formavera n. 8 | Massimalismo, grande opera, autore onnisciente

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Alberto Caeiro

Poemas Inconjuntos da F. Pessoa, Poesia de Alberto Caeiro, a cura di F. C. Martins e R. Zenith, Lisbona 2014 traduzione e premessa di Luigi Fasciana

È probabile che il lettore italiano trovi qualcosa di familiare nei versi di Caeiro. La leggenda vuole che il “Maestro” degli eteronimi (e dello stesso ortonimo) venga alla luce l’8 marzo del 1914. Risale allo stesso anno, pubblicato per le edizioni de “La Voce”, uno dei libri più intensi della poesia italiana del Novecento: Pianissimo. Le analogie tra Camillo Sbarbaro e Alberto Caeiro non sono poche. Oltre a condividere una certa poetica dello sguardo, cui fa seguito il ruolo decisivo assegnato agli “occhi”, entrambi occupano una posizione netta nei confronti del movimento che più ha marcato la poesia del secondo Ottocento: il simbolismo. Le cose significano solo se stesse e al mondo è negata l’ultima trascendenza possibile. Superata la foresta dei simboli, gli alberi sono soltanto alberi. Ma se il mondo di Sbarbaro è un deserto che ha perso la sua sirena, la tautologia di Caeiro propone uno sguardo nuovo, schietto e deciso. Tornare a vedere le cose per quello che sono significa accettare la mirabile singolarità di ogni ente – ben al di là del mero rifiuto delle correspondances; significa rinunciare all’edulcorazione del sogno, dell’ebbrezza e della memoria. Significa limitarsi a un presente impossibile, rifiutare il filtro dei sentimenti e del pensiero. La sua opera, in questo senso, è una “rifondazione del linguaggio poetico” (F. C. Martins). Non è un caso che Pessoa abbia riservato al suo Maestro una fine prematura. Il destino folgorante di Caeiro, morto a soli 26 anni, ha le caratteristiche di un mito di morte e rinascita, un sacrificio attorno al quale i poeti del dramma pessoano, vuoi per analogia, vuoi per contrasto, hanno preso la parola. Le poesie qui tradotte fanno parte di Poemas Inconjuntos, raccolta che ha sofferto la stroncatura illustre sia di Campos, che nota nell’ultima fase del maestro una certa “stanchezza”, sia di Reis, che parla invece di un’ispirazione “deteriorata e confusa”. Questa traduzione cerca di sottrarre lo sviluppo, o se vogliamo, la maturità della poesia di Caeiro al giudizio assai di parte dei suoi discepoli, che in lui ravvisavano una divinità statuaria, più che un poeta. Poemas Inconjuntos coltiva il paradosso principale del primo Caeiro, ovvero la ricerca di “un linguaggio che sia capace di rappresentare la natura senza la mediazione del pensiero” (F. C. Martins) attraverso una poesia che pure si dimostra densamente ragionativa. La serenità caeriana convive adesso con un tono più corrosivo, spesso al confine con la parodia; così come la vivacità di alcuni testi confina con una pacatezza quasi elegiaca. La policromia di questa raccolta dimostra – se mai ce ne fosse bisogno – che gli eteronimi non sono individui attraverso i quali l’autore ha potuto creare personalità (e poetiche) statiche e coerenti, ma sono essi stessi contraddittori, sfuggenti e abissali. La profondità e il fascino del “teatro dell’essere” pessoano sta anche in questo, così come la sua inafferrabilità. “La ricompensa di non esistere – per dirla con Caeiro – è essere sempre presente”.

Testi citati: Álvaro de Campos (F. Pessoa), Notas para a recordação do meu Mestre Caeiro, a cura di T. R. Lopes, Lisbona, Estampa, 1997. Fernando Cabral Martins, A Noção das coisas, in Poesia de Alberto Caeiro, cit. Id., Introdução ao estudo de Fernando Pessoa, Lisbona, Assírio & Alvim, 2014. Ricardo Reis, in F. Pessoa, Páginas íntimas e de auto-interpretação, a cura di G. R. Lind e J. do Prado Coelho, Lisbona, Ática, 1966. 40

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