INDISTINGUIBILE DALLA MAGIA”4 Così scrisse Arthur Clarke, lo scienziato e scrittore autore di 2001, Odissea nello spazio. Lo spirito di questa disillusione è stato colto bene da Peter Theil, fondatore di PayPal: “Volevamo le macchine volanti, e invece abbiamo avuto 140 caratteri”5 (la lunghezza massima di un messaggio su Twitter). Medioevo, Rinascimento, o Grande Stagnazione: chi ha ragione?

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Tyler Cowen, The Great Stagnation: How America Ate All The Low-Hanging

Fruit of Modern History, Got Sick, and Will (Eventually) Feel Better, Dutton, 2011 4

Arthur Clark, Profiles of the Future, Harper & Row, 1958

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Peter Theil, riferimento a Twitter, N.d.T.

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Il futuro non si lascia prevedere, se non per caso, ma dobbiamo comunque prepararci e contribuire a crearlo, per quanto ci è possibile, cercando in quello che accade oggi i semi di quello che potrebbe accadere domani. Per comprendere ciò che accade oggi, bisogna imparare dalle lezioni del passato. Lo aveva già capito, proprio nel Rinascimento, Niccolò Machiavelli, quando scriveva che chi vuole prevedere il futuro deve consultare il passato6. Per una ragione molto semplice: le vicende umane si assomigliano sempre, perché sono prodotte dagli uomini, i quali sono sempre stati e sempre saranno animati dalle stesse passioni. Se guardiamo indietro, un periodo che potrebbe somigliare al nostro lo troviamo nel Rinascimento. Allora come oggi, si crearono le condizioni favorevoli per un grande balzo in avanti dell’umanità. Cinquecento anni fa, il mondo per gli europei stava diventando molto più grande. L’espansione nel Vicino Oriente dei turchi ottomani, che nel 1453 avevano conquistato Costantinopoli, aveva chiuso l’accesso diretto alla Via della Seta, e al commercio asiatico. Gli europei cominciarono quindi a cercare nuove strade e, tentando di raggiungere l’India, nel 1492, Cristoforo Colombo scoprì le Americhe. Nel 1498 Vasco Da Gama arriva in India, doppiando il Capo di Buona Speranza, mentre nel 1521 Ferdinando Magellano salpa per la prima circumnavigazione del Mondo. Nel giro di pochi decenni, i traffici commerciali si spostano da Venezia e Genova ai porti sull’Atlantico, e i mercati finanziari da Firenze e Venezia ad Anversa. GLOBALIZZAZIONE Insieme all’orizzonte geografico cambia anche l’orizzonte mentale

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Niccolò Machiavelli, Il Principe, 1513


dell’Europa, che da piccola penisola dell’Eurasia si avvia a diventare la potenza mondiale dominante. Stava iniziando la prima “globalizzazione”. Quella più recente è cominciata dopo la caduta del Muro di Berlino, alla fine del 1989, quando intere regioni del mondo prima sostanzialmente isolate hanno cominciato ad aprirsi al resto del Mondo. Alcuni dati economici rendono molto bene l’idea dell’accaduto. Dal 1990 al 2007, alla vigilia della crisi finanziaria, la liberalizzazione dei mercati finanziari porta gli scambi internazionali da 1000 a 12.000 miliardi di dollari, (oggi sono a quota 4500). Il valore del commercio mondiale è aumentato del 500%, passando da 3500 a 19.000 miliardi di dollari. Complessivamente, il valore delle merci, dei servizi e dei capitali scambiati fra paesi è passato da 5000 a 30.000 miliardi di dollari l’anno. Ma la vera novità è che gli scambi non avvengono più quasi soltanto fra i paesi più ricchi e avanzati. Nel 1990, i dieci porti più importanti per volume di traffico erano tutti nei paesi ricchi, mentre oggi il porto più grande del mondo è quello di Shanghai, che nel 1990 non era neppure tra i primi 25. Il valore delle esportazioni della sola Cina, infatti, è passato da 62 a 2300 miliardi di dollari. MIGRAZIONE Cinquecento anni fa, i grandi cambiamenti geopolitici ed economici provocavano migrazioni di massa. L’avanzata turca spingeva i cristiani dell’Anatolia e del Medio Oriente verso l’Europa. La riconquista da parte dei re cattolici fu seguita dalla cacciata di musulmani ed ebrei dalla Spagna, dove vivevano da secoli. Anche oggi, guerre e opportunità spingono masse di persone a lasciare il proprio paese.

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Dal 1990, il numero delle persone che vivono all’estero è passato da 150 a 250 milioni. Anche 14 milioni di europei si sono spostati da un paese all’altro. Ogni anno, 17 milioni di persone nel mondo cambiano paese, contribuendo al benessere sia del paese ospitante sia della madre patria. Nel 2005, negli Stati Uniti, il 52% delle startup della Silicon Valley e il 25% delle aziende nei settori dell’ingegneria e dell’alta tecnologia fondate nei dieci anni precedenti erano guidate da immigrati. Cinquecento anni fa, le élite politiche, economiche e culturali dell’Europa cominciavano a viaggiare. A Parigi o Venezia per affari, a Padova o Bologna per studiare, a Lisbona, Siviglia o Amsterdam per imbarcarsi, a Roma o Firenze per la cultura. Oggi gli spostamenti sono di massa, soprattutto fra le grandi metropoli globali come Londra, New York, Shanghai, Singapore o San Paolo. Dal 1990, il numero dei passeggeri che si spostano in aereo è passato da 500 milioni a 3,2 miliardi, e dal 2011 i voli internazionali hanno superato quelli nazionali. Allora come oggi, gli scambi di merci, servizi e persone non solo rendono tutti più ricchi, ma stimolano lo scambio di idee, conoscenze e saperi pratici. Nell’ultimo secolo e mezzo, l’aspettativa di vita media nei paesi ricchi è raddoppiata, e dal 1960 è aumentata di vent’anni in tutto il mondo grazie ai passi avanti nella disponibilità di cibo, nell’igiene e nella cura delle malattie. Ma dal 1990, tutto è accelerato. La ricchezza prodotta ogni anno in media da ogni abitante del mondo è aumentata del 40%. Il numero

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dei poveri, che nel 1990 era di quasi due miliardi di persone (il 43% della popolazione mondiale) è sceso a 900 milioni (il 12% della popolazione mondiale). Mezzo miliardo di persone è uscito dalla povertà solo in Cina. Nel giro di cento anni a partire dal 1450, il numero delle università in Europa era passato da 50 a oltre 150. Nei paesi dell’Europa centrale e settentrionale, grazie alla Riforma protestante, l’alfabetizzazione e una minima scolarizzazione diventavano di massa, ampliando enormemente la possibilità di un miglioramento economico e sociale per i cittadini comuni. Un balzo culturale analogo, ma di proporzioni molto maggiori, è in corso oggi. Nel 1980, era analfabeta il 44% della popolazione mondiale, contro il 16% di oggi (e meno del 10% fra i giovani). In tutto, tenuto conto dell’aumento della popolazione, sono tre miliardi in più di persone che sanno leggere e scrivere. La diffusione di ogni forma di conoscenze esplodeva grazie all’invenzione della stampa. Appena cinquant’anni dopo l’invenzione di Gutenberg, oltre 250 stamperie avevano già prodotto fra i 15 e i 20 milioni di volumi. L’accumulazione di cultura raddoppiò nuovamente nei successivi 25 anni. Lo stesso ruolo ha oggi Internet, la tecnologia di massa dalla più rapida adozione della storia. Vent’anni fa era usata solo da poche centinaia di studiosi, ma nel 2005 univa già un miliardo di persone, diventate tre miliardi nel 2015. Oggi quasi un terzo dei possessori di un telefono cellulare – il cui numero è ormai pari a quello della popolazione mondiale – naviga anche in mobilità.

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URBANIZZAZIONE urbanizzazione

La stampa ieri e Internet oggi hanno cambiato per sempre la comunicazione umana grazie all’abbondanza di informazione, al crollo dei costi di distribuzione, alla varietà dei contenuti e all’accessibilità per tutti. URBANIZZAZIONE Cinquecento anni fa, l’Europa cominciava a urbanizzarsi. Nel 1500 solo 5 città europee avevano più di 100.000 abitanti, ma nel 1600 erano già 12. Nel 1990, viveva in città il 25% della popolazione mondiale, ma è diventato il 50% già nel 2008, e si prevede che raggiungerà il 60% nel 2030. A partire dalla fine degli anni Ottanta, solo in Cina, è andato a vivere in città oltre mezzo miliardo di persone. Così, se nel 1990 c’erano 10 metropoli nel mondo con più di 10 milioni di abitanti (con 153 milioni di persone) oggi ce ne sono 28 (con 453 milioni di persone) e nel 2030 ce ne saranno probabilmente 41. Portando le persone a vivere così vicine fra loro, l’urbanizzazione ha aumentato la densità delle relazioni e dei rapporti, concentrando le risorse da cui possono nascere tanto la crescita economica quanto quella culturale: capitali, produzione, mercati, talento, informazione, creazione di nuova conoscenza. Ed è da questo mondo globalmente più unito, connesso, competitivo, interdipendente, sano e istruito che ci possiamo attendere una nuova fioritura di innovazione paragonabile a quella avvenuta nel Rinascimento. Sia a livello individuale che a livello collettivo. Poche cose infatti stimolano la produzione di idee nuove come incontrare persone che pensano in modo diverso. Durante la I guerra mondiale, l’urbanista scozzese Patrick Geddes,

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scrisse il pamphlet The Making of the Future: A Manifesto and a Project 7. Il testo delinea i modi in cui “una nuova migliore civiltà” potesse nascere dalle rovine della vecchia, compromessa dal “demone del materialismo”, proponendo una visione globale in cui produzione industriale, arte, educazione, salute, affari ed etica, che fino a quel momento non avevano mai goduto di una pari considerazione, avanzassero invece all’unisono. Geddes era convinto che gli individui, operando insieme e per il bene della collettività, potessero realmente cambiare le cose. “Creando Pensamus” (pensiamo attraverso il fare) era uno dei punti fermi del suo pensiero. Un uomo incredibilmente avanti con i tempi, che aveva già intuito come il rispetto dell’ambiente e l’armonia tra natura ed esseri umani insieme a eque politiche sociali fossero una delle condizioni indispensabili per immaginare un futuro. L’elaborato muove dalla sensazione di incertezza che caratterizza la nostra vita in un momento storico di grandi e rapidissimi cambiamenti, di questioni cruciali per l’umanità – la globalizzazione e la perdita di diversità biologica e culturale, il continuo espandersi dell’urbanizzazione e la crescita dell’inquinamento, la crescente instabilità economica e politica, il riscaldamento globale e le sue conseguenze il controllo di immense quantità di dati nelle mani di pochi, l’ingiustizia nella distribuzione delle risorse, le migrazioni e il diffondersi della xenofobia – che richiedono di essere affrontate urgentemente, ma senza poter ricorrere a parametri già noti. L’incertezza sollecita, suscita domande, ci spinge a voler capire, a fare ipotesi.

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Patrick Geddes e Victor Branford, The Making of the Future: A Manifesto and a Project,

Sherratt & Hughes, Londra 1917

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È una condizione dinamica, anche se piena di inquietudine:

SE NESSUNO PUÒ DIRE COME SARÀ IL FUTURO, NIENTE CI PROIBISCE PERÒ DI IMMAGINARLO.8 È necessario quindi il ruolo di designer, architetti e ingegneri, di figure professionali che si pongano domande sull’abitare futuro, tenendo conto di ciò che è stato realizzato in passato. È da progetti del passato che parte la ricerca dell’elaborato di tesi, in modo da suscitare domande nel presente, per avere risposte progettuali concrete di un futuro non troppo lontano.

Patrick Geddes, Ballater, Aberdeenshire, 1854 – Montpellier, 1932 urbanista, biologo e attivista scozzese, pioniere della pianificazione applicata agli insediamenti umani.

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Cristiana Perrella, Imprevedibile, pp. 28-29


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CITTÀ GIARDINO

soluzioni urbane per la classe operaia

L

a conseguenza più preoccupante per la città industrializzata fu senza dubbio, la necessità di abitazioni per la classe operaia. L’effetto prodotto dall’inurbamento delle città a causa dello spostamento di ingenti masse di persone dalla campagna verso le città industriali, portò ad un sovrappopolamento delle stesse. Come conseguenza si ebbero quartieri in cui i lavoratori venivano ghettizzati, vivendo per lo più in condizioni malsane e in abitazioni insalubri. Le soluzioni a questo problema, incominciarono a prospettarsi già dalla metà dell’‘800, con le proposte della città giardino di Ebenezer Howard9, nella prospettiva del superamento del contrasto tra città e campagna. L’idea della “garden city” nacque, proprio a causa dell’aumento della popolazione nei centri urbani, che aveva creato un forte degrado nelle città della metà del XIX secolo. In quel periodo, il crescente sviluppo delle industrie non conciliava con la vita dell’uomo. Ebenezer Howard partì dalla constatazione che sia la città sia la campagna presentavano aspetti positivi e negativi per l’esistenza dell’uomo. Propose così una terza entità, la “città-campagna”10, una soluzione ideale che racchiudeva in sé i benefici della vita urbana e della vita agreste, permettendo allo stesso tempo di salvare la città dal congestionamento e la campagna dall’abbandono. La progettazione di questo nuovo tipo di città doveva quindi tener conto di tutti gli aspetti della vita umana, rispettando le esigenze primarie dell’individuo. Si pensò quindi a nuclei abitativi formati da residenze unifamiliari, attorniate dal verde, collegate tra loro, con servizi, negozi, teatri, chiese, zone produttive e zone amministrative, in modo tale da rendere questi centri completamente autosufficienti.

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Ebenezer Howard, Tomorrow, a peaceful Path to Real Reform, 1898

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Ebenezer Howard, Garden Cities of Tomorrow, 1902


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CITTÀ GIARDINO

soluzioni urbane per la classe operaia

La prima città giardino d’Europa fu Letchworth, fondata nel 1903 a circa 50 km da Londra. Questa distanza doveva garantire la creazione di una fascia verde con un duplice scopo: fornire tutto il necessario alla sopravvivenza dei cittadini e frenare di conseguenza l’espansione incontrollata della città londinese. Altre città furono poi progettate e sviluppate su questo principio, ma non sempre l’idea originaria dette i risultati sperati. In molti casi, la vicinanza con un grande centro finì per inglobarle, in altri la rese semplicemente un quartiere dormitorio o una borgata. L’idea fu abbandonata negli anni Trenta, ma fu di ispirazione a grandi architetti come Le Corbusier, che ne trassero principi ispiratori, e soprattutto per new town costruite nel 1946 (le eredi delle città giardino, fra cui Harlow, dislocate per lo più intorno a Londra), con la collaborazione dei migliori urbanisti dell’epoca, da Raymond Unwin a Lewis Mumford. In Italia, il concetto generale di città giardino, venne inteso negli anni Ottanta come ampia zona residenziale, e si diffuse per la costruzione di vastissimi territori ed alloggi per specifici lavoratori dipendenti, tanto da creare, di fatto, una “città nella città”, come il caso di Milano Due a Segrate, Milano 3 a Basiglio, Metanopoli a San Donato Milanese, ecc.

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SHAKERS

funzionalismo religioso

Gli Shakers, il cui nome è tratto dalle loro frenetiche danze, erano i seguaci di una libera chiesa protestante negli Stati Uniti di fine XVIII Secolo. Essi avevano realizzato nel modo più coerente quell’idea di “comune” che ha esercitato il suo fascino anche su molti utopisti e moralisti dell’Ottocento. La figura più significativa della comunità religiosa fu Madre Ann Lee (1736-1783), la quale aveva aderito al movimento fondato in Inghilterra nel 1747 ed era successivamente emigrata in America nel 1774. Con la loro utopia, gli Shakers rappresentano il contrario di quanto per decenni è stato chiamato “American Way of Life”: quella tendenza dello spirito che ha richiamato negli Stati Uniti quanti erano “contro” l’accumulazione del capitale, contro la distruzione della natura, contro la vita nelle grandi città, e che vedevano in questo grande Paese la possibilità di lavorare in comunità “autarchiche” vicine alla natura. Il loro “regno di Dio sulla Terra” presupponeva purezza dell’anima e comunanza dei beni, uguaglianza dei sessi e celibato quali forme di vita comune cui aspirare. Uno dei loro princìpi imponeva alla comunità di provvedere a soddisfare autonomamente tutti i propri bisogni. Nelle regole e nei princìpi degli Shakers si possono riconoscere anche i fondamenti religiosi e culturali più importanti che sono alla base del loro modo di produrre mobili: “la bellezza si basa sulla praticità”, “si può definire perfetto ogni oggetto che adempia rigorosamente allo scopo al quale è destinato”, “ogni forza produce una forma”. Proprio questa massima anticipa cento anni prima l’affermazione di Sullivan11 e i principi del funzionalismo, secondo cui “Form follows function”.

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Louis H. Sullivan, The tall office building artistically considered, Lippincott’s Magazine,11

Marzo 1896

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SHAKERS

funzionalismo religioso

Secondo l’insegnamento di Mother Ann l’apparenza esteriore delle cose ne rivelava lo spirito più intimo. La creazione degli Shakers era dunque privata delle piaghe dello stile e della moda, arrivando a reinventare la bellezza e un’insuperabile interpretazione del rapporto forma-funzione. Gli oggetti assumevano una forte qualità impersonale, essendo destinati all’uso di tutta una comunità che viveva in profonda sintonia. Il materiale necessario alla costruzione dell’oggetto, il legno, profondamente amato e completamente rispettato, era economizzato al massimo grado nei montanti delle sedie, nei pioli dei portasciugamani. Nacquero così oggetti assolutamente straordinari: sedie con traverse digradanti in larghezza dall’alto verso il basso, al diminuire della funzione di appoggio; schienali inclinati all’interno, secondo un’ottimale linea di sostegno; mobili polifunzionali; panche allargate adatte a fungere da tavoli, tavoli bassi con credenze a cassetti al di sotto del piano. Tutto questo segnava il perimetro delle stanze, secondo il principio che ogni oggetto dovesse essere costruito in modo tale che il suo senso e il suo scopo fossero realizzati in maniera semplice e pura. Nessun oggetto meglio del semplice listello orizzontale in legno rappresenta il senso dell’arte e lo stile di vita degli shakers. Il listello veniva affisso ad ogni parete e ai suoi ganci, fissati ad intervalli regolari, ai quali potevano essere appesi abiti, oggetti d’uso quotidiano, piccoli mobili e, durante le pulizie domestiche, anche le sedie.

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SHAKERS

funzionalismo religioso

La convinzione che ogni forma di lusso fine a se stessa fosse peccaminosa e superflua, e che l’elevata qualità del lavoro artigianale rappresentasse una possibilità di vivere in un mondo quasi perfetto, sottolineava il loro rifiuto per i metodi di produzione capitalistici imperanti nel XIX secolo. L’organizzazione economica, influenzata dai principi della fede e legata ad una condotta di vita di stampo puritano, condizionò anche il modo di concepire gli edifici e gli ambienti interni dove semplicità ed essenzialità regnavano ovunque. Essa stimolò anche lo spirito inventivo degli Shakers e determinò la precoce introduzione di procedimenti industriali e la semplicità degli arredi. Gli Shakers, con un incorrotto senso della forma, svilupparono la loro produzione standard di mobili ed arredi, oggetti domestici e attrezzi da lavoro. Questi ambienti nella loro semplicità, coerenza e funzionalità sono inconsueti per essere appartenenti al XIX secolo. L’interesse di questi mobili, studiati per corrispondere persino alle diverse “taglie” dei fruitori, consiste proprio nell’essere elementi di un arredamento attuale e non solo come cimeli di un lontano passato. Come già accennato il design degli Shakers anticipa qualcosa che fu proprio del “funzionalismo”. Prima di “permettere” la produzione di uno strumento, gli Shakers ne esaminavano la possibile “utilità” ai fini della comunità. I loro criteri erano durata e non consumo, produzione limitata e non espansione continua, verifica della qualità e processo di produzione.

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Peg Rail Casa Shaker

OEO Studio per Mutina Ceramiche, Salone del Mobile, 2018 29


EXISTENZMINIMUM progettazione degli spazi negli alloggi minimi

A causa della crísi economica che seguì la conclusione della I Guerra Mondiale si fece molto forte la richiesta di alloggi popolari a basso costo. Il Bahuaus in Germania e Alexander Klein in Russia furono i principali teorizzatori di una nuova architettura attraverso la progettazione razionale dei vani, la modularità delle strutture e l’uso dei materiali economici potesse soddisfare queste nuove impellenti necessità. Klein fu molto metodico nella sua ricerca, a cui diede il nome di “Existenzminimum”, per sottolinearne l’essenzialità progettuale. Analizzò in dettaglio molte tipologie di abitazioni prima di proporre le sue soluzioni. Il metodo di valutazione delle piante nella progettazione degli spazi negli alloggi minimi, si basava su tre operazioni: 1. Per prima cosa, fare un’esame preliminare per mezzo di un questionario, composto da una serie di voci che riguardavano dati dimensionali e domande riguardanti gli alloggi esaminati nel tentativo di sostituire un criterio di giudizio soggettivo con un criterio oggettivo. 2. Riduzione dei progetti alla medesima scala, confrontando diverse soluzioni di pianta aventi il medesimo numero di letti: le piante migliori risultavano quelle in cui si equilibrava la profondità del corpo di fabbrica e lo sviluppo di facciata; una profondità eccessiva produce effetti negativi dal punto di vista dell’illuminazione e dell’areazione, mentre la facciata troppo estesa produce effetti negativi dal punto di vista economico.

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Matilda Baffa Rivolta, Alexander Klein: lo studio delle piante e la progettazione degli spazi

negli alloggi minimi, 1975

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EXISTENZMINIMUM

progettazione degli spazi negli alloggi minimi

3. Il metodo grafico permette di verificare per ogni pianta di alloggio l’andamento dei percorsi, la disposizione delle aree per la circolazione, e la concentrazione delle superfici libere da arredi. Con queste rappresentazioni è possibile valutare l’idoneità di una pianta prima della sua esecuzione e come verifica su alloggi già realizzati. Secondo gli studi di Klein, la riduzione della superficie degli alloggi, era vista come possibilità di abitazione per tutti, ed un incremento della cultura della casa. E non come una riduzione semplicistica o un peggioramento delle condizioni dell’abitazione. Per evitare gli effetti svantaggiosi della riduzione della superficie utile, l’architetto di origine russa ha cercato di: - Ottenere una maggiore ampiezza per mezzo di scorci da un ambiente all’altro evitando l’impressione di spazi ristretti. - Mettere in relazione l’alloggio con l’ambiente esterno, distribuendo le finestre in modo da collegarsi con gli spazi esterni, sfruttando al massimo l’illuminazione del sole - Organizzare gli spazi di circolazione, in modo che rimangano superfici grandi anche dopo la collocazione dei mobili

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…LA CASA DEVE ESSERE “CALMA”, GARANTIRE LA TRANQUILLITÀ, IL RIPOSO, IL RECUPERO DELLE ENERGIE SPESE SUL LAVORO… BISOGNA TENERE PRESENTE IL SORGERE DI SINTOMI DI STANCHEZZA PSICOLOGICA CHE INFLUENZANO IN MODO NEGATIVO CAUSATI DA UNA DISPOSIZIONE CASUALE DEGLI ELEMENTI DELLA PIANTA, SPAZI DISORDINATI ALL’ALTEZZA DEGLI OCCHI, PERCORSI TORTUOSI, PUNTI MAL ILLUMINATI …”

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NEW FRANKFURT funzionalismo in cucina

Grete Schütte-Lihotzsky fu l’architetto che, nel 1925, progettò la “Cucina di Francoforte” per le Siedlungen12 di Ernst May. Questo progetto diventò una delle esperienze più significative nell’ambito del Funzionalismo, in quanto rappresentava il risultato pratico di una serie di ricerche su nuove soluzioni progettuali fatte dall’architetto viennese nell’ambito dello studio delle abitazioni per l’Existenzminimum teorizzato da Alexander Klein. Nella progettazione di questo nuovo modello di cucina Grete Schütte-Lihotzsky riuscì a catalizzare i punti cardine delle teorie e delle ricerche europee sull’alloggio minimo: - la razionalizzazione degli spazi secondo i principi dell’economia domestica - la continuità dei piani d’appoggio dei mobili, i quali dovevano avere la stessa altezza da terra - la loro distribuzione in pianta secondo uno schema ad “U”, in modo tale che il fruitore degli spazi avesse tutti gli strumenti della cucina a portata di mano - la disposizione del tavolo vicino al davanzale della finestra per ottenere la migliore illuminazione della zona di lavoro della massaia. La modularità della componentistica d’arredo unificava il tutto, rendendo estremamente semplici ed immediati tutti i movimenti ed i percorsi compiuti da chi lavora in cucina.

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Siedlung: termine tedesco che significa “colonia”, riferito per lo più a complessi di edilizia

popolare realizzati in Germania durante la Repubblica di Weimar (1919-1933).

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NEW FRANKFURT funzionalismo in cucina

La cucina rappresentò un fattore fondamentale nel programma di rinnovamento spaziale, in cui il salotto sostituiva la grande cucina proletaria come centro della vita familiare. La cucina veniva ridotta nelle dimensioni (di circa trenta varianti, nessuna superava i 7 mq) per spostare l’attenzione su altri spazi all’interno e all’esterno della casa. L’architetto ha il merito di avere intuito il nuovo concetto di focolare domestico, fatto ancora di raccoglimento, di meditazione e di radicamento, ma proiettato ed adattato verso un nuovo tipo di società, fatta di praticità, velocità e funzionalità. L’architetto viennese immaginava la cucina come un laboratorio, basato sul principio delle brevi distanze. La sua larghezza è stata calcolata in modo tale che, per passare dal mobile e dal lato 36

lavaggio al lato stufa, bastasse girarsi. Un ampio sistema organizzativo era un ulteriore mezzo per rendere più efficiente il lavoro in cucina, come si evince dalle numerose cassettiere, armadietti vetrati e sgabelli alti da lavoro. I dettagli ed i materiali utilizzati per realizzare ogni singolo pezzo degli arredi della cucina furono studiati per assolvere funzioni precise: il cassetto per la farina in legno di quercia per tenere lontano i vermi; i pensili e gli armadi erano tutti allineati e ad incasso per evitare l’accumulo di polvere; i pavimenti erano in mattonelle e le pareti in piastrelle; la lampada era agganciata al soffitto mediante un binario che permetteva di illuminare ogni angolo della cucina in modo puntuale, laddove ci fosse maggiore necessità.


Anche il colore ebbe un ruolo importante nel progetto della cucina di Francoforte. Le prime cucine fecero ampio uso del blu (si scoprì che “le mosche evitano il blu”); i modelli successivi adottarono altri colori tenui e bianchi. Il pavimento della cucina consisteva generalmente in mattonelle di calcare di Solnhofen brunastre la cui grana naturale era in contrasto con i mobili dipinti in bianco e nero. Gli accessori standard dell’ufficio di ingegneria civile municipale furono integrati nella progettazione: i cassetti consistevano in blocchi di legno prismatici con impugnature incassate che rafforzarono ulteriormente l’estetica geometrica della cucina. In seguito, si è scoperto che i moduli della cucina sarebbero stati destinati anche all’uso in ambienti

pubblici del nuovo quartiere residenziale. La cucina progettata dall’architetto viennese ebbe subito enorme successo. Dopo l’installazione nelle case di quartiere di Ernst May, fu realizzata in serie con una produzione annua dalle 4.000 alle 5.000 unità e con una riduzione sempre maggiore del prezzo che passò da 400 a 280 marchi. L’opera di Grete Schütte-Lihotzsky fu apprezzata definitivamente ed in maniera piena a partire dagli anni Settanta fino ai giorni nostri. Se in Austria, si pensava a progettare cucine compatte ed efficienti per quartieri residenziali della classe operaia, in Italia si cominciava ad indagare spazi abitativi moderni, mettendo per un attimo da parte l’idea canonica di famiglia tradizionale. 37


STANZA PER UN UOMO Franco Albini

Nato come modello sperimentale di abitazione per un “singolo uomo”, la Stanza per un uomo progettata dall’architetto Franco Albini, racchiude nei suoi 27 mq una sorprendente concentrazione di soluzioni funzionali realizzate in ogni singolo dettaglio per uno stile di vita moderno. Il progetto di questo piccolo allestimento fu disegnato per la ditta Dassi in occasione della VI Triennale. Il materiale d’archivio comprende quindici fotografie in bianco e nero e una quarantina di disegni tecnici su carta da lucido di diverse dimensioni, in scale dall’1:50 all’1:1. Il progetto risulta sorprendente per molteplici aspetti: la tipologia, l’idea di concepire un ambiente dedicato a un singolo uomo, rompeva già di per sé il tradizionale modello familiare composto da padre, madre, figli. La configurazione dello spazio ricorda un monolocale moderno super attrezzato e concepito razionalmente per soddisfare tutti i bisogni primari dell’uomo. Fu costruito a partire da tre pareti perimetrali, esclusivamente da arredi con l’attenzione nei dettagli e degli oggetti concepiti ad hoc per la mostra. Gli intenti vengono esplicitati e dichiarati nell’allestimento stesso da un pannello posizionato all’ingresso. La pianta è scandita sul pavimento da quadrati di linoleum bianco. Il primo ambiente visibile è lo studio: una scrivania con ripiano in marmo, quattro poltroncine, prototipi disegnati da Albini con l’applicazione della gommapiuma Pirelli e la libreria che funge anche da colonna centrale dell’intero allestimento.

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a) Accenno a semplificare la pianta, riunendo in un unico grande ambiente, oltre alcuni servizi, le diverse occupazioni che l’uomo svolge in casa, avvicinando tra loro le zone destinate al sonno, allo studio, alla lettura, alla ginnastica;

b) Accenno a soluzioni di sfruttamento dello spazio in senso verticale, nel letto sospeso, nell’armadio praticabile sul suo piano superiore, nella libreria a due fronti;

c) Accenno all’importanza dell’esercizio fisico e dell’igiene del corpo come parte integrante della vita spirituale e intellettuale dell’uomo: nella sistemazione degli attrezzi sportivi di normale uso e nello sviluppo della zona destinata in modo particolare alla ginnastica quotidiana.

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STANZA PER UN UOMO Franco Albini

Dallo studio sono già visibili: un volume nero (il retro dell’armadio), e il pannello in vetro e lo specchio con serigrafati alcuni schemi di esercizi ginnici. Dopo lo studio si entra in un unico ambiente in cui tutte le restanti funzioni sono concentrate sullo sfondo di una grande parete in beola. Il letto è posto a circa due metri d’altezza, privo di ogni protezione o ulteriori comfort, un piano orizzontale per dormire. Lo spazio ricavato al di sotto del letto è occupato da un vogatore (altro attrezzo ginnico tipico dell’epoca). A lato, il grande armadio attrezzato, interamente progettato in ogni dettaglio; spazi per 40

abiti lunghi, i soprabiti, le giacche, le scarpe con tacco su tubi metallici, senza tacco su graticci di legno a maglia quadrata, le camicie in cassetti bassi dell’altezza di 6 cm, la biancheria in cassetti dell’altezza di 12 cm. Altro elemento contemporaneo è il modulo bagno: la doccia è un parallelepipedo di cristallo che lascia in vista i tubi d’acciaio cromato in un gesto modernista di esaltazione della tecnicità; il lavabo è appoggiato al cristallo e sorretto da due gambe in tubo metallico, mentre la parte dei servizi è celata da due tende in gomma coprenti. L’angolo opposto dell’ambiente è invece dedicato


esclusivamente allo sport. La griglia metallica di fondo, contiene tutti gli attrezzi da montagna (egli stesso era un grande appassionato di alpinismo). A terra, un tappeto di linoleum per fare ginnastica.

oggetti d’arredamento e quasi completamente dedicata alla cura del corpo (culto tipico del periodo fascista ma estendibile alle idee moderniste dell’epoca).

La Stanza per un uomo di Franco Albini, riletta in ogni dettaglio, appare come un dialogo tra gli oggetti, la verticalità, la cura degli spazi di servizio e del dettaglio artigianale, la modularità. É progettata per essere un’ambiente dimostrativo, quasi estremizzato nella ricerca del modello di “machine à habiter” lecorbuseriana, in cui tutta la configurazione dello spazio è determinata da 41


MACHINE À HABITER macchina per abitare

“Machine à habiter”: macchina per abitare. Erano gli inizi del ‘900 e il famoso architetto svizzero Le Corbusier adoperava questo slogan per parlare dell’abitare contemporaneo. In contrapposizione alle forme dell’art nuveau, Le Corbusier, era fermamente convinto che in architettura «si deve tentare di trovare sempre la scala umana» e che «l’architettura è l’attività che produce popoli felici». Le Corbusier prende la figura degli ingegneri come riferimento. Gli ingegneri, anche inconsapevolmente, producevano edifici esteticamente validi: generavano, in un certo senso, bellezza in maniera del tutto inconscia, in quanto non consideravano la casa come un pretesto per sperimentazioni ornamentali, bensì come un prodotto edilizio le cui caratteristiche vanno connesse strettamente alla soluzione di problemi funzionali e meccanici. Tuttavia, risulta difficile pensare alla casa come una macchina; sicuramente non come un’automobile. L’essenza dell’auto è il movimento, la casa è stanziale. Ma Le Corbusier pensava a “machine” come meccanismo, in un periodo in cui cominciava la produzione in serie di modello taylorista e gli oggetti nascevano da un processo nuovo, non più artigianale ma industriale. Oggi con la domotica lo possiamo vedere in azione perché si manifesta nelle innumerevoli applicazioni. Dalle luci agli impianti di sicurezza, dall’acustica alla regolazione termica. Fu per questo motivo che Le Corbusier volle riabilitare l’estetica degli ingegneri in quanto concepita secondo una «modernità priva d’intenzionalità stilistico-estetica, scaturita direttamente dal corretto svolgimento di problemi ben posti» 13.

14

Marco Biraghi, Storia dell’architettura contemporanea, in Piccola biblioteca Einaudi, vol. 1,

Torino, Einaudi, 2008, ISBN 978-88-06-18697-5, pp.187

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MACHINE À HABITER macchina per abitare

Le Corbusier, in Vers une architecture14, tesse una vera e propria apologia degli ingegneri, riportata di seguito: «I creatori della nuova architettura sono gli ingegneri. [...] I nostri ingegneri sono sani e virili, attivi e utili, morali e gioiosi. I nostri architetti sono disillusi e oziosi, fanfaroni o cupi. Ciò è dovuto al fatto che presto non avranno più niente da fare. Non abbiamo più soldi per dare un assetto ai ricordi della storia. Abbiamo bisogno di lavarci [...]. Si crede ancora, qua e là, agli architetti, come si crede ciecamente a tutti i medici. Bisogna pure che le case reggano! Bisogna pure ricorrere all’uomo d’arte! E l’arte, secondo Larousse, è l’applicazione delle conoscenze alla realizzazione di un concetto. Ora, oggi sono gli ingegneri che hanno queste conoscenze, che sanno come tenere in piedi un edificio, come scaldarlo, ventilarlo, illuminarlo. Non è così? » Le Corbusier Nel secondo Dopoguerra, in un tragico scenario di devastazione e macerie, lo Stato francese gli commissiona la costruzione di una unité d’habitation a Marsiglia. Conosciuta anche come Cité Radiouse, l’architetto concepì questi spazi abitativi applicando il proprio sistema denominato Modulor, ovvero «una gamma di misure armoniose per soddisfare la dimensione umana, applicabile universalmente all’architettura e alle cose meccaniche». L’architetto muove la sagoma di un uomo alto 1 metro e 83 centimetri: la mette in piedi, la fa sedere, la piega, la corica, ne tende le braccia in larghezza e verso l’alto. È il modo per andare alla ricerca dell’armonia architettonica e di un rapporto ideale tra la persona e il suo spazio vitale.

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Jean Jenger, Le Corbusier, L’architettura come armonia, Electa, 1993, ISBN 88-445-0112-0,

pp. 141

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MACHINE À HABITER macchina per abitare

Le Corbusier declina il suo concetto abitativo in 23 diversi tipi di alloggi, veri e propri “contenitori per famiglie” da inserire, quasi a incastro, nell’ossatura portante dell’edificio: tutti orientati lungo l’asse est-ovest; i più complessi si snodano addirittura su tre livelli. La Cité Radieuse di Le Corbusier è stata pensata per essere autosufficiente. Essa ospita infatti svariati locali ad uso comune come la palestra, una piccola piscina, l’asilo nido, un solarium, un auditorium all’aperto e un percorso ginnico di circa trecento metri per l’attività sportiva. Dentro ci sono negozi, un ristorante, la biblioteca, una lavanderia, le sale per le attività comuni, e perfino un albergo. L’ennesima innovazione è rappresentata infine anche dal tetto abitabile, noto anche come «tetto giardino», secondo i suoi celeberrimi Cinque Punti. Analogamente a quanto accade nei grattacieli, grazie all’impiego del calcestruzzo armato, esso può diventare un vasto giardino pensile o essere adibito a funzioni complementari e ricreative utili alla collettività. Per ogni nucleo familiare è previsto tutto: le porte scorrevoli delle camere dei bambini diventano lavagne per disegnare, il lavello è collegato a un condotto per eliminare i piccoli rifiuti di cucina, lo scalino per l’accesso al balcone può diventare una seduta per gli ospiti. L’Unitè d’habitation si tratta quindi di un vero e proprio progetto sociale che vuole proporre un modo nuovo di concepire il rapporto tra la vita individuale e quella collettiva. L’edificio, supportato da spessi pilotis di cui alcuni contengono la rete idrica, è stato concepito quasi come una città giardino verticale, nella quale l’uomo è al centro dell’idea progettuale.

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HOUSE ENVIRONMENT rituali domestici

Nel 1972 al MoMa di New York la mostra “Italy: the new Domestic Landscape”, curata da Emilio Ambasz, segnò il lancio del design italiano nel mondo, puntando i riflettori su una nuova generazione di progettisti. Nel comunicato del 1972, Emilio Ambasz (curatore del dipartimento di architettura e design del museo e della mostra), dice esplicitamente che l’Italia: “non è solamente la principale forza mondiale nell’ambito del product design, ma esprime alcune delle preoccupazioni peculiari di ogni società industriale. L’Italia ha assunto le caratteristiche di un micromodello, dove un’ampia gamma di possibilità, limiti e problemi critici posti da designer contemporanei a livello mondiale, sono rappresentati attraverso approcci differenti e qualche volta contrapposti. Questi includono un ampio spettro di teorie che confliggono con lo stato attuale dell’attività progettuale, con le sue relazioni con l’industria delle costruzioni e con lo sviluppo urbano, e mostrano una crescente sfiducia negli oggetti di consumo”16 Gli oggetti in mostra sono una selezione di 180 pezzi di design italiano, mentre gli “Environments”, vengono commissionati direttamente a Ettore Sottsass, Joe Colombo, Gae Aulenti, Mario Bellini, Alberto Rosselli, Marco Zanuso e Richard Sapper, Gaetano Pesce, Ugo La Pietra, Gruppo Strum, Archizoom, Superstudio e 9999, che hanno come unico vincolo progettuale quello di lavorare in un modulo di 16×16 piedi (480×480 cm circa).

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Museum of Modern Art (New York, N.Y.), Italy: the new domestic landscape, achievements

and problems of Italian design, New York Graphic Society, Greenwich, Conn.,1972

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HOUSE ENVIRONMENT rituali domestici

Gli ambienti all’interno della categoria Environment si dividono in due gruppi: “House Environments” (Gae Aulenti, Ettore Sottsass, Jr., Joe Colombo) e “Mobile Environments” (Alberto Rosselli, Marco Zanuso e Richard Sapper, Mario Bellini). Tutti gli ambienti sono stati costruiti in Italia, con il contributo e con la collaborazione di aziende come Fiat, Olivetti, ANIC-Lanerossi, Pirelli, Kartell, Boffi, Ideal Standard, Cassina, ABET-Print, Artemide. Il concept di Ettore Sottsass anticipa le esigenze abitative contemporanee, intuendo come arredi e layout di spazi abitativi e lavorativi avessero 50

l’esigenza di diventare flessibili, plasmandosi sulle esigenze dell’utente finale. L’unità base di questo ambiente è un armadio mobile, una sorta di guscio su ruote, colorato di un grigio neutro. All’interno di questi mobili, vengono collocati tutti gli elementi progettati per il “catalogo tradizionale” dei bisogni che la società produttiva industriale ha lentamente elaborato: fornelli per cucinare, un frigorifero per conservare il cibo, un armadietto per riporre i vestiti, la doccia per lavarsi, un posto dove sedersi e leggere un libro, un jukebox per sentire la musica, una libreria, ecc.


Dal modo in cui le varie unità sono incernierate insieme, spostandole si può formare un’infinita varietà di ambienti differenti. Secondo questa visione, gli elementi dell’arredamento perdono le loro forme tradizionali per adottarne solo uno, quello di un volume mobile. Come lo stesso Sottsass dichiara nel comunicato della mostra, il suo intento non era quello di ottenere un prodotto in quanto tale, ma di concepire nuove idee. L’idea principale era quella di riuscire a creare un arredamento dal quale non fossimo coinvolti, dal quale fossimo così distaccati e disinteressati che non avesse importanza.

La forma è, almeno nell’intenzione, progettata in modo tale da perdere gradualmente sostanza fino a scomparire; per questo motivo vengono impiegati a dismisura materiali plastici al posto di materiali più pregiati. Quindi non solo questi contenitori possono essere raggruppati o dispersi, ma possono anche assumere nuove forme, sinuose o rigide, possono creare spazi aperti o chiusi, profondi, stretti o larghi. In altre parole, possono in qualsiasi momento fornire l’impostazione più adatta per i “rituali domestici”. 51


HOUSE ENVIRONMENT rituali domestici

L’esempio di Sottsass è emblematico come rappresentazione di adattamento alle differenti necessità degli abitanti della casa che andavano definendosi e come identificazione di un nuovo modo di vivere e di usare gli oggetti. Non più statici e fissi, ma flessibili e mobili per trasformare l’aspetto dell’ambiente che li accoglie. Una filosofia che oggi è fortemente legata al concetto di custommade e flessibilità dello spazio, per la progettazione di arredi domestici, per il contract o retail, con la possibilità di integrare elementi tecnologici e architettonici dinamici, non più fissi. La House Environment, anticipava le nuove forme dell’abitare, oggetti-ambiente che rappresentavano una dimensione alternativa al design e all’architettura. Negli uffici contemporanei, specialmente in quelli caratterizzati da vasti open-space, sono sempre più presenti box acustici e phone-boot, diretti discendenti delle idee di Sottsass qui esposte.

Le configurazioni sospese date dalla disposizione libera delle unità modulari, liberano lo spazio della casa, in cui i ruoli tradizionali (cucina, soggiorno, ecc.) diventano privi di significato.

PRIMA O POI AVREMO LA POSSIBILITÀ DI INDOSSARE UNA CASA, NEL MODO IN CUI SCEGLIAMO I NOSTRI VESTITI, IN QUALE STRADA CAMMINARE, O QUALE LIBRO LEGGERE”.

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House Environment, Modulo contenitivo

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PARETI ATTREZZATE Una parete attrezzata per soggiorno è un’insieme di mobili combinati tra loro destinati ad essere appoggiati o appesi al muro. Questi arredi sono suddivisi in categorie in base al loro stile e ad altre caratteristiche specifiche e sono destinati principalmente ad un uso domestico. Le pareti attrezzate servono a contenere ed esporre oggetti nonché ad ospitare apparecchi elettrici e multimediali. Tra i vari materiali usati per realizzare questi mobili citiamo il legno laminato decorativo, il compensato, il legno massiccio e persino l’acciaio. Tra i fattori da tenere in considerazione, è fondamentale che il muro o la parete divisoria siano in grado di sostenere i mobili che vi saranno appesi e che le dimensioni dell’insieme siano proporzionate. Altri fattori da tenere in considerazione sono le esigenze specifiche dell’utilizzatore, ad esempio in termini di capienza, di prese elettriche e di tutto ciò che può permettere di nascondere i cavi. Per comprendere a fondo le caratteristiche di questi oggetti, sono stati presi in considerazione alcuni dei più noti sistemi di pareti attrezzate della storia del design.

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In figura LB7, Franco Albini, 1958

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ROYAL SYSTEM

®

Poul Cadovius, 1948

Il sistema di scaffali ROYAL SYSTEM®, progettato nel 1948 dal designer danese Poul Cadovius, è stato uno dei più grandi successi di mobili danesi della storia. Poul Cadovius (1911-2011) è stata una delle persone più vivaci e di successo nella storia dell’industria del mobile danese. Originariamente formatosi come tappezziere, nel 1945 ha fondato la sua società di produzione di mobili Royal System. Per tutta la sua vita Poul Cadovius è stato un eccezionale imprenditore e innovatore e nel corso della sua lunga carriera ha depositato oltre 400 brevetti. Il sistema ROYAL SYSTEM® è stato uno dei primi sistemi di arredo a parete al mondo e l’idea alla base del design era innovativa. Con l’introduzione del nuovo concetto di scaffali a parete, l’arredamento è stato semplicemente spostato dal pavimento alle pareti, lasciando più spazio nella stanza - come Poul Cadovius ha espresso personalmente: “La maggior parte di noi vive sul fondo di un cubo. Se equipariamo le funzioni del pavimento alle pareti, avremo più spazio per vivere “. Il sistema è costituito da binari in legno a parete, mensole con ganci in ottone o acciaio e vari moduli come armadi, cassetti e scrivanie, che possono essere personalizzati in più combinazioni individuali Poul Cadovius ha affermato che il sistema originale aveva 16 milioni di possibilità di combinazione. ROYAL SYSTEM® rimane ancora oggi un classico senza tempo, caratterizzato da un design flessibile e poco ingombrante che offre numerose possibilità per un’espressione personale e moderna.

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Royal System, Poul Cadovius, 1948

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PARETI ATTREZZATE Royal System® - Poul Cadovius

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LB7

Franco Albini, 1957

Dall’apertura del suo primo studio a Milano nel 1930, Franco Albini si occupò sia di strutture per mobili sia di edifici, sviluppando l’estetica scarna e industriale ben esemplificata dalla LB7 17: già nel 1936 stava indagando su come sfruttare al massimo gli spazi. Dopo gli esperimenti di arredi multifunzionali realizzati per la Stanza per un Uomo (VI Triennale di Milano), Franco albini giunse all’ideazione della libreria estensibile LB7, creata per Poggi nel 1957. La LB7 poteva essere posizionata in qualsiasi stanza, con montanti fissati a pressione tra soffitto e pavimento e capaci di sfruttare al massimo qualsiasi spazio a disposizione. Grazie a una struttura così duttile, l’utente poteva configurare l’unità secondo le esigenze personali, e lo spreco di spazio si riduceva al minimo. Sia in altezza che in larghezza la libreria modulare LB7 rappresenta l’apice degli esperimenti dell’architetto Franco Albini nel settore dei mobili a geometria variabile. Nonostante l’aspetto industriale, gran parte della libreria era realizzata a mano, come tutti i mobili progettati da Albini, diffidente nei confronti della produzione industriale. La libreria componibile è costituita da montanti, contenitore ad ante battenti, a ribalta e mensole, consentendo infinite e differenti soluzioni compositive, dalle strutture portanti ai componenti.

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prodotto per Cassina dal 2008 con il nome di Infinito


LB7, Franco Albini, 1958

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PARETI ATTREZZATE LB7 - Franco Albini

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La struttura, non necessitando di ancoraggi a parete, offriva superfici con due facciate contrapposte contenenti i piani di appoggio per i libri ed altre soluzioni di contenimento. I materiali utilizzati per la LB7 erano il noce canaletto, il palissandro e l’ottone, oggi lussuosi, ma relativamente economici nel 1957, e tutti facilmente reperibili dai designer di mobili. Nella parsimoniosa era postbellica, Albini attribuiva infatti grande importanza all’impiego per i suoi mobili di materiali facilmente o localmente reperibili. La sua attitudine pratica nel confronti del design di mobili era spesso in contrasto con gli umori di molti suoi contemporanei, ossessionati dallo stile.

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606 WALL UNIT Dieter Rams, 1960-1961

Dieter Rams, nato a Wiesbaden nel 1932, è un industrial designer tedesco, tra i più importanti del XX Secolo. Dopo aver lavorato per l’architetto Otto Apel fu assunto nel 1955 dalla Braun e nel 1961 ne diventò direttore del dipartimento di design. Ruolo che ha mantenuto con enorme successo fino al 1995. Rams spiegò così il suo approccio al design: “Weniger, aber besser” (traducibile come “meno, ma meglio”). Ognuno delle centinaia di oggetti che progettò durante i suoi 40 anni di carriera sono da una parte eleganti e straordinariamente minimali, dall’altra incredibilmente facili da usare ed immediati. Per i prodotti elettronici della Braun sviluppò un codice colore: i prodotti erano inizialmente tutti bianchi e grigi, altri colori venivano utilizzati per pulsanti con funzioni essanziali e di rilievo (quello di accensione per esempio) in modo da mantenere una linearità visiva assoluta. Quando nel 1965 introdusse il nero come colore per gli apparati audio fece una scelta che influenzò tutti i produttori: ancora oggi il nero è il colore preferito per questo tipo di prodotto. Dieter Rams non è famoso soltanto per i suoi prodotti, ma soprattutto per essere un teorico del design che ha influenzato le generazioni attuali, con i suoi “10 principi del buon design”18.

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Cees W. De Jong, Dieter Rams: Ten Principles for Good Design, Prestel Publishing, 2017


606 wall unit, Dieter Rams, 1960

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PARETI ATTREZZATE 606 Wall Unit - Dieter Rams

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IL BUON DESIGN È INNOVATIVO Le possibilità di innovazione non sono affatto esaurite. Lo sviluppo tecnologico offre sempre nuove opportunità di design innovativo. Ma il design innovativo si sviluppa sempre in tandem con tecnologia innovativa e non può mai essere fine a se stesso.

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UN BUON DESIGN RENDE UN PRODOTTO UTILE Un prodotto è comprato per essere usato. Deve soddisfare determinati criteri, funzionali, psicologici ed estetici. Un buon design enfatizza l’utilità trascurando il superfluo.

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IL BUON DESIGN È ESTETICO La qualità estetica di un prodotto è parte integrante della sua utilità, perché i prodotti che usiamo ogni giorno influenzano la nostra persona e il nostro benessere. Ma solo gli oggetti ben eseguiti possono essere belli.

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UN BUON DESIGN RENDE UN PRODOTTO COMPRENSIBILE Chiarisce la struttura del prodotto. Ancora meglio, può far parlare il prodotto. Nella migliore delle ipotesi, è autoesplicativo.

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IL BUON DESIGN È DISCRETO I prodotti che soddisfano uno scopo sono come strumenti. Non sono né oggetti decorativi né opere d’arte. Il loro design dovrebbe quindi essere neutro e sobrio, per lasciare spazio all’espressione personale dell’utente.


IL BUON DESIGN È ONESTO Non rende un prodotto più innovativo, potente o prezioso di quello che realmente è. Non tenta di manipolare il consumatore con promesse che non possono essere mantenute.

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UN BUON DESIGN È DURATURO Evita di essere alla moda e quindi non sembra mai antiquato. A differenza del design alla moda, dura molti anni, anche nella società usa e getta di oggi.

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UN BUON DESIGN È ACCURATO FINO ALL’ULTIMO DETTAGLIO Nulla deve essere arbitrario o lasciato al caso. Cura e accuratezza nel processo di progettazione mostrano rispetto nei confronti dell’utente.

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UN BUON DESIGN È RISPETTOSO DELL’AMBIENTE La progettazione apporta un contributo importante alla salvaguardia dell’ambiente. Conserva le risorse e riduce al minimo l’inquinamento fisico e visivo durante tutto il ciclo di vita del prodotto.

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UN BUON DESIGN È IL PIÙ PICCOLO DESIGN POSSIBILE Meno, ma meglio - perché si concentra sugli aspetti essenziali, e i prodotti non sono gravati da elementi non essenziali.

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PARETI ATTREZZATE 606 Wall Unit - Dieter Rams

I “10 principi del buon design” sono un invito al ritorno alla purezza ed alla semplicità. “Credo che un bravo designer debba sempre essere un passo più avanti del proprio tempo. Dovrebbe mettere in discussione qualunque cosa che venga generalmente considerata ovvia. Deve avere un naturale intuito per come cambiano le abitudini delle persone, per la realtà in cui vivono, per i loro sogni, i loro desideri, i loro problemi, le loro necessità. Deve inoltre saper considerare realisticamente le opportunità e i limiti che offre la tecnologia” Dieter Rams Uno dei primi pezzi di arredamento che Dieter Rams sviluppò per la sua azienda Vitsœ fu il 606 Universal Shelving System nel 1960, rieditato da De Padova nel 1984. Il design rivoluzionario soddisfa la richiesta di “good design” di Dieter Rams. Lo scaffale sottolinea l’ideale di semplicità lungimirante del designer tedesco: elegante e privo di qualsiasi cosa inutile; discreto ma comunque altamente funzionale e flessibile. Il sistema di mensole 606, non è un semplice sistema di scaffali, ma un concetto semplice e ingegnoso, adattabile non solo in ambito domestico, ma anche per il mondo del contract e del retail. In un’intervista, il designer Jasper Morrison si è spinto fino al punto di definire lo scaffale come il sistema di scaffalature definitivo, così buono che “non ha senso tentare di progettarne un altro”.

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BIG

Marc Sadler

Ideata quasi come una componente architettonica, Big19, la libreria disegnata da Marc Sadler per Caimi Brevetti, è un prodotto dall’eccezionale versatilità, in cui pulizia formale e contenuto tecnologico si incontrano dando vita a un sistema senza tempo. Le sue forme decise e ben delineate la rendono un “oggetto polifunzionale”, in grado di caratterizzare indifferentemente ambienti moderni, hi-tech, classici o storici. Big trova la sua caratterizzazione nel forte spessore dei ripiani in acciaio, visivamente assimilabili a ripiani in muratura e nei montanti in alluminio sagomato. L’esclusivo sistema brevettato di aggancio dei ripiani ai montanti, che ne rende invisibili i meccanismi, risulta essere unico, rendendo questa struttura armonica, essenziale ed elegante. Un sistema flessibile dai molteplici usi e possibilità compositive, disponibile in diverse altezze e con mensole piane, inclinate o a tasca, il sistema prevede anche una vasta gamma di accessori come cassettiere e fermalibri tra cui poter scegliere.

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premio XXI Compasso d’Oro ADI, 2008


Big, Marc Sadler, 2004

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PARETI ATTREZZATE Big - Marc Sadler

Big, Marc Sadler, 2004

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Materiali: montanti in alluminio estruso verniciati con polveri epossidiche ripiani in acciaio verniciato con polveri epossidiche

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ERGONOMIA IN CUCINA Esaminando i sistemi di pareti attrezzate, abbiamo notato come il loro utilizzo non sia impiegato soltanto in un soggiorno, ma che possa diventare un vero e proprio sistema per tutta la casa o per zone ufficio o per il retail. Grazie agli studi sull’ergonomia, e all’attenzione delle proporzioni, i sistemi attrezzati a parete vengono presi in considerazione anche in cucina. Come visto nei capitoli precedenti, già nel primo dopoguerra, con l’aumentare della classe operaia e la crescente urbanizzazione, sono stati realizzati validi modelli di cucine funzionali ed ergonomiche. In questo capitolo, verranno esaminati dei modelli attuali di cucine attenti all’ergonomia, alle proporzioni e ai servizi. Le caratteristiche di questi modelli multifunzione ed ergonomici, propongono uno spazio nuovo, lontano dalla cucina tradizionale, un vero e proprio ibrido tra living e cucina, al passo con i cambiamenti attuali.

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ERGONOMIA IN CUCINA Logica - Valcucine

Logica System è lo schienale attrezzato che Valcucine ha presentato nel 1996, e che ha continuato a sviluppare negli anni, mettendo al primo posto l’ergonomia per avere un utilizzo ottimale. Il sistema Logica ha portato allo studio di tutti i fattori che influenzano il contesto della cucina: disposizione, altezze e profonditĂ , dimensioni minime, elettrodomestici integrati ecc.

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L’interazione perfetta con gli elementi della cucina ne accresce l’utilità e le prestazioni, migliorando l’esperienza d’uso. Altezze, pesi e profondità vengono progettati secondo le esigenze specifiche della persona, ottimizzando la visibilità e semplificando tutti i gesti, dall’accesso ai pensili alla presa delle ante. Proporzioni e funzionalità vengono pensate per massimizzare la semplicità e la sicurezza d’uso.

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ERGONOMIA IN CUCINA Logica - Valcucine

La disposizione delle varie zone della cucina, il rispetto delle distanze, l’organizzazione di percorsi razionali sono quindi i punti di partenza del sistema Logica, per ridurre i percorsi “ad ostacoli” ed i movimenti innaturali e inutili. Una regola molto semplice è quella di unire la zona conservazione (dispensa, frigorifero), la zona lavaggio (lavello, lavastoviglie) e la zona cottura (piano cottura), per mezzo di triangoli di lavoro di piccole dimensioni. La somma dei tre lati che le uniscono non dovrebbe superare i 650cm. In una disposizione ottimale della cucina le tre zone devono essere intervallate da piani di lavoro.

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Lavorare in piedi davanti ad un piano troppo basso o troppo alto, obbliga ad assumere posizioni scorrette che, a lungo andare, possono avere gravi conseguenze per la nostra salute fisica. Visto il progressivo aumento della statura media dell’uomo, è opportuno che anche l’altezza dei piani della cucina vari in base alle esigenze del fruitore, in modo da lavorare piĂš comodamente.

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ERGONOMIA IN CUCINA Logica - Valcucine

ALTEZZA PENSILI E PROFONDITÀ PIANI DI LAVORO La tradizionale profondità delle basi di 60cm, si è evoluta verso misure superiori e più ergonomiche. Aumentando la profondità delle basi a 65cm e 80cm, è possibile abbassare i pensili, che risultano così in una posizione più ergonomica e funzionale. A. Per la profondità tradizionale di 60cm, l’altezza dello schienale consigliata è 54cm, misura necessaria per permettere una sufficiente visibilità sul piano di lavoro. Il pensile però provoca un senso di chiusura e la sua posizione rende difficoltosa la visibilità.

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B. L’altezza dello schienale consigliata è 48cm, suscitando così, un minore senso di chiusura e una migliore visibilità sul piano di lavoro. C. La profondità di 80cm, è caratterizzata da uno speciale canale attrezzato di 20cm, che permette una maggiore visibilità sul piano di lavoro, e può contenere piccoli elettrodomestici, un tagliere, prese elettriche, vari utensili da cucina, mensoline porta oggetti. In questo caso la distanza consigliata dei pensili dal piano è di 42cm.


A - Con la tradizionale profondità di 60cm, nonostante la maggiore altezza dello schienale, il pensile dà una sensazione di chiusura ed ostacola la visuale sul piano di lavoro durante la preparazione dei cibi.

C - Un pensile tradizionale è collocato normalmente ad un’altezza che impedisce una completa visuale degli oggetti posti sul ripiano superiore, rendendone poco agevole l’utilizzo, in particolar modo alle persone di bassa statura.

B - La profondità di 80cm offre la possibilità di lavorare in uno spazio più aperto, lontani da spigoli e pensili, dando una maggiore libertà di movimento e migliorando la visuale sul piano di lavoro, che viene utilizzato per l’intera superficie.

D - La profondità di 80cm consente di allontanarsi dai pensili e di abbassarli, rendendoli più visibili ed accessibili, aumentando contemporaneamente lo spazio antistante.

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ERGONOMIA IN CUCINA Logica - Valcucine

DIMENSIONI MINIME A - Una distanza di 120cm fra il tavolo e la parete o qualsiasi altro elemento che determini un ostacolo, rappresenta la distanza minima richiesta per permettere una libera circolazione con andatura frontale, dietro una persona seduta. B - Per consentire ad una persona di lavorare e di aprire ante e cassetti dietro ad una persona seduta, è necessario prevedere una distanza minima di 135cm fra il bordo del tavolo ed il mobile. Se il mobile ha una profondità di 80cm, tale distanza va aumentata di 15cm.

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C - Per stabilire le distanze utili fra i piani di lavoro e altri elementi posti davanti ad essi, è necessario tenere conto dello spazio da destinare ai movimenti delle persone e dell’ingombro determinato da elettrodomestici e basi con relativi cassetti e sportelli eventualmente aperti. D - Di fronte alla lavastoviglie va tenuto libero uno spazio di almeno un metro, per le operazioni di carico e scarico. Per consentire il passaggio di un’altra persona con andatura frontale durante queste operazioni, lo spazio libero va aumentato di altri 70cm se di fronte c’è una parete.


CESTELLI ESTRAIBILI PER CUCINA A - Le basi tradizionali con antine e ripiani, obbligano a chinarsi e ad assumere posizioni scorrette, per prelevare o per riporre la merce che di solito è collocata in una posizione quasi inaccessibile e in una zona non illuminata. B - Con il cestone ad estrazione totale tutto il contenuto della base è a vista e a portata di mano.

G - Lo scolapiatti posizionato ad un’altezza tradizionale è scomodo: il movimento per riporre i piatti appena lavati è innaturale e faticoso. H - La profondità di 80cm permette di inserire lo scolapiatti all’interno del canale, dietro al lavello, collegato direttamente al sifone per lo scolo dell’acqua. Si ha la possibilità di riporre i piatti evitando il faticoso sollevamento delle stoviglie e il gocciolamento lungo le braccia.

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ERGONOMIA IN CUCINA Logica - Valcucine

CUCINA SOSPESA A - La cucina sospesa rende completamente libere le operazioni di pulizia sotto i mobili. La cucina con zoccolo è più difficile da pulire e quindi non può essere assicurata un’igiene perfetta. B - Con la cucina sospesa si ha una migliore resa del riscaldamento a pavimento: a differenza della cucina con zoccolo non ci sono ostacoli per la diffusione del calore.

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FISSAGGIO A PARETE C - Per montare una cucina su di una parete portante, vengono utilizzati dei profili ad L di sostegno in acciaio. D - Se le basi vengono fissate ad una parete divisoria interna, è consigliabile prevedere piedini di sostegno per scaricare parte del peso a terra.


ELETTRODOMESTICI INTEGRATI E - Oggi è possibile inserire anche la lavastoviglie su basi sospese. F - La lavastoviglie da 76x60 può essere inserita in colonna, in posizione più elevata rispetto alla tradizionale, risultando più ergonomica.

G - Anche il forno può essere inserito all’interno di una base sospesa da terra, fissata alla parete. H - Il forno può risultare più comodo ed ergonomico, se posizionato all’interno di un elemento sospeso a parete, eventualmente dotato di antina a ribalta che si apre e scompare sotto il mobile.

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ERGONOMIA IN CUCINA Logica - Valcucine

La cucina è il luogo della casa dove maggiormente è richiesto un buon progetto di illuminazione: questo contribuisce a ridurre il rischio d’incidenti e a migliorare la visibilità durante la preparazione dei cibi. E’ necessario quindi studiare attentamente sia l’illuminazione artificiale, sia l’illuminazione naturale attraverso adeguate aperture esterne. ILLUMINAZIONE NATURALE IN CUCINA Per creare un ambiente ben illuminato e confortevole anche durante il giorno è necessario progettare attentamente le aperture. Lo sfruttamento della luce attraverso finestre adeguatamente dimensionate, oltre a favorire un maggior benessere psicofisico (un ambiente scarsamente illuminato crea un’atmosfera cupa e malinconica), permette di ottenere anche un minor consumo di energia elettrica. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE IN CUCINA In cucina una buona visibilità contribuisce a ridurre gli incidenti e a creare un’atmosfera accogliente. Per ogni zona della cucina va progettata una forma di illuminazione appropriata. Le lampade a luce direzionata creano zone fortemente illuminate e zone in ombra, permettendo di ottenere particolari effetti emozionali. I contrasti troppo forti fra luci ed ombre possono dare fastidio e affaticare le vista. È importante allora attenuarli introducendo lampade che emettono una leggera luce diffusa.

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A - Una lampada a sospensione posta alle spalle di chi lavora, crea una zona d’ombra sul piano della cucina. A1 - Una luce sottopensile assicura un’ottima visibilità sul piano di lavoro. B - Una finestra posizionata alle spalle di chi lavora, proietta l’ombra della persona sul piano, rendendo scarsa la visibilità e obbligando ad utilizzare la luce artificiale anche di giorno.

B1 - All’interno della cucina è auspicabile posizionare i mobili in modo tale da avere la zona lavoro illuminata da luce laterale, che non provoca fastidiosi abbagliamenti o sconvenienti zone d’ombra. C - L’interno dei mobili della cucina dovrebbe essere ben illuminato, ma spesso risulta buio. C1 - Soprattutto l’interno del sottolavello può essere illuminato con una lampada fluorescente.

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ERGONOMIA IN CUCINA Logica - Valcucine

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ERGONOMIA IN CUCINA Logica - Valcucine

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B3

bulthaup

Il sistema d’arredamento universale bulthaup b3 rappresenta meglio di ogni altro «The State of the Art». Offre una gamma infinita di soluzioni versatili per arredare la cucina in modo ottimale. Offre inoltre idee innovative per consentire di modificare in modo razionale ed esteticamente gradevole gli ambienti di vita e non soltanto la cucina. Funzionalità ed ergonomia in forme minimali e leggere per dare forma ad una funzionalità che sia anche bellezza pura, di forte richiamo sensoriale. Questa è stata l’idea di partenza, risultato di un approccio tecnico tipico di bulthaup. Prima della progettazione e realizzazione del sistema b3, è stato effettuato un attento esame dei processi di lavoro che avvengono in cucina. Fino a oggi, ad esempio, determinate aree della parte frontale della cucina erano difficilmente raggiungibili, poiché erano troppo in alto o troppo in basso e quindi era necessario piegarsi o allungarsi molto. Con il sistema b3 le zone di difficile accesso sono state eliminate a favore di un migliore e più razionale impiego delle zone intermedie fra le basi e i pensili. Il sistema di arredamento bulthaup b3 offre la massima libertà progettuale. Gli elementi del sistema possono essere montati in versione fluttuante, oppure in versione su piedini di sostegno, o ancora a pavimento, in base alle esigenze di spazio contenitivo.

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ERGONOMIA IN CUCINA b3 - bulthaup

L’obiettivo che ci eravamo dati consisteva nell’inaugurare un nuovo percorso visionario. La nostra idea era di tenere conto dello sviluppo demografico delle società occidentali e la necessità di risparmiare materiali, risorse e l’energia necessaria per i trasporti, dando il dovuto rilievo agli aspetti pratici e funzionali del sistema ma anche a quelli più legati all’universo sensoriale ed emozionale. Il listello a parete realizzato dagli Shakers e l’arte contemporanea sono stati per noi fonte di ispirazione. Ma la vera innovazione, cuore del nostro sistema, è stata l’idea di trasformare la parete in una «parete attiva»”.

Herbert H. Schultes, responsabile del progetto del sistema bulthaup b3

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ERGONOMIA IN CUCINA b3 - bulthaup

UNA STRUTTURA STABILE SU CUI FLUTTUARE: LA PARETE MULTIFUNZIONALE La parete multifunzionale è l’elemento statico di base del sistema b3 di bulthaup. Ad essa possono essere sospesi elementi di ogni genere: pensili e piani di lavoro, punto fuoco e punto acqua, elettrodomestici e accessori, basi, pensili, pannellature e mensole, grazie ad un profilo orizzontale che crea una ripartizione uniforme della parete. Per essere tale una cucina «fluttuante» richiede una struttura che compensi lo sbilanciamento dei pesi e garantisca al tempo stesso stabilità e versatilità. La soluzione prescelta è incentrata su una struttura portante e solida realizzata in acciaio, che può reggere un peso di 1000kg per metro lineare scaricando a terra le forze che vi agiscono sopra attraverso la parete. I calcoli statici effettuati garantiscono un grado di sicurezza del sistema superiore rispetto a quanto richiesto da tutte le norme rilevanti in materia. La robusta struttura portante in acciaio viene fissata al pavimento e a parete.

Ad essa vengono poi agganciati i profili orizzontali che sorreggono il peso degli elementi. A questi profili vengono sospese le colonne (con profondità fino a 65 cm), le pannellature e gli elettrodomestici. I cavi per i collegamenti alla rete elettrica e del gas corrono dietro la parete multifunzionale. Per potere installare la struttura portante è necessario che siano garantiti determinati requisiti di robustezza e di tenuta della struttura muraria.

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I BOX FUNZIONALI CREANO SPAZIO DI STOCCAGGIO «INVISIBILE» Lo spazio più importante della cucina è dato dai piani di lavoro, che incorporano le zone di preparazione, il punto acqua ed il piano cottura. Le cucine tradizionali da incasso non sfruttano a pieno lo spazio a parete dietro il piano di lavoro. Il sistema bulthaup b3 con i box funzionali invece, consente di sfruttare in modo ottimale lo spazio fra piano di lavoro e pensili. I box funzionali offrono spazio di contenimento per riporre spezie, olio e aceto, utensili da cucina, coltelli e piccoli contenitori.

Tutto ciò che serve per preparare e cucinare le pietanze e per riordinare è sempre a portata di mano. A differenza delle antine scorrevoli, con le quali una porzione di spazio resta sempre nascosta alla vista, con questa soluzione il contenuto è sempre perfettamente visibile. Le dimensioni dei box sono 60 cm di lunghezza, 63 cm di altezza e 12 cm di profondità. Al loro interno sono inserite le lampade ad ala che emettono luce fluorescente.

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ERGONOMIA IN CUCINA b3 - bulthaup

PANORAMICA DEI BOX FUNZIONALI Dietro le ante dei box funzionali si nasconde tutto ciò che serve ogni giorno in cucina. Anche le prese possono essere integrate all’interno dei box funzionali. Qui di seguito le dimensioni: B x H x P 60 x 59/63 x 12 cm. PARETE ATTIVA: PANNELLI E MENSOLE L’utilizzo dei pannelli e la sottolineatura delle linee orizzontali offre vantaggi estetici e funzionali: i pannelli a parete con o senza mensole, possono essere inseriti lungo la fuga funzionale del sistema

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cucina bulthaup b3 e in base al tipo di superficie possono avere una larghezza compresa fra 240 e 400 cm. Le mensole da 10mm vengono integrate invisibilmente nei pannelli e sono in grado di sorreggere carichi elevati. È addirittura possibile progettare e realizzare in questo modo intere librerie a parete. La fuga orizzontale di 12 mm consente di appendere a parete gli elementi funzionali, rendendo superflua la classica barra da nicchia.


In tal modo si può ottenere un ricco assortimento di utili elementi funzionali: porta-ricettario, portarotolo, mensole portacoltelli, vasetti porta-aromi, mensole con o senza inserti per vasetti portaspezie e provviste. Tutti gli elementi funzionali possono essere inseriti a diverse altezze in base ai requisiti ergonomici, oppure essere agganciati in qualsiasi punto della fuga funzionale.

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ILLUMINAZIONE mobili con luce integrata

La luce crea atmosfera, attira, valorizza l’arredamento. Un mobile con luce integrata permette di mettere in bella mostra tutto ciò che si desidera e moltiplica le soluzioni luminose possibili. A seconda delle esigenze, scegliendo l’intensità della luce nell’ambiente si può avere una stanza molto luminosa o un ambiente più cupo e ombroso. La cromoterapia e la psicologia dei colori hanno dimostrato come i colori influenzino l’ambiente, l’umore delle persone e le sensazioni. Natevo è stata una delle prime aziende in Italia a ideare, produrre e commercializzare una vasta gamma di arredi dotati di luce integrata, capaci di fornire un’illuminazione autonoma senza bisogno di inserire nell’ambiente altri corpi illuminanti. Il brand Natevo nasce nel 2013 dall’esperienza Flou, l’azienda di arredamento che negli anni Ottanta rivoluzionò la cultura del dormire con il primo letto tessile sfoderabile (Nathalie di Vico Magistretti). I mobili Natevo sono complementi che interpretano in modo nuovo la luce, prestandosi come arredi ideali per case, alberghi e luoghi pubblici all’insegna della funzionalità e di un’eleganza esclusiva. Il progetto Natevo non prevede l’installazione di punti luce, ma solo di prese di corrente. Ogni prodotto, quindi, non è soltanto un elemento di arredo (una sedia, una libreria o un letto), ma anche una sorgente luminosa (la tecnologia adottata è quella dei LED, per la loro versatilità e i ridotti consumi energetici). Ciò permetterebbe di ridurre il numero degli oggetti di cui abbiamo bisogno, conferendo a ciascuno di essi una funzione aggiuntiva.

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ILLUMINAZIONE mobili con luce integrata

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INDUZIONE nuova convivialità

Kartell esplora nuovi modi di vivere e condividere gli spazi, con soluzioni che uniscono proposte d’arredo innovative all’attenzione alla convivialità. Per una nuova idea di focolare domestico allo stesso tempo smart e accogliente. Nasce così I-table, disegnato da Piero Lissoni per Kartell, un’innovativa idea di tavolo smart e multiliving, che mantiene la funzione di superficie di appoggio, di studio e di convivialità, ma che può trasformarsi all’occorrenza in piccolo piano di cottura. Essenziale nelle linee, il tavolo di Kartell è dotato di un dispositivo a induzione inserito nel piano di vetro che, se non collegato, permette di utilizzare tutta la superficie come base di appoggio.

IL NUOVO TAVOLO KARTELL VUOL FARE SOLO IL LAVORO DEL TAVOLO E DI TANTO IN TANTO, QUANDO SERVE, POTREBBE PERSINO DIVENTARE UNA SPECIE DI PIANO DI COTTURA: È UN TAVOLO CHE MISTERIOSAMENTE SI TRASFORMA IN QUALCOSA DI DIFFERENTE”. Piero Lissoni

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PROIEZIONE

Hidden Senses - Sony, 2018

L

’evoluzione della tecnologia e il modo in cui interagiamo con essa sta aprendo nuovi modi per migliorare la nostra vita quotidiana.

Hidden Senses20 è la mostra di Sony, allestita per il Fuorisalone di Milano 2018, che ha esaminato il modo in cui la tecnologia dei sensori nascosti potrebbe essere utilizzata nelle case del futuro. Tra gli intenti dei curatori, vi è senza dubbio quello di sfidare i vincoli e i preconcetti tra tecnologia e comportamento umano, mentre si interagisce con oggetti familiari in uno spazio contestuale proiettato al futuro. La mostra ha lo scopo di proporre uno stile di vita più confortevole, unendo design e tecnologia per creare esperienze emozionali uniche che coinvolgono tutti i nostri sensi: guardare, ascoltare, sentire e percepire i sensi nascosti che informano la propria vita quotidiana. Varcando la soglia dell’installazione ci si immerge in un ambiente pensato per uno stile di vita “aumentato”, un universo popolato da sensi nascosti e da oggetti apparentemente comuni, dotati però di un’anima speciale in grado di interagire con le persone e di migliorarne la vita di tutti i giorni.

20

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Sony, Hidden Senses, Design week 2018, Milano


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PROIEZIONE Hidden Senses - Sony

LA MOSTRA Composta da cinque casi studio, suddivisi in cinque aree diverse, all’attraversamento di ogni area, i “Sensi nascosti” vengono rivelati gradualmente. Ogni oggetto mostra diversi modi in cui il design viene applicato alla tecnologia, per interagire con persone, prodotti e spazi e creare un’esperienza percettiva; dalle esperienze sonore a nuovi modi di visualizzazione delle informazioni attraverso l’arredamento e l’illuminazione di tutti i giorni. L’area finale riunisce tutti i sensi, proponendo uno scenario di vita nuovo, in cui la tecnologia e gli oggetti suscitano nuove emozioni ed esperienze alle persone. Tra le tecnologie più interessanti presentate, i proiettori “short throw” integrati a oggetti d’arredamento, risultano una novità nel contesto abitativo contemporaneo.

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PROIEZIONE proiezione a corto raggio

X

peria Touch è un proiettore capace di visualizzare immagini su qualunque superficie piana, permettendo agli utenti di interagirci come su uno schermo touch. Può proiettare contenuti video fino a 80 pollici, utilizza Android come sistema operativo ed è dotato di uno slot per schede microSD e di ingressi usb per il caricamento di contenuti esterni.

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Il risultato è una macchina di nuova concezione, capace di far girare le app del Play store come su qualunque smartphone (la reattività al tocco è immediata e i gesti multitouch funzionano all’interno di una superficie massima di 23”), ma in condivisione con altre persone, membri della famiglia, colleghi dell’ufficio o compagni di classe.


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PROIEZIONE proiezione a corto raggio

La particolarità dei proiettori “short throw”, è quella di consentire un posizionamento a distanza di pochi centimetri dalla parte su cui verranno proiettate le immagini. In questo modo, il relatore può mantenersi direttamente di fronte allo schermo, senza oscurare con la propria ombra il contenuto proiettato. LG PF1000U LG ha realizzato un proiettore di dimensioni ridotte e ultra compatto, in grado di proiettare uno schermo di 100” in Full HD 1080p, a una distanza di soli 38cm dalla parete. La sorgente luminosa a LED mostra colori naturali e ricchi e ha una durata stimata fino a circa 30.000 ore. Ciò significa che la lampada non deve essere sostituita per circa 10 anni se il proiettore viene utilizzato 8 ore al giorno. Grazie alle sue dimensioni ridotte (31x13,2x8,4cm) è in grado di essere posizionato su qualsiasi superficie, come mobili o scaffali, con la possibilità di essere trasportato facilmente.

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Sony LSPX-A1 è un nuovo proiettore a corto raggio, che fa parte della linea Life Space UX, pensata per offrire prodotti di design che si possono integrare in tutti gli ambienti. LSPX-A1 ha in tutto e per tutto l’aspetto di un mobile di alta qualità: la parte superiore del proiettore presenta una finitura che somiglia al marmo ed è presente un ripiano in legno. All’interno troviamo tre matrici SXRD da 0,74” con risoluzione 4K nativa. Per l’illuminamento si è fatto ricorso ad

una soluzione Laser/fosfori capace di assicurare un flusso di 2.500 lumen. Gli ingressi HDMI sono 3, tutti con supporto a HDR e HDCP 2.2. Da una distanza di circa 20 centimetri si può proiettare su uno schermo da 120”. Il mobile integra anche un impianto audio con midrange e tweeter capaci di diffondere il suono in tutte le direzioni. Un subwoofer si occupa invece delle basse frequenze.

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SCENARIO

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SEN Agape Gwenael Nicolas (Curiosity)

QUADERNO Davide Groppi Stefano Bricola

RIFT Tubes Radiatori Ludovica+Roberto Palomba, Matteo Fiorini

2008

2018

2014


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SCENARIO

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BLADE Caimi Brevetti Lorenzo Damiani

SHELVES Danese Paolo Rizzatto

DRAWASHER

EUBIQ SYSTEM

2015

2001

2014

2012

Ji Seung Kim

Eubiq


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KAARI Artek Ronan & Erwan Bouroullec

INDADA Molteni Niccolò Gallizia

MAMBA MDF Stefano Bricola

EUBIQ SYSTEM Tubes Radiatori Ludovica+Roberto Palomba, Matteo Fiorini

2015

2008

2018

2014


SHELFISH Kartell + Laufen Ludovica+Robert Palomba 2014

SCENARIO 123


IDEE PROGETTUALI Come abbiamo visto un sistema attrezzato per parete non è indicato soltanto per contenere libri. Anzi, si è trasformato nel tempo in un valido sistema per la casa, versatile e funzionale per qualsiasi contesto domestico e non solo. Quando si realizza un sistema a parete attrezzato occorre prestare attenzione alle funzionalità e ai servizi di cui l’utente ha bisogno, che riguardino l’interno di una cucina, di un ufficio o di un negozio. Ciò che accomuna i sistemi attrezzati mostrati in precedenza è l’attenzione alle proporzioni, all’ergonomia e all’utente come punto focale del progetto. I modelli tradizionali del passato, che a loro volta furono soluzioni a problematiche sociali ed economiche, non soddisfano a pieno le esigenze abitative attuali. Perciò, l’idea progettuale nasce dal desiderio di proporre un nuovo sistema, un modello ibrido che superi il concetto tradizionale di arredo domestico. Il ridimensionamento dello spazio abitativo, caratterizzato dall’incremento esponenziale della popolazione nei centri urbani, dai continui flussi migratori e dalla globalizzazione cambierà il nostro modo di vivere. Ridimensionare lo spazio non significa semplicemente diminure la superficie domestica ma, al contrario, significa semplificare e migliorarne la funzionalità, focalizzandosi sull’utente. L’utente è il protagonista, e il compito del designer è quello di identificarne i bisogni e i servizi, come hanno fatto in passato architetti e ingegneri.

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IDEE PROGETTUALI

Come già diceva Sottsass nel comunicato della mostra “Italy: New Domestic Landscape” del 1972, tra i compiti del designer, in futuro ci sarà quello di ricercare i “rituali” nell’arco delle ventiquattro ore del giorno di una persona, in modo da poter progettare gli “artefatti e spazi che gli danno struttura”21. Il modello tradizionale di “focolare domestico” lascerà quindi il posto ad un modello ibrido, in cui i rituali domestici, come cucinare, conservare il cibo, guardare la TV, ricaricare i dispositivi mobili, illuminare, collezionare e catalogare, si concentreranno in un unico ambiente, o addirittura su una sola parete. Il sistema attrezzato è multifunzionale, modulare e personalizzabile in base alle proprie esigenze: un piano a induzione per cucinare o scaldare gli alimenti, un frigorifero compatto, uno speaker per ascoltare brani musicali con proiettore a corto raggio integrato, ricarica per dispositivi mobili, un lavello con lavastoviglie a vapore integrata. Il design delle mensole è stato pensato per permetterne l’utilizzo anche in autonomia.

21

Ettore Sottsass Jr., House Environment. Prospettiva d’insieme dell’House

Environment realizzato per la mostra Italy: The New Domestic Landscape, Museum of Modern Art, New York, 1972

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DIMENSIONI Le problematiche progettuali potrebbero riguardare la ricerca nelle giuste proporzioni e gli abbinamenti più adatti alle funzionalità nei moduli. Problematiche che vengono però risolte, seguendo le caratteristiche ergonomiche studiate in precedenza e adattandole alle esigenze future. I moduli adottano le dimensioni già sperimentate nei piani da lavoro in cucina: 60, 90 cm. I 45 centimetri di profondità fanno sì che ci siano le dimensioni minime per poter usufruire dei servizi. Una controparete, caratterizzata da una struttura in alluminio e da pannelli modulari, contribuisce a rendere più stabile la struttura, permettendo di nascondere gli impianti elettrici e idraulici.

450

1550

900

scala 1:20 128


3000

iPad

9:48 AM

Messages Face Time Photos Camera

Maps Clock Photo

Booth Calendar

Contacts Notes Reminders Newsstand

iTunes App Store Game

Center Settings

Safari Mail Videos Music

60

900 2400

150 2700 500

1550

900

75

129


130


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MODULO BASE

DIMENSIONI MODULI L P H 600 x 450 x 150 mm 900 x 450 x 150 mm MODULO BASE cassetto interno: 550 x 390 x 105 mm 850 x 390 x 105 mm Base in alluminio estruso, con fughe adibite all’aggancio di utensili e accessori.

MODULO BASE CON RICARICA presa multipla schuko-USB e ricarica wireless qi ad induzione elettromagnetica cassetto interno: 550 x 340 x 105 mm 850 x 340 x 105 mm

150

sponde esterne applicabili ad ogni modulo: 25 x 450 x 150 mm

SEZ. A-A

450

150

SEZ. B-B 132


GUIDE CASSETTI guida ad estrazione ka 270 per scanalature di 27 mm L nominale 230 - 350 mm portata kg 12

B

A

C

C

450

D

D

B

A

600

900

105

150

SEZ. C-C

SEZ. D-D

600

900

150

scala 1: 10 133


MODULO COTTURA

DIMENSIONI MODULI L P H 600 x 450 x 150 mm 900 x 450 x 150 mm Cottura tramite induzione. Presenza di cassetto con divisori. Base in alluminio estruso, con fughe adibite all’aggancio di utensili e accessori.

MODULO INDUZIONE 594 x 400 x 50 mm cassetto interno: 847 x 376 x 65 mm

GUIDE CASSETTI guida ad estrazione ka 270 per scanalature di 27 mm L nominale 230 - 350 mm portata kg 12

piano lavoro: modulo 900: 300 x 400 x 10 mm

450 150

SEZ. A-A

134


SEZ. C-C

450

600

900

A

B

B

300

A SEZ. B-B

65

150

50

150 scala 1: 10 135


MODULO ACQUA DIMENSIONI MODULI L P H 600 x 450 x 150 mm 900 x 450 x 150 mm

FUNZIONAMENTO LAVASTOVIGLiE A VAPORE L’acqua, una volta all’interno del modulo, viene incanalata per permettere la formazione di vapore per effetto dell’eccitazione delle molecole di H2O.

lavello 600: 490 x 300 x 120 mm

Le resistenze sono degli elettrodi di grafite, ottimo conduttore, che permettono di aumentare al massimo l’efficienza e la rapidità di formazione di vapore riducendo contemporaneamente la manutenzione, senza contatto fra fluido e resistenze.

lavello 900: 320 x 300 x 120 mm A. Lavello con piano scorrevole adibito a tagliere e scolapiatti.

Il continuo formarsi di vapore e l’aumento della pressione porta ad un flusso spontaneo di quest’ultimo verso il condotto che rifornisce la lavastoviglie.

B. Il modulo da 900 mm presenta una lavastoviglie compatta a vapore. C. Miscelatore con doccino estraibile

450

150

900

136


B

450

600

900

A

C

150

scala 1: 10

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MODULO CALDO-FREDDO

DIMENSIONI MODULI L P H 600 x 450 x 150 mm 900 x 450 x 150 mm Modulo con piastra a doppia funzione: frigorifero e scaldavivande integrate. teca in vetro: spessore 8 mm H 200 mm La protezione dai raggi UV viene ottenuta tramite una struttura speciale a due pannelli di vetro: il vetro interno fumé è accoppiato al vetro esterno dotato di trattamento metallizzato. Questa composizione riflette le radiazioni dei dannosi raggi UV prevenendo ogni deterioramento.

FUNZIONAMENTO PIASTRA Grazie all’utilizzo del compressore SECOP integrato, refrigerante R600a e riscaldamento con resistori in silicone. La regolazione della temperatura viene effettuata tramite la scatola di controllo con display digitale da -5 a + 140 ° C. La piastra CCP ha la capacità di passare dal caldo al freddo in 30 minuti o dal freddo al caldo in 25 minuti.

450

150

SEZ. A-A

450 150

138


SEZ. C-C

A

B

B

450

A

900

600

350

SEZ. B-B

PIASTRA DI ASSEMBLAGGIO COMBINATA

VAPORIZZATORE VENTOLA COMPRESSORE

REGOLATORE

Schema piastra combiplate

SENSORE DI TEMPERATURA

scala 1: 10 139


MODULO PROIETTORE

140

FUNZIONAMENTO PROIETTORE Il proiettore consente di proiettare immagini a breve distanza dalla parete.

DIMENSIONI MODULI L P H 600 x 450 x 150 mm 900 x 450 x 150 mm

Il relatore può mantenersi direttamente di fronte allo schermo, senza oscurare il contenuto proiettato.

Modulo con proiettore short throw integrato ed impianto stereo.

La sorgente luminosa è denominata Advanced Laser Phosphor Display 3.0 (ALPD). Si tratta di una soluzione Laser capace di garantire un robusto flusso luminoso. Luminosità di 5.000 lumen e una durata di circa 25.000 ore. Le specifiche tecniche riportano una copertura dello spazio colore NTSC compresa tra l’80 e l’85%

A. Proiettore B. Impianto stereo C. Comandi proiettore D. Vano porte connettori

SEZ. A-A

450

150


SEZ. B-B

B

900

600 A D

450 B

A

B

C

A

150

scala 1: 10 141


MATERIALI E FINITURE

Rovere

Piani da lavoro Alluminio estruso verniciato a polvere

PANTONE® COATED WARM GREY 9 C Vetroceramica

Piano induzione colore nero Vetro

Teca frigorifero spessore 8 mm 142

PANTONE® Black C


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CONCLUSIONI

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Il sistema a parete attrezzato Rigo è stato concepito per far fronte ai cambiamenti del contesto abitativo del futuro. Rigo è un modello ibrido, multifunzione, capace di soddisfare i rituali domestici nel contesto abitativo moderno. Il sistema è stato concepito ricercando le qualità in progetti del passato, cercando di visualizzare uno scenario domestico futuro. Se in passato, gli ambienti nella casa erano ben definiti, e alcuni ambienti prevaricavano su altri, la tendenza nel futuro, saranno modelli ibridi, in cui gli ambienti di cucina e living si mescoleranno tra loro.

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