fondi di caffè gennaio 2020

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anno V

interviste

bologna

fondi di caffè

di Paolo Colucci

Gli effetti indesiderati di un film

Il 31 agosto alla 76^ Mostra del cinema di Venezia con ben 8 minuti di applausi, il “Joker” di Todd Phillips viene consacrato vincitore del Leone d’oro. Il parere del grande pubblico non si è fatto attendere: dopo una lunga attesa amplificata a dismisura dai social, il film è l’indiscusso campione d’incassi della stagione e continua, a distanza di mesi, ad essere riproposto in molti cinema. La critica, perlopiù positiva, ha segnalato la trama scarna e i tempi troppo lunghi che stanno in piedi solo grazie all’interpretazione magistrale di Joaquin Phoenix. La forza del film sta nella performance cruda e potente di quest’attore che si impossessa dello storico villain della DC-Comics oscurando per 120 minuti la prova da Oscar del compianto Heat Leadger. Ma come diceva il suo personaggio, a metà tra un rapinatore e un bombarolo: “Non si tratta di soldi, si tratta di mandare un messaggio”. Così per chi è aldiquà dello schermo, la visione di questo film, per certi versi disturbante, può far solo riflettere. Specie se la maschera del pagliaccio viene presa in prestito dai manifestanti che nelle ultime settimane hanno riempito le piazze agli angoli del mondo. Non parliamo di mesi di monopolizzazione dei social a partire dai teaser del film ai filtri delle facce nelle stories. Deacon Lui, fotografo attivo nelle proteste degli ombrelli di Hong Kong, ha postato di recente una foto che lo ritrae con il volto dipinto da pagliaccio e la citazione ormai emblematica: “Sono solo io, o tutti stanno diventando pazzi là fuori?”. Allo

stesso modo i manifestanti di Libano, Bolivia e Santiago del Cile hanno fatto sfoggio del trucco del super-criminale. Ma cosa hanno in comune questi ragazzi – per la maggior parte si tratta di under 29 – sparsi per il globo e cosa c’è dietro il make-up che Phoenix indossa nel film per una manciata di minuti? Nella pellicola la vicenda umana del clown Arthur Fleck, affetto da una sindrome che gli provoca una risata isterica, ha come sfondo una serie di manifestazioni sempre più violente. In un primo momento il ceto più povero di Gotham, metropoli corrotta e decadente nella realtà a fumetti della DC, chiede strade sicure benessere e giustizia sociale. La deflagrazione avviene però dopo l’uccisione di tre business men per mano di un misterioso pagliaccio, quando il candidato sindaco Wayne definisce clown i contestatori

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gennaio 2020

Agenti del caos

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Di cosa parliamo quando parliamo di fine vita?

di Ida Pia Tarantino e Isabella Colliva

Intervista a Rabih Chattat, professore di Psicologia Clinica presso l’Alma Mater

dei tagli ai sussidi statali. “We are all clowns”, diventa il loro motto. Arthur, che beneficiava insieme alla madre disabile delle sovvenzioni e delle cure di un’analista, è definitivamente preda del vortice della follia. L’incontro definitivo tra l’ormai “Joker” e i manifestanti mascherati da pagliacci avviene per caso alla fine del film: lui è libero dalle manette e si erge sulla folla di facinorosi. Dalla prima protesta dei gilets gialli all’ultima delle neonate 6000 sardine è passato molto tempo e nell’universo delle contestazioni – partecipatissime – degli ultimi anni si è consolidata la tendenza ad affezionarsi a un simbolo (ora gli ombrelli, ora i numeri di codici) o a un volto, meglio se una maschera da indossare. Era il 2005 quando usciva l’iconico “V per Vendetta” e la maschera del sovversivo Guy Fawkes riempiva le piazze (in qualsiasi occasione) e i video dei celebri hacktivist Anonymous. Movimenti di massa, questi dell’ultimo decennio, privi di una leadership ben identificabile e con molte – forse troppe – idee. Non è un caso se la

firma di Anonymous fosse un busto senza testa. Ad ogni modo la prima di “Joker” è stata la più blindata di sempre. Negli USA, dopo l’attentato di Aurora del 2012, in Colorado, Texas e California la prima è stata supervisionata dalla polizia e il film considerato “irresponsabile” per aver strumentalizzato problemi sociali gravi e diffusi. In Cina si è optato per la censura perché avrebbe minato l’ordine pubblico. A questo punto c’è da chiedersi perché una maschera possa tanto esser temuta e amata nell’epoca post-moderna. Quando Murray Franklin chiede ad Arthur il perché del trucco e se crede nella protesta il nuovo Joker gli risponde: “No, non credo in nulla. Pensavo sarebbe servito per la mia parte.” E poi: “Non faccio politica. Cerco solo di far ridere la gente”. Insomma, è un loser dei nostri tempi, il prodotto di una società profondamente nichilista e non più - solo - l’agente del caos che ricorda al mondo che: “Tutto brucia”. In questo simbolo c’è tutta l’umanità sofferente, lo smarrimento e il disordine di una generazione di “pagliacci” che non hanno mai preso posizione ma che oggi manifestano nelle piazze gremite. L’assenza di una prospettiva politica, sociale e culturale non ha reso del tutto asfittico il cuore di chi scende pacificamente in strada con delle proposte costruttive. Quelli che come l’Ismaele di Melville hanno il coraggio di levare gli ormeggi e mettersi in mare aperto per affrontare la feroce Balena Bianca a costo d’impazzire. Sono loro che provoca Joker.

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Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul caso di dj Fabo, ci siamo interrogati molto sul fine vita. Dato che sei un medico e ti occupi di psicologia dell’invecchiamento, vorremmo chiederti di inquadrare il problema. Innanzitutto vi propongo degli spunti perché è un tema molto ampio. Il problema è determinare se una persona può essere trattata ancora o no. Suicidio assistito ed eutanasia vanno distinti: in entrambi i casi si tratta di persone che necessitano di un sostegno per interrompere la vita, ma nel caso dell’eutanasia l’interessato non ha un problema di salute che mette a rischio la sua aspettativa di vita. Tornando alla domanda, Fabo aveva la SLA, con aspettativa di vita limitata e condizioni complesse. Il punto è lo stesso del caso Englaro: la persona vive in modo biologicamente autonomo o ha bisogno di un supporto? A questo si aggiunge che, per il diritto all’autodeterminazione, si può somministrare una cura solo a chi acconsente. Allora la questione diventa: come si dà il consenso? E se la persona non è in grado di dare il consenso, cosa succede? Ma il problema riguarda la sospensione e non la somministrazione delle cure, infatti si pone quando il malato inizialmente accetta il respiratore e dopo rifiuta. Spostandosi dalla questione eutanasia, si apre la domanda: qual è il confine tra trattamento ed accanimento terapeutico? Ha senso tenere in vita a tutti i costi una persona? Questo aspetto

si lega a quello della sedazione terminale, che consiste nella somministrazione di farmaci antidolorifici per sedare chi sta per morire. Si parla di pazienti con malattie oncologiche che hanno dolori incontrollabili, sia fisici che psicologici, e che sono ormai in una fase terminale. È importante mettere ogni cosa sul suo piano e ragionare non per malattie ma per condizioni di vita, di autonomia vitale e non fisica. Molto spesso si discute se la respirazione o la nutrizione siano da considerare come trattamento terapeutico oppure come un supporto necessario. Qual è il discrimine? Qui la scienza si sovrappone all’etica e bisogna vedere se la persona stessa ha acconsentito a essere supportata oppure no. In caso di incidente, la persona deve essere intubata per essere salvata e lì non c’è da discutere. Ma qual è il criterio per la sospensione? Nel caso di dj Fabo, è lui che ha deciso di non vivere più così, ma è un caso limite perché non era ancora in condizioni gravi. Invece se la persona non ha dato indicazioni, chi è autorizzato a fare l’amministratore di sostegno? Un familiare dovrebbe essere nominato da un giudice. La legge emanata sulla DAF (Dichiarazione Anticipata di Trattamento) serve a uscire da questa trappola ed a restituire la decisione alla persona. Il confine tra accanimento terapeutico e misure di sostegno è la decisione del medico, che valuta situazione per situazione quanto un caffé con_fondi di caffè_pagina 3

le condizioni della persona beneficerebbero del trattamento. Il punto alla base è come preservare l’autodeterminazione del singolo.

gestire il processo decisionale dei pazienti? Penso che anche la relazione con i pazienti faccia parte del discorso.

Ogni volta che viene fuori un caso, c’è un grande risentimento verso gli “obiettori di coscienza”, tanto che secondo alcuni non dovrebbero lavorare nel servizio pubblico. Anche l’obiezione di coscienza riguarda la scelta soggettiva delle persone, e qui il dilemma per me è come conciliare la volontà dei pazienti con la volontà degli operatori. Se siamo in uno Stato laico, il punto è rispettare ed assicurare entrambe le volontà, non decretare quale sia meglio. Ricollegandomi alla domanda, non è vero che i medici obiettori di coscienza non dovrebbero lavorare nel servizio pubblico…Per me l’equilibrio si può trovare. Rispetto tutto però, se una donna vuole interrompere la gravidanza, glielo devo garantire e la soluzione non può essere obbligare uno a farlo o non farlo. Il tema è al confine tra soggettivo e oggettivo, stiamo parlando di vita e di morte. O diventiamo uno Stato dittatoriale oppure, se riconosciamo la libertà e l’autodeterminazione, dobbiamo garantire a ciascuno di esercitare la sua volontà. Per me non può esserci una soluzione netta, è una negoziazione continua. Il punto è: come gestire la volontà delle persone? E quando la persona non è in grado di esprimerla, cosa succede, non è più persona? In queste situazioni la partita in gioco è la vita, allora mi chiedo: noi medici siamo formati a un caffé con_fondi di caffè_pagina 4


fondidicaffe.redazione@gmail.com

“I giovani non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere”. Noi non scriviamo per riempire spazi, ma per comunicare esperienze, dietro alle nostre pagine ci sono volti di persone con le loro vite e con la loro quotidianità che aspettano solo di incontrare te che leggi. Fondi di caffè nasce in primo luogo per essere uno strumento di dialogo.

Illustrazioni di questo numero Anna Rebecca Ceccarelli

Rebus: 5 - 5

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di Sara Samorini

Storia di un matrimonio

Giustizia e mito di Maria Teresa Ravaioli e Ida Pia Tarantino

“La tragedia è tutt’altra cosa da un dibattito giuridico, ma (...)

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Redazione Anna Rebecca Ceccarelli Felicita Gelmini Giacomo Zanni Giulia De Amici Giulia Minori Ida Pia Tarantino Isabella Colliva Maria Letizia Cilea Maria Teresa Ravaioli Michele Antonini Linda Moretti Lorenzo Petrangeli Luca Vigliotti Ludovico Radicchi Paolo Colucci Tommaso Baronio

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di Tommaso Baronio

Asimmetrie di Giulia De Amici

prende a oggetto l’uomo che vive di persona questo dibattito” Perché due giuristi si trovano a riflettere su “Edipo re” e “Antigone” per interrogarli con le domande del presente? E’ la domanda guida di “Giustizia e mito”, un dialogo tra Marta Cartabia, Presidente della Corte costituzionale, e Luciano Violante, magistrato e parlamentare, Presidente della Camera dei Deputati (19962001).

diversi: Edipo deve cercare l’assassino di Laio e ricorre al metodo giudiziario per svelare l’enigma; nell’Antigone non c’è una verità da conoscere ma lo scontro tra due assoluti, il conflitto tra la legge umana di Creonte e la legge divina di Antigone.

vera identità. Eppure il difetto di conoscenza è di tutti i personaggi che lo circondano: ciascuno ha una conoscenza limitata rispetto a quello che accade e la ricostruzione degli eventi viene effettuata attraverso l’intreccio dei vari punti di vista, proprio come oggi nei processi giudiziari.

Partiamo allora dal contenuto delle tragedie. Quando Edipo è re di Tebe, la città è attanagliata dalla peste che cesserà di mietere vittime solo dopo la scoperta dell’assassino di Laio, vecchio re di Tebe. Per svelare l’enigma, comincia una vera e propria indagine giudiziaria che lo porterà a trovare in se stesso l’origine del male, in quanto ha ucciso il padre e sposato la madre Giocasta. Una volta andato in esilio, gli succedono i figli gemelli Eteocle e Polinice, che regnano a turno un anno alla volta. Eteocle non vuole cedere il trono, allora attacca la città di Tebe e, nello scontro con Polinice, i due si danno reciprocamente la morte. Il nuovo governante Creonte ordina di lasciare insepolto Eteocle, traditore della patria, ma la sorella Antigone gli dà sepoltura, facendo prevalere gli affetti familiari sulle leggi della città.

L’attualità delle due tragedie emerge dalle riletture di cui sono state oggetto nel corso dei secoli, in particolare nel Novecento. L’immaginario collettivo è sempre rimasto affascinato dall’interpretazione psicanalitica che Freud diede di Edipo, eppure ne sono stati trascurati gli aspetti giuridici. Il nucleo tragico della vicenda sta nella natura ossimorica di Edipo, colpevole ma allo stesso tempo innocente. Edipo pecca di hybris non solo per aver ucciso il padre e sposato la madre, ma anche perché è disposto ad usare la violenza contro un servo per sapere la verità. Ecco che ci conduce sulla soglia del paradosso con cui ogni giurista è chiamato a misurarsi: la giustizia talvolta genera violenza e, anche se amministrata in modo impeccabile, i conti non tornano mai, né per le vittime né per i colpevoli. La giustizia sarà sempre imperfetta perché imperfetto è l’uomo.

Le tragedie di Sofocle in questione affrontano un unico problema politico, il buon governo della città, ma pongono due problemi giuridici

La tragedia di Edipo è anche la tragedia di un difetto di conoscenza: non sa chi sono i suoi genitori, non conosce le sue origini e la sua

Anche l’Antigone è stata variamente interpretata, in quanto costituisce una metafora del conflitto tra il diritto nobile del singolo e il potere violento dello Stato. Celebri sono le rappresentazioni di Anouilh, Brecht ed Espriu nell’ottica di una critica ai totalitarismi, rispettivamente di Francia, Germania e Spagna. Eppure l’Antigone, più che la tragedia della ragazza che si sacrifica per un imperativo morale e parentale, si rivela la tragedia di Creonte, solo di fronte al figlio, ai cittadini e al coro. La dimensione pubblica della sua figura è messa in evidenza dalla solitudine, condizione ineluttabile dell’uomo al governo, e in questa solitudine si radica un aspetto della tragedia. Creonte è un governante responsabile e non può permettere che le leggi della città vengano violate. In modo geniale Sofocle mette in campo il conflitto molto sentito nell’Atene del V secolo tra lex, prodotto della città-stato, e ius, legge non scritta fondata sui legami di sangue: dal punto di vista del diritto, per così dire, Antigone rappresenta il passato e Creonte il futuro. Tale dinamica degli opposti sottende ogni aspetto della tragedia e rivela come il conflitto non riguardi la sfera del diritto

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o dell’etica, ma sveli la fragilità del potere che nulla può di fronte a chi rifiuta ogni mediazione. È questa incomunicabilità di fondo che ha reso eterna la vicenda di Antigone e Creonte. Se è vero che “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire” (Italo Calvino), non ci resta che ripercorrere la strada dei due giuristi per interrogare queste storie antiche con le domande del presente e affrontare dilemmi che non conoscono tempo.

Pochi giorni fa, facendo un po’ di zapping natalizio sulla home page di Netflix, mi è capitato tra le mani la nuova fatica di Noah Baumbach, presentato alla Mostra di Venezia 2019: “Storia di un matrimonio”. Il regista firma un brillante lungometraggio che affronta in maniera toccante il percorso legale e psicologico di una coppia newyorkese al momento della separazione. Charlie (Adam Driver, per i più il cattivo di Star Wars) è un regista visionario e Nicole (Scarlett Johansson in una delle sue migliori interpretazioni) la sua prima attrice, ragazza di Los Angeles trasferitasi nella Grande Mela per amore, nonostante una carriera promettente nel mondo televisivo. I due hanno un figlio, il piccolo Henry, di otto anni. Si conoscono bene, sanno alla perfezione cosa li ha fatti innamorare l’uno dell’altra, come possiamo vedere nei primi minuti, in un alternarsi di immagini e parole di quella che sembrerebbe una perfetta vita coniugale. Ma è solo il preambolo di una cruda lotta, che metterà alla prova entrambi. Come può finire un matrimonio così? Un matrimonio fatto di complicità, intimità, comprensione, amore per il figlio… eppure finisce. Nicole vuole recitare in una serie TV a Los Angeles, per poi rimanerci, Charlie vivere a New York e continuare qui la propria carriera. Le due vite si scontrano, due libertà vengono a collidere e tutto va a scatafascio, culminando in un processo in cui si tenterà di tutto pur di ottenere la custodia del figlio.

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La separazione avviene per motivi chiari e

giusti, i quali però, guardando il film, risultano tutti parziali. Charlie e Nicole non possono più scendere a compromessi, non sopportano di dover sottostare alla libertà dell’altro e a quel punto anche un soffio di vento è capace di distruggere una roccaforte inespugnabile, neanche il piccolo Henry può tenerli più insieme.

Tu il più grande inconveniente

Uno dei momenti cardine della pellicola è il momento in cui Charlie, al bar con la sua compagnia teatrale, canta la bellissima Being alive, un grido a un amore che ti renda vivo, un bisogno incessante di essere amato. Il dramma è che tutto quello che è descritto nella canzone è stata per lui Nicole, “qualcuno che abbia troppo bisogno di me, qualcuno che mi conosca troppo a fondo, qualcuno che mi renda vivo, mi ridesti”. E perché non è bastato?

dico tutti i santi giorni

“E t’amo, t’amo, ed è un continuo schianto!...” Ungaretti coglie nel segno: anche un amore così grande non basta. Tutto viene travolto dall’incapacità umana di amare, di confrontarsi con la libertà dell’altro, di volerlo possedere e allora tutto appassisce. C’è bisogno che un Amore più grande prenda spazio nei nostri limiti, che colmi la distanza presente tra la nostra incapacità e il nostro desiderio di amare, ci salvi dallo “schianto”. Solo così si può ancora sperare.

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tu l'amore del mio niente

a contar tutti i miei no

tu la fine dell'estate

a rivivere le maschere ad attender di capire

per poterti rincontrare di una vita barcollante che bisogna amare ancora sulla riva del silenzio per il senso della storia come quando dentro al mare mi dicesti incespicando 'sono vivo grazie a Dio' impastando il quotidiano di miraggi e ritirate calcolati appostamenti


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